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Autore: Rexam    25/03/2014    1 recensioni
Quando Matthew si svegliò aveva la vista distorta ed era confuso. Era steso a terra, faccia in giù, senza forze, quasi privo di coscienza. Il suo corpo era rigido come un gigantesco tronco di legno. Le ossa gli dolevano e non riusciva a sentirsi le gambe. Riposava su una superficie calda e soffice. Non avrebbe saputo dire a cosa somigliasse quella sensazione. Era così familiare, ma anche così distante. Forse perché la sua testa ancora rimbombava di strani rumori immaginari. Percepiva i raggi del sole sulla sua pelle. Il suo respiro era regolare. Nonostante tutto, era felice di scoprirsi vivo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6: Questa non è un’isola!

Il gioco di prestigio è una cosa onesta perché è chiaro
 in anticipo che la realtà è diversa da quella che appare.

Matthew, in quell’istante, non riusciva a credere ai suoi occhi. Dopo aver incontrato quel “Collezionista di Farfalle”, aveva camminato per ore nella jungla, protetto per mezzo di tralicci naturali dal caldo torrido di quelle bollenti ore pomeridiane, fino a trovare un’uscita. Si era mosso peregrino, intontito, senza una meta. Stranito. Andando avanti per inerzia. Era più il suo spirito che il suo corpo ad essere dolorante. Non riusciva a capire se fosse il mondo ad essere impazzito e lui l’unico ad essere ancora sano di mente oppure il contrario. Sta di fatto che, in quel momento, aveva gli occhi sgranati ancora una volta. Di fronte a lui, in una verde pianura al di fuori della selva, si ergeva un accampamento indiano. Sereno. Incontaminato.
L’accampamento comprendeva alcune tende bianche, di forma conica, fatte con una copertura di pelli o tele. Matthew le conosceva. Erano delle teepee, le stesse che usavano i nativi americani nelle Grandi Pianure. Erano disposte in un cerchio e al centro, vicino ad un piccolo falò, campeggiava un gigantesco totem. Questo era finemente decorato in modo da raffigurare più totem sovrapposti. Le due sculture alla base e al centro erano amorfe, ma ricordavano vagamente alcuni visi umanoidi. La parte alta, invece, era più complessa. Riproduceva un gigantesco uccello, forse un condor, con la testa nera e un becco rosso sporgente in avanti. Ai lati spalancava due grandi ali viola, le cui piume erano dipinte con un vivido colore marrone. Lo sguardo disegnato sembrava crudele e malvagio. Come se quel totem fosse stato messo lì apposta per giudicare tutti i membri dell’accampamento, senza distinzione.
Matthew era senza parole dallo stupore e dalla bellezza di quel luogo. In quella valle, regnava un silenzio irritante. Non c’era anima viva. O almeno così sembrava. Dai teepee non giungeva alcun rumore, ma, nonostante questo, il fuoco era acceso, quindi doveva esserci qualcuno.
«Sei arrivato giusto in tempo, ho appena acceso il falò.»
Una voce limpida e penetrante, sottile, che Matthew già conosceva. Da una delle tende, spuntò fuori un ragazzo dalla pelle scura, un gilet azzurro, dreadlocks per capelli. Nathan. Si avvicinarono finché non riuscirono a guardarsi negli occhi mantenendo comunque una certa distanza. Una freddezza emotiva. Matthew non sapeva cosa dire.
«Ti è piaciuta la foresta?», disse Nathan.
Aveva parlato con il tono più tranquillo di questo mondo. Come se fosse una cosa normale. Come se si stesse informando sulle previsioni meteo. Come se intendesse “piaciuta la passeggiata?”.
«Si può sapere chi diavolo sei? Cos’è questo posto?», disse Matthew, in un eccesso d’ira, «E chi è quel tipo strano che si aggira nella foresta?». Era rosso in viso. Voleva delle spiegazioni. Troppe cose non avevano senso e Matthew era sicuro che Nathan conoscesse una risposta precisa a tutte le sue domande.
«Hai incontrato qualcuno?», chiese Nathan, sinceramente curioso.
«Non fingere di non saperlo! Quel vecchio delirava! Ha detto che stava cercando il Brucaliffo, o qualcosa del genere. Tu devi sapere cosa significa!!», fece una pausa, poi riprese, più spedito di prima, «E i conigli poi? Che ruolo giocano in tutto questo? Insomma, cos’è quest’isola?»
Nathan si fece scuro in viso. Abbassò lo sguardo e poi parlò, molto lentamente.
«Questa non è un’isola, Matthew. Non è un’isola. La persona che hai incontrato e quelle che incontrerai... ascoltale attentamente, ma non fidarti di loro. È solo un trucco! Cercheranno di ingannarti.»
«E questo cosa vorrebbe significare?»
Nathan sorrise.
«Rispondi a questa domanda, Matthew. Nel profondo del tuo cuore, quando hai incontrato quel vecchio di cui parli, quando hai visto i conigli di cui racconti, hai sentito una scossa, non è vero? Una sensazione di familiarità, un dejà vu?»
Matthew rimase profondamente colpito da quelle parole. Lo aveva negato a se stesso per tutto il giorno, ma ciò che diceva Nathan era vero. Assolutamente vero. Non sapeva come spiegarlo. Era una sorta di nostalgia quella che aveva provato, mista a tristezza. Un sentimento alienante.
Nathan capì che aveva fatto centro, e sorrise.
«Ti ho lasciato della carne sul fuoco. Sarai affamato, presumo. Ti consiglio di riposarti bene. Ti aspetta un viaggio lungo e faticoso. Una scalata non indifferente, in effetti», e detto questo fece dietro front, allontanandosi nella vasta pianura, lontano dall’accampamento. Matthew provò a richiamarlo, a urlare con quanto fiato avesse in gola, a chiedere spiegazioni. Ma lui era già sparito. Un puntino all’orizzonte. L’unica cosa che credette di sentire fu una frase enigmatica: “Lasciati andare. Lasciati andare.”
Il ragazzo dai capelli ricci si avvicinò al falò per riscaldarsi e si accorse di non vederci più dalla fame. Era stanco. Per la faticosa giornata. Per gli eventi passati. Perché si sentiva solo. Mangiò quello che Nathan gli aveva conservato, e si dissetò con dell’acqua contenuta in una borraccia poco distante.
Ripensò a Nathan. Per la seconda volta, lo aveva aiutato. E Matthew non aveva la più pallida idea del perché.
  
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