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Autore: Laylath    18/03/2014    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 43. Il cerchio spezzato.


 
“Signor Fury! – chiamò Riza entrando in casa con il fiato corto – Signore, la prego!”
Stava per iniziare a correre su per le scale quando Andrew comparve in cima ad esse.
“Riza? Che ci fai già qui?” chiese con sorpresa, andandole incontro.
“Signore – ansimò lei, prendendolo per il braccio – deve subito andare a casa di Heymans! Jean ha detto che sta per fare qualcosa di estremamente stupido, è successo un disastro…e sembra che la signora Laura sia stata picchiata dal marito ed io…io…”
“Riza, vai da Ellie – disse Andrew avendo capito quel che bastava, soprattutto l’ultima frase relativa a Laura – e stai assieme a lei, io torno dopo.”
Uscì di casa ed iniziò a correre verso il paese, pregando di fare in tempo per evitare che venisse consumata l’ennesima tragedia.
Lo dovevo prevedere! Lo dovevo prevedere che avrebbe rotto la sua promessa!
 
“Vuol fare qualcosa di folle, lo so – esclamò Jean, mentre James usciva di corsa con lui dall’azienda dove era andato per alcune consulenze su prodotti da ordinare – quello lo ammazza…”
“Non preoccuparti, Jean, vedrai che arriveremo in tempo!”
Il ragazzo saltò sul carro proprio mentre il padre segnalava al cavallo di partire.
Si aggrappò al braccio di James cercando un disperato conforto per quel senso di tragedia incombente che proprio non lo voleva lasciare: immagini del suo amico in una lotta impari contro quel bestione del padre lo facevano impazzire.
“Avrei dovuto fermarlo in qualche modo – mormorò – avrei dovuto… ma che cazzo di amico sono?”
“Sei il migliore che gli potesse capitare, Jean – disse James incitando il cavallo – su questo non devi avere mai dei dubbi."
“Amico mio… amico mio, scusami se sono rimasto fermo stamattina.”
“Che cosa è successo per scatenare tutto questo?”
“Il peggio del peggio.”
Ma non  ebbe la forza di dire altro.
 
“Apri quella porta, ragazzino.”
La voce calma di Gregor risvegliava in lui un istinto primordiale di pericolo: dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non scappare via. Ma questa volta non poteva, c’era solo una porta a separare sua madre e suo fratello da quell’uomo: non dovevano mai più avere a che fare con lui.
“Scordatelo.” sibilò.
“Sei molto vicino ad oltrepassare il limite, ti avviso.”
Gli occhi castani erano più simili a quelli di un animale che a quelli di un uomo: occhi malati di perverso possesso nei confronti della propria famiglia e che ora si puntavano sull’unica persona che si opponeva a questo suo dominio assoluto.
“E tu quante volte l’hai oltrepassato con mamma?”
Era follia pura sfidarlo in questo modo e per ogni parola che diceva si malediceva, sapendo benissimo che era un passo più vicino ad aizzarlo contro la sua stessa persona. E allora cosa avrebbe fatto? Non aveva nessun mezzo per combatterlo.
Ma non posso permettergli di far loro del male… non più.
“Non sai nemmeno di che parli, Heymans.”
“Invece lo so bene… sei un folle, picchi ed insulti la mamma… la violenti. Ti odio con tutte le mie forze!”
E mentre diceva queste cose si rendeva conto che l’attenzione di Gregor era ormai puntata su di lui, la porta della cucina da dove provenivano i singhiozzi di Henry e di sua madre ormai dimenticata. Così iniziò a spostarsi lateralmente, allontanandosi da quel bersaglio che andava preservato.
“Come ho potuto mettere al mondo uno come te? Ti avrei dovuto affogare come si fa con i bastardi delle cagne, mi sarei liberato di una bella seccatura!”
“Dovevi pensarci due volte prima di toccare la mamma, allora.”
“Quella puttana ed Andrew non sanno proprio stare zitti, eh? La povera ed innocente Laura… l’avessi vista quella notte cambieresti idea su di lei.”
“Finiscila!”
“Lei ed il suo cagnolino… a quello lo ammazzo se lo rivedo gironzolare intorno a mia moglie.”
“Vigliacco, non osavi parlare così quando c’era mio zio, vero?”
Lo sguardo omicida negli occhi di suo padre gli fece capire che aveva appena superato il limite.
Ma in fondo era quello che aveva progettato: non c’era altra soluzione anche se si trattava di sacrificare se stesso
Avanti, colpiscimi! E poi sfido qualunque giudice ad affidarti la custodia mia e di Henry.
Sperava solo che… non facesse troppo male.
 
Come sentì i primi rumori di lotta da oltre la porta, Laura non ce la fece più.
Posò il singhiozzante Henry contro il muro e si precipitò nell’altra stanza, pronta a difendere suo figlio con le unghie e con i denti. Il momento di sfinimento sparì davanti all’esigenza di proteggere Heymans dalla violenza di Gregor.
 
