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Autore: Laylath    17/03/2014    3 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 42. Perché il silenzio fa più male?


 
La febbre andò a fasi alterne per circa quattro giorni: gli antibiotici la facevano calare per diverse ore, ma poi si ripresentava con picchi anche violenti.
Mentre questo faceva preoccupare i ragazzi, che non sapevano come interpretare questa altalenanza, Ellie fu più accorta e si premurò di tenere sotto stretto controllo la ferita alla gamba. Almeno due volte al giorno la puliva e cambiava la fasciatura: la ispezionava meticolosamente, pronta a cogliere il minimo cambiamento di colore o di peggioramento. Il medico aveva preferito non mettere dei punti di sutura che potevano rendere difficoltoso intervenire se l’infezione dilagava e così quel tremendo taglio si trovava a dover guarire da solo.
Nel frattempo Kain aveva ripreso coscienza in maniera definitiva, trovandosi ad affrontare un dolore del tutto nuovo ed inaspettato: non gli era mai capitato di avere il braccio ingessato e dolente e anche le ferite nel viso gli davano un grande fastidio, sulla gamba non era nemmeno il caso di pronunciarsi.
Era diverso da un’influenza o un raffreddore… era una forma di sofferenza fisica che non aveva mai conosciuto in maniera così pesante. Meno si muoveva meglio era, ma era veramente difficile quando la febbre saliva a tormentarlo e sentiva l’esigenza di cambiare posizione.
“Lo so, lo so – mormorò Ellie, mettendogli l’impacco sulla guancia – ma devi avere pazienza, pulcino.”
Almeno il viso si era sgonfiato in maniera sensibile e ora parlare non gli creava più tanti problemi.
Ricordava bene cosa fosse successo alla miniera, ma non disse nulla in merito, né i suoi genitori gli chiesero qualcosa: in quel momento c’era ben altro a cui pensare.
“Non riesco ancora ad aprire bene l’occhio – ammise – e senza occhiali ci vedo sfocato e mi dà fastidio.”
“Gli occhiali li potrai mettere quando queste escoriazioni guariranno meglio: adesso l’asticella ti farebbe male… e non sforzare l’occhio. Sta andando benissimo, ma ha bisogno ancora di diversi giorni per guarire.”
“E la gamba ed il braccio?”
“Anche per quelli ci vuole tempo, tesoro.”
Ovviamente la parola “amputazione” era bandita da quella casa: Kain non doveva assolutamente sapere cosa stava ancora rischiando, in quanto il medico non si sentiva ancora sicuro nel sciogliere quella prognosi.
Era solo un brutto taglio che doveva essere curato bene perché comunque era molto profondo.
Solo quando il pericolo fosse passato del tutto ci si sarebbe preoccupati di constatare eventuali danni ai muscoli e ai legamenti.
 
Per tutto quel tempo Riza fece da perfetta infermiera e donna di casa, non concedendosi un momento di tregua: si alzava la mattina presto e andava a letto la sera tardi, spesso portata in braccio dallo stesso Andrew che la trovava addormentata al capezzale di Kain. Ma non sembrava subire troppi disagi da quel tipo di vita: dormiva profondamente tutta la notte e il giorno dopo era carica come una molla.
I suoi amici la aspettavano con impazienza ogni mattina per sapere il bollettino medico: era un appuntamento fisso quello di ritrovarsi alle otto precise davanti all’ingresso della scuola e discutere sull’andamento del loro malato.
“Ieri la febbre è risalita, ma non così tanto come l’altra volta: trentanove, mezzo grado di meno, ma la sua ferita non pare aver subito delle alterazioni. Questo vuol dire, a detta del medico, che il suo corpo sta reagendo nel modo giusto: se tutto procede bene tra un’altra settimana la febbre dovrebbe sparire del tutto.”
