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Autore: Laylath    29/03/2014    3 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 48. Reato di clandestinità.

 

Due giorni dopo uno strano terzetto camminava per le campagne che conducevano alla stazione ferroviaria.
“Ovviamente ci stiamo rendendo tutti conto che quello che stiamo per fare è un reato bello e buono, vero? E nel caso ve lo foste dimenticato, mio padre è il capo della polizia del paese.”
“Infatti tu non stai partendo con noi, Vato – disse Roy con sicurezza, mentre la stazione iniziava a comparire in lontananza – ci servivi perché tu sei quello che maggiormente se ne intende di queste cose: nei tuoi libri hai più informazioni tu che tutti noi altri messi assieme.”
Vato scosse il capo per niente contento di essere stato coinvolto in quella che si prospettava essere la bravata peggiore che Roy avesse mai commesso in vita sua. Un conto era andare al commissariato di polizia per una caccia al fantasma, con la rassicurazione che, tutto sommato, tuo padre certo non ti sbatterà in cella.
Ma questa volta si sta decisamente esagerando! Prendere clandestinamente un treno è gravissimo.
“Roy – mormorò Riza, insolita complice di quel piano così pericoloso – perché non possiamo semplicemente comprare i biglietti ed andare legalmente?”
“No – scosse il capo lui con decisione – siamo troppo giovani per viaggiare da soli e sicuramente farebbero delle domande. Senza contare che non ho la minima idea di quanto possano costare.”
“Parecchio, credimi – si intromise Vato – è comunque una tratta distante, senza considerare che c’è anche il biglietto di ritorno da fare. Mi potrei comprare almeno dieci libri con quella cifra.”
“Eh? Ma io non potrei mai permettermi una spesa simile – arrossì lei – sono davvero tanti. Oh, Roy, siamo proprio sicuri? E se ci scoprono?”
“Fidati di me, è tutto calcolato: sgattaioliamo nel vagone delle merci e stiamo lì per tutto il tempo. E poi ad East City usciamo fuori e con tutta la gente che ci sarà nessuno farà caso a noi.”
Quello che poi avrebbero fatto ad East City era ancora tutto da decidere, ma Roy aveva liquidato la faccenda con un sorridente ci penseremo quando saremo lì. Del resto che ci voleva? Kain era in ospedale quindi bastava chiedere a qualcuno dove si trovasse ed andare lì.
“Il treno qui passa solo ogni tre giorni, lo sapete bene: come potrete giustificare la vostra assenza?”
“Ho detto a mio padre che sono di nuovo da degli amici.” ammise Riza con aria colpevole.
“Io invece ho detto a mia zia che sono da te, Vato, così la cosa rimane tra noi tre e basta: tanto Madame non è solita fare troppe domande. E comunque meno persone sono coinvolte meglio è.”
A quella rivelazione Vato sbiancò e si fermò sul sentiero.
“Mi stai chiedendo di reggere un simile gioco con mio padre? – ansimò – Roy! Tu non sai quello che mi chiedi: scoprirà tutto e mi ammazzerà e poi ammazzerà te, lo so. Ma perché non hai chiesto ad altri? Perché hai dovuto coinvolgere proprio me?”
“Perché Heymans non può certo mancare tre giorni considerata la condizione di suo fratello e sua madre e dirlo a lui equivaleva farlo sapere anche a Jean, altra persona che non può assentarsi per così tanto. E come ti ho detto meno persone lo sanno meglio è. Ed inoltre non dimenticate che stiamo facendo tutto questo per Kain: ha bisogno del nostro sostegno.”
“Sì, ma penso che si potrebbero trovare soluzioni meno pericolose.”
“Fidati che ce la caveremo. Eccoci arrivati, occhio a non farci vedere dal capostazione… e siamo giusto in tempo. Vedo il treno in lontananza: allora Vato, sei pronto?”
Vato scosse il capo, mostrando per l’ultima volta il suo disappunto per quel folle piano.
Ma nonostante tutto aspettò con diligenza che il treno arrivasse in stazione ed un funzionario scendesse da un vagone per andare ad aprire il rimorchio destinato alle merci e alla posta. Preso un sacco con la corrispondenza lo portò verso il capostazione e in quel momento Vato si mosse.
“Buongiorno, signori – salutò con grande imbarazzo – è arrivato per caso un libro per me? E’ già in ritardo di quattro giorni e mi sto un po’ preoccupando.”
“Un libro? Fammi vedere – disse il funzionario aprendo il sacco assieme al capostazione – ma credo di no, non mi pare che ci siano pacchi a forma di libro.”
Mentre i due controllavano, Vato guardò con ansia Roy che mano nella mano con Riza sgattaiolava nella banchina per infilarsi nel vagone merci. Il moro rivolse una piccola strizzata d’occhio all’amico e gli fece un rapido cenno di vittoria prima di scomparire dentro il rimorchio.
“No, Vato, pare che non ci sia il tuo libro.” disse il capostazione.
“Davvero? Oh, che peccato… beh, spero che arrivi presto.”
Nel frattempo l’altro funzionario fece un cenno di saluto e andò a chiudere il vagone merci: nei tre secondi che ci impiegò per far scorrere lo sportello di legno, Vato trattenne il fiato, ma Roy e Riza non vennero scoperti.
Vedendo il treno allontanarsi verso East City, iniziò a sentire un grosso senso di catastrofe incombente cadere sopra loro, in primis sopra lui.
 
