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Autore: Laylath    24/03/2014    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 46. Linee d’amore.


 
Era appena passata l’alba quando Angela entrò silenziosamente nella camera di Jean e si accostò al letto: sfiorò con dolcezza i capelli biondi ed arruffati e annuì nel sentire il respiro regolare del figlio, segno che il suo sonno non era stato disturbato dal dolore provocato dai lividi.
Era una sciocca a preoccuparsi, lo sapeva bene: Jean aveva la stessa robustezza del padre e sin da quando era piccolissimo era sempre stato un ricettacolo per lividi, sbucciature, tagli e quanto altro. Ma ogni volta tornava sempre da lei sporco, pesto e sorridente come a tranquillizzarla che anche questa volta non era successo niente di grave.
Ma, nonostante tutto, essere madre voleva dire anche sincerarsi sempre e comunque delle condizioni di un simile scalmanato e dunque ogni volta che era ferito o malato, non passava mattina in cui andava a controllare che dormisse sereno.
Jean si girò supino proprio in quel momento, aprendo le braccia in quella che Angela definiva posa ad aquilotto con la quale, da piccolo, monopolizzava il letto matrimoniale.
“Aquilotto mio – mormorò baciandolo in fronte – quanto sono pazza di te.”
Irruento, irascibile, scalmanato eppure sempre con il sorriso pronto e disposto ad aiutare gli altri: suo figlio era un concentrato di lei e James davvero incredibile. Mentre Janet era molto somigliante a lei, limitandosi ad avere i capelli e gli occhi del padre, Jean invece aveva mischiato i caratteri di entrambi: forse era per questo che Angela lo considerava davvero speciale.
Con un’ultima carezza alla chioma bionda, uscì dalla stanza ed andò a controllare che anche Janet dormisse pacificamente. E come non poteva? Eccetto le notti con i temporali, la bambina aveva il sonno facile e pesante: stava appallottolata su se stessa, con un pupazzo abbracciato ed i capelli biondi sparsi sul cuscino e sulle spalle. Come la madre le scostò una ciocca che era scivolata sulla guancia, mormorò qualcosa nel sonno e si leccò le labbra.
“Dormi, cucciola,– sussurrò, rimboccandole la coperta – è ancora presto.”
Finita quell’ispezione tornò nella camera matrimoniale, illuminata dalla discreta luce mattutina, lieta di potersi concedere ancora una mezz’ora di riposo prima di iniziare la giornata: la domenica ci si poteva concedere qualche momento di riposo in più.
“Il galletto sta bene?” chiese James ancora sdraiato, strizzandole l’occhio.
“E chi sta meglio di lui? – sorrise, sedendosi sul bordo del letto –  Dorme come un ghiro, occupando tutto lo spazio a disposizione. Anche l’altra pollastra è ancora nel mondo dei sogni e ha tutta l’intenzione di restarci. Ieri si sono scatenati entrambi, sebbene in modo diverso e… James!”
L’uomo interruppe il suo discorso afferrandola per la vita e trascinandola nel centro del materasso.
“Ciao, gallinella dalle piume arruffate – sorrise andando sopra di lei ed imprigionandola – ti ho mai detto che ti trovo estremamente eccitante quando metti in scena spettacoli come quello di ieri?”
“Stupido! – rise lei – Come se mi ci volesse chissà che cosa per mettere in riga quelle pettegole, eppure mi conosci bene James Havoc: ho messo in riga anche te.”
“Come quando mi hai dato un ceffone al nostro primo appuntamento?” scherzò lui, ma nel frattempo la sua mano iniziò a scendere sul seno della moglie.
“Più o meno – Angela rise ancora più forte a quel ricordo – … ma che fai?”
“Oh lo sai bene cosa faccio: del resto se ho resistito alle doti di seduttrice di Patricia Mott…”
“Ah, la mettiamo così?”
“Eh, proprio una vergogna quella donna che a sedici anni se l’è fatta con il fratello di Tom Derson, ma come si fa? Proprio non capisco come sia possibile...”
“Va bene, forse lì sono stata un po’ ipocrita, – ammise lei, senza però nessun rimpianto nello sguardo, anzi vi era notevole divertimento – mentre lei vagava come un’ape da un ragazzo all’altro noi a diciassette anni ci rotolavamo tra i sacchi di farina dell’emporio quando tuo padre non c’era. Ma sempre e solo con te, sei il primo e l’unico.”