“Davvero? – sorrise Elisa, mentre Vato la abbracciava con gioia – Meno male, è un sollievo sapere che ogni giorno ci sono dei piccoli miglioramenti. Ovviamente se c’è bisogno di qualsiasi cosa, facci sapere. Anzi, se posso vorrei darti dell’arnica fresca per gli impacchi: mia madre l’ha raccolta proprio ieri.”
“Sì, quella ci sarebbe molto utile: il viso gli sta tornando normale e sarà una grande cosa quando finalmente si libererà di quel tremendo mal di testa, anche perché senza occhiali deve sforzasi molto per guardare e non gli fa bene.”
“E i suoi genitori come stanno?” chiese Heymans.
“Stanchi, ovviamente, ma adesso che la febbre concede delle tregue possono avere delle ore di sonno in più. E vedere che le cose procedono bene li fa sentire molto più sollevati.”
“Quando potremo andare a trovarlo?” chiese Jean.
“Non lo so, per ora di certo è impossibile dato che è davvero debole anche quando non ha la febbre; direi che dovrà passare un’altra settimana almeno.”
 
“… però la situazione è notevolmente migliorata e siamo cautamente ottimisti.” concluse Andrew quel pomeriggio, mentre Vincent lo accompagnava per le strade del paese.
Si era concesso un attimo di tregua per scendere per fare alcune spese tra cui i medicinali per il figlio e ne aveva approfittato per salutare il capitano di polizia.
“Sono andato con i miei uomini alla miniera in questi giorni – spiegò Vincent – e abbiamo provveduto a chiudere l’ingresso in maniera più sicura in attesa di quella dannata autorizzazione. Nemmeno un bambino può entrarci, questo è poco ma sicuro… stupido me, avrei dovuto pensarci prima a prendere una precauzione simile.”
“E’ stato un incidente – disse Andrew, in qualche modo sollevato nel sapere che quel posto era chiuso – Kain ancora non ne vuole parlare, ma non è questo quello che conta.”
“Ho visto la buca dove è caduto…” l’uomo non proseguì. Non era il caso di parlare delle numerose tracce di sangue e di quella parte di lamiera che ancora stava nel terreno. Vide che le mani dell’ingegnere si stringevano leggermente nel pacco che portava tra le mani: certo, quello che contava era la salute di Kain, ma anche lui voleva sapere chi aveva portato il bambino in un luogo simile.
“Signor Fury!” chiamò Roy, correndo verso di loro.
“Tu se non spunti fuori non sei contento, vero Roy?” sorrise Vincent, arruffandogli i capelli neri.
“Certamente, devo sempre tenere d’occhio tutto quanto – annuì Roy, stando al gioco – ecco, mi domandavo se potevo passare a trovare Kain… solo un paio di minuti.”
“Con te ho un debito del tutto particolare – sorrise Andrew con aria rassegnata – va bene, vieni pure con me: Kain oggi sta abbastanza bene e scommetto che sarà felice di vederti… e di scoprire che tu ed Ellie andate d’accordo.”
“Sicuro che non crea problemi?” chiese Vincent, pronto a bloccare il ragazzo.
“Sicurissimo: dai, aiutami con questa roba, piccolo furfante, andiamo a fare una sorpresa.”
 
In realtà quell’improvvisata per trovare Kain aveva un duplice scopo e Roy l’aveva progettata accuratamente: principalmente c’era la voglia di rivedere il suo piccolo amico e di sincerarsi delle sue condizioni di salute, del resto era stato lui a salvarlo e a ritrovare la sua preziosa penna e dunque sentiva di avere questo particolare diritto. Ma dall’altra voleva anche riuscire a scoprire cosa fosse veramente successo quel disgraziato pomeriggio: i suoi propositi di vendetta contro l’autore di quel pessimo gesto non erano per niente diminuiti, anzi.
Aveva già escluso che si trattasse di qualche adulto: non aveva alcun senso perché le ferite di Kain erano chiaramente dovute alla caduta e non a maltrattamenti. E poi c’era la questione della penna: stava diversi metri lontana da quella buca e quindi era chiaro che qualcuno l’aveva lanciata; non era possibile che fosse caduta a Kain durante il suo volo di due metri.
