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Autore: Stephanie86    20/03/2014    18 recensioni
La mia prima storia su HG.
La One Shot è incentrata su Prim. Sono i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue sensazioni prima, durante la mietitura e dopo che Katniss si è offerta volontaria per salvarla.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Primrose Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TOCCAVA A ME

 

 

 

 

 

 

Il giorno della mietitura.

Il pensiero batte. Batte nella mia povera testa come un maglio.

Il giorno della mietitura.

Ci sto pensando da ieri sera. È la prima volta per me e le possibilità che io venga estratta sono minime, ma non importa. È la mia prima mietitura e sento che sarà anche l’ultima.

Mi chiamo Primrose Everdeen. Per tutti sono solo Prim.

Primula. Ho il nome di un bel fiore e Katniss, qualche volta, mi ha detto che forse il mio nome mi avrebbe portato fortuna.

So che non è così. Non oggi, almeno.

Non ho quasi chiuso occhio. Non ho fatto altro che rigirarmi nel letto per ore, senza trovare pace e, quando sono riuscita ad addormentarmi, ho sognato. Un incubo.

Ero in mezzo a tanti altri ragazzi della mia stessa età o poco più grandi di me. Effie Trinket, la spumeggiante e variopinta accompagnatrice del Distretto 12, aveva appena infilato una mano nella boccia di vetro che contiene numerosi bigliettini. Ce ne sono sempre due, una per i maschi e una per le femmine.

- Prima le signore! – aveva esclamato Effie, sorridendo in quel suo modo smagliante, accecante persino. Quasi si stesse divertendo un mondo.

Poi la mano aveva estratto un semplice biglietto.

- Primrose Everdeen.

E tutti si erano voltati a guardarmi. E le facce... Erano facce terribili. Facce ghignanti. Facce distorte. Facce pallide, con occhi accesi come tizzoni ardenti. Qualche ragazzo brandiva un’enorme falce.

Quando mi sono destata ero madida di sudore, tremante e con la bocca della stomaco stretta in una morsa. Non avevo svegliato nessuno. Katniss dormiva ancora, vicino a me.

Allora ho fatto ciò che faccio sempre quando mi capitano i brutti sogni: mi sono alzata e mi sono sdraiata vicino alla mamma, rannicchiandomi per sentirmi più al sicuro. Ranuncolo, il nostro gatto, ha sollevato le palpebre, guardandomi con i suoi occhi “color puré andato a male”, come dice Katniss. Gli ho sorriso.

Forse non mi rivedrai più Ranuncolo. Spero si occupino di te, quando non ci sarò più. Spero che se ne occupi Katniss anche se ti odia e anche se tu non ti fidi di lei.

Il pensiero mi ha terrorizzata. Ed ero convinta che non sarei riuscita a dormire. Non con quei pensieri che galleggiavano nella testa, cattivi presagi che non potevo tenere a bada.

Invece mi sono appisolata e, al mio risveglio, Katniss era già uscita per andare a caccia nei boschi, con Gale. Le ho lasciato un pezzo di formaggio di capra che le piace tanto.

Ammiro mia sorella. Lei non ha paura. Non ha paura che la scoprano mentre caccia usando il suo arco. È coraggiosa e intraprendente. Nell’Arena avrebbe certamente qualche possibilità in più di me. Ma scaccio subito il pensiero, perché Katniss non sarà scelta. Sì, è vero, mia sorella ha ben venti nomine; le ha dovute accettare in cambio delle tessere per me e per la mamma, ognuna delle quali vale una fornitura annuale di cereali e olio per persona. Dopo la morte di papà le cose si sono messe male per noi e, dato che la mamma non reagiva, Katniss ha dovuto prendersi cura di entrambe. Ha dovuto rischiare per entrambe. E lo fa ancora.

Ma tanto oggi sarò scelta. Perché sì, perché me lo sento. Anche papà ogni tanto si sentiva le cose e puntualmente accadevano. Me lo ricordo.

Piccola, sii forte. Mi sembra quasi di sentirla, la voce di mio padre.

Piccola, sii forte.

Io non sono forte. Non sono come Katniss.

Piccola, sii forte. Fallo per me.

Quando viene il momento di prepararsi la mamma mi mostra il primo vestito da mietitura. Una camicetta tutta pizzi e una gonna. Mi tremano le mani mentre allaccio i bottoni.

- Prim, che cos’hai? – chiede mia madre.