“Ci mancherebbe altro. E se fossi rimasta incinta ti avrei sposato su due piedi, gallinella.”
“Era proprio destino: del resto tra galletto e gallinella ci si intende no?”
Le sue gambe, ben tornite come quando era ragazza, si mossero con abilità e si strinsero attorno alla vita del marito, la camicia da notte che si sollevava in maniera provocante fino ai fianchi.
“Siamo vogliose, Angela Astor, eh?” la voce di James sul suo orecchio la fece impazzire.
“Ti ricordo che Jean e Janet sono arrivati entrambi in seguito a divertimenti mattutini come questo… l’alba deve avere qualche effetto particolare su di noi” ma lo disse in un tono che incitava a continuare.
Del resto se arrivava un terzo pargolo non c’era alcun problema.
Più Havoc c’erano al mondo meglio era, ormai ne era convinta.
 
Rosie aprì gli occhi, infastidita da una ciocca di capelli che le pizzicava il naso.
Con un lieve soffio la allontanò, ma ormai il danno era fatto ed era sveglia: purtroppo per lei era una di quelle persone che difficilmente riescono a riaddormentarsi, tanto valeva alzarsi e iniziare a preparare la colazione.
Però è ancora troppo presto…
Si rotolò dall’altra parte e vide Vincent che ancora dormiva, supino come al solito, con un braccio sopra la testa. Con gentilezza allungò una mano e gli accarezzò la guancia, salendo fino ai capelli neri.
“Ehilà, capitano Falman?” chiamò con un sorriso divertito.
“Mh?” mugugnò lui, per niente abituato a simili sveglie.
“Buongiorno, tesoro mio – si accoccolò a lui, baciandolo sul collo e affondando il viso sulla sua spalla – sai che ti amo?”
“Eh? – Vincent aprì gli occhi – Che cosa ti succede?”
“Niente, semplicemente ti amo.”
Non era proprio vero che non stava accadendo niente: effettivamente dopo quanto era successo ieri si sentiva particolarmente… gioiosa? Lei e Vato in questo si assomigliavano tantissimo: si facevano coinvolgere dalla situazione e dalle persone attorno a loro; era uno dei motivi per cui non se l’era sentita di rimproverarlo troppo per quella rissa a cui aveva partecipato.
E poi era felice: finalmente aveva delle vere amiche, cosa che non le era mai successa in tutti quegli anni che viveva in quel paese. Insomma, conosceva molte persone e spesso ci parlava, la sua vita non era certo solitaria; tuttavia mancava quella complicità che invece aveva trovato in Ellie, Laura ed Angela. Adesso si davano anche del tu e si erano ripromesse di rivedersi molto spesso.
E questi avvenimenti avevano il potere di sovreccitarla come una ragazzina di tredici anni.
E, volente o nolente, suo marito veniva coinvolto in questo umore così vivace.
“Rosie… ehi!” il capitano arrossì vistosamente quando lei salì sul suo stomaco e gli si accoccolò sopra.
“Che c’è? Peso così tanto?” ridacchiò baciandolo sul mento.
“Non è questo – disse lui, ormai sveglio, cingendole la schiena con le braccia – ma che hai stamattina? Anzi da ieri sera.”
“Sono semplicemente felice: ieri mi sono divertita tanto, proprio come quando abbiamo partecipato a quella festicciola dagli Havoc.”
“Sai che quando fai così assomigli pericolosamente a tua sorella? Eppure io ti ho subito notata perché eri così diversa dalle altre, piccolo fiore, così timida e delicata… tutta da proteggere.”
“Ti dispiace tanto che sia così… uhm… vivace più del solito? E dai…”
Ed insinuò le mani sotto le coperte per andare a sollevare la parte superiore del pigiama del marito.
“Ehi! Piano… ssssh, ragazzina – la rovesciò di sotto – calmati un pochino e non… non arrossire in quel modo perché altrimenti…”
“Altrimenti?” mormorò lei, con sguardo languido.
“Altrimenti potrei non fermarmi.”
Rosie avrebbe potuto dare una risposta, ma preferì alzare il viso e baciare il marito con foga, passandogli le braccia attorno al collo e attirandolo a sé. Adorava quando Vincent l’amava in quel modo così improvviso e passionale.