Inoltre Kain non aveva alcun motivo per trovarsi in quel posto, dubito che ci sia mai andato in vita sua.
No, la dinamica era chiara: qualcuno aveva portato il bambino lì e aveva lanciato la sua penna nella miniera lasciandolo poi solo a recuperarla o fuggendo non appena aveva visto che si era fatto male.
Non si trattava di un adulto, ma di un ragazzo.
Tuttavia, come fu introdotto nella camera del bambino, la sua preoccupazione si riversò tutta su di lui.
“Ciao, gnometto – salutò andandogli accanto e accarezzandogli i capelli – è bello vederti cosciente.”
“Ciao Roy – sorrise debolmente il bambino – sono felice che tu sia qui.”
“Ehi, ti do una bella notizia: lo sai che io e tua madre abbiamo fatto pace? Adesso possiamo parlarci quando vogliamo: te l’avevo detto che tutto si risolveva.”
“Sul serio?”
“Certamente, altrimenti pensi che mi avrebbe permesso di venire qui?”
“Vero, pulcino – sorrise Ellie – adesso vado a prepararti la medicina. Roy, resti tu con lui? Senza stancarlo troppo però, va bene?”
“Stia tranquilla signora – annuì lui, sedendosi nel letto, ovviamente dalla parte sana del bambino – ci penso io a lui.”
Come uscì Kain fece una leggera smorfia di disappunto.
“Iniezione – confidò – odio gli aghi…”
“Oh, ma tu sei coraggioso.”
“Papà mi deve tenere fermo e piango tanto ogni volta…”
“Succede anche ai migliori. Tieni stretta la tua penna, vedrai che sarà meno doloroso.”
“Mh, proverò…”
“Ehi – sussurrò Roy, accovacciandosi i modo che i loro visi fossero vicinissimi – mi vuoi raccontare che è successo in quel brutto posto? Ti ho trovato in quella buca con queste ferite…”
Vide gli occhi scuri, il destro ancora incapace di aprirsi bene, farsi leggermente remoti.
“Volevo trovare la penna…” mormorò il bambino, cercando con la mano sana l’oggetto vicino a lui.
“Lo so – annuì Roy, mettendogliela nel palmo – perché per te è importante e tu non la lanceresti mai in un posto simile. Kain… chi ha lanciato la penna?”
Per quanto fosse debole e stordito dalle ferite e dalla febbre il bambino fece delle strane ma essenziali associazioni mentali. Aveva confidato a suo padre che il suo aguzzino per diversi anni era stato Jean, ma solo perché era sicuro che adesso non c’erano più rischi in merito. Per Henry il quadro era ancora differente: era il fratello minore di Heymans e per lui il ragazzo dai capelli rossi era una figura di riferimento fondamentale. E sapeva che anche suo padre era legatissimo a lui…
Chi Kain voleva difendere era Heymans, non Henry… perché se avessero scoperto che era stato lui sarebbe finto nei guai ed Heymans magari ne sarebbe stato coinvolto o comunque avrebbe litigato con Roy.
“Se lo dico… tu ti arrabbierai con questa persona.” mormorò.
“Vorrei solo scambiarci quattro chiacchiere.”
“No, ti arrabbierai con lui.” ribatté il bambino con voce flebile ma sicura.
“E non dovrei? – chiese Roy con esasperazione – Ma lo vedi come ti sei ridotto per colpa del suo stupido scherzo?”
Ma non poteva capire la diversa mentalità di Kain che, persino all’apice del bullismo di Jean, aveva desiderato rispetto e non vendetta. Inoltre il bambino ricordava bene come Henry non gli avesse fatto una cattiveria gratuita, quelle non le faceva più da parecchio tempo… no, quel pomeriggio era strano e chissà per quale curioso motivo c’entrava suo padre.
Andrew Fury…
Sì, aveva proprio detto il nome di suo padre.