Andrew arrivò in paese con pochissimo fiato ma, nonostante tutto, riuscì a catapultarsi a casa di Laura.
Quasi sfondò la porta nella foga di entrare e si dovette bloccare davanti alla scena tremenda che gli si era presentata davanti.
“Prova ancora a toccare uno di loro e ti ammazzo.” ansimò, andando a frapporsi tra Heymans e l’uomo.
“Figuriamoci se non arrivavi…” commentò Gregor, brandendo l’attizzatoio del camino.
“Laura… Laura, ce la fai ad alzarti?”
La donna annuì lievemente, la guancia livida per la sberla che l’aveva gettata a terra quando aveva aggredito il marito. Tentò di muoversi verso Andrew ed Heymans, ma notò che Gregor non era disposto a lasciarla avvicinare.
“Dov’è Henry?” le chiese Andrew, non spostando lo sguardo dal suo avversario.
“In cucina… Andrew… l’ha colpito più volte con quella cosa… Heymans! Heymans, rispondimi, ti prego…”
Il ragazzo gemette debolmente dall’angolo dove era rannicchiato e serrò gli occhi.
“Laura – scosse il capo Andrew – vai da Henry e stai con lui, forza.”
“Come posso…”
Vai!”
Il tono era stato così urgente che Laura si trovò costretta ad obbedire: singhiozzando indietreggiò fino alla cucina, dove Henry si rifugiò immediatamente tra le sue braccia, rifiutandosi di lasciarla andare, tirando fuori almeno lei da quel disastro.
Come Andrew si fu sincerato che, almeno per il momento, l’amica era al sicuro osò rivolgere lo sguardo verso Heymans: giaceva nell’angolo tra il caminetto e la parete, l’aria veramente sofferente e stordita.
“Heymans – lo chiamò, senza però levare troppo l’attenzione da Gregor – ragazzo, rispondimi, cosa c’è?”
“Levati di mezzo, Andrew Fury, è una questione di disciplina tra me e mio figlio.”
“Tu non lo tocchi, maledetto! – sibilò Andrew, incurante di quell’arma che l’avversario teneva in mano – Hai finito di rovinare la loro vita.”
“No, sei tu che ora la smetterai di intrometterti nella mia!”
Andrew era tutto meno che un uomo d’azione e non era un eroe, per quanto il paese lo considerasse tale. Il colpo arrivò senza che lui avesse la capacità di bloccarlo: un minimo d’istinto gli fece piegare il braccio a protezione del corpo, ma non servì a molto.
Il dolore si riversò sulla spalla sinistra e l’impatto fu tale che cadde in ginocchio.
“No! – si riscosse in qualche modo Heymans – No… non farlo!”
“Maledizione… Heymans, fermo!” lo bloccò Andrew, serrando gli occhi per il dolore.
Doveva continuare a frapporsi tra lui e Gregor.
“Andiamo, dimmelo, quante volte sei andato a letto con quella sgualdrina di mia moglie?”
“Sei completamente folle… e prova a dire ancora che Laura è una sgualdrina e giuro che…”
“Che cosa? Eroe! Sei solo il cagnolino di Henry… ed io i cani li caccio via a calci.”
“Prova a farlo con me, maledetto!” esclamò James, entrando dalla porta aperta.
Gli bastò qualche secondo per valutare la situazione: Andrew ed Heymans a terra, l’attizzatoio nella mano di Gregor… fin troppo chiaro. E mentre Andrew non era certo uno da fare a botte, James lo era stato in gioventù e non aveva perso per niente lo smalto.
Fu questione di un attimo prima che si scagliasse contro Gregor e afferrasse quell’arma impropria.
Rimasero a girare in uno strano e furioso cerchio, in quanto nessuno dei due aveva intenzione di cedere e di forza fisica ne avevano da vendere: anche se Gregor non aveva il fisico allenato di James, aveva una stazza ed una potenza davvero invidiabili.
Andrew indietreggiò ulteriormente, riuscendo a raggiungere il ragazzo.
“Dove ti ha colpito? Dove?”
Heymans, gli occhi dilatati dallo shock, si toccò il fianco sinistro e subito Andrew gli alzò la maglietta per verificare i danni, sibilando una maledizione quando vide i segni lasciati da quell’arnese.
“Adesso basta! Fermi tutti! – la voce di Vincent giunse come una benedizione – Signor Havoc si allontani; quanto a te, Gregor Breda, ti tengo sotto tiro: lascia cadere quell’attizzatoio sul pavimento e non muoverti.”
“Heymans!” chiamò Jean, entrando nella stanza, tallonato da Vato.
“Fermi, voi due – la voce di Vincent non ammetteva repliche – dietro di me, chiaro?”
“Sì, papà.” mormorò Vato, prendendo Jean per il braccio e obbligandolo ad indietreggiare.
Proprio in quel momento entrarono altri due poliziotti.
“Ragazzi, ammanettate quell’uomo – ordinò Vincent, senza abbassare la pistola – ci sono diverse accuse di cui dovrà rispondere.”
 