“Oh sì, amore – sussurrò, arrossendo molto più vistosamente – amore...”
Sarebbe stato tutto perfetto se non fosse che in quel momento la porta si aprì con discrezione e…
“Mamm… Eh? Oh, ommiodio! Io… io…”
“Vato! – esclamò Rosie, mentre Vincent con un mossa rapida si scostava da lei – Tesoro, che c’è?”
“Io… volevo solo chiederti – annaspò il ragazzo rosso fino alla radice dei capelli – se… se l’impacco per il livido… scusate!” e chiuse con violenza la porta, sconvolto da quella scena incredibilmente imbarazzante.
“Cavolo! – borbottò Vincent, alzandosi in piedi – e che ci fa sveglio a quest’ora? In genere dobbiamo andare noi a chiamarlo.”
“Dev’essere il livido che gli fa male; povero fiocco di neve, lui… lui…” scoppiò a ridere.
“Che ci trovi di spassoso?”
“Sto ripensando al tuo gesto atletico, amore! – Rosie dovette riadagiarsi sui cuscini per quanto rideva – Sei stato troppo divertente, te lo giuro.”
“Sì, oggi decisamente assomigli a quella vipera di tua sorella, sempre pronta a fare battute e a prendermi in giro. Stamattina da piccolo fiore sei diventata piccola viperetta: la compagnia delle tue amiche ti fa uno strano effetto.”
“Oh, non mettere il broncio, capitano Vincent Falman – sorrise lei, alzandosi nel letto e cingendogli le braccia al collo – anche se hai sempre un grande fascino quando fai l’offeso. Ci parli tu o ci parlo io con il nostro traumatizzato figlio?”
“Vado io – sorrise lui, baciandola sul naso – ma il discorso di poco fa è solo rimandato a stanotte, capito?”
“Agli ordini.”
 
Quella mattina iniziata in maniera così particolare per alcuni e in modo più entusiasta per altri era una domenica di metà maggio.
Il mese di maggio in quel piccolo angolo di mondo è particolarmente amato, specialmente dai ragazzi: porta con sé le promesse di un’estate che sta quasi per giungere, il primo vero caldo che fa mettere definitivamente da parte le coperte e i vestiti pesanti. Quello che non si era ancora risvegliato ad aprile sboccia in tutto il suo splendore ed i campi diventano un tripudio di fiori e di insetti che invitano le persone a godersi la vita ed i suoi bellissimi colori primaverili.
Tutto questo era troppo romantico per passare nella mente di Jean mentre finiva di vestirsi e guardava con aria sfastidiata la bella giornata fuori dalla finestra. In occasioni normali non avrebbe esitato a catapultarsi fuori e iniziare una corsa perdifiato per sfogare ogni briciolo d’energia, ma questa domenica aveva un impegno del tutto particolare.
Scese in cucina e salutò sua madre.
“Mamma, io esco: non torno a pranzo, va bene? – disse in tono sbrigativo, cercando di non farsi prendere in trappola – ci vediamo stasera e non ti preoccupare: i lividi non fanno male.”
“Fermo lì, Jean – lo bloccò Angela, puntandogli il coltello con cui stava tagliando il pane contro – cosa devi combinare per tentare la fuga così di soppiatto?”
“Niente, te lo assicuro – scosse il capo lui – e non minacciarmi con quel coltello! Fai paura!”
“Andiamo, confessa signorino – la donna gli si portò davanti – qualche nuova rissa o guaio?”
“Devo… devo uscire con Rebecca. Sei contenta?” sbottò il ragazzo alzando gli occhi al soffitto con aria imbarazzata.
“Che? – Angela sgranò gli occhi castano chiaro e poi sorrise con malizia – Oh, tesoro, allora divertiti tanto con la tua amichetta. Ma ricordati bene…”
“Mamma…”
“Certe cose si fanno più avanti.”
“Mamma! Sei… sei completamente pazza! Sto solo uscendo con lei perché ha insistito tanto e mi sembrava brutto rifiutare – adesso era completamente rosso in viso – E comunque non dovresti dire queste cose: sei mia madre!
“Non penso di doverti spiegare come siete nati tu e Janet, vero?”
“Non voglio sentire altro! A stasera!”
