Capitolo 8
Il giorno dopo
le due ragazze non si presentarono a
scuola. Yamato continuava a lanciare occhiate indecifrabili ai loro
banchi, ma
il prescelto capì che non avrebbe agito in alcun modo. Ora
che aveva imparato
la lezione sarebbe stato alla larga da entrambe per qualche tempo cosa
che, probabilmente,
era la scelta migliore.
“E io come dovrei
comportarmi?”
Taichi
sospirò sconsolato. Temeva che Sora fosse venuta a
sapere dell’accaduto, ma d’altro canto non poteva
certo abbandonare Rumiko,
dato che lei non aveva alcuna colpa. Anzi, si era comportata
correttamente nei
confronti dell’amica, rifiutando le avance.
“Che
situazione assurda! Il mio migliore amico per poco
non ha tradito la mia migliore amica per una ragazza cui tengo
moltissimo… Rimanere
neutrale già so che sarà impossibile, ma da che
parte dovrei schierarmi? Qui
sembra che sia l’unico a non aver ancora perso la
testa!“
Riesaminò
la situazione. Al momento il pericolo più
grande era rappresentato da Sora, che poteva esser indotta a
prendersela con
l’amica e rovinare quel rapporto che avevano appena
instaurato e a cui Rumiko
teneva sicuramente, tant’è che per difenderlo
aveva allontanato con decisione
il ragazzo.
Ed ecco che si
presentava un’altra gatta da pelare: in un
colpo solo Yamato aveva rovinato non solo la sua relazione con la
fidanzata e
l’amicizia con Rumiko, ma pure incrinato il legame tra le due
ragazze.
“Complimenti,
amico, si può dire che hai preso due
piccioni con una fava!“ pensò serrando i pugni, ma
subito recuperò il controllo.
Era inutile
accanirsi contro di lui: ormai il danno era
stato fatto e bisognava impegnarsi per porvi rimedio. E poi sapeva di
non
essere in grado di portargli a lungo rancore: in fondo era stato il
biondo a
trarlo d’impiccio in molte occasioni e ora toccava a lui.
Yamato era pieno di
difetti e bisognava riconoscere che negli ultimi tempi li aveva messi
in luce
uno per uno, ma, come si dice: una volta toccato il fondo, non si
può far altro
che risalire.
Dunque il suo
piano era il seguente: recarsi da Sora per
accertarsi del suo stato e metterla al corrente della situazione. Poi
far una
visitina a Rumiko e cercare di tirarle su il morale, che di sicuro ora
si
trovava sotto terra. Farle incontrare per riappacificarle e infine
mettere una
buona parola per Yamato, che nel frattempo avrebbe macerato il tempo
necessario
a tornare in sé.
Sospirando
sconsolato, pensò che non sarebbe stata una
passeggiata.
Alle tre di
pomeriggio Rumiko era sotto il getto caldo
della doccia. L’acqua le scorreva sulla pelle candida,
scivolando lungo il suo
corpo in tanti rigagnoli che si ricongiungevano sulle gambe. Espose
anche il
viso al getto d’acqua. Sentì la stanchezza e lo
stress di tanti giorni
sciogliersi e fluire via. Però un peso continuava ad
opprimerle il petto.
Sapeva bene di
cosa, o meglio di chi, si trattasse: Sora.
La sera precedente le aveva raccontato tutto, ma vedendola uscire
così turbata,
si era ripromessa di telefonarle. Però quando, due ore dopo
che si erano
lasciate, aveva tentato di parlarle, la madre aveva spiegato che la
figlia non
si sentiva bene e che il giorno dopo non sarebbe andata a scuola.
Il giorno
seguente aveva nuovamente tentato di mettersi
in contatto con lei, ma senza risultato. Le aveva inviato delle mail
sul
cellulare e lasciato decine di messaggi nella segreteria telefonica di
casa.
Tuttavia la rossa non aveva risposto una sola volta.
Ora Rumiko si
pentiva di averla chiamata la sera prima e
averle confidato tutto con tale leggerezza. Se non l’avesse
fatto, avrebbe avuto
ancora un’amica cui rivolgersi. Non ce l’aveva con
lei per quel silenzio,
piuttosto con se stessa per essere stata tanto ingenua: si era
confidata con la
persona sbagliata. Come poteva biasimarla? Tutto d’un tratto
aveva visto la sua
relazione perfetta incrinarsi, e per di più a causa della
persona con cui si
era appena dimostrata tanto gentile.
