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Autore: Sara_Fiore    17/03/2014    0 recensioni
Il nome Anna significa "grazia divina, misericordia, pietà".
Sua sorella si chiama Maria, "amata".
Dopo la morte prematura della madre, le due vivono con il padre. La loro è una vita bellissima. Sono amate da tutti, finchè Francesco non compare nella vita di Anna.
Francesco non è il classico esempio d'amore, ma tutti lo scopriranno troppo tardi...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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PROLOGO
Anno 1903
Fra le mura del palazzo le ombre della notte stavano lasciando posto ai primi flebili raggi di luce, ancora deboli e di un colore sul giallognolo chiaro, misto a quel bianco candido come la neve ad alta montagna. La cucina era già occupata da una decina di serve e cuoche che preparavano la colazione per i loro padroni, nobile gente che aveva tante terre in giro per l’Italia.  Essi non avevano avuto un matrimonio combinato ed il loro amore era intenso come la forza di gravità. I due ebbero la primogenita ad età giovane. La chiamarono Anna, che in lingua ebraica significa “grazia divina, misericordia, pietà”. I suoi genitori la adoravano come se fosse una regina, e quando la piccola ebbe otto anni la madre partorì un’altra bimba, che chiamarono Maria. Fu Anna a decidere il nome per la sorella, che in egiziano significa “amata”.  Dopo il parto, la donna però cominciò ad ammalarsi per colpa di un influenza e non accennava a guarire. Dopo tre anni e mezzo di lunga lotta  contro la morte, il dottore disse che non c’era più niente da fare e la signora tirò l’ultimo respiro il giorno dopo, a mezzogiorno in punto. Per un anno la casa cadde in lutto profondo, nessuna tenda era aperta e nessun raggio di luce ne penetrava all’interno. Le figlie era costantemente vestite di nero con pizzi rigidi che pungevano loro la morbida e delicata pelle color bianco. Il padre era rifugiato nel suo ufficio. Col tempo tornò quasi tutto alla normalità.
                                                              
CAPITOLO 1

6 ANNI DOPO...
Maria aveva ora nove anni e la sorella diciassette. Entrambe si stavano vestendo per la colazione. Anna era alta un metro e settanta, i suoi capelli color miele le cadevano morbidamente sulle spalle con delicate onde. I suoi occhi erano di un blu acceso come il cielo sereno senza nuvole e aveva lunghe ciglia. Il naso era leggermente all’insù (alla francese) con qualche lentiggine. La bocca era sul rosato, piccola ma carnosa, con denti perfettamente bianchi e allineati. La giovane era educata e saggia allo stesso momento, sempre disponibile ad aiutare il padre e la sorellina, con un sorriso sempre sulle labbra. Aveva delicate orecchie a cui erano appesi splendidi orecchini d’oro. Il suo decolté era semplicemente perfetto, magra ma allo stesso tempo giusta, sembrava una dea dell’antica Grecia; infatti, in molti nel villaggio la chiamavano “Afrodite”. Quel giorno portava un abito sul verde scuro di seta, con una scollatura a “U” con intorno piccole perline di smeraldo. Le maniche a sbuffo terminavano nell’avambraccio, dove c’erano le sue mani morbide e affusolate, con unghie perfettamente tagliate. Il vestito proseguiva fino alle caviglie, dove cominciava un pizzetto lavorato a mano color verde smeraldo. Le si vedevano le scarpe, strette alle caviglie ed eleganti, senza tacco. Anna adorava vestirsi bene anche per restare a casa.                                  
 Maria era invece magra come uno stecchino, alta un metro e trenta con capelli lisci color nero come un corvo nella notte, aveva occhi sul verde e lunghe ciglia. Un naso all’insù senza lentiggini era perfettamente allineato ad orecchie leggermente a sventola. La bocca era piccola e sottile e aveva un decolté perfetto come la sorella. Vestiva con abiti semplici, quella mattina ne indossava uno sul bianco, niente maniche a sbuffo o pizzi. Aveva solo qualche venatura sul rosso-arancione. Non le si vedevano le scarpe, sul bianco anch’esse, le sue preferite. A Maria piaceva molto il divertimento, perfino giocare a “prendere il the” oppure alle bambole con le figlie delle domestiche, ma la cosa che preferiva di più al mondo era l’equitazione. La sua famiglia aveva una stalla con una dozzina di cavalli di tutte le razze. Lei aveva una cavalla di razza italiana, un’ Avelignese, con un manto sauro-dorato, con ciuffo, criniera e coda abbondanti, sottili, lisci e chiari.  I loro piedi sono ben confermati con uno zoccolo sano e resistente. Hanno carattere docile.            