“Accidenti a te, ingegnere – sospirò James, con una pacca sulla spalla sana di Andrew – possibile che ogni volta devo venire io a rimetterti in piedi.”
“Le devo sempre dei ringraziamenti, signor Havoc.”
“Lascia stare, chiamami James: se devo continuare a raccoglierti tanto vale che ci diamo del tu.”
“Tanto vale – ammise Andrew, provando a fare dei movimenti rotatori con il braccio e scoprendo che, nonostante il dolore ci riusciva senza troppi problemi – E’ finita, maledetto lui: quindici anni di incubi finalmente conclusi. Bastardo…”
Stavano entrambi nell’ufficio di Vincent: ovviamente in quanto coinvolti in quell’arresto dovevano dare la loro testimonianza. La porta si aprì ed il capitano fece il suo ingresso con Laura.
“Andrew!” esclamò la donna, correndo verso di lui.
“Amica mia – sospirò abbracciandola con tutte le sue forze – è finita… finita! Oh, Laura, Laura! Ma perché non me l’hai detto prima che stava arrivando a questo? Sei una piccola stupida…”
“Mi dispiace – pianse lei – ti giuro… ho cercato in tutti i modi, ma non ce l’ho fatta. Non sono riuscita a difendere i miei figli.”
“Non dire questo: li hai difesi più di quanto potessi fare. Come stanno?”
“Sono molto scossi – disse Vincent – adesso si sta occupando mia moglie di loro e le ferite di Heymans non sono gravi per fortuna: il vostro intervento ha impedito che quella bestia infierisse troppo su di lui.”
“E tu? – Andrew prese il mento di Laura e le controllò la guancia – Guarda che ti ha fatto quel maledetto.”
“Va tutto bene, tranquillo: non è niente in confronto a quello che ha fatto ad Heymans. Oh, Andrew, come posso chiederti scusa? Con Kain in quelle condizioni sei venuto da me e…”
“Sssh, zitta! Non dire più una parola su di questo, va bene?”
“La cosa migliore da fare è stendere un verbale di quanto è successo – li riscosse Vincent andando alla scrivania – Heymans ed Henry sono minorenni e dunque le loro testimonianze vanno sentite da parte e comunque avranno un diverso peso: le faremo con calma quando saranno più tranquilli entrambi.”
Laura si sedette tra James ed Andrew e bloccò la mano di Vincent che aveva iniziato a scrivere la data nel foglio bianco.
“Voglio separarmi da lui – disse con voce sommessa – non deve più toccare me e i ragazzi per nessuna ragione al mondo. Mi dica che si può fare.”
Vincent annuì.
“Ci sono tutti i motivi che vogliamo per bandirlo dal paese e non avrà alcun diritto né su di lei né sui bambini, glielo posso garantire. Provvederò io personalmente a caricarlo sul primo treno e mandarlo via da questo posto e da voi… e lo farò con enorme piacere.”
 
“Tieni, piccolo – disse Rosie con voce gentile, offrendo una tazza di camomilla ad Henry – cerca di riposare adesso, va tutto bene.”
Il bambino con apatia iniziò a sorseggiare quella tisana: le mani gli tremavano così tanto che la donna dovette aiutarlo. Non aveva detto una parola da quando sua madre l’aveva preso in braccio e portato via da casa: aveva sentito tutto, ovviamente, ma aveva tenuto gli occhi serrati per evitare almeno in parte l’orrore.
“Ehi, fratellino – sospirò Heymans, seduto accanto a lui – coraggio, è finita coraggio.”
“Forse conviene che ti sdrai, sei così pallido – mormorò Rosie, prendendolo in braccio – Vato, lo porto in camera tua, va bene?”
“Certo, mamma.”
Come la donna andò via con Henry, Jean si staccò dalla parete dove stava poggiato da quando erano arrivati e si avvicinò al suo miglior amico.
“Sei un’emerita testa di cazzo!” esclamò dandogli una sberla sul collo.
“Lo so.” ammise Heymans.
“Maledizione! Se io, Riza e Vato non andavamo a chiamare i grandi quello ti ammazzava!”
“Lo so…”
“Non fare mai più stronzate simili! Mai più!”
“Tranquillo e… e scusami tanto.” rispose ancora il rosso con troppa calma.
“Non c’è nemmeno gusto a stare arrabbiati se sei in queste condizioni – sospirò Jean, con le lacrime agli occhi, sedendosi accanto a lui – sei veramente un’idiota anche in questo!”
“Lo so.” annuì ancora Heymans, posando la testa sulla sua spalla.
Vato si sedette dall’altra parte e rimasero così, in attesa di sapere cosa sarebbe successo.
“Vato… grazie per essere andato a chiamare tuo padre.”
“Figurati, Heymans.”
 