Sora si era
sentita tradita e aveva tutto il diritto di
non rivolgerle più la parola.
Con un moto di
amarezza inaspettata, Rumiko si era
accorta che le mancava. E al pensiero di non vedere più quei
dolci sorrisi a
lei rivolti, quei capelli rossi che si sposavano tanto bene con
l’azzurro del
golfino e quegli occhi d’ambra, le si strinse il cuore.
Dentro di sé sapeva
bene il perché si fosse tanto legata a quella ragazza:
sentiva il bisogno di
avere vicino una figura femminile. Da quando aveva fatto la conoscenza
di quel
gruppo, infatti, si era pian piano accorta che la presenza del padre
non le era
più sufficiente. Aveva bisogno di potersi confidare con
altre persone, di
aprire liberamente il proprio cuore, di essere accettata.
Ma oramai cosa
poteva fare? Sora si era allontanata da
lei, forse per sempre, Taichi l’avrebbe di sicuro seguita a
ruota e Yamato…
Scosse
vigorosamente il capo, spargendo innumerevoli
goccioline contro i vetri della doccia. Con lui
non voleva più avere niente a che fare. Lei gli aveva
permesso di avvicinarsi,
di conoscerla e lui… lui l’aveva rifiutata,
tradendo la sua fiducia. Da quando
si erano conosciuti non aveva fatto altro che ferirla.
“Però
ora basta!”
Non gli avrebbe
più permesso di giocare con i suoi
sentimenti. Ma, allora, chi gli rimaneva? Di chi si poteva ancora
fidare?
Il citofono
suonò.
Intanto Taichi
si trovava davanti a casa Takenouchi.
Suonò il campanello. Non ottenne risposta. Tentò
ancora. Niente. Di nuovo.
Nulla. Ancora, ancora e ancora. Nada. Esasperato, incominciò
una sottospecie di
sinfonia, fatta di trilli lunghi e corti alternati, un gioco che faceva
sempre
da piccolo.
-
Non hai ancora
capito che…! –
Sora aveva
spalancato la porta di scatto, facendo
sobbalzare il ragazzo.
-
Cos’è
che non ho capito? –
-
Niente, pensavo
fossi un’altra persona… - abbassò il
tono
di voce.
-
E chi
è lo sfortunato? – tentò di scherzare.
-
Nessuno.
–
-
D’accordo
– non insistette – mi fai entrare? –
-
Ehm, si, certo.
–
Si sedettero in
salotto e la ragazza preparò il tè. In
attesa che il liquido bollente si raffreddasse, Taichi si
guardò un attimo
attorno e il suo sguardo cadde sul telefono, che era stato posizionato
vicino
al divano. Sporgendosi un poco notò che nella segreteria
erano stati lasciati…
23 messaggi?!
“Ma
che significa? “ si chiese subito.
Bastava lanciare
un’occhiata al salotto per capire che la
rossa vi aveva trascorso l’intera mattinata. Dunque
perché non aveva risposto?
Può capitare di trovarsi in bagno e non poter sollevare la
cornetta… ma 23
messaggi? O aveva un attacco di diarrea oppure…
Si
assicurò che l’amica fosse voltata e
pigiò un tasto.
Sul piccolo schermo comparvero i numeri che avevano registrato i
messaggi nella
segreteria. O meglio il numero,
poiché
sotto i suoi occhi nocciola sfilavano sempre le stesse cifre. Non
ricordava a
chi appartenesse, ma poi guardò l’ora delle
chiamate: tutte di mattina, durante
l’orario lavorativo.
Sora
tornò nel soggiorno con un vassoio di biscotti e
l’appoggiò sul tavolino davanti al divano. Poi si
sedette accanto al ragazzo.
Solo allora si accorse delle scritte che lampeggiavano sul piccolo
schermo del
telefono.
Lui la
guardò dritta negli occhi, indecifrabile. Per la
prima volta da quando si erano incontrati, la ragazza temette di non
conoscere
quello sguardo. Non riuscendo a reggere quella situazione, Sora decise
di dire
qualcosa, qualsiasi cosa.
-
Com’è
andata oggi a scuola? –
-
Bene,
c’erano solo due assenti. –
-
Ah
sì? – cominciò ad abbassare lo sguardo.
-
Sì,
tu e Rumiko. –
-
Oh,
può darsi che non si sia ancora ristabilita… -
-
Può
darsi? Pensavo che ne sapessi qualcosa di più. –
disse, duro.