“No – scosse debolmente il capo – scusa, ma non mi ricordo…”
Il ritorno di Ellie e la faccia di Kain non fecero insistere il ragazzo più del dovuto, ma tutto questo lo lasciò estremamente perplesso.
Chi cavolo sta cercando di proteggere?
 
“Mi raccomando, se ti viene mal di testa dimmelo che smettiamo di studiare.” disse Heymans mentre lui ed Henry si sistemavano a fare i compiti nel tavolo di cucina.
“Va bene – sospirò lui, preparandosi mentalmente ad affrontare tutte le cose che aveva in arretrato per i diversi giorni di assenza – sul serio, grazie per l’aiuto che mi stai dando. L’idea che ci siano due compiti in classe in arrivo e che io sia così indietro non è per niente confortante.”
“Sei sempre stato bravo nello studio – scrollò le spalle il maggiore – vedrai che con il mio aiuto recuperi tutto in tempo; dai, iniziamo con geografia: mi pare che sia quella la materia dove abbiamo di più da fare.”
Henry era intelligente, su questo non c’era niente da dire: al contrario di molti altri ragazzini che facevano parte di qualche banda, lui amava imparare e dunque non era mai stato necessario spronarlo o riprenderlo per il suo andamento scolastico. Per Heymans era molto più facile far da insegnante a lui che a Jean: il suo miglior amico si intestardiva molto spesso sull’inutilità di diverse materie, invece Henry aveva molta logica e soprattutto interesse. Anche se non era il migliore, stava certamente tra i primi della sua classe.
“New Optain – mormorò il ragazzino, indicandolo nella cartina del libro – è dove sei stato tu quando sei partito, vero? Dove vive la nostra nonna.”
“Sì – annuì lui – è una città carina, ma non ho avuto occasione di vederla bene.”
“Mamma non parla mai dei nonni e nemmeno del suo fratello… non avevo idea di portare il suo nome.”
“E’ perché lei non voleva renderti triste dicendoti che era morto – cercò di spiegare Heymans con imbarazzo – sai non è che…”
“Dava fastidio a papà, vero?”
Heymans scrutò il fratello minore: faceva paura l’espressione remota che aveva appena assunto. In quel momento avrebbe dato chissà che cosa per vedere il solito sogghigno divertito, gli occhi brillanti all’idea di qualche nuova bravata da fare.
“Conosci papà e…”
“Sul serio lo conosco?” chiese lui, girandosi a fissarlo.
Heymans chiuse il suo vecchio quaderno di geografia e si mise a braccia conserte sul tavolo.
“Che cosa vorresti dire?”
“Lui ha detto che… non sono suo…”
Gli occhi divennero lucidi quando le prime lacrime si fecero inevitabilmente avanti.
“Non è vero, certo che sei suo figlio.”
“E allora perché dopo undici anni è come se mi vedesse per la prima volta e mi odiasse?” fu un sussurro, ma l’universo di dolore e disperazione dentro quella domanda era tangibilissimo. Heymans d’istinto si alzò dalla sedia e andò accanto a lui, abbracciandolo e cercando di proteggerlo da quanto stava succedendo.
“Lo conosci – cercò di spiegare – quando beve a volte non sa quello che dice…”
“Non sembrava ubriaco, e poi su me non ha mai detto cose simili. Ed è da settimane che mi tratta diversamente… Heymans, tu che sei bravo a vedere queste cose, ho fatto qualcosa che non va?”
“Assolutamente no, Henry – lo scrollò lui con urgenza – tu non c’entri niente.”
“E allora cosa sta succedendo alla nostra famiglia? – sospirò il minore, rifugiandosi in quell’abbraccio come mai aveva fatto – Heymans, ci sta crollando tutto addosso, lo so.”
“Vedrai che si risolve, fratellino. Un po’ come Kain che sta guarendo, anche noi ci riprenderemo… è solo un brutto momento.”
Non sentì che al nome del bambino Henry si irrigidiva leggermente.