C’era un’estrema freddezza nel modo in cui Heymans rendeva la sua testimonianza.
Andrew se ne accorse subito e gli fece veramente male: quei particolari, quelle parole che avrebbero dovuto fargli tremare la voce, uscivano dalla sua bocca come se stesse semplicemente ripetendo una lezione studiata bene.
Era quasi surreale e anche Laura e Vincent, che stavano in quell’ufficio ne erano turbati.
Il ragazzo aveva insistito per testimoniare nemmeno due ore dopo l’accaduto, nonostante le insistenze di Laura di riposare e riprendersi dallo shock.
“Tesoro…” mormorò la donna, quando ebbe finito.
“Va tutto bene, mamma – mormorò lui – devo dire altro, signore?”
“No – scosse il capo Vincent – a posto così. Per Henry direi di aspettare e…”
“E’ stato Henry.” aggiunse all’improvviso Heymans.
“Cosa?”
Il ragazzo volse lo sguardo verso Andrew.
“E’ stato lui a lanciare la penna di Kain dentro la miniera: giuro che appena si riprende le chiederà scusa, a lei e a sua moglie… e soprattutto a Kain. Ma, per favore non ci deve essere alcuna punizione per lui.”
“Cielo – sospirò Andrew, mettendosi la mano sulla fronte e chiudendo gli occhi di fronte a quella rivelazione – ma perché… perché?”
“Perché nostro padre aveva iniziato a dire che era figlio suo, signore – confessò Heymans – e a lui sembrava che la nostra famiglia stesse andando in frantumi per colpa sua… mi dispiace, l’abbiamo tenuto all’oscuro di tante cose e così lui sentiva solo la campana di mio padre. Stava male, vedeva tutto questo disagio e questa tensione e non riusciva ad uscirne e quella penna… ci ha visto tutti i suoi problemi e voleva… voleva solo buttarli via.”
“Te l’ha detto lui?” mormorò Laura, incredula.
“Sì, ma ti giuro, mamma, è colpa mia che non mi sono mai preso la briga di dirgli qualcosa.”
“Andrew – disse Vincent, volgendosi verso l’amico che ancora scuoteva il capo – spetta a te e tua moglie decidere se sporgere qualche denuncia…”
“Lascia stare, ha undici anni, proprio come Kain, e considerato quello che è successo… Basta, vi prego, adesso voglio solo che mio figlio guarisca.”
“Ti capisco, amico mio, bene… venga signora, accompagno lei ed Heymans a casa mia: faremo visitare il bambino dal medico, considerato il trauma che ha subito.”
“Grazie, capitano… Andrew, io per l’incidente…”
“Vai da lui, Laura, da brava. Heymans, tu resta qui… con te voglio parlare da solo.”
A quelle parole, il ragazzo che si era alzato in piedi annuì con lieve timore, come se avesse in parte intuito il cambiamento d’atteggiamento dell’uomo. Come la porta si chiuse dietro Vincent e Laura, si portò davanti a lui.
Andrew trasse un profondo sospiro, tralasciando momentaneamente quanto gli era stato appena rivelato e la sua espressione si indurì.
Lo schiaffo che arrivò sulla guancia destra di Heymans e fu doloroso e rovente.
“Non fare mai più, e ripeto, mai più delle follie simili! – lo sgridò, prendendolo per le spalle e scuotendolo – Sei stato un irresponsabile bello e buono! Dovevi venire a chiamarmi, come mi avevi promesso! E’ andato tutto bene, grazie al cielo, ma non ti rendi conto di quanto hai rischiato, stupido bambino immaturo?”
“Ma io…”
“Non ci sono ma che tengano, Heymans: sei stato un folle! Hai messo in pericolo la tua vita e quella di tua madre e di tuo fratello: hai visto quanto poco ci ha impiegato quel maledetto a diventare violento?”
“Come potevo stare fermo dopo quello che ha fatto a mia madre!” protestò lui, iniziando ad assumere un tono di voce più partecipe, uscendo da quella strana e gelida forma di apatia.
“Nessuno ti ha detto di stare fermo, ma dovevi chiamare me…o Vincent, o James… un dannato adulto! Ringrazia il cielo che ci sono stati Jean, Riza e Vato!”
E arrivò anche lo schiaffo alla guancia sinistra.
“Mi dispiace – mormorò lui, portandosi la mano alla nuova parte lesa – mi… mi dispiace…”
“Secondo te che cosa avrei fatto se non fossi arrivato in tempo? – sussurrò Andrew, chinandosi per posare la fronte sulla sua – Credi che me lo sarei mai perdonato? Come credi che mi sia sentito quando sono entrato e ti ho visto in quelle condizioni? Quando ti ho alzato la maglietta e ho visto quei segni…”
Fu come se quelle parole richiamassero il dolore e la paura che aveva tenuto dentro per quei tremendi minuti in cui si era imposto di reggere la situazione che in parte aveva creato lui stesso.
La consapevolezza di aver sfidato quella bestia che una volta chiamava padre… la paura disperata per quella violenza a cui non si era saputo sottrarre… la vista di quel colpo a sua madre, il dolore fisico
Fu un grido di estrema sofferenza quello che gli uscì, mentre le lacrime iniziavano a scendere sulle guance arrossate per quelle due sberle.
“Maledizione, Heymans – sussurrò Andrew, abbracciandolo e accarezzandogli i capelli – sapevo che avresti spezzato il cerchio, ma non che lo facessi in maniera così stupida… va tutto bene adesso, da bravo. Ti sei spaventato molto, vero?”
“Sì – singhiozzò lui – credevo… credevo che mi ammazzasse…”
“Non ti toccherà più, tranquillo: ci sono io con te. Queste lacrime vanno più che bene… coraggio. Sfoga tutto adesso: non devi più tenerti le cose dentro, almeno questo promettimelo.”
Ed Heymans lo promise con tutto se stesso.
 