Lei
cominciò a studiarsi le pantofole. Erano morbide e
azzurre, un colore che a quanto dicevano le stava molto bene.
-
Cos’è
successo? –
-
Niente.
–
-
Ho chiesto:
cos’è successo? – scandì lui.
Quelle ciabatte
erano indubbiamente le sue preferite,
perché le tenevano i piedi caldi anche d’inverno.
-
Per favore,
rispondimi. –
Peccato per quel
buchino che si stava allargando
all’altezza dell’alluce…
-
SORA! –
-
YAMATO MI HA
TRADITA! – esplose, mentre calde lacrime le
scorrevano lungo le guance.
Taichi le
circondò le spalle con un braccio e lei si
abbandonò ad un pianto liberatorio, confortata dal calore
del suo petto.
-
Ciao, mi hanno
detto che hai tagliato! –
Rumiko era
uscita dalla doccia in tutta fretta,
avvolgendosi un asciugamano attorno al corpo alla bel e meglio,
rischiando di
inciampare mentre si infilava le pantofole e precipitandosi ad aprire
la porta.
Ora si trovava sulla soglia di casa, i capelli che gocciolavano ovunque.
-
Ah, sei tu,
Daisuke. – sbuffò, delusa.
Aveva sperato
che si trattasse di Sora.
-
Ehi, io vengo a
trovarti e tu mi accogli con un “ah, sei
tu”? –
-
Ti ha mandato
Taichi? –
-
No, sono qui di
mia spontanea volontà e non mi
dispiacerebbe entrare! – esclamò lui, risentito.
-
Certo, entra
pure. –
-
Allora, come mai
hai tagliato? – volle sapere.
-
Ehi, prima
piombi in casa mia come se nulla fosse e mi
fai correre alla porta bagnata fradicia e ora vuoi anche sapere i fatti
miei? –
-
Scusa, scusa,
come non detto! Ehm, comunque… se vuoi…
puoi anche andare a vestirti… - arrossì un poco.
-
Certo che voglio
e ci vado subito! Tu aspetta qui, razza
di terremoto umano. – e si richiuse la porta del bagno alle
spalle.
Dopo un quarto
d’ora lo raggiunse in salotto, vestita e
asciutta. A quanto pareva non c’era stato bisogno di dirgli
di fare come se
fosse a casa sua, visto che aveva già acceso la TV e stava
stravaccato sul
tappeto. Lei si sedette sulla poltrona vicino a lui. Certo che sembrava
davvero
un altro mentre era concentrato su una partita.
-
È un
incontro importante? –
-
No, solo
un’eliminatoria. –
-
Non sono squadre
di serie B? –
-
Sì,
ma non giocano malaccio… E tu come facevi a saperlo?
– si volse a guardarla.
-
Spesso la
domenica io e mio padre guardiamo le partite
alla TV. Sono anche stata allo stadio qualche volta. –
-
Ti piace il
calcio? –
-
Non è
la mia passione, ma non mi dispiace. – si strinse
nelle spalle.
-
E qual
è la tua passione? –
-
Nessuna.
–
-
Non
c’è niente che ti piaccia tanto? –
-
Nulla in
particolare. Non ho mai avuto bisogno di un
hobby o cose simili. –
-
E cosa fai nel
tempo libero? –
-
Leggo, ascolto
musica, guardo un film… -
-
E non fai
shopping? – sgranò gli occhi lui.
-
Non molto.
–
-
Male, molto
male! – la rimproverò severamente –
Tutte le
ragazze devono fare shopping! –
-
Non se non hai
nessuno con cui girare per la città… –
disse con un briciolo di amarezza, tornando agli ultimi eventi.
Daisuke parve
pensarci un attimo e poi sorrise.
-
Allora
perché non ci andiamo insieme? –
-
Come? –
-
Ma
sì, tu e io! Vedrai che ci divertiremo! –
-
Non saprei, sono
appena stata male… -
-
Non fare la
nonnetta! Avevi solo un raffreddore, perciò
non morirai di certo! –
-
È che
non mi va di uscire al freddo… -
-
E dai, prendilo
come un appuntamento! –
-
Questo non mi
aiuta. –
-
Non fare la
timida, lo so che non vedi l’ora di passare
un bel pomeriggio con me. –
Rumiko lo
guardò sconvolta: il ragazzo sembrava davvero
convinto delle sue parole. Le venne da ridere e accennò un
sorriso.