Prese una ricorsa tale che casa sua scomparve in pochissimo tempo.
Solo quando fu a quella che riteneva distanza di sicurezza si fermò a riprendere fiato: sua madre aveva la tremenda facoltà di metterlo in imbarazzo, come se la situazione non fosse abbastanza difficile. Insomma, ci arrivava benissimo a capire che quello a cui stava andando era un appuntamento e questo voleva dire ammettere ufficialmente che tra lui e Rebecca c’era qualcosa.
Sospirando si avviò con passo più tranquillo per il sentiero, sperando che questa faccenda restasse privata, senza che si facessero troppi pettegolezzi in giro. Già bastavano le occhiate delle compagne di classe di Rebecca e Riza, ci mancava solo che questa ufficializzazione diventasse di pubblico dominio.
Per quanto riguardava i suoi amici, se doveva essere sincero, a parte qualche battutina di Roy ed Heymans, sembrava che tutti avessero accettato Rebecca nel gruppo e non proprio in quanto amica di Riza, ma in quanto sua…
… mia ragazza.
Quel pensiero gli fece salire un brivido lungo la schiena e deglutì rumorosamente.
Ammetterlo era il primo, tremendo passo in avanti verso il fidanzamento ufficiale e…
“Buongiorno, Jean!”
La voce di Rebecca lo riscosse da quei pensieri ed alzò lo sguardo, vedendola corrergli incontro.
Va bene… ammettiamolo, non è male. E’ carina.
Sì, lo era proprio con quella maglietta a righe che le stava un po’ larga e la gonna svolazzante. I capelli neri sembravano risplendere sotto il sole e le guance erano piacevolmente arrossate.
“Ciao…” salutò, mantenendo la sua aria sostenuta e cercando di dimenticare quei pensieri poco da lui.
“Pensa che sono arrivata in anticipo: è da un quarto d’ora che aspetto!”
“E perché l’hai fatto?”
“Ero troppo ansiosa! Non potevo stare a casa ad aspettare… oh, Jean, non sei emozionato?”
“Stiamo solo andando a fare un pranzo al sacco.”
“Già… il nostro primo appuntamento – arrossì lei, prendendolo a braccetto – che cosa fantastica.”
“Invece di ciarlare così direi che possiamo anche andare…” fece lui con aria rassegnata.
“Va bene, tesoro, recupero lo zaino ed arrivo: ho preparato un sacco di roba!”
“Non dovevi disturbarti troppo.”
“L’ho fatto con estremo piacere: ho fatto tanti tramezzini, una torta salata, una crostata e molto altro. Sono rimasta tutto la sera a cucinare.”
Jean sospirò, ma in fondo sembrava che un fantomatico primo appuntamento non comportasse niente di particolare: lui a mangiare era parecchio bravo e Rebecca ci sapeva fare ai fornelli. Tutto sommato poteva andare discretamente bene.
In barba a tutte le cavolate che ha detto mia madre.
 
Vato leggeva un libro nel piccolo stagno dove era solito andare l’estate scorsa e dove aveva fatto conoscenza con Kain. Era un posto che aveva la facoltà di farlo sentire calmo e tranquillo e ne aveva decisamente bisogno dopo quello che aveva, non proprio visto, ma intuito quella mattina presto.
Un buon motivo per non partecipare mai più ad una rissa: non avrai lividi che ti duoleranno così tanto da farti svegliare prima del dovuto e scoprire i tuoi genitori in atteggiamenti… poco consoni.
Insomma, sapeva come funzionava quella questione là e sapeva benissimo che i suo genitori lo facevano, come tutte le persone sposate, del resto. I figli si concepivano in questo modo e dunque non c’era niente di strano che sua madre e suo padre…
“E’ stata la cosa più imbarazzante di tutta la mia vita!” esclamò portandosi le mani alla testa e cercando di cacciare via quello che aveva intravisto (che poi non era nemmeno tanto considerato che erano entrambi sotto le coperte e vestiti).
Come se non bastasse suo padre era andato in camera sua per cercare di calmarlo.
“Figliolo non è niente di cui ti debba preoccupare…”
“Giuro che volevo solo chiedere alla mamma l’impacco per il livido! Non volevo disturbare mentre… mentre… oh cavolo!”