Quasi tutti i ragazzi erano usciti da scuola quando Roy ed Elisa si incontrarono al portone dell’edificio.
“Nessuno di loro è tornato, vero?” chiese lei, con aria preoccupata.
“No – ammise con aria seccata, non avendo intenzione di giustificare o perdonare i due fratelli Breda per quanto era successo – nessuno di loro.”
“Iniziamo ad avviarci? A questo punto dubito che tornino.”
“Va bene.”
Proprio all’uscita del cortile videro Janet che stava seduta contro il muro con aria preoccupata. Si guardava intorno, notando come ormai non ci fossero che poche persone e iniziando a capire di essere sola. Quando intravide i due ragazzi grandi corse verso di loro con sollievo.
“Elisa, dov’è il mio fratellone? Ed Heymans?”
A quel nome il viso di Roy si indurì ed Elisa lo vide serrare le labbra per ingoiare una risposta rovente che non era il caso di dare davanti alla bambina.
“Sono usciti prima, Janet – spiegò, prendendola per mano – senti, se vuoi ti riaccompagno a casa io.”
“Oh, davvero? – mormorò lei – Però non so se… Ah, ma quello è il mio papà! Papà!”
E corse verso James che veniva dal paese: lui la prese immediatamente in braccio, baciandole la guancia e stringendola a sé. Immediatamente anche Elisa si accostò a lui, seguita di malagrazia da Roy.
“Signor Havoc…”
“Venite, ragazzi, vi accompagno in paese.”
“E Jean ed Heymans? Elisa mi diceva che sono andati via prima.”
“Tuo fratello è con me, torniamo a casa tutti e tre assieme con il carro, piccola mia.”
“Ed Heymans?”
“Lui… lui è a casa, tesoro. Dai, adesso racconta a papà cosa hai fatto a scuola.”
Ma la vocina allegra della bambina strideva completamente con la tensione che c’era nell’aria: non ci voleva molto per capire che era successo qualcosa di brutto.
 
“Allora?” chiese Andrew, come Laura uscì dal dottore con Henry addormentato tra le braccia.
“Crollo nervoso – sospirò lei – gli ha dato dei calmanti: per i prossimi tempi deve stare tranquillo e assorbire bene il colpo. Non… non ha detto una parola da quando l’abbiamo portato via da casa.”
“Mi dispiace – mormorò l’uomo, accarezzando i capelli rossi del bambino: vedendo l’espressione così sofferente non riuscì ad avercela con lui per l’incidente a Kain. Henry era una vittima della follia di Gregor, quello con meno difese contro la tragedia che aveva colpito la sua famiglia – vedrai che piano piano si riprenderà e capirà che è tutto finito.”
“Speriamo… e tu, Heymans, va tutto bene?”
“Sì – annuì lui, sbattendo ancora lievemente gli occhi per le lacrime versate in precedenza – va tutto bene mamma, tranquilla. Signore, adesso lei dovrebbe tornare a casa: sua moglie sarà in pensiero.”
“Posso lasciarvi? – chiese Andrew mettendo una mano sulla guancia livida di Laura – Ce la fate a tornare in quella casa?”
“Sì – annuì lei con gli occhi grigi stanchi ma determinati – è casa nostra del resto e ora è libera dalla presenza di Gregor. Andrew, per quello che ha fatto Henry… io non so come chiederti scusa: mi sembra così inverosimile. I nostri figli… possibile che tutto questo li abbia travolti in un modo così orribile?”
“Non pensarci, Laura… è tutta colpa di quell’uomo e della prigione in cui vi teneva. Dai, adesso andate, ma per qualunque cosa chiedete al capitano Falman o venite da me, sono stato chiaro?”
“Certamente.”
A quella promessa Andrew sospirò e si diresse verso l’uscita del paese, sperando di trovare le parole giuste per spiegare ad Ellie quanto era successo senza preoccuparla troppo. Mentre stava per giungere al limite dell’abitato vide che James stava arrivando con la figlioletta in braccio e Roy ed Elisa dietro di lui.
“Io torno a casa – disse sommessamente, dando una lieve arruffata alla testolina di Janet – per il resto si deciderà domani. Grazie ancora per tutto, James.”
“Grazie a te per quello che hai fatto per il ragazzo, Andrew. Spero che il tuo piccolo guarisca presto.”
Annuendo l’ingegnere proseguì per la sua strada: Roy stava per fermarlo e dirgli qualcosa, ma Elisa gli mise una mano sul braccio. Non era il momento buono, assolutamente.
 