-
D’accordo,
mi hai convinta. Aspetta che mi preparo. –
-
Fatti bella, mi
raccomando! –
Lei gli fece la
linguaccia: Daisuke sembrava aver preso
gusto al ruolo dell’accompagnatore.
-
Ti senti meglio?
–
-
Sì,
grazie Tai. E scusa se ti ho bagnato la felpa. –
-
È
stato un piacere! – le sorrise.
Insieme alle
lacrime erano sgorgate anche le parole e ora
la ragazza si sentiva più tranquilla, stretta
nell’abbraccio del bruno.
Improvvisamente, accortasi della situazione imbarazzante, si
scostò,
leggermente rossa in viso. Ma lui non vi badò e il suo
sguardo nocciola si fece
di nuovo pensieroso.
-
Sora, mi
dispiace per quel che ha fatto Yamato. Dico sul
serio. Ma ciò non toglie che sei stata molto scorretta nei
confronti di Rumiko.
–
Lei
abbassò lo sguardo, colpita dalla verità di
quelle
parole. Non sembrava dispiaciuto, bensì deluso e amareggiato.
-
Lei ti ha
raccontato come sono andate le cose, ha avuto
fiducia nel tuo perdono… -
-
Non ce
l’ho con lei. –
-
E allora
perché non hai risposto alle sue chiamate? –
-
È
che… non me la sentivo. –
-
Lo capisco, ma
lei… -
-
Lei, lei,
lei… sempre e solo lei!
–
-
Sora? –
-
Ah, adesso
però c’è anche Sora?
–
-
Ma che ti
prende? –
-
Mi prende che
sono stufa marcia di tutto questo! Io sono
buona e gentile con tutti e per risposta vengo presa a pesci in faccia!
–
-
Rumiko non
intendeva… -
-
LO SO! Ti ho
già spiegato che non ce l’ho con lei! –
-
E allora con
chi? –
-
Con voi ! -
-
Ti riferisci a
me e Yamato? – chiese stupito.
-
Esatto, proprio
a voi due! Uno mi tradisce con la mia
amica e l’altro mi tratta come una scema! –
-
Lo sai che non
è vero. Non ti ho mai
trattata come una scema. –
-
Le tue continue
attenzioni, anche il fatto che ora sei
qui. Cos’è, pensi che non posso farcela da sola?!
Beh, eccoti una notizia: ho
diciotto anni, sono adulta e vaccinata e non ho bisogno di una balia!
È
umiliante! –
-
Ma abbiamo
sempre… -
-
Svegliati, Tai!
La gente cambia e cresce ! Io sono cresciuta
! E anche tu sarebbe ora che
ti decidessi a crescere, Peter Pan!
–
Scese un pesante
silenzio.
-
Aspetterò
che ti passi. – disse infine lui.
-
No, Tai, non mi
passerà. –
-
Io non sono
cambiato e non penso che lo farò mai. Perciò
se ti venisse voglia di parlare con un vecchio amico, saprai dove
trovarmi. – e
uscì.
-
Ti sbagli, anche
tu sei cresciuto. – sussurrò tra sé,
una
volta rimasta sola – Devi solo accettarlo. –
Era pomeriggio
inoltrato e le strade del centro
cominciavano ad essere affollate a causa delle compere di Natale, a cui
mancavano solo due settimane. Eppure, nonostante la folla radunata
davanti alle
vetrine illuminate, Daisuke sembrava più entusiasta che mai.
Ogni volta che
intravedeva un bel vestito, trascinava l’amica nel negozio
per farglielo
provare.
All’inizio
Rumiko aveva protestato energicamente, ma poi
era stata contagiata dalla sua allegria. Ora passeggiava insieme al
ragazzo,
lasciandosi trascinare per la città.
-
Uao! Quello
è proprio carino! Forza, provatelo! – e la spinse
nell’ennesimo negozio – Signorina, vorremmo vedere
quello nero in vetrina, per
favore! –
Rumiko si chiuse
la tendina del camerino alle spalle e
indossò l’abito. Lanciò uno sguardo
allo specchio e constatò che non era male:
semplice e con le maniche a tre quarti, un po’ più
aderente sul punto vita. Il
materiale era morbido al tatto e scendeva liscio lungo i fianchi, fino
alle
ginocchia, con un piccolo spacco laterale.
