Guardo un mio compagno che, in preda alla disperazione, apre a casaccio il libro e cerca disperatamente di imparare formule e definizioni troppo complicate per lui. Suda freddo, perché sa che se avesse studiato a casa non sarebbe arrivato a questo punto. Però poi dopo si rilassa, e sfoggia un sorriso incerto, dal quale si capisce quello che sta pensando: "In fondo non sono l'unico, ci sono anche molti altri. Potrebbe chiamare un altro, e io avrei tempo per ripassare, e potrei anche strappargli una sufficienza."
L'insegnante fa scorrere l'indice ossuto sul registro dei nomi, chiedendosi chi saranno gli sfortunati che avranno l'insufficienza oggi. Dopo un po' si decide, e pronuncia il nome ad alta voce, con un piccolo guizzo di piacere, perché sa bene che il prescelto non studia praticamente mai, e che quindi è destinato ad avere un brutto voto.
Il sorriso del mio compagno muore sulle sue labbra, e prende a fissare il vuoto in preda allo sconforto, ben sapendo come sarebbe andata a finire. Le sue erano state tutte speranze vane. In un secondo capisce che il gioco è finito, che il treno è al capolinea, che il dado è tratto.
Si alza, e con un'andatura ondeggiante si avvicina alla cattedra, con uno sguardo spento che ricorda un condannato che s'incammina al patibolo.