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Autore: monalisasmile    04/07/2008    1 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8

 

Il giorno dopo le due ragazze non si presentarono a scuola. Yamato continuava a lanciare occhiate indecifrabili ai loro banchi, ma il prescelto capì che non avrebbe agito in alcun modo. Ora che aveva imparato la lezione sarebbe stato alla larga da entrambe per qualche tempo cosa che, probabilmente, era la scelta migliore.

“E io come dovrei comportarmi?”

Taichi sospirò sconsolato. Temeva che Sora fosse venuta a sapere dell’accaduto, ma d’altro canto non poteva certo abbandonare Rumiko, dato che lei non aveva alcuna colpa. Anzi, si era comportata correttamente nei confronti dell’amica, rifiutando le avance.

“Che situazione assurda! Il mio migliore amico per poco non ha tradito la mia migliore amica per una ragazza cui tengo moltissimo… Rimanere neutrale già so che sarà impossibile, ma da che parte dovrei schierarmi? Qui sembra che sia l’unico a non aver ancora perso la testa!“

Riesaminò la situazione. Al momento il pericolo più grande era rappresentato da Sora, che poteva esser indotta a prendersela con l’amica e rovinare quel rapporto che avevano appena instaurato e a cui Rumiko teneva sicuramente, tant’è che per difenderlo aveva allontanato con decisione il ragazzo.

Ed ecco che si presentava un’altra gatta da pelare: in un colpo solo Yamato aveva rovinato non solo la sua relazione con la fidanzata e l’amicizia con Rumiko, ma pure incrinato il legame tra le due ragazze.

“Complimenti, amico, si può dire che hai preso due piccioni con una fava!“ pensò serrando i pugni, ma subito recuperò il controllo.

Era inutile accanirsi contro di lui: ormai il danno era stato fatto e bisognava impegnarsi per porvi rimedio. E poi sapeva di non essere in grado di portargli a lungo rancore: in fondo era stato il biondo a trarlo d’impiccio in molte occasioni e ora toccava a lui. Yamato era pieno di difetti e bisognava riconoscere che negli ultimi tempi li aveva messi in luce uno per uno, ma, come si dice: una volta toccato il fondo, non si può far altro che risalire.

Dunque il suo piano era il seguente: recarsi da Sora per accertarsi del suo stato e metterla al corrente della situazione. Poi far una visitina a Rumiko e cercare di tirarle su il morale, che di sicuro ora si trovava sotto terra. Farle incontrare per riappacificarle e infine mettere una buona parola per Yamato, che nel frattempo avrebbe macerato il tempo necessario a tornare in sé.

Sospirando sconsolato, pensò che non sarebbe stata una passeggiata.

 

Alle tre di pomeriggio Rumiko era sotto il getto caldo della doccia. L’acqua le scorreva sulla pelle candida, scivolando lungo il suo corpo in tanti rigagnoli che si ricongiungevano sulle gambe. Espose anche il viso al getto d’acqua. Sentì la stanchezza e lo stress di tanti giorni sciogliersi e fluire via. Però un peso continuava ad opprimerle il petto.

Sapeva bene di cosa, o meglio di chi, si trattasse: Sora. La sera precedente le aveva raccontato tutto, ma vedendola uscire così turbata, si era ripromessa di telefonarle. Però quando, due ore dopo che si erano lasciate, aveva tentato di parlarle, la madre aveva spiegato che la figlia non si sentiva bene e che il giorno dopo non sarebbe andata a scuola.

Il giorno seguente aveva nuovamente tentato di mettersi in contatto con lei, ma senza risultato. Le aveva inviato delle mail sul cellulare e lasciato decine di messaggi nella segreteria telefonica di casa. Tuttavia la rossa non aveva risposto una sola volta.

Ora Rumiko si pentiva di averla chiamata la sera prima e averle confidato tutto con tale leggerezza. Se non l’avesse fatto, avrebbe avuto ancora un’amica cui rivolgersi. Non ce l’aveva con lei per quel silenzio, piuttosto con se stessa per essere stata tanto ingenua: si era confidata con la persona sbagliata. Come poteva biasimarla? Tutto d’un tratto aveva visto la sua relazione perfetta incrinarsi, e per di più a causa della persona con cui si era appena dimostrata tanto gentile.