“Vato è una cosa che…”
“Non è il caso che dica niente: insomma ho letto tutto sulla riproduzione nel libro di scienze, papà. La teoria dell’atto riproduttivo, con le differenze tra organi maschili e femminili… mi… mi sto sentendo veramente in imbarazzo a pensare queste cose di te e mamma! Ommiodio che ho appena detto!?”
“Non impanicarti!”
Insomma era uscito di casa non appena aveva potuto e sperava di trovare il coraggio di rientrare in condizioni relativamente normali, o per lo meno in grado di guardare i suoi in faccia senza arrossire.
“Ah, ecco dov’eri! – la voce di Elisa lo riscosse – Non c’eri a casa e ti ho cercato ovunque. Meno male che mi sono ricordata del tuo piccolo rifugio.”
“Ciao Eli – salutò, mentre lei gli si sedeva accanto e gli dava un piccolo bacio sulle labbra – scusami sono sparito.”
“E’ una così bella domenica, pensavo che saresti voluto uscire a fare una passeggiata. Però quando non sei venuto a casa ho pensato che era successo qualcosa e… ma che hai? Le conseguenze della rissa di ieri si fanno sentire? Però mi sembra che il livido non sia peggiorato, anzi.”
“Magari fosse il livido: stamane presto ho aperto la porta di camera dei miei. Volevo svegliare la mamma per chiederle l’impacco per il livido e invece erano svegli entrambi.”
“Oh, e allora?”
“Ecco stavano per… tu sai come nascono i bambini, no?”
“Ah, stavano per fare l’amore.”
“Come puoi dirlo con tanta semplicità? – si sconvolse lui – Non sono dettagli dei miei genitori a cui voglio pensare!”
“Beh, lo credo bene. Ma presumo che tu sappia che loro lo fanno… così come i miei e tutti gli altri genitori. E’ stato solo imbarazzante, ma non ne devi fare una tragedia.”
“No?”
“Beh – Elisa si accoccolò alla sua spalla – ti ricordi alla festa a casa degli Havoc? Ci siamo detti che è presto, ma prima o poi anche noi lo faremo, no?”
Lui si irrigidì e arrossì fino alla radice dei capelli, mentre il cuore iniziava a battergli a mille. I suoi ricordi lasciarono la visione dei suoi genitori per andare a quella di Elisa così bella e desiderabile e a quella sensazione di morbido che aveva provato nel toccare il suo seno.
“Certo che lo faremo – ammise, girandosi verso di lei – è che…”
E’ che lei aveva gli occhi socchiusi così come le labbra ed era immensamente bella sotto il sole di maggio.
“Accidenti, Vato Falman – mormorò – quel livido sotto la guancia ti dona parecchio…”
Da lì a baciarsi passò un secondo e poco dopo erano sdraiati su quel piccolo ponte abbracciati l’uno all’altra, il libro ormai dimenticato di lato, con una libellula posata sopra la copertina rigida.
 
“Allora, pulcino, va bene la fasciatura? Vuoi che la stringa di più?”
“No, mamma, va bene così – sorrise Kain, muovendo il braccio destro finalmente libero dal gesso – finalmente! E’ fantastico avere di nuovo entrambe le braccia a disposizione.”
“Sì, ma ricordati che per questi primi giorni non devi esagerare coi movimenti e… Kain!”
“Il primo abbraccio doveva essere per te! – dichiarò il bambino, stringendo le braccia attorno al collo di Ellie, ignorando l’ovvio fastidio nel piegare per la prima volta l’arto dopo tanto tempo – Mamma, ti ho mai detto che sei la più bella del mondo?”
“Ripetimelo di nuovo, avanti – Ellie lo strinse come finalmente voleva, senza correre il rischio di fargli male – dimmi quanto bene mi vuoi, hai cinque secondi per farlo prima che ti riempia di baci.”
“Infinito bene all’ennesima potenza – rise Kain precedendola nel darle un entusiasta bacio sulle labbra – è incalcolabile come gli elettroni che ci sono nel mondo!”
“Tesoro sei bellissimo quando dici queste cose alla tua mamma – Ellie quasi si commosse nel vederlo così vivace e desideroso delle sue attenzioni – Quasi quasi mi dispiace che tu torni nel tuo lettino da stasera: avrei tutta l’intenzione di imprigionarti qui per tanto tempo ancora.”