- Niente. Per chi è quel vestito? – domando stupidamente.

- Per Katniss.

Sul letto c’è un vestito azzurro accompagnato da scarpe in tinta.

- Non lo metterà – osservo, provando a controllare il tremito della voce.

- Lo farà, invece. Stai attenta che la camicetta non ti esca dalla gonna.

Pochi istanti dopo, Katniss rientra dalla sua battuta di caccia. La mamma le ha preparato una vasca di acqua calda. Quando vede il vestito, non è sicura di ciò che quello significhi. Glielo leggo negli occhi grigi. Mia sorella ha passato molto tempo a rifiutare gli aiuti della mamma perché era arrabbiata con lei. Un po’ la capisco. Anch’io sono stata arrabbiata.

- Sei sicura? – domanda Katniss.

- Ma certo e vediamo di sistemarti i capelli.

Voglio che tutto questo finisca.

Ma non finirà mai. I giochi ci saranno sempre. Come punizione. I ragazzi continueranno a morire nell’Arena, sotto gli occhi folli di Capitol City.

Piccola, sii forte.

Katniss sta benissimo con quel vestito e i capelli intrecciati alti sulla testa.

- Sei bellissima – dico, sorridendo.

- Non sembro neanche più io. – ribatte. Poi mi abbraccia. Potrebbe essere uno degli ultimi abbracci che condivido con Katniss, per cui la stringo forte, tenendo gli occhi chiusi. Non verrà scelta. Lo so. Non può essere scelta. Noi abbiamo bisogno di Katniss. Ci andrò io nell’Arena.

- Tieni dentro la coda, paperella – esclama mia sorella, risistemandomi la camicia che mi è uscita dalla gonna.

- Quack.

- Quack a te. – Ride. – Dai, su, mangiamo.

In tavola ci sono il latte della mia capra, Lady, e il tozzo di pane ai cereali avuto tramite la tessera. Le fragole sono per cena.

Se ci sarà una cena...

Ho la nausea. Lo stomaco non ha un grande bisogno di cibo, ma mi costringo ad ingurgitare tutto.

“Prim, non verrai scelta. È impossibile. Hai una sola nomina”, mi ha detto Katniss, ieri sera, quando le ho vagamente manifestato le mie preoccupazioni.

“Sì, ma non conta. Potrebbero estrarmi comunque. Non so, è... Me lo sento. Ho paura”.

“Non devi averne. Non ti succederà niente. Sei al sicuro”. Katniss ne era davvero convinta. “Sono io quella che rischia di essere scelta”.

“Non verrai scelta. E nemmeno Gale”.

Gale, di nomine, ne ha più di quaranta.

Piccola, sii forte.

All’una precisa, usciamo tutte insieme, dirigendoci verso la piazza. È un posto bello, ampio, luminoso, circondato da negozi e nei giorni di mercato ha un’aria festosa. Ma oggi mi sembra lugubre, carico di tensione. Ho quasi l’impressione di sentire... l’odore della morte. L’odore della paura. È opprimente. Ho le gambe molli come gelatina e il cuore che batte all’impazzata.

Piccola, sii forte.

I ragazzi che potrebbero essere estratti vengono radunati nelle zone delimitate dalle funi e contrassegnate a seconda dell’età. Io mi ritrovo più indietro rispetto ai ragazzi di diciotto anni o dell’età di mia sorella. Sono circondata da dodicenni, dalle mie compagne di scuola, da persone che conosco solo di vista o che vedo tutti i giorni, proprio lì, in piazza oppure al mercato. E leggo il panico nei loro occhi. I loro visi sono pallidi come cera, gli occhi segnati.

Ho voglia di scappare. Di fuggire lontano. Ma so che mi ucciderebbero oppure mi riacciufferebbero subito, trascinandomi di nuovo al mio posto.

Guardo le due bocce di vetro, sul palco. Il mio nome è un biglietto nella grande boccia destinata alle femmine. Una sola nomina, la prima.

Papà...

Piccola, sii forte. La sua voce è chiarissima, quasi lui fosse lì, vicino a me, a parlarmi in un orecchio.

- È il momento del pentimento ed è il momento del ringraziamento.

Sussulto nell’udire la voce del sindaco del nostro Distretto, Undersee. È un uomo alto e stempiato, con l’aria di chi sta facendo di tutto per ingoiare un boccone molto amaro. So che, tra il pubblico, c’è anche sua figlia, Madge. Sulla pedana, vicino al sindaco, c’è anche Effie Trinket, con i suoi orrendi capelli rosa.