“Henry – proseguì – per quanto riguarda la mamma, c’è qualcosa che vorresti dirmi?”
“Lei e papà non si amano, vero?”
“E’… è una situazione complicata, ma non devi dubitare che lei ci voglia bene, vorrei che ti fosse chiaro.”
“Heymans, mamma non è una… una puttana, vero?”
“Che? – Heymans lo staccò da se e lo prese per le spalle, fissandolo con rabbia – Non dovresti dire una cosa simile di lei, mai e poi mai! Dove hai sentito una cosa simile? Dove?”
“Non arrabbiarti – mormorò il bambino – l’ha detto papà… a lei.”
“E che altro ha detto?”
“Che non siamo figli suoi, ma la mamma ha detto che tu gli assomigli tanto… su di te non ci sono dubbi.”
“Ma su di te…?” lo incitò Heymans.
Henry lo fissò con occhi supplicanti, come se dire quelle parole significasse farle diventare tremenda realtà. Era quello il dubbio che lo attanagliava: lui non assomiglia per niente a suo padre. Questo non gli aveva creato problemi per undici anni, del resto aveva preso tutto da sua madre e non c’era niente di eccezionale…
Ma possibile che Heymans somigli così tanto a papà e io no?
“Henry – lo scosse il fratello, riportandolo alla realtà – su di te che ha detto?”
“Andrew Fury…”
“Che cosa? – Heymans sgranò gli occhi iniziando a capire molte cose – Ha detto che tu sei il figlio di Andrew Fury? Oh no, Henry, non è vero: non devi credere a queste cose.”
“Quell’uomo e la mamma sono molto amici, no?”
“Sì, è vero, ma c’è dietro una storia molto più complicata di quanto tu creda. Quello che conta è che tu sei figlio di papà, proprio come me: siamo fratelli non fratellastri, capito?”
“E allora perché papà dice delle cose simili?”
“Perché lui è…”
Un emerito figlio di puttana.
“… è una persona di cui non ci si può fidare, Henry – mormorò, abbassando lo sguardo – e credimi, odio dover dire queste cose. E’ nostro padre, avrebbe dovuto comportarsi… non avrebbe mai dovuto… mi dispiace, fratellino, te lo giuro.”
“Heymans – Henry cercò di nuovo la sua spalla, il suo abbraccio – non… non si dovrebbe mai picchiare la propria moglie, vero?”
“Certo che no, quando mai si dov…” impallidì, stringendo a sé il fratello.
Lo sentì piangere in maniera così isterica che preferì non andare oltre.
Ma gli bastava: adesso iniziava a ricollegare i pezzi.
E così ha alzato le mani su mamma… questa è guerra.
 
“Comunque anche stasera il padre di Kain scenderà in paese – disse Riza, mentre lei ed Elisa camminavano a braccetto, seguite da Roy e Vato – gli dirò di passare a prendere l’arnica da voi.”
“Perfetto.”
Roy seguiva a malapena quella discussione.
La sua mente aveva iniziato a lavorare freneticamente da quando aveva messo piede a scuola: guardava tutti i ragazzi presenti, nella convinzione che tra di loro ci fosse l’autore di quel pessimo scherzo che era potuto costare la vita a Kain.
C’era rimasto molto male quando il bambino si era rifiutato di parlare, quando era chiaro che ricordava perfettamente quanto era successo. Ma era arrivato alla conclusione che Kain era troppo buono ed incline al perdono, anche per simili cose.
Ma io no… devo solo trovare il vigliacco che ha osato fare una cosa simile.
I volti di tutti quei ragazzi continuavano ad accavallarsi nella sua mente tanto che a un certo punto scosse il capo con violenza. No, una ricerca così casuale non andava bene: doveva procedere con maggior giudizio.
“Kain non aveva altri amici prima di noi, vero?” mormorò rivolgendosi a Vato.
“No – scosse il capo lui – da quanto ho capito io sono stato il primo, persino rispetto a Riza.”