“Oh, dai, le coccole me le puoi fare sempre – tornando a cingerle il collo con le braccia si buttò indietro nei cuscini – voglio tutte le coccole del mondo stamattina, ti prego.”
“Va bene, è deciso – dichiarò Ellie con serietà – tu sei sequestrato fino a prossimo ordine. E adesso preparati, Kain Fury, sta arrivando lo spiritello del solletico!”
“No quello no!” scoppiò a ridere il bambino.
Andrew sentendo quelle risate dal piano di sotto scosse la testa con indulgenza e pensò che un’ondata di allegria simile voleva significare che suo figlio stava decisamente bene. La liberazione dal gesso, qualche ora prima, l’aveva reso estremamente felice e sembrava che lui ed Ellie si volessero godere quei momenti di armonia. Sua moglie era tornata splendente dopo quelle settimane di dura prova e sembrava pronta ad affrontare il viaggio ad East City, organizzato per la settimana che stava per iniziare, e le visite alla gamba di Kain.
Andrà tutto bene, ne sono certo. Questo momento di felicità è destinato a durare.
E forse era anche il momento di recuperare un qualcosa che avrebbe voluto fare quasi un mese prima.
Ma era meglio aspettare la notte.
 
“Vuoi un’altra fetta di crostata?”
“No, se ne prendo ancora esplodo – dichiarò Jean con soddisfazione, sdraiandosi nell’erba con le braccia dietro la schiena – ma ti giuro che era tutto buonissimo. Sono pieno come un uovo.”
“Sono felice che ti sia piaciuto tutto – batté le mani Rebecca, mettendo via i resti del loro pranzo al sacco – Aspetta, adesso la coperta che abbiamo usato come tovaglia la possiamo usare per sdraiarci, così non ti sporchi la maglietta con l’erba.”
“Va bene.” acconsentì lui alzandosi e aiutandola a scuotere la coperta per liberarla dalle briciole. Poi la stesero sull’erba e si sdraiarono a godere del caldo sole di maggio. Solo dopo qualche minuto di silenzio Jean si accorse che lui e Rebecca erano davvero vicini, anche se non si toccavano: lanciò un’occhiata di sbieco e vide che lei era ad occhi chiusi, un sorriso rilassato sulle labbra e le guance piacevolmente rosate.
“Dormi?” le chiese.
“Quasi – ammise lei – forse abbiamo mangiato troppo.”
“Perché hai scelto me?” le domandò con sincera curiosità. E la vide aprire gli occhi scuri per poi girare il viso verso di lui.
“Perché a parer mio sei il ragazzo più bello di tutte le scuole superiori – dichiarò con quell’entusiasmo privo di timidezza tipico di lei – insomma guardati, sei alto, biondo, con occhi azzurri fantastici: sembri uno di quarta superiore almeno, altro che seconda! E poi hai dei muscoli da paura! E quando hai dei lividi per qualche rissa sei veramente spettacolare… e poi il tuo sorriso è fantastico, anche se con me non lo fai mai o quasi mai…”
“Davvero le ragazze notano tutti questi dettagli assurdi?” Jean sgranò gli occhi, non riuscendo a credere che Rebecca gli avesse fatto un esame così accurato.
“Certamente! – annuì lei – Perché voi maschi no? Io per esempio ho deciso che eri il più bello sin dalla seconda media, quando tu eri in terza… e sono così felice. Sai, sicuramente l’anno prossimo anche altre ragazze inizieranno a ronzarti attorno, ma tu ormai sei solo mio.”
“Ehi, piano con queste idee di possesso!” protestò lui.
“Beh, stiamo uscendo insieme, no? Scusa… ti dispiace così tanto stare con me?”
Lo chiese con un tono di voce tale che Jean fu costretto a deglutire: ecco la trappola.
Se le diceva di sì si offendeva, ma se le diceva di no…
“Non è così male come sembrava all’inizio, va bene come risposta?”
Dai, in fondo mi pare un buon compromesso: insomma, è carina, cucina bene, è persino simpatica quando non fa la scontrosa. Certo, avesse evitato di obbligarmi a quel primo bacio…
“Sì, mi va bene come risposta, per adesso – sorrise lei, prendendogli la mano – Uh guarda, quella nuvola sembra tanto una fetta della crostata che ho fatto!”
