PART THIRTEEN –
“DEITY’S CHARM”
“Ragazzina.” disse Cologne. “Ti vedo molto attratta da quel medaglione.
E’ un male.”
“Quel” balbettò Ranma-chan “quel medaglione – io l’ho già visto.”
“Cosa?!” esclamò la vecchia, preoccupatasi d’un tratto.
“Non può essere!” disse la guida. “Lo tenevo da vent’anni sotto mia custodia, e
nessuno ci si è mai potuto nemmeno avvicinare.”
“Invece vi dico che l’ho visto!” replicò seccata la rossa. “Appeso al collo di
uno strano tipo che afferma di chiamarsi Shingo.”
“Vuoi dire… che qualcuno si sarebbe impadronito del medaglione sacro?” chiese
Obaba.
“Ma se sta qui, davanti nostri occhi!” protestò ancora l’omino cinese tutto
vestito di verde. “E’ oggetto coperto dal mistero, nessun mortale deve sapere
che si tratta del leggendario accessorio che permette di annullare maledizione
di Sorgenti Maledette.”
“Zitto, idiota!” tuonò, troppo tardi, la vecchia.
“Ehm, scusa.”
“Sarebbe così che avresti mantenuto il segreto, in questi ultimi venti anni?!…
Per fortuna che la cosa non riguarda affatto questa mocciosa.”
“Beh, ecco…” sorrise nervosamente la guida. Dopodichè, versò sopra la fanciulla
col codino il tè appena preparato.
“Aah, è bollente!” gridò una voce dal timbro virile.
“Giusto cielo!” sbuffò Obaba. “Fammi indovinare, una vittima della Niang
Nichuan?”
“Proprio così, vecchia!” disse Ranma, tornato uomo ed eccitato dalla felice
novità. “Fatemi capire, voi due, se indosso il medaglione non mi trasformerò
più in una ragazza?”
“Impudente!” Cologne lo picchiò col lungo bastone. “Ho già detto che è un male,
che tu sia attratto da quel medaglione.”
“Perché? Spiegati, almeno!”
“E sia.” disse la vecchia. “Quello che vedi è il leggendario Tai-ma no Mamori.”
“Tai-ma no Mamori.” ripeté meccanicamente Ranma.
“Esatto, il Talismano dello Spazio-Tempo. Il mito di cui è oggetto risale ai
primordi della civiltà, tanto che quasi tutti ne hanno perduto memoria.”
“Ma non tu: giusto, vecchia?” sorrise Saotome.
“Non interrompermi!” lo rimproverò Obaba. “Secondo la leggenda, in un tempo
remotissimo gli uomini godevano della protezione delle divinità. Queste ultime,
antropomorfe, erano per la maggior parte benigne, fautrici dell’Ordine, e
cercavano di favorire in ogni modo i loro compagni mortali.
L’immortalità, però, fa perdere il senso della misura. Cagiona noia. E alcune
divinità, tentando di sconfiggere la noia, si facevano beffarde e davano
continui fastidi. Si professavano, inoltre, adoratrici del Caos, di gran lunga
più divertente ed eccitante. Detestavano gli uomini perché fu proprio per
avvicinarsi ad essi, che gli dei scelsero di preferire l’Ordine al Caos primigenio.
Una di loro, di nome Muchitsujo, il signore di quel Caos primigenio, creò per
suo puro diletto il luogo maledetto di Zhou Chuan Xiang: nella tua
lingua, Jusenkyo.”
Obaba prese un largo respiro.
“Le fonti avevano il potere di memorizzare l’aspetto di chi vi cadeva dentro
per la prima volta. Poteva trattarsi di creature animali, esseri umani o
addirittura altre divinità: pure queste soggette alla maledizione di
Muchitsujo.” Mentre Cologne narrava, Ranma ripensò istintivamente alla sua
esperienza con Rouge, la quale si era bagnata nella Asuranichuan,
trasformandosi nel dio guerriero indiano Asura. “Quello che avevano in comune,
è che venivano tutti attirati in quella zona dal beffardo incantesimo del dio:
infine, chi si immergeva successivamente nelle fonti, assumeva – ed assume
ancora oggi – le sembianze a suo tempo memorizzate. Tutto chiaro, fin qui?”
Ranma annuì.
