Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Manny_chan    24/03/2014    4 recensioni
Il Mondo è cambiato.
Il Paradiso è cambiato.
Sariel stesso è cambiato, tanto che ne ha quasi paura.
Per quello è sulla terra, per cercare un modo per riequilibrare le cose. Ma per farlo dovrà trovare un vecchio nemico e un antico rancore arde nel profondo del suo animo....
Fiction partecipante al contest ''Sesso o amore?'' organizzato sul forum da petite_love e lelle10
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inferno e Paradiso'
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“Dormito bene, Belial?”

Il diavolo trasalì, colto alla sprovvista; si mise a sedere, fermando con una mano il lenzuolo all’altezza dello stomaco. Non che la sua nudità fosse un problema, ma non voleva apparire più vulnerabile di quanto già non fosse.

Sariel stava in fondo alla stanza, appoggiato al muro, le braccia conserte. Doveva essere lì da un pezzo.
Sentiva il suo sguardo addosso, pur non riuscendo a vederlo in viso lo sentiva. Sentiva che lo stava fissando.

Era teso, non sapeva cosa aspettarsi, altre torture?

Probabilmente sarebbe rimasto paralizzato per un bel pezzo se il telefono non si fosse messo a squillare. Nel silenzio della stanza sembrava uno strillo insopportabile, Belial tuttavia non osava muoversi.

Alla fine il telefono tacque, solo per qualche istante, prima di riprendere a suonare.
Sariel sospirò nell’oscurità. “Dovresti rispondere…”, disse.

Sembrava la scena di un film Horror. Lentamente Belial allungò un braccio, senza perdere di vista l’angelo, e rispose.

“Ares! Era ora, che cazzo!”
La voce del suo capo -ex?- gli perforò un timpano, al punto che dovette allontanare la cornetta. “Dovevi essere qui un’ora fa, Cristo! E la stanza, spiegami che cazzo è successo alla stanza! Non pensare di cavartela con quel tuo sorriso ammaliatore stavolta, ti farò un culo che non ti immagini….”

Belial sospirò rumorosamente. “Seh, seh, mi licenzio”, disse, ignorando il resto delle urla e riattaccando; poi sollevò nuovamente la cornetta, appoggiandola di lato. Non voleva altre chiamate.

Quell’uomo inutile…
Ma per lo meno quell’intromissione era riuscita a spezzare la tensione irreale di quel momento.

“Voi angeli bussare mai eh…”, disse, sarcastico. “E per rispondere alla tua domanda sì, divinamente. Ho sognato il nostro primo incontro.” L’angelo, notò con piacere, trasalì appena a quelle parole. “Ti fa ancora un certo effetto pensarci, vero?”
Sariel si mosse, emergendo dall’ombra. “E tu? Non ti fa ancora un certo effetto ripensare a ieri sera?”

Il ghigno di Belial si spense. “Oh oh, bella risposta”, ammise. “Devo aspettarmi un secondo round?”

Sariel lo osservò soffermandosi sull’unico segno di debolezza, probabilmente inconscio, che i bruno stava mostrando. La mano che tratteneva il lenzuolo era stretta ad esso con forza tale da tremare appena. Quello gli fece tornare più forte che mai quel senso di nausea che l’aveva tormentato per tutto il giorno. “No”, rispose. “Sono qui per un altro motivo.”

Belial incrociò il suo sguardo, poi accennò un sorriso sarcastico. “Non è stato così piacevole come ti aspettavi, vero?”, chiese, cogliendo quel’espressione inequivocabile. Ne ebbe la conferma al socchiudersi degli occhi dell’angelo, ci aveva preso. “Che cosa ti aspettavi, sei un angelo, non hai lo stomaco per certe cose…”, lo prese in giro, recuperando la sua sicurezza.
Sariel sospirò seccamente. “Non sono qui per giocare o per perdere tempo a stabilire chi ha più fegato, Belial. Sono qui per un motivo, pensi di riuscire a restare serio per qualche minuto senza essere troppo te stesso?”