Stella, il nome della cavalla, possedeva tutte queste caratteristiche, aveva sei anni ed era stata da poco addestrata. Molte volte, la fanciulla e Stella calcavano da sole nella zona di caccia della residenza, anche se ormai preferivano passeggiare lungo il fiume, a volte anche entrandoci dentro una con i piedi piccoli e lisci e l’altra con possenti ma delicati zoccoli.                                                    
 Il padre, conte della residenza e proprietario di moltissime terre, era un uomo sulla cinquantina, anche se la sua pelle era solcata dalle rughe del dolore del passato, era ormai felice e orgoglioso delle due figlie. Guardando Anna, lui vedeva la sorella defunta per colpa della guerra, mentre, guardando Maria vedeva il viso della moglie. L’uomo aveva capelli brizzolati e ricci, non aveva né barba né baffi, anche se stava provando a farseli crescere. Vestiva sempre con la cravatta del matrimonio, color nero spento con sfumature sul dorato. I vestiti erano classici del tempo. Aveva un carattere mite, sincero e simpatico, anche se si vedeva in lui una sorte di non sicurezza. Aveva occhi sull’azzurro-blu, un naso adunco e la bocca grande, ma allo stesso tempo sottile. Gli piaceva leggere romanzi nell’immensa libreria e a volte descriveva alle domestiche alcuni libri, prestandoli o in occasioni speciali regalandoli. Le donne che lavoravano per lui erano contente, nessuna provava a cercare un altro nobile a cui portare servizio, solo una se ne era andata, ma durante la guerra. Era germanica e la sua famiglia la voleva vicino a sé nel lungo periodo del conflitto. Purtroppo non arrivò mai a destinazione perché venne rapita e si persero sue notizie.                
Dalla cucina capitanata dalla cuoca Amelia, arrivavano profumi dolci e soavi, che fanno venire l’acquolina in bocca alla prima annusata. Maria era seduta sullo sgabello dietro il grande bancone di marmo bianco dove la chef stava terminando le rifiniture alla torta alla nocciola che sarebbe stata servita per colazione; un po’ di panna ai bordi, un po’ di cioccolato sciolto insieme alle fragole del bosco e infine una cascata di vaniglia finivano nell’opera culinaria di Amelia. La bambina guardava ammirata la cuoca agire con tanta delicatezza ma allo stesso tempo con mano ferma. Le dita affusolate della cuoca tastavano i bordi per garantire una superficie perfetta e quando trovavano un solco o uno sbalzo, lo lisciavano con estrema calma. Nella sala si sentivano soltanto i passi affrettati delle aiuto-cuoca e dei camerieri che portavano prelibatezze nella sala da pranzo, detta anche “Sala Romana”, perché era decorata come una casa romana del 400 d. C.; immense statue raffiguranti divinità come Venere, mosaici e un quadro con dipinta una scena di caccia.  La bambina tornò con la mente in cucina, dove Amelia aveva finalmente terminato l’opera e la stava riponendo con estrema lentezza , tipo tartaruga, nel vassoio d’argento appartenuto alla signora defunta. – Da grande anch’io voglio fare la cuoca!- disse Maria guardo la signora.                          
– Il papà ti ha detto vero che fare la cuoca è difficile? Che fai questo lavoro se ti mancano i soldi?        
- Sì, ma ha detto che quando hai un desiderio devi rincorrerlo, se no questo scappa!                         
Amelia si mise a ridere per la frase della bambina e si diresse al lavabo per lavarsi le mani piene d’impasto alla nocciola. L’acqua fredda le scorreva sulla pelle dandole una sensazione di libertà, facendole ricordare quando era bambina e giocava insieme alle sorelle nel prato dove il loro papà lavorava dalla mattina presto alla sera tardi. Maria prese il secchiello dove c’era il latte della loro mucca Uma, e lo diede alla cuoca; - Ora mi puoi insegnare a fare la cioccolata calda?                         
 Gli occhi verdi della piccola si dilatarono e apparve un’espressione sul triste. La cuoca si asciugò le mani e accarezzo la contessina sulle gote cantandole la canzone che le recitava la madre. Poi si sedette vicino alla stufa, ordinò che le venisse portato un pentolino e un cucchiaio con un po’ di cioccolata. Avvicinò lo sgabello e invitò la bimba a sedersi; - Ora sei pronta per imparare a cucinare, Tesoro! Ma ricorda! Se qualcosa non ti riesce, non arrabbiarti mai!                                     