“Mamma, tu inizia ad andare avanti – disse Heymans, vedendo Jean che aspettava vicino al carro – arrivo tra dieci minuti.”
Si diresse verso l’amico e senza lasciargli il tempo di dire qualcosa lo abbracciò con tutte le sue forze.
Jean si irrigidì leggermente a quella stretta, ma poi ricambiò con la medesima intensità.
“Grazie… grazie – sussurrò il rosso, finalmente nelle condizioni mentali giuste per rendersi conto di quanto doveva a Jean – sei il miglior amico che potessi mai desiderare.”
“Al diavolo, Heymans, dopo tutto quello che fai per me, questo è il minimo… ce lo siamo promessi del resto: quando uno avrà bisogno, l’altro ci sarà sempre. Allora, che hanno deciso?”
“Adesso lui è in prigione – ammise, staccandosi da quella stretta e fissandolo con gli occhi grigi lievemente cupi – il capitano Falman dice che entro domani farà il decreto di espulsione dal paese e mamma si separerà da lui.”
“E tu ed Henry?”
“Con quello che è successo non ci dovrebbero essere molti problemi che mamma ottenga la nostra custodia. Lui non dovrà vederci mai più. Cacchio… non mi sembra vero che sia finita.”
“Ehi – Jean gli mise entrambe le mani sulle spalle – sì che è finita. Quello non vi tocca più, capisci? Andrà tutto bene d’ora in avanti.”
“Senti, per i prossimi giorni non vengo a scuola. Mamma ed Henry hanno bisogno di me ed il medico ha detto che lui deve stare ad assoluto riposo per parecchio tempo… mi dispiace, per quello che ha fatto a Kain, ma ti giuro… per una volta riesco a giustificarlo… non ce l’aveva con lui, non era sua intenzione che si facesse male.”
“Se lo giustifichi allora ci sono delle spiegazioni più che valide – ammise Jean – non mi è mai stato simpatico, ma capisco che le cose a casa vostra stavano andando davvero male.”
“Ho chiesto scusa in tutti i modi al padre di Kain… e appena posso andrò anche dalla signora e da lui per…”
“Per dire quanto ti dispiace? Non ti permetterò di avvicinarti a loro!”
La voce di Roy giunse come un colpo di frusta, spezzando quella conversazione.
I due si girarono e lo videro a pochi metri da loro che fissava Heymans con estremo disgusto. Elisa accanto a lui cercò di fermarlo, ma la bloccò con un secco gesto del braccio.
“Ti ho detto di finirla con questa storia.” Jean si fece avanti, frapponendosi tra Heymans e Roy.
“Perché continui a giustificarlo? Proprio non ti capisco! – continuò il moro – Eppure hai visto anche tu che è chiaramente colpevole… e lui si ostina a difenderlo. E che cosa mai sarà successo per far intervenire il padre di Kain? Come se non avesse altro a cui pensare… chi diavolo credi di essere?”
“Per favore, Roy, smettila…” mormorò Heymans.
“No, dai! Pretendo di saperlo a questo punto: che ha di speciale la tua famiglia perché abbia la priorità su tutto? – Roy non si controllava più e continuava ad infierire, non rendendosi conto di andare su un terreno davvero delicato – Se tuo padre è un bastardo risolviteli da solo i problemi! Non coinvolgere chi per colpa di quel maledetto di tuo fratello sta soffrendo! Stai lì con l’aria di chi ha appena vissuto chissà che cosa, ma scommetto che non era che un’enorme cazzata!”
“Ora esageri!” disse Jean, ma qualsiasi suo movimento fu preceduto da Heymans.
Il rosso si portò davanti a Roy e si alzò la maglietta sul fianco sinistro, mostrando i solchi lividi sul fianco.
“Ti piacciono, grande eroe? – sibilò – Me li ha fatti mio padre con l’attizzatoio del camino nemmeno due ore fa; vuoi sapere altro?”
“Io…” Roy esitò vedendo quei segni che sicuramente dovevano fare un gran male.
“No, aspetta, continuiamo che è davvero divertente: ti voglio raccontare di quanto è felice la mia famiglia! Di quanto non sia importante quello che è appena successo! – afferrò il braccio di Roy con rabbia – Mio padre è appena stato arrestato perché ha picchiato sia me che mia madre… se vuoi saperlo lei ha la guancia livida, il segno le durerà per giorni, e come è caduta ha evitato per un pelo di sbattere sullo spigolo del tavolo, ammazzandosi. Fermo! Non ti dimenare… non ti ho ancora detto di come è felice nell’essere stata presa con la forza da lui! E per Kain mi dispiace… eccome se mi dispiace, ma le scuse le faccio a chi ritengo giusto io, mica a te che non sai un emerito cazzo di quanto è successo!”
“Heymans, controllati.” Jean si accostò a lui e gli passò una mano attorno alle spalle.
“Lasciami, Jean! – lo scostò con rabbia – Sai, Roy, venti minuti fa ho finito di dare la mia dannata testimonianza a quanto è successo, perché mio padre verrà bandito dal paese e un’ordinanza gli impedirà di rivedere me, mia madre e mio fratello… dovrebbe testimoniare anche Henry, ma non potrà per parecchio tempo, e sai perché? Perché non riesce più a parlare per tutta la violenza che ha visto a casa, con mio padre che cambiava atteggiamento con lui come gli pareva e piaceva… gli ha persino messo in testa di essere un bastardo, che bello, vero? E’ proprio piacevole sentire il tuo caro padre che nella notte chiama tua madre puttana, la picchia e la violenta e dice che tu sei figlio di Andrew Fury, eh? Una persona che per lui è praticamente uno sconosciuto!”
“Non sapevo… calmati…” Roy dilatò gli occhi davanti a quella furia.
Ma Heymans aveva superato lo stato dell’apatia e dello sfogo: adesso restava solo la rabbia.
“Dai fastidio a mio fratello e te la faccio pagare, Roy Mustang: lui ha già dato abbastanza in tutta questa cazzo di storia.”
Lasciò la presa sul suo braccio con disgusto e gli voltò le spalle.
“Scusa, Elisa, se hai assistito a questa scena… il tuo fidanzato è stato un grande, ha chiamato suo padre e lui ha messo la parola fine a questa storia.”
“Heymans, mi dispiace tanto, sul serio.”
“Sì – annuì lui, svuotato, posandosi contro il carro – ti credo, amica mia, a te credo senza problemi.”
“Sta arrivando mio padre con Janet.” avviso Jean.
“Allora io vado, non voglio che tua sorella mi veda così: ci vediamo presto amico mio, ancora grazie di tutto, sul serio… a te e a tuo padre. Appena posso passerò da voi, promesso.”
E senza attendere risposta si allontanò dal carro, andando verso casa sua.
E prima che James e Janet fossero a portata d’orecchio, Jean  si avvicinò a Roy e disse:
“Tu ed io abbiamo chiuso… hai fatto l’unica cosa che non dovevi fare con me: toccare il mio miglior amico.”
E salì sul carro non lasciando il tempo a Roy di reagire.
 