“Ora, avvenne che una delle divinità dell’Ordine, Saitoki, figlio del sommo
Ryuukei, che era a sua volta il leggendario signore del Tempo e dello Spazio,
divenne curioso di conoscere più a fondo la condizione mortale degli esseri
umani che proteggeva assieme agli altri membri della sua stirpe celeste. Fu
così che decise di scendere sulla terra e vivere per un certo periodo di tempo
nei loro villaggi. Per fare ciò, dovette reprimere la propria natura divina, la
cui vista avrebbe folgorato all’istante lo sventurato mortale che vi si fosse
imbattuto, e assumere le sembianze di un giovane umile pastore.
Passarono gli anni e Saitoki peregrinò di villaggio in villaggio, cercando di
apprendere sempre nuove cose riguardo ai suoi protetti. Conobbe popoli dalle
ben misere condizioni di vita, costretti ad affrontare ogni giorno presente una
dura lotta con gli elementi della natura per poter guardare al giorno
successivo: eppure andavano avanti, nonostante la loro così infelice condizione
e, innanzitutto, nonostante la loro mortalità. Cosa dava loro la forza, di
vivere con tanta intensità quel poco tempo, e così sofferto, che avevano a
disposizione? Saitoki meditò su come aiutare concretamente gli umani, cercando
allo stesso tempo di carpire il segreto della loro condizione. Questo si mostrò
una cosa ardua. Saitoki meditava, e gli anni divennero lustri. Saitoki, che di
tempo ne aveva infinito davanti a sé, si spostava incurante di zona in zona,
all’incessante ricerca della soluzione. E i lustri divennero decenni. E i
decenni, secoli. E i secoli…”
“Abbiamo capito!” la interruppe Ranma. “Ma quand’è che arrivi al sodo?!
Soprattutto, cosa c’entra questa storiella con i poteri del medaglione?!”
“Ci stavo arrivando!” Cologne lo premiò, per la sua interruzione, con una
seconda bastonata sul capo. “Dicevo, il tempo trascorreva inesorabile e le
generazioni di uomini si succedevano l’una all’altra. Mentre il dio, al
contrario, rimaneva sempre giovane grazie alla sua immortalità.
Un giorno, all’incirca mille anni or sono, portando il gregge a pascolare lungo
dei campi accoglienti e fioriti, Saitoki udì una voce soave, trasportata a
grandissima distanza dalle correnti del vento. Decise di seguire il percorso
formato da quella melodia e di individuare la persona da cui provenisse. Fu
così che si trovò davanti ad una bellissima fanciulla, dai tratti leggiadri e
gentili. Estasiato dalla bellezza della ragazza, e dalla purezza che pareva da
lei manifestarsi come il calore trasportato dai biondi raggi del sole
mattutino, rimase letteralmente senza fiato: e, per la prima volta nella sua
pur lunghissima esistenza, gli parve di essere sul punto di perdere il
controllo dei propri poteri. Si trattò, come si suol dire, di amore a prima
vista. Lui la guardava, senza proferire parola. Lei lo guardò a sua volta, e
gli sorrise. Lui rispose a quel sorriso.
Si scosse, infine, e riuscì a chiederle il nome. Lei disse di chiamarsi Pyu-ha.
In breve Saitoki scoprì che Pyu-ha era pure lei una pastorella, proveniente da
un vicino villaggio dei dintorni. Si offrì di accompagnare Saitoki, stanco e
affamato dopo il suo lungo peregrinare, al proprio villaggio, dove lui avrebbe
potuto riprendersi dalle sue fatiche. Saitoki non lasciò più quel villaggio.
Presto i due si ritrovarono a portare insieme i loro capi di bestiame a
pascolare. Era evidente che anche Pyu-ha aveva un debole per Saitoki.
Qui sorsero i problemi. Quando Saitoki si trovava vicino all’amata, mille
emozioni lo travolgevano e rischiava sempre di perdere il controllo e
dissimulare il proprio travestimento umano. Ma non poteva assolutamente
rivelarsi a lei. Sapeva infatti che, se avesse finito per mostrarle il suo vero
aspetto divino, la fanciulla sarebbe rimasta folgorata e sarebbe morta
all’istante: non potendo la natura umana reggere la vista di un’entità
superiore, come già detto. Per il bene di Pyu-ha, il povero Saitoki aveva
capito che sarebbe dovuto andare via, molto lontano da lei.