Non ho niente di cui pentirmi, sindaco Undersee. Non ho niente di cui pentirmi e non devo ringraziare nessuno, se non mia sorella che rischia di essere fucilata ogni giorno perché va a caccia nei boschi insieme al suo migliore amico! Non devo ringraziare nessuno se non Katniss che ha procurato le tessere beccandosi qualche nomina in più. Io non devo ringraziare nessuno. Voglio mia sorella. Voglio che venga da me e mi abbracci. Voglio che mi stringa forte perché ho paura. Oh, ho tanta paura! Voglio mio padre. Voglio il mio gatto, il mio Ranuncolo. Non l’ho nemmeno salutato...

Non mi sono resa conto dell’arrivo di Haymitch, uno degli unici due vincitori che il Distretto 12 ha avuto in settantaquattro anni di Hunger Games. È ubriaco. Come sempre. E rischia di far fare una brutta figura a tutto il Distretto. Ma lo capisco. E mi fa pena. Perché non puoi non ridurti in quel modo dopo che hai passato giorni, se non settimane, in un’Arena, a uccidere, a veder morire ragazzi giovanissimi, a tentare in tutti i modi di sopravvivere.

- Felici Hunger Games e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore! – grida Effie Trinket, allegra.

Non capisco niente di ciò che blatera dopo.

Piccola, sii forte.

- Prima le signore! – annuncia Effie, camminando fino ad una delle due bocce di cristallo.

È in quel preciso momento che ho la certezza che la sorte non sarà affatto a mio favore. È in quel preciso momento che realizzo che il mio incubo non era affatto un incubo. È in quel preciso momento che comprendo. Non era solo una sensazione. Non era solo suggestione.

La mano di Effie si tuffa in profondità.

Piccola, sii forte.

Tum. Tum. Tum. Tum. Tum. Tum.

Sento il battito del cuore nella testa. Nelle tempie. Nelle mani. Lo sento dappertutto, come amplificato. E guardo su, guardo il cielo. Guardo il sole per qualche istante.

La mano di Effie estrae una strisciolina di carta.

“Prim, non verrai scelta. È impossibile. Hai solo una nomina…”

Piccola, sii forte.

“Prim, non verrai scelta... Hai solo una nomina...”

È sufficiente. Una è sufficiente.

- Primrose Everdeen.

È tutto uguale. Tutto uguale al mio sogno. All’incubo.

Mi gira la testa. Ma non posso svenire. Non posso. Per nessuna ragione.

Intorno a me brontolii, brusii, sospiri di sollievo. Commenti. Parole.

- Dio, grazie...

- Ha dodici anni, è la sua prima nomina...

- Me la stavo facendo sotto. Meno male che...

- Prim. Prim, non è la figlia di quel minatore morto un po’ di tempo fa nel...

Cosa posso fare, io, nell’Arena? Io che non so nemmeno cosa sia un’arma... Io che non ho mai maneggiato nemmeno l’arco di mia sorella! Non voglio uccidere. Non lo farò. Sarò certamente una delle prime a morire, ma non voglio uccidere.   

I pensieri si affollano nella mia mente. Uno dopo l’altro. Uno dietro l’altro. Uno sopra l’altro.

Mi muovo come un automa verso il palco. Il sudore mi cola lungo la colonna vertebrale. Le orecchie ronzano orribilmente. Il mio cuore è una grancassa nel torace. Le mie gambe non sono più gambe, sono qualcosa di indefinito attaccato al resto del corpo. Tengo i pugni stretti lungo i fianchi. E, dannazione, mi è uscita di nuovo la camicetta dalla gonna.

Piccola, sii forte.

- Prim!

È Katniss. Ne sono sicura. Non mi volto. Non le rispondo. Non voglio vedere il suo viso. Non voglio incrociare i suoi occhi. So già che dopo succederà. Le famiglie hanno la possibilità di salutare i Tributi. Le famiglie...

Mia madre. Katniss. Ranuncolo. Lady, la mia capra.

- Prim! – Di nuovo Katniss. Più forte. Disperata.

La folla mormora. Borbotta.

Sono quasi arrivata ai gradini e sto giusto per salire sul palco...

(non inciampare, non inciampare e stai attenta alla camicetta, non farla uscire di nuovo dalla gonna)

...quando una mano mi afferra. Mi afferra per un braccio e mi trascina indietro.