“Mh.”
Questo era un punto su cui riflettere: poteva ricostruire il percorso di amicizie di Kain senza alcun problema e il gruppo si riduceva alle medesime persone che frequentava lui.
E noi siamo da escludere… allora chi? Non proteggerebbe in questo modo uno sconosciuto o una persona con cui ha poca confidenza.
“Ciao, ragazzi – salutò Rebecca – avete visto Jean?”
“No – scosse il capo Riza – forse è con Heymans.”
“Capisco… uffa, gli avevo portato un pezzo di torta.”
“Vedrai che ricompare.”
“A dire il vero ne ho fatto un po’ anche per la sua sorellina… dai, vado da lei. Ci vediamo dopo.”
A quelle parole, osservando la brunetta che si allontanava, Roy si riscosse e sgranò gli occhi.
E se non stesse proteggendo proprio il colpevole… Janet è da escludere, ma ce ne sono due nel gruppo a non essere figli unici.
“Ci vediamo dopo, devo andare a parlare con una persona…”
 
“Vuoi un consiglio? Dillo ad Andrew Fury e non fare cazzate da solo.” Jean arrivò ad afferrare il braccio dell’amico per tentare di dissuaderlo da quel piano folle.
“No, come potrei farlo? Deve pensare a Kain, non lo voglio caricare assolutamente di una cosa simile.”
“Senti, capisco che tu sia furioso, ma non…”
“Ha alzato le mani su mia madre, lo capisci? – sbottò Heymans liberandosi da quella stretta – Non ho nessuna intenzione di aspettare oltre: questo pomeriggio lo affronto.”
“Posso chiedere a mio padre… o al padre di Vato dato che è un poliziotto, ma non…”
“Ho detto di no! E’ una questione che devo risolvere io: è mia madre… se non sono capace di difenderla io, chi potrà mai farlo? Non me ne sono accorto, Jean, capisci? L’ha picchiata e io non me ne sono reso conto… lasciando che fosse Henry a portarsi dietro questo peso… l’ho convinto a venire a scuola per fargli cambiare un minimo d’aria, ma sta malissimo.”
“Non lo so – scosse il capo Jean – non so cosa dirti… ma lui è un adulto, Heymans. Fisicamente ti fa dieci a zero.”
“Me la gestisco con la furbizia: tra me e te non è nemmeno il caso di dirlo chi sia quello furbo.”
“In questo caso, scusa tanto, ma non sembri tu…”
“Non ti rispondo nemmeno perché… uh? Ma che succede?”
Heymans non ebbe il tempo di dire altro che, dall’altra parte del cortile, vide Roy scaraventare Henry per terra con tutta la forza dei suoi quindici anni.
 
“Andiamo, maledetto – sibilò Roy, incitandolo a rialzarsi in piedi – alzati e parliamo di una certa penna… e della vecchia miniera.”
Henry ancora scosso per quell’attacco improvviso, guardò quel ragazzo praticamente intoccabile con il terrore nel cuore. Sapeva che Roy Mustang era amico di Kain Fury, ma non poteva immaginare che arrivasse a lui… a quel gesto che aveva compiuto in quel folle pomeriggio.
“Io non…” iniziò, ma venne bloccato da un violento calcio alla coscia destra che lo costrinse a raggomitolarsi in posizione fetale per il dolore.
“Ti dovrei infilzare con un pezzo di metallo, piccolo teppista – Roy si inginocchiò e lo strattonò violentemente per i capelli rossi – facile prendersela con chi è debole. Adesso te lo faccio provare sulla tua pelle… mi rifiuto di credere che tu sia davvero fratello di Heymans. Non sei nemmeno degno di essere figlio di quel maledetto di tuo padre da quanto mi fai schifo.”
“Basta, Roy!” esclamò Heymans, frapponendosi tra i due contendenti e interrompendo quella stretta.
“Lo vuoi difendere? Non hai capito che è stato lui?”