Riza sentiva il cuore che le batteva all’impazzata man mano che la consapevolezza di non poter più tornare indietro prendeva possesso di lei. Non avrebbe dovuto farlo, si era lasciata trasportare dalla foga di rivedere Kain e non aveva pensato alle conseguenze di quel gesto.
Lei e Roy stavano facendo una cosa illegale e pericolosa: non sapeva quanto grande fosse East City, quello scritto nei libri di scuola valeva ben poco, ma non le piaceva l’idea di andare in quel posto sconosciuto senza la presenza di qualche adulto affidabile. C’erano migliaia e migliaia di persone in quella città e poteva succedere di tutto.
E anche senza pensare a quello che sarebbe successo ad East City, c’era il grande peso nella coscienza di essere in un vagone merci, in un viaggio clandestino, con il rischio di essere scoperti da un momento all’altro. Istintivamente cercò la mano di Roy, seduto accanto a lei in mezzo a tutti quei sacchi di corrispondenza e la strinse.
“Sicuro che non entrerà nessuno?” chiese con voce flebile.
“Ma sì, colombina – sorrise lui nella lieve luce che entrava da alcune piccole grate nella parte superiore delle pareti di legno – che motivo avrebbe di entrare? Ieri, assieme a Vato, ho visto il percorso di questo treno e non ci sono altre stazioni prima di East City: non entrerà nessuno se non quando arriveremo alla nostra meta e sicuramente ci sarà una confusione tale che potremmo sgattaiolare via da questo vagone senza che nessuno ci veda.”
Lei annuì, cercando di trovare confronto in quelle parole, ma proprio non ci riusciva.
Continuava ad immaginare che qualcosa andasse storto.
“E una volta ad East City?” chiese ancora.
“Allora, secondo gli orari, il treno arriva alle sei meno un quarto in stazione: da lì si tratta di andare a vedere in quale dei tre ospedali della città si trova Kain.”
“Tre ospedali?”
“Mh – annuì Roy, felice di avere la sua attenzione – a dire il vero uno è da scartare perché è quello militare e dunque dubito che Kain sia ricoverato lì: ce lo terremo come ultimo.”
“I signori Fury si arrabbieranno molto quando…”
“No, loro non ci vedranno: faremo in modo di andare da Kain quando non ci sono, ossia quando non c’è l’orario visite. Tanto non ci vorrà molto per eludere i medici, suvvia.”
“Roy, ci stiamo spingendo troppo oltre – scosse il capo Riza, con disappunto – dovremmo andare da loro, chiedere scusa per il disagio e dire che volevamo vedere Kain.”
“Adulti e ancora adulti, ma perché dobbiamo sempre far affidamento su di loro? – sbottò lui – Ci sono io a proteggerti, va bene? Tanto le giornate sono già caldine e dormire all’aperto non sarà un problema: ci sistemeremo nel cortile dell’ospedale, sicuramente ne avrà uno… così saremo vicini a Kain in ogni momento.”
“E per mangiare?”
Roy si frugò nella tasca e tirò fuori alcuni soldi.
“Non saranno certo sufficienti per un ristorante di lusso, ma qualcosa da mettere sotto i denti per questi giorni ce la procuriamo senza problemi. E’ tutto perfetto, oggi ricoverano Kain e domani lo operano: gli staremo vicini proprio nei momenti decisivi. Il giorno dopo l’operazione il treno riparte e noi lo prenderemo… tutto filerà liscio come l’olio.”
“Sei felice, vero? – Riza lo guardò con occhi socchiusi – In qualche modo stai scappando da quel mondo troppo piccolo per te…”
“Un’evasione di tre giorni da quel posto – Roy non se la sentì di smentirla, esaltato dall’idea di avere una situazione così importante sotto il suo unico e diretto controllo – Vedrai, Riza, è tutto diverso ed eccitante in un posto come East City; adesso goditi il viaggio, non è proprio la prima classe, ma questi sacchi non sono niente male per posare la schiena.”
E con un sospiro la ragazzina seguì il consiglio del suo amico e cercò di rilassarsi.
 