Sora si era sentita tradita e aveva tutto il diritto di non rivolgerle più la parola.

Con un moto di amarezza inaspettata, Rumiko si era accorta che le mancava. E al pensiero di non vedere più quei dolci sorrisi a lei rivolti, quei capelli rossi che si sposavano tanto bene con l’azzurro del golfino e quegli occhi d’ambra, le si strinse il cuore. Dentro di sé sapeva bene il perché si fosse tanto legata a quella ragazza: sentiva il bisogno di avere vicino una figura femminile. Da quando aveva fatto la conoscenza di quel gruppo, infatti, si era pian piano accorta che la presenza del padre non le era più sufficiente. Aveva bisogno di potersi confidare con altre persone, di aprire liberamente il proprio cuore, di essere accettata.

Ma oramai cosa poteva fare? Sora si era allontanata da lei, forse per sempre, Taichi l’avrebbe di sicuro seguita a ruota e Yamato…

Scosse vigorosamente il capo, spargendo innumerevoli goccioline contro i vetri della doccia. Con lui non voleva più avere niente a che fare. Lei gli aveva permesso di avvicinarsi, di conoscerla e lui… lui l’aveva rifiutata, tradendo la sua fiducia. Da quando si erano conosciuti non aveva fatto altro che ferirla.

“Però ora basta!”

Non gli avrebbe più permesso di giocare con i suoi sentimenti. Ma, allora, chi gli rimaneva? Di chi si poteva ancora fidare?

Il citofono suonò.

 

Intanto Taichi si trovava davanti a casa Takenouchi. Suonò il campanello. Non ottenne risposta. Tentò ancora. Niente. Di nuovo. Nulla. Ancora, ancora e ancora. Nada. Esasperato, incominciò una sottospecie di sinfonia, fatta di trilli lunghi e corti alternati, un gioco che faceva sempre da piccolo.

-          Non hai ancora capito che…! –

Sora aveva spalancato la porta di scatto, facendo sobbalzare il ragazzo.

-          Cos’è che non ho capito? –

-          Niente, pensavo fossi un’altra persona… - abbassò il tono di voce.

-          E chi è lo sfortunato? – tentò di scherzare.

-          Nessuno. –

-          D’accordo – non insistette – mi fai entrare? –

-          Ehm, si, certo. –

Si sedettero in salotto e la ragazza preparò il tè. In attesa che il liquido bollente si raffreddasse, Taichi si guardò un attimo attorno e il suo sguardo cadde sul telefono, che era stato posizionato vicino al divano. Sporgendosi un poco notò che nella segreteria erano stati lasciati… 23 messaggi?!

“Ma che significa? “ si chiese subito.

Bastava lanciare un’occhiata al salotto per capire che la rossa vi aveva trascorso l’intera mattinata. Dunque perché non aveva risposto? Può capitare di trovarsi in bagno e non poter sollevare la cornetta… ma 23 messaggi? O aveva un attacco di diarrea oppure…

Si assicurò che l’amica fosse voltata e pigiò un tasto. Sul piccolo schermo comparvero i numeri che avevano registrato i messaggi nella segreteria. O meglio il numero, poiché sotto i suoi occhi nocciola sfilavano sempre le stesse cifre. Non ricordava a chi appartenesse, ma poi guardò l’ora delle chiamate: tutte di mattina, durante l’orario lavorativo.

Sora tornò nel soggiorno con un vassoio di biscotti e l’appoggiò sul tavolino davanti al divano. Poi si sedette accanto al ragazzo. Solo allora si accorse delle scritte che lampeggiavano sul piccolo schermo del telefono.

Lui la guardò dritta negli occhi, indecifrabile. Per la prima volta da quando si erano incontrati, la ragazza temette di non conoscere quello sguardo. Non riuscendo a reggere quella situazione, Sora decise di dire qualcosa, qualsiasi cosa.

-          Com’è andata oggi a scuola? –

-          Bene, c’erano solo due assenti. –

-          Ah sì? – cominciò ad abbassare lo sguardo.

-          Sì, tu e Rumiko. –

-          Oh, può darsi che non si sia ancora ristabilita… -

-          Può darsi? Pensavo che ne sapessi qualcosa di più. – disse, duro.