 La piccola annuì col capo e insieme prepararono una cioccolata calda che la bambina bevve appena finito di scaldarla, rischiando di bruciarsi la lingua!                                                                                            
Quando il padre stava scendendo le scale con la figlia maggiore, Maria accorse a salutarli tutti e due, abbracciandoli e cominciando a raccontare quello che aveva fatto sino a quel momento. A metà storia si sentì un urlo di dolore provenire dalla cucina e il signore si alzò di scatto dal tavolo per accorrere la cuoca. Non c’era dubbio, quella che aveva urlato era Amelia, ne conosceva bene la voce.  Arrivato nel rifugio della chef, la trovo stesa sul pavimento a piangere con singhiozzi.        
- Oh! Signora Amelia, cosa è successo? Vi siete tagliata? Vi siete ferita?                                                   
 - Signore! Mi hanno buttato a terra la torta che avevo finemente lavorato come dolce in onore del compleanno di sua moglie! È caduto a terra, che disgrazia!                                                                     
Vicino al robusto corpo della signora c’era una torta che sembrava essere precipitata dal tetto della loro casa. La cuoca era in lacrime e mentre cercava di rialzarsi chiamò con fare scontroso il colpevole del danno, il signor Ernesto, cameriere professionista da ben vent’anni. L’uomo si prese tutte le responsabilità dell’accaduto, anche se venne perdonato dal padrone che tornò in sala con faccia ridente pronto a raccontare alle figlie l’accaduto. Anna si mise a ridere così tanto che rischiò si soffocarsi con un cucchiaio di latte appena tiepido. Maria invece saltò giù dalla sedia e, sul pavimento, cominciò a ridere così tanto che le faceva male la pancia.
Finita colazione, Anna decise di fare un giro a piedi per il paese. La gente al suo passaggio si incantava a guardarla e le bambine gli offrivano dei fiori freschi di campo. La ragazza andò dal panettiere a comprare del buon pane fresco ancora caldo e nel negozio della sua sarta di fiducia che aveva da poco finito di crearle un nuovo vestito sul nero-oro, che avrebbe usato fra una settimana per la messa di ricordo della madre. Il tempo cominciava ad imbrunirsi e nel giro di venti minuti iniziò un terribile temporale. Anna uscì dal negozio spaventata, ma non poteva tornare a casa con quel brutto tempo. Un signore, amico di famiglia e scapolo che passava di là, fece fermare il calesse trainato da un bellissimo cavallo nero.          
- Ma chi si vede! La signorina Anna Giglio! Buon giorno!                                                                         
- Buongiorno anche a lei, signore! Che bel cavallo che avete oggi! Se ci fosse qua mia sorella, lei adora queste bestie!      
- Si chiama Falco! Il mio cavallo sarà entusiasta all’idea di portarvi a casa, signorina! O volete tornarvi a piedi? Vi prego di accettare l’invito! Mi recavo giusto alla vostra residenza, devo parlare con vostro padre!                                                                                                                                            
- Allora, se per voi non è disturbo, accetto volentieri! Mio padre sarà felice di incontrarla, signor Francesco! Per noi è sempre un onore avervi in casa nostra!                                                                  
La ragazza venne aiutata a salire sul calesse. Una frustata e l’animale partì velocemente, sembrava un galoppo, ma era la sua camminata, spiegò il signor Francesco alla giovane. Il signor Francesco aveva ventisei anni, portati bene, con capelli corti ma ricci sul biondo, occhi neri come le tenebre e denti bianchi come la neve. La pelle olivastra era in contrasto con la bocca piccola e chiara e il naso all’insù gli dava un tocco di originalità. Francesco era stato costretto dal padre a seguirlo in guerra, dove il genitore era morto colpito da un austriaco, e lui sopravvisse perché si rannicchiò nella trincea fingendosi malato. Arrivati alla residenza, Anna venne aiutata ancora una volta a scendere e si avviò affiancata dal signore nell’ufficio del padre. Aprì tutte le tende facendo filtrare i raggi del sole che stavano vincendo su quelle pesanti nuvole; - Ora vi lascio soli. Volevo ringraziarla ancora una volta, signor Francesco, per la vostra generosità in cuore! Non tutti si sarebbe fermati aspettando che io salissi con la mia solita lentezza!- La ragazza si inchinò con un grande sorriso e si avviò alla porta di legno scuro, che chiuse con delicatezza. I due uomini erano soli nella stanza, l’uno fissava negli occhi l’altro. L’enorme orologio posto su di una parete scandiva ogni singolo secondo passato in silenzio, quel silenzio orribile. Francesco si stava sistemando un riccio ribelle che gli cadeva sulla fronte piccolina, mentre il padrone di casa stava pensando a cosa dire all’ospite tanto atteso. Senza volerlo cominciò a sudare in maniera vistosa e ordinò ad una serva di portargli un bicchiere d’acqua. Francesco guardò la donna andarsene dalla stanza e tirò fuori la pipa che cominciò a fumare.  Finalmente il conte riuscì a trovare le parole adatte ad iniziare il discorso; - Per me è un onore averti a casa mia! Sei venuti qui per finire il progetto?- il conte mostrò al ragazzo un pacco di fogli scritti a mano, lavoro di ben due anni interi. -Manca solo la tua firma, la mia, e i tuoi soldi!