“Calmati – mormorò lui, rimettendo in piedi il fratello – che cosa ha fatto? Certo che dargli un calcio simile… Henry, fratellino, tutto bene?”
“Lo dice anche lui – Henry iniziò a tremare e quasi cadde, non riuscendo a tenere il peso sulla gamba colpita – non sono degno di… essere figlio di nessuno…”
“Ma no, dai, ne abbiamo parlato ieri e…”
“Invece di squittire come un topo – disse Roy, trattenuto da Jean e da Vato che l’avevano raggiunto, mentre tutta la scuola li osservava – dì a tutti chi ha buttato la penna di Kain nella miniera, avanti! Mostrami un minimo di coraggio, stronzo! E voi due lasciatemi andare!”
“Finiscila, Roy, non sei in te!” disse Vato.
“E come potrei esserlo? E’ colpa sua se Kain si è fatto male! L’hai portato tu in quel posto!”
“Che?” a quelle parole Heymans sgranò gli occhi e si girò a guardare Henry che piangeva senza parere.
“E’ vero?” chiese Jean, con un’occhiata omicida.
“Henry! – il rosso lo scosse – Henry… ti prego, dimmi che si sbaglia…”
“Mi dispiace – balbettò lui, impotente – non volevo si facesse male…”
“Ma perché cazzo hai fatto una cosa simile? Rispondimi!”
“Quella penna…”
“Sì, quella che gli ha regalato suo padre!” sbottò Roy.
Ed Heymans capì.
Dovette controllare il tremito alla mano e la voglia di riempire di schiaffi suo fratello.
Ma si ricordò di come quella sera fosse tornato a casa sentendosi così male per quella crisi nervosa procurata dall’ennesimo litigio a cui aveva assistito e che si andava a sommare a quella violenza sulla loro madre… ai dubbi di essere un bastardo, di essere figlio di Andrew Fury.
“Henry, vieni – gli circondò le spalle tremanti con il braccio – andiamo a casa.”
“Heymans! Come puoi proteggerlo in questo modo? – la voce di Roy era furiosa – Non pensi a Kain che ha rischiato l’amputazione della gamba? Non pensi che dovrà stare a letto per settimane? A tutto il dolore che sta provando?”
“Smettila, Roy…”
“Ti dico solo una cosa: proteggilo e diventi mio nemico, hai capito? La nostra amicizia può terminare qui se non levi il braccio dalle spalle di quel rifiuto umano!”
“E’ mio fratello!” esclamò Heymans, trafiggendolo con lo sguardo.
Poi consolidò la stretta su Henry, che era nel pieno di una nuova crisi nervosa e si avviò verso l’uscita del cortile. Le urla furiose di Roy furono il sottofondo peggiore che avesse mai sentito, ma soprattutto fu per tutto il tempo consapevole dello sguardo incredulo di Jean.
 
“Non ci posso credere – sbottò Roy, quando riuscirono a calmarlo – non può aver difeso davvero quel bastardo…”
“E’ comunque suo fratello.” mormorò Elisa, cercando di riportare la calma.
“Anche se fosse mio fratello non lo difenderei così… e tu che mi dici? Sei il suo miglior amico.”
“E’ una brutta situazione, Roy – disse Jean, con le mani in tasca e lo sguardo fisso a terra – ci sono diverse cose che non sai ed è più complicato di quanto creda.”
“Non c’è niente di complicato. Tu non l’avresti ammazzato al posto mio? E se al posto di Kain ci fosse stata tua sorella?”
“Smettila!” serrò gli occhi lui.
“Non ci posso credere che sia andato anche a chiedere come stava Kain quando era in ambulatorio – la voce di Roy era spietata – bella faccia tosta… sicuramente lo stava già coprendo quel maledetto!”
“Aspetta, ti prego – disse Riza – Heymans non ha una situazione facile a casa, non dovresti dare giudizi affettati e…”
“Non me ne frega niente di lui! Per quanto mi riguarda suo padre può anche riempire di botte sua moglie, ma questo non…”
Jean gli fu addosso e non gli lasciò terminare la frase.