Lei cominciò a studiarsi le pantofole. Erano morbide e azzurre, un colore che a quanto dicevano le stava molto bene.

-          Cos’è successo? –

-          Niente. –

-          Ho chiesto: cos’è successo? – scandì lui.

Quelle ciabatte erano indubbiamente le sue preferite, perché le tenevano i piedi caldi anche d’inverno.

-          Per favore, rispondimi. –

Peccato per quel buchino che si stava allargando all’altezza dell’alluce…

-          SORA! –

-          YAMATO MI HA TRADITA! – esplose, mentre calde lacrime le scorrevano lungo le guance.

Taichi le circondò le spalle con un braccio e lei si abbandonò ad un pianto liberatorio, confortata dal calore del suo petto.

 

-          Ciao, mi hanno detto che hai tagliato! –

Rumiko era uscita dalla doccia in tutta fretta, avvolgendosi un asciugamano attorno al corpo alla bel e meglio, rischiando di inciampare mentre si infilava le pantofole e precipitandosi ad aprire la porta. Ora si trovava sulla soglia di casa, i capelli che gocciolavano ovunque.

-          Ah, sei tu, Daisuke. – sbuffò, delusa.

Aveva sperato che si trattasse di Sora.

-          Ehi, io vengo a trovarti e tu mi accogli con un “ah, sei tu”? –

-          Ti ha mandato Taichi? –

-          No, sono qui di mia spontanea volontà e non mi dispiacerebbe entrare! – esclamò lui, risentito.

-          Certo, entra pure. –

-          Allora, come mai hai tagliato? – volle sapere.

-          Ehi, prima piombi in casa mia come se nulla fosse e mi fai correre alla porta bagnata fradicia e ora vuoi anche sapere i fatti miei? –

-          Scusa, scusa, come non detto! Ehm, comunque… se vuoi… puoi anche andare a vestirti… - arrossì un poco.

-          Certo che voglio e ci vado subito! Tu aspetta qui, razza di terremoto umano. – e si richiuse la porta del bagno alle spalle.

Dopo un quarto d’ora lo raggiunse in salotto, vestita e asciutta. A quanto pareva non c’era stato bisogno di dirgli di fare come se fosse a casa sua, visto che aveva già acceso la TV e stava stravaccato sul tappeto. Lei si sedette sulla poltrona vicino a lui. Certo che sembrava davvero un altro mentre era concentrato su una partita.

-          È un incontro importante? –

-          No, solo un’eliminatoria. –

-          Non sono squadre di serie B? –

-          Sì, ma non giocano malaccio… E tu come facevi a saperlo? – si volse a guardarla.

-          Spesso la domenica io e mio padre guardiamo le partite alla TV. Sono anche stata allo stadio qualche volta. –

-          Ti piace il calcio? –

-          Non è la mia passione, ma non mi dispiace. – si strinse nelle spalle.

-          E qual è la tua passione? –

-          Nessuna. –

-          Non c’è niente che ti piaccia tanto? –

-          Nulla in particolare. Non ho mai avuto bisogno di un hobby o cose simili. –

-          E cosa fai nel tempo libero? –

-          Leggo, ascolto musica, guardo un film… -

-          E non fai shopping? – sgranò gli occhi lui.

-          Non molto. –

-          Male, molto male! – la rimproverò severamente – Tutte le ragazze devono fare shopping! –

-          Non se non hai nessuno con cui girare per la città… – disse con un briciolo di amarezza, tornando agli ultimi eventi.

Daisuke parve pensarci un attimo e poi sorrise.

-          Allora perché non ci andiamo insieme? –

-          Come? –

-          Ma sì, tu e io! Vedrai che ci divertiremo! –

-          Non saprei, sono appena stata male… -

-          Non fare la nonnetta! Avevi solo un raffreddore, perciò non morirai di certo! –

-          È che non mi va di uscire al freddo… -

-          E dai, prendilo come un appuntamento! –

-          Questo non mi aiuta. –

-          Non fare la timida, lo so che non vedi l’ora di passare un bel pomeriggio con me. –

Rumiko lo guardò sconvolta: il ragazzo sembrava davvero convinto delle sue parole. Le venne da ridere e accennò un sorriso.