Appena Daisuke
la vide cominciò a girarle attorno,
studiandola, come se qualcosa non gli andasse a genio.
-
Oh, ma le sta benissimo,
signorina! Lo sa che ha proprio un bel fisico? –
squittì subito la commessa.
-
Grazie.
–
-
Dico sul serio!
Il suo ragazzo è proprio fortunato! –
-
La ringrazio, ma
noi non… -
-
Siete una coppia
davvero carina! –
Rumiko non le
rispose neppure, sapendo che presto avrebbe
perso le staffe. Cominciava ad averne davvero abbastanza di quella
trentenne
petulante, che non voleva saperne di farsi i fatti suoi.
-
Ti sta molto
bene, ma è troppo… scuro. –
sancì alla fine
il giovane.
-
Per forza,
è nero! – sbottò lei.
-
È
tempo di festa e il nero non mi è mai piaciuto! –
sentenziò – Signorina, non è che lo
avete anche di altri colori? –
-
Ma
sì, certo! Mi segua che glieli faccio vedere! –
-
Tu resta qui,
torno subito. – e si allontanò con la donna.
Dopo pochi
minuti furono di ritorno e sul volto di
Daisuke compariva un sorriso soddisfatto.
-
Questo ti
starà d’incanto! – e le porse il vestito.
Lei distolse lo
sguardo.
-
No. –
-
Dai, provalo,
sono sicuro che ti starà benissimo! –
-
Non voglio, non
mi piace. –
-
Però
se lo provi… -
-
Su, non faccia i
capricci! – si intromise la commessa di
prima.
-
Ho detto che non
voglio e non lo proverò. –
-
Dai, che il suo
ragazzo ci rimarrà male! –
-
Non è
il mio ragazzo. –
-
Ah, no? Beh,
però sarebbe un peccato non provarlo neanche,
non le pare? –
-
Decisamente no!
–
-
Ma
perché si ostina a… -
-
PERCHÉ
É AZZURRO! –
-
Rumi…
- le si avvicinò Daisuke, mentre la trentenne
faceva un passo indietro sconvolta.
-
Ho litigato con
Sora. –
-
Come? –
-
Ho litigato con
Sora – ripeté – e l’azzurro
è il suo colore. Non
voglio… prendere
qualcosa di suo, capisci? Non sarebbe giusto, le sta così
bene… oh, ma che sto
dicendo?! –
-
Senti, per il
momento la cosa migliore è uscire di qua e
andare a mettere qualcosa sotto i denti. –
-
Come? –
-
A me aiuta
sempre! – si strinse nelle spalle.
Lei
accennò un sorriso e andò a cambiarsi. Poi
andarono a
rifocillarsi.
-
E
così avete litigato, eh? –
-
Già.
–
Rumiko aveva
ordinato una fetta di torta e un cappuccino,
mentre Daisuke si era servito un vero e proprio pasto, sotto gli occhi
stupefatti
di lei. Come diavolo faceva ad ingozzarsi in quel modo alle 6 di sera?!
-
Il motivo?
–
-
Diciamo che ho
fatto una cosa che non avrei dovuto fare…
-
-
Che tipo di
cosa? –
-
Le ho
praticamente rubato una cosa… anche se
involontariamente. –
-
Le hai fregato
qualcosa senza accorgertene? –
-
No, non
gliel’ho rubata.
L’ho attirata involontariamente e me ne sono accorta troppo
tardi. –
-
Vai avanti.
–
-
In quel momento
ho pensato che non fosse giusto nei suoi
confronti e così… -
-
Hai rifiutato
questa… cosa.
–
-
Esatto. Solo che
poi mi sentivo… -
-
Uno schifo. -
-
Sì e
non sapendo che fare… -
-
Gliel’hai
detto. –
-
Ma che ti sto a
raccontare se sai già tutto?! – scattò
lei, nervosa.
-
In
realtà non ne so nulla, te lo posso assicurare! Sono
solo andato per intuizione! – si giustificò in
fretta.
-
D’accordo,
comunque ora lei lo sa e temo ci sia rimasta
molto male. –
-
Come lo sai?
–
-
Ieri sera ho
tentato di chiamarla, ma la madre mi ha
detto che le era salita la febbre e che non sarebbe andata a scuola.
–
-
Brutto segno:
lei non è mai assente. – commentò, per
ricevere un’occhiata storta.