“Oh, attenzione, l’angelo si sta alterando…”
Belial sbadigliò, squadrandolo da capo a piedi. Non poté fare a meno di notare che si era cambiato. Probabilmente gli aveva sanguinato troppo addosso. Non portava più una camicia, ma un maglione chiaro ed un paio di jeans, sotto il trench nero. Doveva anche essersi fatto una doccia, perchè quando si era avvicinato gli era arrivato una zaffata di profumo vanigliato.

Il solo pensarlo nudo, sotto la doccia, risvegliò in lui una certa fame che nulla aveva a che fare col cibo.

E anche qualcosa ai piani bassi.

Piegò le ginocchia sotto le lenzuola, giusto per evitare che si notasse troppo, appoggiandovi sopra le braccia. “Ti ascolto”, concesse.

Sariel a quel punto si sedette sul bordo del letto, faccia a faccia. “Il Giardino Celeste, voglio che mi aiuti ad entrarci.”

Belial inarcò un sopracciglio. “Stai scherzando”, disse.
“Mai stato più serio.”

“La mia non era una domanda, era un’affermazione, perché o stai scherzando, oppure hai dimenticato il cervello in paradiso.”

A quel punto Sariel sospirò aspro, appoggiandogli le mani alle spalle. “Sai perfettamente di essere l’ultima persona al mondo a cui chiederei aiuto. Ma sei anche l’unico che sia riuscito a superare le difese esterne senza farti notare, voglio che mi mostri come hai fatto, che mi aiuti ad entrarci.”

Belial rabbrividì, quelle mani.

Mai avrebbe creduto di anelare il tocco di un angelo.

Porta quelle mani più in basso e ti farò entrare ovunque tu voglia, gli venne da rispondere.

“Sì, è vero, sono l’unico che sia riuscito ad entrarci e quello che ho guadagnato è questo.”
Scostò a malincuore le mani dell’angelo. “Confinato in questo schifo di mondo. No grazie; Lucifero sarebbe capace di seppellirmi vivo al centro della terra se solo provassi a pensare di farlo di nuovo. Quindi…”

“Lucifero è morto.”

Quelle parole, lasciate cadere, in modo quasi casuale ebbero il potere di zittirlo immediatamente.

Per una manciata di secondi Belial non fu più in grado di connettere, si limitò a fissare l’angelo quasi non riuscisse a metterlo a fuoco. “Come hai detto?”, riuscì a boccheggiare in fine.

Sariel sospirò, scrollando le spalle. “Ho detto che Lucifero è sparito dalla circolazione, decine di anni fa, così come Dio. Si diceva che avessero deciso di scontrarsi apertamente, alla fine, ma da tempo ormai non si sa più nulla di entrambi. I pochi testimoni dicono che si siano annientati a vicenda, anche se c’è la vaga ipotesi che si siano stufati di tutto e abbiano ricominciato tutto altrove, ognuno per i fatti suoi con altri mondi abbandonando questo a sé stesso, ma è una teoria abbastanza fragile…”

Belial sapeva che l’angelo stava ancora parlando, ma non riusciva più a comprendere, era come se all’improvviso avesse cominciato a parlare una lingua sconosciuta.
Strisciò fino al bordo opposto del letto, con movimenti ancora più scoordinati di quelli di un ubriaco.

Sentì una boccata amara di bile risalirgli in gola ed incespicò nelle lenzuola, alzandosi, per cercare di respirare; i suoi polmoni però sembravano aver smesso di funzionare assieme a buona parte degli altri organi.

“No…”, biascicò, incurante della propria nudità, il pudore non rientrava nelle sue virtù, ed il sembrare vulnerabile era l’ultimo dei suoi pensieri.”Stai mentendo!”, ululò improvvisamente. Doveva essere così.
“Perché dovrei?”
La calma con cui Sariel pronunciò quelle parole mandò in frantumi ogni briciolo della sua calma residua. Dovette tornare a sedersi sul bordo del letto perché le gambe avevano preso a tremargli, come fossero improvviso divenute di gelatina. “Merda…”, sibilò, piegandosi in avanti quasi fosse sul punto di vomitare.
La noncuranza dell’angelo, quasi gli avesse appena comunicato la temperatura esterna invece che una notizia del genere, gli avevano fatto l’effetto di una mazzata dritta nello stomaco. L’intera stanza sembrava vorticargli attorno ad una velocità vertiginosa. Il freddo che gli aveva avvolto il cuore si diramò ovunque, fino alla punta delle dita. Tremava incontrollatamente e una improvvisa fitta ad i polmoni gli suggerì che stava respirando in maniera poco consona; forse stava iperventilando, o forse non stava respirando affatto. Il problema però era in secondo piano.