“Allora, adesso fai il bravo ed apri la bocca…”
Kain eseguì l’ordine e masticò il boccone che Riza gli aveva appena dato.
Ellie li osservò con estrema tenerezza: la ragazzina stava seduta nel letto e teneva con cura in mano un piatto di mele cotte che faceva mangiare a Kain. Con il braccio destro ingessato e la debolezza erano costretti ad imboccarlo, ma sembrava che lui non fosse troppo dispiaciuto di quel trattamento. Bastava vedere lo stanco sorriso che faceva a Riza.
“Mi raccomando, pulcino, almeno metà porzione – disse – lo so che mangiare è difficile, ma devi riprendere le forze. Riza, ricorda che cosa ti ho detto: bocconi piccoli e aspetta che mastichi bene.”
“Certo signora.”
“Allora io vado in cucina a terminare di mangiare, va bene?”
La ragazzina annuì e così lei uscì dalla stanza per andare in cucina a terminare il pasto.
Stava per sedersi al tavolo quando con un sospiro si diresse invece in cortile, controllando se Andrew si decidesse a tornare: era molto preoccupata per le parole confuse che aveva detto Riza, ma aveva capito che la situazione per Laura era giunta ad un punto critico.
Proprio in quel momento vide il marito comparire dal sentiero e con un gridolino di gioia gli corse incontro.
“Andrew! – sospirò, abbracciandolo – Amore mio, ero così preoccupata…”
“Oh, Ellie – la strinse lui, accorgendosi di avere estremo bisogno di quel conforto emotivo – è finita, finalmente. Quella bestia non toccherà più Laura ed i ragazzi…”
“Cosa? – sgranò gli occhi lei – ma che è successo? E loro come stanno?”
“E’ una storia un po’ lunga e anche brutta… e in qualche modo riguarda anche Kain. Vieni, sediamoci e parliamone, ma rimani stretta a me, amore mio. Tu non sai di quanto abbia bisogno di te e di farti sentire amata.”
 