Una notte come tante, fece i bagagli e lasciò definitivamente il villaggio di
Pyu-ha, senza nemmeno trovare il coraggio di congedarsi da lei. Cosa avrebbe
potuto dirle? Come avrebbe potuto spiegarle? Riprese a viaggiare... Triste e
sconsolato, Saitoki vagava senza meta tentando vanamente di seppellire
nell’oblio le sue pene d’amore. Ma il tempo, adesso, passava per lui
lento come mai. Ed invece di cancellargli i ricordi, glieli rendeva, se
possibile, ancora più amari.
Saitoki giunse infine a Zhou Chuan Xiang, intenzionato a porre fine ai
suoi tormenti buttandosi in una pozza ancora pura: era a conoscenza
dell’incantesimo di Muchitsujo, sapeva dunque che anche le divinità potevano
annegare nelle Sorgenti di Jusen o comunque cadere vittime della loro maledizione.
Avrebbe ottenuto l’oblio, in un modo o nell’altro.
“Addio, mia piccola dolce Pyu-ha!” sospirò, prima di lasciarsi andare
alle gelide acque. Un braccio lo trattenne.
“Fermo, Saitoki!” pronunciò una voce soprannaturale; il dio si voltò e
poté riconoscere Muchitsujo in persona. “Ho seguito la tua vicenda, e ti
dico che non risolverai così i tuoi problemi. Non vedi che quella ragazza
ricambia i tuoi sentimenti? Non pensi a quanto sta soffrendo, ora che sei
andato via da lei?”
“Eppure non mi resta altro da fare.” disse Saitoki. “Non voglio
tornare al mio posto, nella mia dimora celeste, così lontano dalla donna che
amo. Ma non posso nemmeno tornare da Pyu-ha, giacché, non essendo in grado
dinanzi a lei di controllare la mia natura divina, la mia presenza la
metterebbe in continuo pericolo di vita. Vedi, ora so che questo mondo non è
per me. Nessuno dei due mondi è per me. Mentre Pyu-ha merita di passare il
resto della sua vita accanto ad un mortale come lei.”
“Che ne dici, allora, se fossi tu quel mortale?” propose Muchitsujo.
“Cosa intendi?” domandò confuso Saitoki.
“Conosci la maledizione di queste fonti.” si spiegò il dio. “Tra di
esse ce n’è una, la Nannichuan, che fa al caso tuo: tempo fa vi annegò
un ragazzo umano, di conseguenza essa ti donerà sia l’aspetto che la natura
umana.”
“E’ meraviglioso!” esclamò Saitoki. “Solo che…” scosse il capo.
“Cosa non va?” chiese il dio del Caos.
“Questo vorrebbe dire” mormorò Saitoki “perdere la mia divinità… e
soprattutto la mia immortalità.”
“Niente affatto!” lo rassicurò Muchitsujo. “L’acqua calda annullerà
l’incantesimo ogni volta che vorrai, scacciando temporaneamente quello spirito
mortale che s’impadronirà di te. Come vedi, non corri alcun rischio.”
“E potrò tornare dalla mia Pyu-ha, senza più temere di metterla in
pericolo!” completò il ragionamento Saitoki. “Sia, dunque: accetto la
tua generosa offerta!”
Senza aspettare oltre, Saitoki si tuffò nella sorgente dell’uomo annegato.
Quando riemerse dalle acque, il suo aspetto esteriore non era affatto cambiato.
Ma era cambiato lui dentro di sé, e questo lo poteva avvertire chiaramente. Era
un essere umano.
“Aspettami, Pyu-ha! Sto venendo da te!” gridò ai campi e alle montagne,
mentre correva pieno di gioia in direzione del suo villaggio.
Il piano beffardo di Muchitsujo era stato così portato a termine.
Quando giunse la sera, Saitoki era ormai allo stremo delle forze. Non era per
nulla abituato a sensazioni umane come la stanchezza, e questo lo aveva reso
poco resistente. Constatò con amarezza di non essere giunto a nemmeno metà del
cammino che lo separava dal villaggio di Pyu-ha. Determinò quindi di
riacquistare i poteri divini, per poter completare facilmente il suo viaggio.
Giunto presso un ruscello, si organizzò per raccogliere un po’ d’acqua e
scaldarla con un fuoco improvvisato. Quando l’acqua ebbe raggiunto la
temperatura giusta, Saitoki se la versò addosso e – scoprì con suo grande
stupore di essere rimasto un umano!