-          D’accordo, mi hai convinta. Aspetta che mi preparo. –

-          Fatti bella, mi raccomando! –

Lei gli fece la linguaccia: Daisuke sembrava aver preso gusto al ruolo dell’accompagnatore.

 

-          Ti senti meglio? –

-          Sì, grazie Tai. E scusa se ti ho bagnato la felpa. –

-          È stato un piacere! – le sorrise.

Insieme alle lacrime erano sgorgate anche le parole e ora la ragazza si sentiva più tranquilla, stretta nell’abbraccio del bruno. Improvvisamente, accortasi della situazione imbarazzante, si scostò, leggermente rossa in viso. Ma lui non vi badò e il suo sguardo nocciola si fece di nuovo pensieroso.

-          Sora, mi dispiace per quel che ha fatto Yamato. Dico sul serio. Ma ciò non toglie che sei stata molto scorretta nei confronti di Rumiko. –

Lei abbassò lo sguardo, colpita dalla verità di quelle parole. Non sembrava dispiaciuto, bensì deluso e amareggiato.

-          Lei ti ha raccontato come sono andate le cose, ha avuto fiducia nel tuo perdono… -

-          Non ce l’ho con lei. –

-          E allora perché non hai risposto alle sue chiamate? –

-          È che… non me la sentivo. –

-          Lo capisco, ma lei… -

-          Lei, lei, lei… sempre e solo lei! –

-          Sora? –

-          Ah, adesso però c’è anche Sora? –

-          Ma che ti prende? –

-          Mi prende che sono stufa marcia di tutto questo! Io sono buona e gentile con tutti e per risposta vengo presa a pesci in faccia! –

-          Rumiko non intendeva… -

-          LO SO! Ti ho già spiegato che non ce l’ho con lei! –

-          E allora con chi? –

-          Con voi ! -

-          Ti riferisci a me e Yamato? – chiese stupito.

-          Esatto, proprio a voi due! Uno mi tradisce con la mia amica e l’altro mi tratta come una scema! –

-          Lo sai che non è vero. Non ti ho mai trattata come una scema. –

-          Le tue continue attenzioni, anche il fatto che ora sei qui. Cos’è, pensi che non posso farcela da sola?! Beh, eccoti una notizia: ho diciotto anni, sono adulta e vaccinata e non ho bisogno di una balia! È umiliante! –

-          Ma abbiamo sempre… -

-          Svegliati, Tai! La gente cambia e cresce ! Io sono cresciuta ! E anche tu sarebbe ora che ti decidessi a crescere, Peter Pan! –

Scese un pesante silenzio.

-          Aspetterò che ti passi. – disse infine lui.

-          No, Tai, non mi passerà. –

-          Io non sono cambiato e non penso che lo farò mai. Perciò se ti venisse voglia di parlare con un vecchio amico, saprai dove trovarmi. – e uscì.

-          Ti sbagli, anche tu sei cresciuto. – sussurrò tra sé, una volta rimasta sola – Devi solo accettarlo. –

 

Era pomeriggio inoltrato e le strade del centro cominciavano ad essere affollate a causa delle compere di Natale, a cui mancavano solo due settimane. Eppure, nonostante la folla radunata davanti alle vetrine illuminate, Daisuke sembrava più entusiasta che mai. Ogni volta che intravedeva un bel vestito, trascinava l’amica nel negozio per farglielo provare.

All’inizio Rumiko aveva protestato energicamente, ma poi era stata contagiata dalla sua allegria. Ora passeggiava insieme al ragazzo, lasciandosi trascinare per la città.

-          Uao! Quello è proprio carino! Forza, provatelo! – e la spinse nell’ennesimo negozio – Signorina, vorremmo vedere quello nero in vetrina, per favore! –

Rumiko si chiuse la tendina del camerino alle spalle e indossò l’abito. Lanciò uno sguardo allo specchio e constatò che non era male: semplice e con le maniche a tre quarti, un po’ più aderente sul punto vita. Il materiale era morbido al tatto e scendeva liscio lungo i fianchi, fino alle ginocchia, con un piccolo spacco laterale.