-
Grazie,
così sì che mi aiuti! In ogni caso ho tentato di
chiamarla, questa mattina. Le ho scritto delle mail sul cellulare e le
ho
lasciato ben 23 messaggi sulla segreteria di casa…
–
-
Ma lei non ti ha
richiamata. –
-
Esatto.
È evidente che mi detesta e non posso certo darle
torto, però… mi manca. –
-
E allora dove
sta il problema? –
-
Come, dove sta il
problema ?! Se ti ho appena finito di dire che…!
–
-
Se le sei legata
devi insistere, mi pare ovvio! Non
vorrai gettare la spugna dopo il primo giorno, no? –
-
Sì,
ma… -
-
Niente ma!
È inutile stare a piangersi addosso! –
-
Non mi sto
piangendo addosso! Sono solo realista… –
-
Non mi pare
proprio. –
-
Che vorresti
dire? –
-
Se ci
è rimasta tanto male, è ovvio che le serva un
po’
di tempo. Non so di voi altri, ma a me è stato insegnato
che, quando un amico è
in difficoltà, non lo si può abbandonare.
–
-
Dici che dovrei
riprovare? –
-
Ma certo!
Invitala ad uscire, sono sicuro che le farà
bene! –
-
E come fai a
sapere che accetterà? –
-
Esperienza…
- sorrise, esibendo un’aria saggia da persona
vissuta.
Rumiko sorrise.
-
Va bene, ma ora
non darti tante arie! –
-
Uffa, non posso
mai godermi il mio momento di gloria! –
-
Non fare la
vittima, o non ti permetterò mai più di
trascinarmi per negozi. –
-
Vuoi dire che mi
concedi un altro appuntamento? –
-
In fondo mi
diverto a girare con te, perciò… -
-
Potremo
passeggiare mano nella mano? –
-
No. –
-
Perché
no? – piagnucolò lui.
-
Perché
sei troppo piccolo per me e non voglio che la
gente pensi che sono disperata. –
-
Ma la commessa
diceva… -
-
Lascia perdere
quella. –
-
Perché?
A me stava simpatica! –
-
Solo
perché continuava a farti complimenti. –
-
Non tutti me li
fanno! Perché dovete togliermi i piccoli
attimi di felicità? –
L’altra
represse un risolino alla vista della sua espressione.
Senza neanche accorgersene, quel pomeriggio era passato in fretta.
Una moto si
allontanò dalla vetrata del bar. Il
conducente nascosto dal casco era pensieroso. Aveva notato la coppia
seduta al
tavolino e si era accostato senza dare nell’occhio. Non
poteva sentire la
conversazione a causa del vetro, ma era stato attento alle loro
espressioni. In
particolare a quelle di lei.
L’aveva
vista titubante, poi arrabbiata, sorpresa e un
po’ scettica, sorridente, finta indifferente e infine mal
celatamente allegra.
Tutte manifestazioni che prima vedeva tutti i giorni e che ora
osservava
furtivamente. Al pensiero provò una fitta dolorosa al petto,
ma la represse
subito: non era più affar suo. L’aveva
già fatta soffrire abbastanza, non era
il caso di turbarla ancora.
Si
fermò al semaforo rosso. Negli ultimi giorni aveva
cominciato a capire qualcosa che solo dopo l’ultima litigata
aveva potuto
accertare: lei era fragile. Fingeva
di esser forte, insofferente alle parole degli altri, sicura di
sé e
indipendente, ma in realtà non lo era affatto. Il suo
spirito era delicato come
vetro e rischiava di frantumarsi. Lui
era quasi riuscito a spezzarla. Però non avrebbe rinunciato
a guardarla, seppur
da lontano. Perché lei era… bella.
Quella sua fragilità la rendeva unica e…
maledettamente bella. Quel gioco di
luci e ombre celato nelle iridi viola lo attraevano, come una falena
anelava
alla fiamma di una lanterna.
Lentamente, nel
suo cuore si faceva strada la
consapevolezza che, per quanto si fosse ostinato, non avrebbe mai
potuto
opporsi al magnetismo che lei esercitava su di lui. Quel sentimento
l’aveva
colto di sorpresa e faticava a riconoscerlo, ma non dubitava che presto
sarebbe
riuscito a far chiarezza in se stesso. E, chissà, magari
allora sarebbe stato
pronto ad aiutarla sul serio, se lei ne avesse avuto bisogno.
La moto
ripartì a tutta velocità: era scattato il verde,
un brillante verde speranza.
Continua…