“No, più un tramezzino.”
E le loro mani non si lasciarono.
 
“Va bene, puoi… puoi sbottonarmi la camicetta, se ti va… però solo quella.”
Elisa avvampò nel fare quella concessione e anche Vato deglutì rumorosamente. Ma era ormai impossibile restare abbracciati su quel ponticello nascosto dal canneto e coccolarsi senza osare qualcosa in più.
“Posso davvero?” sussurrò, portando le mani al primo bottone.
Quei sette bottoni gli parvero settemila e tutti incredibilmente ostinati, ma forse dipendeva dalle sue dita che tremavano vistosamente mentre procedeva verso il basso. La pelle del ventre di lei era candida, al contrario di quella del viso e delle braccia, leggermente abbronzata dalle prime vere giornate di sole.
E andando sopra c’era…
“Il… il reggiseno no, va bene?”
“C… certo – la mano di Vato accarezzò quella schiena così delicata, sentendo all’improvviso la pelle d’oca di lei. Però non poté fare a meno di salire verso quella stoffa e poi sul davanti – ti… ti dispiace molto se… se…”
“No… puoi.” lei chiuse gli occhi con un sospiro
Ed era qualcosa di estremamente morbido, proprio come se lo ricordava.
“Oh Eli – sussurrò prima di baciarla – non hai idea di quanto ti amo.”
Che avevano fatto i suoi genitori quella mattina? Non se lo ricordava nemmeno.
 
Qualche ora dopo Laura era in camera sua e stava seduta sulla sponda del letto a ricucire lo strappo di una camicia, quando Heymans entrò di corsa con aria estremamente sconvolta.
“Ma come hai potuto?” esclamò tenendo in mano un foglio.
“Cosa? – chiese lei perplessa – Attento che ci sono degli aghi sul letto.”
“Che cosa importa? Mamma, come hai potuto farmi una cosa così imbarazzante?”
“Vuoi spiegarti, tesoro?”
“Guarda! Guarda questa lettera!”
“Ma che cos’è? – chiese Laura posando la camicia e prendendo il foglio in mano – Ah, una delle lettere che avevo mandato ad Henry quando era al fronte. Stavi leggendo la corrispondenza che ci siamo scambiati io, lui ed Andrew… è vero che te l’ha data perché eri così curioso.”
“Quarta riga – scosse il capo lui – mamma, come hai potuto scrivere una cosa del genere a mio zio?!”
“Che cosa avrei scritto di tanto… oh, questo. Ma dai, non mi pare il caso di farne un dramma: avevi un mese circa ed eri…”
Un grosso e grasso pupo spupazzabile?! – Heymans inorridì nel pronunciare a voce alta quelle parole così umilianti, mentre l’immagine di suo zio che leggeva la lettera ad alta voce davanti a tutto l’esercito lo travolgeva – Ma perché?!”
“Perché all’epoca ti consideravo il mio grosso e grasso pupo spupazzabile, tutto qui – sorrise Laura con semplicità – ad un mese pesavi già sei chili, eri raddoppiato. E mi ricordavi tanto un pupazzo che avevo da bambina, ecco perché eri spupazzabile… era un termine inventato da piccola. Tesoro, guarda che è normale dare dei soprannomi quando si è piccoli. Se non ricordo male Ellie ti chiamava leoncino per i tuoi capelli rossi.”
“Quello è più accettabile! Ma io… io non sono…”
“Grosso e grasso?” chiese Laura con aria significativa, allungando una mano per prendergli tra le dita un po’ di pancia.
“E’ preferibile robusto o ben sviluppato!” arrossì lui, alzando gli occhi al soffitto e ignorando quel dettaglio.
“Spupazzabile? Forza, vieni qua, proprio davanti a me.”
Heymans eseguì l’ordine, mettendosi a braccia conserte davanti a Laura, come a chiederle che cosa mai potesse trovare di spupazzabile in lui.
“Mi dispiace deluderti – disse lei dopo qualche secondo in cui lo squadrò con attenzione – ma ti considero ancora altamente spupazzabile. Forza, fatti abbracciare!” e con una rapidità invidiabile lo afferrò stringendoselo al petto.
“Mamma! – protestò lui, davanti a quelle coccole così poco dignitose – Ho quattordici anni, quasi quindici!”