Nascose il viso tra le mani e le lacrime con esso; l’angelo era come sparito da ogni percezione, non gliene fregava più nulla, era come se non esistesse…

Sariel era rimasto in disparte, cercando di scacciare quella sensazione crescente di pietà.

Pietà, empatia.

Era un’angelo, non riusciva a restare indifferente al dolore, anche se la creatura che stava soffrendo non era esattamente meritevole di compassione.

Si alzò, sfilandosi il cappotto ed avvicinandosi all’altro lato del letto, appoggiandolo alle spalle di Belial. Non pensava che il freddo fosse un problema per lui, ma gli sembrava l’unica cosa che potesse dare un minimo di conforto, alla sua portata, in quel momento.
“Dimmi che stai mentendo…”, Belial afferrò i lembi del trench, infilando le maniche e stringendosi in esso. “Dimmi che sei passato alle torture psicologiche, ti prego… Torna a farmi mangiare i vetri se è così…”, sospirò, asciugandosi il viso con una manica.

Sariel socchiuse gli occhi. “Non ho mai nemmeno pensato ad una cosa del genere”, rispose. Era completamente al di fuori delle sue corde usare i sentimenti altrui come tortura.
“D’accordo… Fatti dare qualche lezione di tatto però magari…”, ringhiò il diavolo. “Un cerbero sarebbe stato più delicato di te nel dare una notizia del genere.”
“Non credevo che ti importasse più di tanto, vista la tua situazione. Nemmeno i suoi luogotenenti l’hanno presa tanto male, di tutti i suoi amanti sei quello che la sta prendendo peggio”.

Belial a quel punto soffiò, come un gatto. “Di tutti i suoi amanti? Io non ero uno scaldaletto qualsiasi!”, ringhiò, alzandosi in piedi. Fu tentato, per un attimo, di sfilarsi il cappotto e gettarglielo in faccia, assieme alla sua pietà. Ma aveva freddo, forse era solo un’impressione, ma sentiva la pelle gelata, quindi si tenne stretto il trench dell’angelo, facendo un profondo sospiro. “Che cosa sai di me?”, mormorò, acido.
“Quello che basta; che eri”, rispose Sariel, calcando il tono sul passato, “Un demone potente, secondo solo a Lucifero forse, superbo, ribelle.” Lo squadrò da capo a piedi. “Vizi che a quanto pare non hai perso. Poco altro, del resto hanno smesso da parecchio tempo di parlare di te, dato che non sei più degno di nota.”
“Colpito e affondato.” Belial sogghignò, per un attimo, trovava stuzzicante il fatto che l’angelo non mancasse di lanciargli quelle frecciatine. “Ovviamente”, concesse. “Così come è ovvio che gli angeli non amino diffondere particolari scabrosi. Altrimenti sapresti che io, che ero il braccio destro di Lucifero, una volta faceva parte delle schiere celesti. Ordine dei Serafini.”
Poté vedere distintamente quell’informazione colpire Sariel quasi fosse stata solida.
“Che cosa?”

“Ti ho sorpreso vero?”

Sariel scosse la testa. Non per negare in realtà, ma per semplice incredulità. “Sei uno degli angeli che Lucifero ha trascinato con sé nella sua caduta…”, mormorò.
“Trascinato?”, Belial accennò un sorriso amaro. “E’ questo che si diceva? Che ci aveva trascinato con lui?”

“Non è così?”