-Sono pronto a versarle tutti i soldi di cui lei ha bisogno- rispose Francesco mentre spegneva la pipa, aggiungendo inoltre: - Solo a due condizioni. La prima è che deve essere il mio nome a comparire per primo e il suo per secondo nel progetto.                                                                                  
-Va bene. Cosa vuoi ancora?                                                                                                                      
-La mano di vostra figlia! Anna è la donna che io voglio sposare. Così dolce, ma allo stesso tempo decisa, è l’immagine perfetta di femmina. Mio padre sarebbe orgoglioso di me se sposassi una Giglio di cognome, oppure il suo corpo continuerà a ritorcersi nella tomba che la mia povera madre malata di nostalgia e vecchiaia ha comprato per onorare il marito. Cosa vuole di più da me? Io che sono un prode cavaliere di trincea, che ha visto il proprio padre morire tre metri più in là, e che ha ucciso decine di austriaci e tedeschi vari per la patria?                                                             
- Francesco, come dire? Io avuto un matrimonio per amore, e non credo sia giusto frane uno combinato a mia figlia, la mia primogenita! Anna è una ragazza dolce, questo è vero. E tu saresti il suo uomo perfetto, ma credo che deve essere lei a scegliere!                                                                     
-Ma allora io e lei non ci siamo ben capiti, io non le darò niente se non prenderò la mano di sua figlia! E poi, i miei genitori hanno avuto un matrimonio combinato, eppure si amavano!                                
 -Devo dormirci sopra. Domattina recati qui e ti dirò tutto. Dovrò parlarne con Anna. E poi, dopotutto, sarebbe un matrimonio combinato al cinquanta per cento, giusto?                                    
-Esattamente, signore! Ora, mi dispiace, ma devo proprio andare! Mia madre mi aspetta per pranzo, arrivederci e grazie!- Francesco si alzò dalla sedia, prese il suo cappotto color della terra e si avviò all’uscito. Poco dopo scomparve nel corridoio.  La cameriera arrivò finalmente con un bicchiere d’acqua e arrossendo disse: - Il lavabo non andava bene, mi dispiace!- appoggiò il recipiente sul tavolo in marmo e se ne andò chiudendo la porta. Il signore prese un liquore e ne mise un po’ nell’acqua, infine bevve. Non sapeva cosa fare per Anna.Sua figlia sarebbe stata felice di questo? Oppure si sarebbe arrabbiata? Per consolarsi andò nella camera della moglie, dove aveva fatto mettere un inginocchiatoio davanti al ritratto della donna che era vicino a un quadro raffigurante un Santo. Cominciò così a pregare, in quella stanza buia ove penetrava soltanto un raggio di sole.                                                                                                                    
- Rita, amore mio! Perché non ci sei qua te ad aiutarmi? Cosa devo fare per la nostra figlia? Portala all’altare con Francesco o attendere? Lascerò qua questa rosa; se domani sarà appassita, mia figlia sposerà Francesco, se invece è splendente, aspetterà il vero amore.                                                   
L’uomo estrasse una rosa e la mise sulla scrivania della moglie. I suoi occhi guardavano il ritratto, sua moglie gli parlava, attraverso quell’immagine, ma lui non lo percepiva. Uscì dalla stanza per dirigersi nella sala da pranzo dove le figlie stavano mangiando. Quel pasto fu veramente orribile, lui non riusciva a guardare la figlia Anna, vedeva già in lei un destino da donna di casa, ma sarebbe stata felice? La piccola Maria invece continuava a parlare, cosa molto normale. Stava raccontando della passeggiata che avrebbe fatto il pomeriggio con Stella. Sarebbe andata al ruscello e poi nel bosco dietro casa inseguendo per gioco qualche scoiattolo.
Nel pomeriggio la ragazza lesse un libro del padre e poi andò a pregare la madre. Vedendo la rosa immaginò che il padre aveva in mente qualcosa e non fece niente. Chiudendo la porta vide arrivare di corsa sua sorella felice come una pasqua. Una girata di chiavi e via. Maria non poteva entrare nella stanza della madre fino all’età di 12 anni.
E così finì un giorno di vita di Anna e Maria. Le due si recarono nelle loro stanze e s’addormentarono. Anna sognava la madre che la veniva a salutare, mentre Maria sognava cavalcare insieme al suo cavallo. L’unico che non faceva sogni tranquilli era il padre, che si rigirava continuamente nel letto. Cosa avrebbe detto la rosa la mattina seguente?
  
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