- Mi offro volontaria! Mi offro volontaria come tributo!

Non può essere vero.

I miei polmoni si svuotano di ogni più piccola traccia di aria. Il corpo di Katniss, improvvisamente, è davanti al mio. Mi fa da scudo. Vedo la sua schiena. Vedo la sua treccia. I suoi bei capelli che la mamma aveva intrecciato con tanta pazienza e tanto amore.

Trambusto. Confusione. Sconcerto. Sul palco, Effie Trinket ha l’aria di chi non ha mai visto una cosa del genere. Il sindaco Undersee ha gli occhi fuori dalle orbite.

- No... – mormoro. La mia voce è bassissima. Nessuno può sentirmi.

Effie dice qualcosa. Blatera.

- A che serve? Lasciate che venga! – replica il sindaco Undersee.

Perdo la testa. Non mi è mai capitato di perdere la testa in quel modo, nemmeno quando è morto papà. Mai.

- No, Katniss! No! Non puoi! – urlo, isterica. Riesco ad afferrarla, a stringerle le braccia magre intorno al corpo. La stringo forte. Forse troppo forte. Ho la testa che pulsa, come avvolta da una nebbia rossa e febbricitante.

No, non mia sorella!

- Prim, lasciami andare. Lasciami andare! – mi grida, in tono duro. È sconvolta, ma non piange.

Io, invece, sì. Io piango a dirotto ormai.

So che stasera, quando mostreranno le repliche delle mietiture, tutti vedranno una ragazzina urlante che si aggrappa alla sorella che si è offerta volontaria. Vedranno una ragazzina isterica, con la camicetta fuori dalla gonna, che sbraita. Forse rideranno. Ma non me ne importa niente. Né delle repliche, né della mia camicetta.

Qualcuno mi prende e mi stacca da Katniss.

- Và su, Catnip.

Vorrei dire a Gale di lasciarmi andare, di lasciarmi andare da mia sorella. Vorrei dirgli di fermarla, di non permetterle di fare questo! Non può, non deve! Tocca a me. Hanno scelto me!

Gale mi porta da mia madre, che mi stringe tra le braccia.

- No... No, lasciami. Devo andare da Katniss.

- No, Prim...

- Lasciami, ti prego!

- Prim, tesoro...

- Tocca a me. Hanno scelto me, mamma...

- Tesoro, basta.

- ...Facciamo tutti un bell’applauso per il nostro nuovo tributo! – grida Effie, entusiasmata, forse anche compiaciuta di avere una volontaria.

Nessuno applaude. Me ne rendo conto dopo un istante. Nessuno batte le mani. Nessuno, nemmeno quelli che certamente hanno le ricevute delle scommesse in mano e che sono considerati al di là della compassione. Nessuno. Mi guardo intorno, frastornata, costernata. No, nessuno applaude. Hanno scelto tutti il silenzio come forma di disapprovazione. Una forma di disapprovazione molto rischiosa, come andare nei boschi a cacciare.

E poi succede qualcos’altro. Qualcosa che nessuno si aspetta. Né io, né tantomeno Katniss, che è in piedi sul palco, accanto ad Effie. Uno dopo l’altro, tutti i componenti del pubblico portano le tre dita di mezzo della mano sinistra alle labbra e le rivolgono verso mia sorella. È un gesto importante. Significa rispetto. Significa gratitudine. Significa ammirazione. Significa...

Significa addio.

Significa addio, Katniss.

- Mamma, ti prego, io... – ricomincio a dire.

- Zitta, Prim.

Non so cosa stia pensando la mamma. Non riesco a leggere la sua espressione.

- Katniss... – mormoro di nuovo.

Toccava a me. Avevano scelto me. Io dovrei essere su quel palco, non mia sorella. Avevo capito che sarebbe toccato a me, perché Katniss ha dovuto offrirsi volontaria?

Oh, perché l’hai fatto? Perché?

Piccola, sii forte.

Sii forte.

Non sono forte. Toccava a me. Effie ha estratto il mio nome. Primrose. Primrose Everdeen. Non Katniss. Primrose.

Tocca a me. Tocca a me.

So di avere la camicetta completamente fuori dalla gonna. Non la sistemo.

 

***

 

 

Angolo autrice:

 

Dico la verità: è la mia prima fic su Hunger Games. Quindi, non so come sia venuta.

 

Sono presenti battute tratte dai primi capitoli del primo volume della trilogia di Suzanne Collins.

   
 
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