“Non so gli altri, ma per quel che riguarda me…”, sospirò appena, sedendosi. Dolore, quei ricordi erano dannatamente dolorosi in quel momento. Aveva sempre evitato il più possibile di pensare a Lucifero in quei secoli bui. Al suo meraviglioso e crudele signore…
“Lucifero è sempre stato una creatura meravigliosa. Era più potente di qualsiasi Serafino, al di fuori di qualsiasi ordine, forse secondo solo a Dio. E io lo amavo. l’ho sempre amato, più di me stesso, più di Dio, e io non gli ero indifferente. Al punto che quando è stato abbattuto ed esiliato mi ha chiesto di seguirlo. Lui voleva che lo seguissi, ma non mi ha obbligato. Mi ha solo teso una mano, mi ha chiesto di seguirlo, e io l’ho fatto. Ho afferrato quella mano che mi era stata offerta senza pensarci un attimo. L’ho amato  ogni singolo istante della mia esistenza, dopo la caduta. Mi ha insegnato cosa fosse il piacere, mi ha insegnato a trovarlo anche nelle cose che ai tempi mi facevano più ribrezzo. In ogni grande battaglia, in ogni evento straordinario io ero al suo fianco. Ho continuato ad amarlo anche dopo che mi ha torturato e scacciato, esiliandomi. Superbo e crudele come sempre, meraviglioso e implacabile...”

A quel punto riprese fiato, aveva parlato a raffica, senza praticamete respirare. Voltò le spalle all’angelo. “Ma immagino che a te la cosa faccia solo ribrezzo”, disse aspro, avvicinandosi alla finestra per guardare fuori. Era notte fonda e a quell’altezza i fari della strada non arrivavano, permettendogli di guardare le stelle, quando era sereno. In quel momento però erano coperte, qualche goccia di pioggia aveva schizzato il vetro. Si premette una mano sulle labbra, soffocando un gemito di sconforto. “La cosa peggiore”, disse, dando una manata al vetro. “La fottutissima cosa peggiore e che sono bloccato qui. Per l’eternità! Lui era l’unico che potesse svincolarmi da questo esilio e ridarmi i miei poteri!”
Stava gridando e nemmeno se n’era reso conto.

Sariel, che era rimasto immobile, travolto da quell’ondata di parole ed emozioni, a quel punto lo prese per le spalle, facendolo voltare e scuotendolo con forza. “Belial, guardami”, disse, fermo. “Guardami ed ascoltami attentamente, c’è un’altro che può farlo, spezzare il tuo esilio.”
“E chi, tu?”, rispose sarcastico il diavolo. “Sei un pochino arrogante eh?”

“Non io, tu!”

“Io?”

Sariel annuì. “Esatto, tu stesso. Aiutami ad entrare nel Giardino e sarai tu stesso a liberarti delle tue catene. Le dimensioni, tutte quante, hanno bisogno di ritrovare il loro equilibrio. Gli angeli non fanno che pregare, rintanati in paradiso, e piangersi addosso. I diavoli fanno più o meno lo stesso, rintanati nei loro antri, stando appresso ai propri piaceri e questo mondo, questo bel mondo, si sta accartocciando su sé stesso, lasciato senza equilibrio, lasciato senza guide a sprofondare in un abisso di violenza fine a sé stessa. Non dirmi che non te ne sei accorto, del degrado che c’è stato in quest’ultimo secolo. Dobbiamo ristabilire l’equilibrio. Il paradiso ha bisogno di un nuovo Dio, così come l’inferno ha bisogno di un nuovo re.”

Belial lo aveva guardato in silenzio, perplesso. Poi, alla fine di quello sproloquio, aveva compreso.

Sbuffò, come se stesse trattenendo una risata, poi lasciò perdere e scoppiò a ridere in faccia all’angelo; una risata però che non aveva nulla di allegro. Sembrava una risata isterica, colma di disperazione. “Quindi tu…”, biascicò riprendendo fiato. “Tu hai infranto tipo una dozzina di leggi celesti, venendomi a cercare, perché vuoi il frutto dell’Eden. Vuoi dividere con me il suo potere e tornare in paradiso come il nuovo Dio.”
Sariel lo scosse, irritato. “Esatto. Cosa c’è da ridere?!”

Belial scosse la testa, asciugandosi un occhio. “Effettivamente nulla, anzi, ci sarebbe da piangere”, disse, tirando su col naso. “La cosa buffa, tragicamente buffa, è che il frutto dell’Eden è una storiella per bambini. Vi hanno detto che ho cercato di rubare il frutto, ma che sono stato fermato prima. Cazzate. Ho raggiunto quel maledetto albero e ho addentato il frutto proibito. Volevo il potere, volevo stare al fianco di Lucifero come suo pari, e non più solo come luogotenente e amante. E invece non è successo nulla. Mi sono ingozzato di quelle fottute mele fino ad averne la nausea. Quel frutto è solo uno specchietto per le allodole che Dio ha creato per assicurarsi che i suoi angeli non fossero preda della brama di potere, per individuare le mele marce. Concedimi la poesia…”

Dovette fermarsi perché la presa di Sariel si era fatta via via più ferrea ed in quel momento gli stava decisamente facendo male.