Vincent tornò a casa e si sedette nel divano con aria sfinita: quella storia l’aveva turbato più del previsto e sentiva un leggero senso di nausea.
“Come sta il bambino?” chiese Rosie accostandosi a lui.
“Non bene, il medico ha parlato di crollo nervoso: poveraccio era ridotto malissimo.”
“Speriamo che si riprenda.”
“Ce la dovrebbe fare, adesso la situazione non può che migliorare.”
“Ti va di mangiare qualcosa, caro? Sei così provato…”
“No – scosse il capo lui prendendola gentilmente per il polso e facendola sedere sulle sue ginocchia – ho solo bisogno di averti qui con me.”
“Vincent – mormorò la donna, mentre il marito le baciava la guancia con estrema tenerezza – che succede?”
“Ti amo, Rosie, sei tutta la mia vita: mi sento l’uomo più fortunato del mondo a svegliarmi con te abbracciata, mi hai regalato un figlio meraviglioso… io non so cosa farei senza di te.”
“Ti amo, Vincent – rispose lei, baciandogli la fronte – come il primo giorno.”
“L’idea che un marito possa fare una cosa del genere alla propria moglie – scosse il capo ripensando alla guancia di Laura e a tutto il resto. La sua voce divenne un sussurro – Rosie, come si può…”
“Non lo so – ammise lei, cercando le sue labbra – ma so che tu sei un marito e padre stupendo e mi fai sentire amata e protetta come non mai, sempre.”
Il rumore della porta di camera di Vato che si apriva fece loro sciogliere quella posizione, non prima di essersi scambiati un sorriso complice.
Mentre Rosie spariva in cucina, Vato si sedette accanto a Vincent e senza dire niente lo abbracciò.
“Ehi, figliolo – mormorò il capitano stringendolo – molto spaventato? Quella brutta scena te l’avrei voluta evitare.”
“Dovevo fermare Jean che era entrato di prepotenza. Papà… tu non farai mai del male a me e alla mamma, vero?”
“Ma che dici? Certo che non lo farò mai… che c’è?”
“Niente, è che volevo solo sentirtelo dire… papà, tu sei il mio eroe.”
“Sono tuo padre, questo mi basta e avanza.”
“Non metterà più piede in questo posto, vero?”
“No – scosse il capo Vincent – non tornerà più, tranquillo. Entro due giorni lo spedisco via con il primo treno: non lo posso tenere in cella, ma preferisco allontanarlo piuttosto che saperlo vicino a quella povera donna e ai ragazzi.”
 
E così accadde due giorni dopo, in un caldo pomeriggio di inizio maggio.
Alla stazione c’erano Vincent e due poliziotti che facevano da scorta a Gregor.
“Ecco il treno – annunciò il capitano – prendilo e sparisci da questo posto: c’è un decreto di espulsione contro di te, prova a violarlo e non ti andrà così bene.”
“Crede davvero che voglia tornare? Sono stato prigioniero per troppo tempo in questo paese maledetto.” Gregor sbuffò, massaggiandosi i polsi che poco prima erano ammanettati.
“Devi solo ringraziare che indosso la divisa e ho un’etica da rispettare, altrimenti te la farei pagare cara per tutto quello che hai fatto passare a tua moglie e ai tuoi figli.”
“Quella cagna…”
“No, sei tu il cane, credimi. Pussa via… proprio come un cane, maledetto.”
Non disse altro, si limitò a guardarlo con disgusto mentre saliva sul treno, con la sacca sulle spalle.
Fu solo quando l’ultimo vagone sparì in lontananza che iniziò a respirare con più facilità.
 
Heymans era su una piccola altura, poco lontano dalla ferrovia.
I suoi occhi grigi fissarono quel treno fermarsi per pochi minuti e poi ripartire, portando via per sempre  suo padre.
Non versò una lacrima, non provò rabbia… solo una strana forma di vuoto sollievo.
“Hai idea di dove andrà?” chiese Jean accanto a lui.
“No – scosse il capo – e non mi interessa.”
Non si dissero altro, limitandosi a guardare quel treno che si allontanava sempre di più fino a sparire.
La mano destra del rosso stringeva un braccialetto di metallo con una piastrina di riconoscimento di un soldato morto quasi quindici anni fa nel fronte contro Aerugo.
Alla fine il cerchio era stato spezzato.
  
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