Appena Daisuke la vide cominciò a girarle attorno, studiandola, come se qualcosa non gli andasse a genio.

-          Oh, ma le sta benissimo, signorina! Lo sa che ha proprio un bel fisico? – squittì subito la commessa.

-          Grazie. –

-          Dico sul serio! Il suo ragazzo è proprio fortunato! –

-          La ringrazio, ma noi non… -

-          Siete una coppia davvero carina! –

Rumiko non le rispose neppure, sapendo che presto avrebbe perso le staffe. Cominciava ad averne davvero abbastanza di quella trentenne petulante, che non voleva saperne di farsi i fatti suoi.

-          Ti sta molto bene, ma è troppo… scuro. – sancì alla fine il giovane.

-          Per forza, è nero! – sbottò lei.

-          È tempo di festa e il nero non mi è mai piaciuto! – sentenziò – Signorina, non è che lo avete anche di altri colori? –

-          Ma sì, certo! Mi segua che glieli faccio vedere! –

-          Tu resta qui, torno subito. – e si allontanò con la donna.

Dopo pochi minuti furono di ritorno e sul volto di Daisuke compariva un sorriso soddisfatto.

-          Questo ti starà d’incanto! – e le porse il vestito.

Lei distolse lo sguardo.

-          No. –

-          Dai, provalo, sono sicuro che ti starà benissimo! –

-          Non voglio, non mi piace. –

-          Però se lo provi… -

-          Su, non faccia i capricci! – si intromise la commessa di prima.

-          Ho detto che non voglio e non lo proverò. –

-          Dai, che il suo ragazzo ci rimarrà male! –

-          Non è il mio ragazzo. –

-          Ah, no? Beh, però sarebbe un peccato non provarlo neanche, non le pare? –

-          Decisamente no! –

-          Ma perché si ostina a… -

-          PERCHÉ É AZZURRO! –

-          Rumi… - le si avvicinò Daisuke, mentre la trentenne faceva un passo indietro sconvolta.

-          Ho litigato con Sora. –

-          Come? –

-          Ho litigato con Sora – ripeté – e l’azzurro è il suo colore. Non voglio… prendere qualcosa di suo, capisci? Non sarebbe giusto, le sta così bene… oh, ma che sto dicendo?! –

-          Senti, per il momento la cosa migliore è uscire di qua e andare a mettere qualcosa sotto i denti. –

-          Come? –

-          A me aiuta sempre! – si strinse nelle spalle.

Lei accennò un sorriso e andò a cambiarsi. Poi andarono a rifocillarsi.

 

-          E così avete litigato, eh? –

-          Già. –

Rumiko aveva ordinato una fetta di torta e un cappuccino, mentre Daisuke si era servito un vero e proprio pasto, sotto gli occhi stupefatti di lei. Come diavolo faceva ad ingozzarsi in quel modo alle 6 di sera?!

-          Il motivo? –

-          Diciamo che ho fatto una cosa che non avrei dovuto fare… -

-          Che tipo di cosa? –

-          Le ho praticamente rubato una cosa… anche se involontariamente. –

-          Le hai fregato qualcosa senza accorgertene? –

-          No, non gliel’ho rubata. L’ho attirata involontariamente e me ne sono accorta troppo tardi. –

-          Vai avanti. –

-          In quel momento ho pensato che non fosse giusto nei suoi confronti e così… -

-          Hai rifiutato questa… cosa. –

-          Esatto. Solo che poi mi sentivo… -

-          Uno schifo. -

-          Sì e non sapendo che fare… -

-          Gliel’hai detto. –

-          Ma che ti sto a raccontare se sai già tutto?! – scattò lei, nervosa.

-          In realtà non ne so nulla, te lo posso assicurare! Sono solo andato per intuizione! – si giustificò in fretta.

-          D’accordo, comunque ora lei lo sa e temo ci sia rimasta molto male. –

-          Come lo sai? –

-          Ieri sera ho tentato di chiamarla, ma la madre mi ha detto che le era salita la febbre e che non sarebbe andata a scuola. –

-          Brutto segno: lei non è mai assente. – commentò, per ricevere un’occhiata storta.