“Ma certo, mio grosso e grasso pupo spupazzabile!” rise lei, baciandolo sulle guance.
“Dimenticati quel nomignolo, ti prego! Ecco, lo senti? Bussano alla porta! Liberami che vado!”
Con un ultimo bacio Laura lo liberò dalla sua presa possessiva e lo lasciò correre al piano di sotto.
Maledizione… che umiliazione! Ma perché… un grosso e grasso pupo spupazzabile! Non è vero!
Come aprì l’uscio, cercando di ritrovare un minimo di dignità e compostezza, si trovò davanti uno sconvolto Jean che, senza nemmeno salutarlo, entrò in casa.
“E’ successa una cosa tremenda!” esclamò prendendolo per il braccio.
“Eh? Ma che dici?” Heymans notò l’espressione stravolta e si chiese cosa potesse esser andato male nell’appuntamento con Rebecca.
“Insomma, non era per niente calcolato che succedesse una cosa simile! – Jean iniziò a camminare avanti ed indietro per il salotto, come un animale in trappola – Eppure non c’era alcun motivo, sembrava che fosse tutto in regola: abbiamo mangiato, chiacchierato… era tutto perfetto.”
“Ma?”
“E’ successo quando l’ho riaccompagnata in paese! – Jean corse davanti a lui e gli afferrò il braccio – Mi sembrava scorretto farla tornare da sola a casa, anche perché le stavo portando lo zaino con tutta la roba. E poi il dramma! Non capisco perché l’ho fatto… io devo stare male, sul serio. Guardami, mi trovi diverso? Non aver paura di dirmi la verità.”
“Mi sembri più matto del solito! – lo scostò Heymans con impazienza – Insomma che è accaduto?”
“Eravamo davanti a casa sua, ci siamo salutati: insomma io dovevo solo girare le spalle e andare via… l’ho baciata!”
“Uh…” Heymans non seppe dire altro.
“Capisci? Non lei che bacia me o mi obbliga… ma io! Io!”
“Beh, vuol dire che ti piace: del resto se uscite insieme un minimo deve piacerti.”
“Sì, ma non pensavo che… insomma non era nelle mie intenzioni di darle un bacio. Sulle labbra, capisci? Non sulle guance o sulla fronte.”
“E lei?”
“Beh… lei… lei è rimasta ferma. Che doveva fare? E sai qual è la cosa peggiore in tutto questo?”
“No, illuminami.”
“Che mi è piaciuto!”
Sì, era proprio una tragedia.
 
E così, quella giornata terminò con quelle nuove e strane scoperte sull’amore e sugli effetti che la primavera faceva alle persone: Vato riuscì a guardare in faccia i suoi genitori, ma le sue guance erano lievemente rosse per un altro motivo; lo stravolgimento di Jean per il suo secondo bacio fece in parte dimenticare ad Heymans le sue imbarazzanti scoperte.
Insomma tutto procedeva secondo le regole della crescita.
“Dorme?” chiese Andrew, quando Ellie rientrò in camera matrimoniale, così strana ora che Kain non c’era più nel letto.
“Come un ghiro – annuì lei – senza quel gesso al braccio va decisamente meglio. Adesso non ci resta che partire per East City e vedere che diranno sulla gamba.”
“Andrà tutto bene, meraviglia – Andrew la abbracciò – però, adesso vorrei pensare un po’ a te.”
“Mh?”
“Con lieve ritardo, ma… auguri di buon compleanno e di buon anniversario, vita mia.” e le porse una scatolina foderata di velluto.
“Oh, Andrew – arrossì lei, aprendola – non dovevi e… ma questi sono quegli orecchini che avevo visto quando siamo andati ad East City a gennaio! Me li hai comprati…”
“Li tenevo da parte da mesi, sciocchina. Credi che non avessi visto come ti brillavano gli occhi davanti a quella vetrina? Anima mia, come posso ringraziarti per tutti questi anni assieme? Per il meraviglioso figlio che mi hai dato? Per ogni secondo che passi accanto a me?”
“Baciami – sussurrò lei, cingendogli le braccia al collo – baciami ed amami come solo tu sai fare, Andrew Fury: questa notte è solo per noi due.”
E lo fu davvero.





I bellissimi disegni sono di Mary_
^_^
  
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