“Stai mentendo!”

“Perché dovrei?”, rispose, con la stessa calma che l’altro aveva usato poco prima.
Con un verso frustrato Sariel lo spinse sul letto. “No…”, mormorò. “Non ci credo…”

Tutti i suoi piani erano andati in fumo…
Belial, per forza di inerzia, si lasciò cadere sul materasso. Puntellandosi sui gomiti si sollevò, quel tanto che bastava, per osservare l’angelo. Era immobile, quasi pietrificato, ma avvertiva il suo animo agitarsi come una bestia in gabbia. Delusione, disperazione, panico.
“Sarà un bel problema tornare a casa eh?”, chiese, sarcastico. “Insomma, volevi tornarci da Dio e ci torni da reietto…”
“Taci!”

Belial rise sommessamente. “Povero piccolo angelo che ha paura di tornare a casa… Cosa farà ora?”
Sariel socchiuse gli occhi. “Quel che farò non sono affari tuoi. Io e te abbiamo finito. A mai più rivederci, Belial”, disse, avvicinandosi alla porta-finestra che dava sul balconcino, dall’altra parte della stanza, spalancandola.

Belial si morse nervosamente un’unghia. Di nuovo l’allontanarsi di Sariel gli aveva fatto l’effetto di un cerotto che veniva strappato con violenza.
Si rese conto che buona parte del benessere che aveva provato al risveglio derivava dalla vicinanza dell’angelo, che le fitte alle ossa e allo stomaco accennavano a ricomparire. Il suo organismo aveva attinto al potere dell’angelo per sopperire ai suoi bisogni. Era bastato che si allontanasse di qualche metro perché la fame e la stanchezza tornassero a fargli visita. Era stato bello dimenticarsene, per un po’...
“Fermo…”, mormorò. Non poteva lasciaro andare senza tentare.
Sariel si fermò. “Cosa?”, chiese, sbrigativo.

Belial socchiuse gli occhi, leccandosi le labbra. “Dove vuoi andare? Tornare in paradiso è un rischio, resta qua…”, soffiò, malizioso, avvicinandosi a lui. “Abbiamo appianato le nostre divergenze no? Potremmo fare una bella squadra io e te…”, mormorò, sfiorandogli le labbra con le proprie.
Lo sentì esitare, e per un istante si illuse che avrebbe accettato; ma poi Sariel lo afferrò con forza per le braccia, stringendo fino a fargli male. Trattenne il respiro, aspettandosi il dolore violento della sera primaa. Quella volta però l’angelo si limitò a spingerlo via.
“Il fatto che non voglia più torturarti non significa che non pensi più che ti meriti cose ben peggiori di quelle che ti ho fatto io.”

Quelle parole furono pronunciate in tono tanto tagliente che Belial indietreggiò di un passo, istintivamente, quasi l’avesse colpito fisicamente. “D’accordo, allora vattene”, ringhiò orgoglioso. “Vai, torna dagli angeli, chissà che non ti strappino le ali e ti rispediscano sulla terra come hanno fatto con me! Magari potrei trovarti in qualche schifoso strip con un paio di ali finte a farti infilare le mance nel perizoma da cinquantenni arrapate!”

“Forse succederà così. Ma come ho già detto, non è affar tuo”, ribattè Sariel. Uscì sul balcone e saltò oltre la ringhiera.
Belial fece in tempo a vedere solamente un balenio di ali dorate, prima che svanisse nel nulla.
Raggiunse la finestra, sbattendola con un verso di frustrazione.

Si guardò attorno.

Era tutto così deprimente…

Tornò al suo comodino, riattaccando il telefono e risollevandolo l’attimo dopo, componendo un numero.
Aveva un lavoro da riprendersi a quanto pareva….
   
 
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