Lo scherzo più subdolo che Muchitsujo avesse mai attuato. Il Caos aveva vinto
ancora. Saitoki si disperò, alla ricerca di un senso a tutto ciò. Finì per
invocare suo padre, il sommo Ryuukei, che come già detto era il leggendario
signore del Tempo e dello Spazio.
Ryuukei scese dunque sulla terra e, constatata la situazione del figlio, intese
cosa dovesse essere avvenuto. Quello che contraddistingue le divinità è la loro
perfezione: Saitoki, bagnandosi nella Nannichuan, aveva contaminato la sua
essenza mischiandola ad un’anima mortale, perciò adesso si trovava nella
terribile condizione di impuro. Non avrebbe più potuto riacquistare i
suoi poteri divini: era, adesso, un mortale tra i mortali.
Saitoki implorò l’aiuto del padre, temeva la mortalità umana più di ogni altra
cosa. Ryuukei pianse molto il destino del figlio, giocato da una divinità folle
che aveva creato tanto disordine per suo puro diletto. Decise di intervenire, e
trovò il modo di risolvere la situazione.
Fu in questo modo che Ryuukei creò il Tai-ma no Mamori, un medaglione
dove aveva concentrato parte dei propri poteri divini in maniera che essi
potessero venire utilizzati anche da chi dio non era. Lo fece indossare a
Saitoki, il quale acquisì, tra le altre, la capacità di annullare qualunque
maledizione delle sorgenti di Jusenkyo: ma solamente a patto che non si
sfilasse mai il talismano. Così fece. Poté inoltre controllare facilmente i
nuovi poteri. Poteva essere immortale ma anche stare con Pyu-ha! E Saitoki
ritornò finalmente dalla sua amata.”
“Mi piacciono storie a lieto fine.” La guida si soffiò il naso, commossa.
“In quanto a Muchitsujo” proseguì Cologne “gli dei dell’Ordine decisero di
punirlo per aver creato qualcosa di così inutile e problematico come Zhou
Chuan Xiang. E riservarono per lui quello che stava per essere il destino
di Saitoki: scavarono una nuova fonte, lo buttarono lì dentro ed infine ve lo
sigillarono per i secoli futuri con un potente incantesimo.”
“E il medaglione?” domandò Ranma.
“Calma, il racconto non è ancora terminato.” disse Obaba. “Le divinità del Caos,
offese per la triste fine di Muchitsujo, loro signore, decisero di vendicarsi
contro i mortali con cui aveva convissuto Saitoki. Misero in giro tra gli dei
dell’Ordine voci subdole e maligne: insinuarono che gli uomini, invidiosi dei
loro poteri, volessero coalizzarsi per combatterli. Fu l’inizio di una serie di
incomprensioni, che portarono presto alla rottura definitiva. Un giorno gli dei
abbandonarono per sempre gli uomini, rompendo con loro ogni relazione ed
isolandosi definitivamente nelle proprie dimore celesti.
Gli dei sembrarono, però, scordarsi del Tai-ma no Mamori. Il medaglione
rimase quaggiù, conservando gli immensi poteri di Ryuukei.
La leggenda finisce qua, e qua inizia la storia. Non si sa con precisione cosa
ne fu di Saitoki e Pyu-ha, né se furono mai esistiti realmente. Ma le leggende
hanno un fondo di verità. E di certo si sa che questo medaglione fu tenuto
dagli uomini che si succedettero, nei secoli, nell’importante compito di
custodire le Sorgenti Maledette.” concluse Obaba.
“Ed io sono l’ultimo di questi!” disse con orgoglio la guida.
“Purtroppo, col viavai delle generazioni, la qualità dei custodi è andata
sempre peggiorando.” mormorò Obaba. La guida ridacchiò stupidamente.
“Questo non spiega” protestò Ranma “perché a tuo dire, vecchia, questo
medaglione sia un male. La leggenda che mi hai narrato non mi sembra per nulla
tragica. Inoltre, quell’individuo chiamato Shingo, di cui ti parlavo prima, lo
indossa e…”
“Se quello Shingo è un semplice umano, allora è uno sventurato!” lo zittì
Cologne. “Non si scherza con i poteri delle divinità.”