-          Grazie, così sì che mi aiuti! In ogni caso ho tentato di chiamarla, questa mattina. Le ho scritto delle mail sul cellulare e le ho lasciato ben 23 messaggi sulla segreteria di casa… –

-          Ma lei non ti ha richiamata. –

-          Esatto. È evidente che mi detesta e non posso certo darle torto, però… mi manca. –

-          E allora dove sta il problema? –

-          Come, dove sta il problema ?! Se ti ho appena finito di dire che…! –

-          Se le sei legata devi insistere, mi pare ovvio! Non vorrai gettare la spugna dopo il primo giorno, no? –

-          Sì, ma… -

-          Niente ma! È inutile stare a piangersi addosso! –

-          Non mi sto piangendo addosso! Sono solo realista… –

-          Non mi pare proprio. –

-          Che vorresti dire? –

-          Se ci è rimasta tanto male, è ovvio che le serva un po’ di tempo. Non so di voi altri, ma a me è stato insegnato che, quando un amico è in difficoltà, non lo si può abbandonare. –

-          Dici che dovrei riprovare? –

-          Ma certo! Invitala ad uscire, sono sicuro che le farà bene! –

-          E come fai a sapere che accetterà? –

-          Esperienza… - sorrise, esibendo un’aria saggia da persona vissuta.

Rumiko sorrise.

-          Va bene, ma ora non darti tante arie! –

-          Uffa, non posso mai godermi il mio momento di gloria! –

-          Non fare la vittima, o non ti permetterò mai più di trascinarmi per negozi. –

-          Vuoi dire che mi concedi un altro appuntamento? –

-          In fondo mi diverto a girare con te, perciò… -

-          Potremo passeggiare mano nella mano? –

-          No. –

-          Perché no? – piagnucolò lui.

-          Perché sei troppo piccolo per me e non voglio che la gente pensi che sono disperata. –

-          Ma la commessa diceva… -

-          Lascia perdere quella. –

-          Perché? A me stava simpatica! –

-          Solo perché continuava a farti complimenti. –

-          Non tutti me li fanno! Perché dovete togliermi i piccoli attimi di felicità? –

L’altra represse un risolino alla vista della sua espressione. Senza neanche accorgersene, quel pomeriggio era passato in fretta.

 

Una moto si allontanò dalla vetrata del bar. Il conducente nascosto dal casco era pensieroso. Aveva notato la coppia seduta al tavolino e si era accostato senza dare nell’occhio. Non poteva sentire la conversazione a causa del vetro, ma era stato attento alle loro espressioni. In particolare a quelle di lei.

L’aveva vista titubante, poi arrabbiata, sorpresa e un po’ scettica, sorridente, finta indifferente e infine mal celatamente allegra. Tutte manifestazioni che prima vedeva tutti i giorni e che ora osservava furtivamente. Al pensiero provò una fitta dolorosa al petto, ma la represse subito: non era più affar suo. L’aveva già fatta soffrire abbastanza, non era il caso di turbarla ancora.

Si fermò al semaforo rosso. Negli ultimi giorni aveva cominciato a capire qualcosa che solo dopo l’ultima litigata aveva potuto accertare: lei era fragile. Fingeva di esser forte, insofferente alle parole degli altri, sicura di sé e indipendente, ma in realtà non lo era affatto. Il suo spirito era delicato come vetro e rischiava di frantumarsi. Lui era quasi riuscito a spezzarla. Però non avrebbe rinunciato a guardarla, seppur da lontano. Perché lei era… bella. Quella sua fragilità la rendeva unica e… maledettamente bella. Quel gioco di luci e ombre celato nelle iridi viola lo attraevano, come una falena anelava alla fiamma di una lanterna.

Lentamente, nel suo cuore si faceva strada la consapevolezza che, per quanto si fosse ostinato, non avrebbe mai potuto opporsi al magnetismo che lei esercitava su di lui. Quel sentimento l’aveva colto di sorpresa e faticava a riconoscerlo, ma non dubitava che presto sarebbe riuscito a far chiarezza in se stesso. E, chissà, magari allora sarebbe stato pronto ad aiutarla sul serio, se lei ne avesse avuto bisogno.

La moto ripartì a tutta velocità: era scattato il verde, un brillante verde speranza.

 

 

 

Continua…

 

 

  
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