In genere tra i due quello calmo e razionale era il moro, ma in questo caso la rabbia del primogenito degli Havoc era fredda… gelida.
“Sì, quel maledetto alza le mani su sua moglie… e allora?”
Si fece silenzio, mentre Jean si rialzava in piedi e si passava la mano sui capelli biondi con aria preoccupata.
“Riza – mormorò, andandole vicino e prendendole il braccio – credo che Heymans stia per fare qualcosa di veramente stupido… vai e chiama Andrew Fury, ti prego… lo so che Kain sta male e che…”
“Corro subito a casa loro.” lo bloccò lei, ricordandosi dei troppi discorsi tra Ellie e Laura.
“Grazie…” e si incamminò con lei verso l’uscita del cortile.
Papà oggi è in un’azienda poco distante dal paese… possiamo ancora bloccare questa follia.
 
Mentre Riza e Jean correvano ad avvisare gli adulti di quanto stava per accadere, Heymans entrava a casa assieme al piangente Henry e lo faceva sedere al tavolo di cucina. Laura non era in casa, mentre il loro padre era di sopra…
Sì, stai pure ubriaco, maledetto…
“Henry – scosse il ragazzino – coraggio, guardami…”
“Ti giuro che non volevo che si facesse male – pianse lui – volevo solo… quella penna… era di quell’uomo, non ci ho visto più! Papà chiama mamma puttana e la picchia per colpa sua…”
“Non sono amanti, come te lo devo dire?”
“E allora perché continua? – la voce di Henry era un sussurro disperato – Perché la picchia se non è vero? E poi…” si fermò serrando gli occhi.
Heymans si irrigidì, mentre la fatidica domanda tornava con prepotenza.
Perché il silenzio fa più male?
“Henry… la sera che sei venuto a dormire da me hai sentito mamma e papà litigare, vero?”
Lui annuì.
“E papà ha dato uno schiaffo a mamma, vero?”
Ancora un lieve cenno affermativo.
“E poi…ha detto o fatto qualcosa?”
“… sei mia moglie e con te faccio quello che voglio… e poi quel silenzio…”
Gli occhi grigi di Henry subirono un enorme cambiamento di colore, diventando quasi argentei per l’angoscia e la liberazione nel dire quella frase.
E a sentirla non fu solo Heymans, ma anche Laura che era rientrata in quel momento e aveva appena aperto la porta della cucina.
Henry non resistette più e cadde sul pavimento iniziando a vomitare, somatizzando per l’ennesima volta quella follia che aveva recepito pur non capendola del tutto.
Questo riscosse madre e figlio maggiore che subito si accostarono a lui per aiutarlo.
“Henry, amore mio – sussurrò Laura, baciandogli i capelli – tesoro, mi dispiace… mi dispiace tanto…”
Heymans pulì la bocca del fratello con un fazzoletto e poi lo aiutò ad accoccolarsi alla donna.
“Ti ha preso con la forza…” mormorò puntando i suoi occhi grigi su quelli di Laura.
“Heymans, ti prego…” cercò di bloccarlo lei con disperazione.
“Perché tu non dici mai niente – continuò lui, ripetendo le parole di Henry e attribuendo loro il vero significato – per proteggere noi ti fai anche ammazzare da quell’uomo. Mamma… basta distruggerci a vicenda con questa follia… te ne prego… deve finire!”
“Heymans, per l’amor del cielo…” la donna si sentiva completamente impotente e stanca di lottare contro tutto questo. Che senso aveva avuto tutto quel silenzio negli ultimi tempi se i suoi figli avevano subito così tanto? Non li aveva protetti per niente.
Riuscì solo a stringere Henry a sé, iniziando a piangere sommessamente.
“Deve finire – sussurrò Heymans, sentendo i passi che scendevano dalle scale – oggi stesso…”


 
  
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