“La tua ansia di guarire da maledizione non ti giustifica affatto.” sentenziò la
guida. “Saitoki poteva indossare medaglione perché in lui scorreva comunque
sangue divino, anche se contaminato. Se indossassi tu medaglione, invece,
saresti sopraffatto e perduto da poteri troppo grandi per comune mortale. E
poi, storia di tipo qualunque che lo porta addosso mi sembra grande frottola.”
“Quale frottola?!” Ranma si avventò sull’omino vestito di verde, afferrandolo
per il colletto. “Credi che me lo sia inventato?!”
“Aiya, pietà! Ho moglie e figlia.”
“Buoni, voi!” disse loro la vecchia. “Il ragazzino mi pare sincero. E’ tuttavia
un dato di fatto che il Tai-ma no Mamori si trova qui, in questa stanza: e non
al collo del suo amico – a meno che...”
Cologne aggrottò le ciglia quasi inesistenti.
“Non sarà forse che” domandò a Ranma “mi hai chiesto dello Saishuu Shiyou
Rei-ryuujin perché tu stesso ne sei rimasto vittima?”
“Ma – ma come l’hai capito?!” balbettò sorpreso lui. Obaba non gli rispose.
“Ora mi è tutto chiaro…” si limitò a mormorare, quasi tra sé.
“Cosa ti è chiaro?! Spiegati!”
“Ragazzino.” gli puntò contro l’estremità del bastone. “Tu hai idea di come
operi il Rimedio Definitivo?”
“Io… credo di sì.” disse il giovane Saotome. “Mi ricordo che lo Spirito-dragone,
una volta evocato, aveva assunto le sembianze di un vortice, come di fuoco:
quando sono entrato nel vortice, penso di essere rimasto prigioniero del suo
incantesimo.” Ricordava ancora le parole di Shampoo: il metodo per togliersi di
torno i propri nemici. “In poche parole” continuò “ha cancellato la mia
identità o qualcosa di simile. Giusto?”
Obaba sospirò. Quindi colpì nuovamente col bastone il ragazzo.
“Sbagliatissimo, invece! Non hai compreso un bel niente!”
Ranma smise di massaggiarsi il bernoccolo, il terzo bernoccolo di quel giorno,
per nulla sicuro di aver udito bene le parole della vecchia.
“Che… che cosa vuoi dire?”
“Lo Saishuu Shiyou Rei-ryuujin consiste nell’evocare, per mezzo di un
rituale magico, lo spirito di un antico dragone defunto duemilacinquecento anni
or sono. Si narra che i dragoni, esseri ormai estinti da tempo, furono creati
proprio da Ryuukei, e avevano perciò l’incredibile proprietà di manipolare
l’energia interna.”
Il volto del ragazzo s’illuminò. Aveva pensato ad Herb, capace di sferrare
potentissimi attacchi energetici appunto perché discendeva da un dragone e
nelle sue vene continuava a scorrere quel
sangue.
“Manipolando l’energia oltre certi livelli” continuò Obaba “si è in grado di
squarciare la struttura della materia stessa, le trame dello Spazio-Tempo. I
dragoni erano appunto difficili da avvistare, dal momento che si trasferivano
continuamente da un universo all’altro.”
Ranma rimase muto quanto confuso. Obaba sospirò ancora.
“Temo che dovrò rendere più chiara la mia spiegazione con un esempio. Immagina
che la realtà sia un fiume: questo non scorre rettilineo, lungo il suo
percorso, ma incontra ostacoli vari che lo biforcano una e due e più volte. Le
varie diramazioni seguiranno sentieri diversi, anche se nate dalla stessa fonte
d’acqua e destinate a defluire tutte nello stesso oceano. Ebbene, la realtà è,
allo stesso modo, scomposta in tanti universi paralleli. Va bene?”
Ranma la fissava, sempre più interessato.
“Lo Spirito-dragone” spiegò la vecchia “non ha cancellato la tua identità.
Semplicemente, con i suoi poteri ti ha spedito in un mondo parallelo a quello
che conosci.”
“Cioè… questo?”
“Questo. In realtà la cosa non è tanto semplice come l’ho descritta. Inoltre
esiste una minaccia, legata a ciò: una minaccia molto grave.”
“Una… minaccia? Spiegati meglio!”
“Ora ti dirò.” Obaba si avvicinò al ragazzo col codino, rannicchiandosi sul
lungo bastone.