“Ciao, figliolo, come va?”
Vato trasalì vistosamente quando Vincent lo salutò in mezzo alla strada.
Ha già scoperto tutto! Ma sono passate solo due ore, come diamine ha fatto?
“Papà.”
“Non ho visto il tuo amico Roy in girò; oggi non viene al commissariato ad attendere la chiamata di Andrew?”
“Eh? No, a dire il vero non lo so – rispose lui con tutta la faccia tosta che poteva – ha detto che voleva stare un po’ con Riza perché… perché lei era così triste per il fatto che Kain starà via così tanto.”
“Capisco, tu che fai? Vuoi venire stasera? Tanto più o meno sai a che ora chiama Andrew.”
“Vedrò – deglutì il ragazzo – tanto mi darai tu le notizie come arrivi a casa, no?”
“Certamente.” Vincent lo guardò con aria perplessa.
“Adesso devo proprio andare: ho un appuntamento con Elisa. A più tardi!”
E senza aspettare risposta corse via, pregando con tutto il cuore che la copertura reggesse per questi tre giorni. Del resto Roy aveva più o meno calcolato tutto: suo padre era andato ieri a sentire le novità da Madame Christmas e dunque non aveva motivo per passare in questi giorni al locale della zia di Roy… ed inoltre non era previsto che i coniugi Fury venissero a conoscenza della loro presenza, ovviamente tutto dipendeva dalla discrezione di Kain.
Dai, i presupposti per cavarcela ci sono tutti… spero.
Ma la sua mente pensava a tutti gli eventi storici che avevano avuto presupposti ottimi per finire poi in disfatte clamorose.
 
“Continua a correre!” Roy esclamò quell’unica frase mentre trascinava Riza fuori dalla stazione ferroviaria di East City.
“Avevi detto che saremo sgattaiolati via senza problemi! – protestò lei, correndo più forte che poteva e serrando la presa sulla mano di Roy – Se ci prendono siamo nei guai!”
“Fidati che non ci riescono: forza, gira qui!”
“Roy, siamo dei criminali!” Riza ansimò disperata mentre si posavano contro un muro per riprendere fiato.
Li avevano scoperti: un controllore li aveva visti uscire dal vagone merci e aveva fischiato per bloccarli. A quel punto Roy l’aveva afferrata e l’aveva trascinata in una rocambolesca fuga per tutta la stazione ferroviaria, passando in mezzo a decine e decine di persone che li guardavano perplessi.
“Ma che criminali…”
“Invece sì! – pianse lei – E ora che facciamo?”
Roy controllò che nessuno li stesse seguendo, ma era ovvio che il personale delle ferrovie non aveva tempo per correre dietro a due ragazzini, anche perché ormai erano abbastanza distanti dal grande edificio con tutta quella folla.
“Facile: chiediamo a qualcuno dove sono gli ospedali e ci dirigiamo verso il primo di essi. Vedrai che tra poco potremmo rivedere Kain.”
 
Roy era nato ad East City, certo, e per sette anni aveva vissuto nella capitale, sebbene quasi sempre chiuso nella grande casa dei suoi genitori. Tuttavia i suoi ricordi di bambino era davvero pochi e di conseguenza aveva calcolato male quanto potesse essere complicato orientarsi in una grande città.
Per arrivare all’ospedale più vicino ci impiegarono un’ora buona, perdendosi più volte e chiedendo informazioni a diverse persone che spesso li mandavano in direzioni sbagliate. Ed una volta lì la situazione non migliorò affatto.
“Accidenti a loro – sbottò Roy, mentre uscivano nel cortile – non capisco perché non ci possono dire se Kain è ricoverato qui o no.”
“Perché siamo ragazzini – sospirò Riza con aria sconsolata – ed è normale che non ci diano determinate informazioni: non siamo nemmeno suoi parenti. Non so quanto sia prudente restare qui, Roy, la signora all’ingresso ci guardava in modo sospetto: ho paura che chiami qualcuno e ci facciano delle domande.”
“Ma quanto sei paranoica: sembra che tutta East City sia sulle nostre tracce.”
“Beh, di certo quelli alla stazione ferroviaria lo sono: come faremo quando dovremo ripartire? E se quel capostazione ci riconosce?”
“In un posto grande come quello? Dannazione, dovremmo essere davvero sfortunati per imbatterci proprio in lui… non fare la drammatica.”
“Intanto ti sta sfuggendo tutto di mano, perché non lo ammetti?” lo squadrò lei.
“Sono solo imprevisti – ritorse lui con il broncio – è colpa di questi stupidi adulti che ci mettono i bastoni tra le ruote: dannazione, non vedo l’ora di diventare grande e non avere più di questi problemi.”
Nel frattempo erano arrivati dal cancello dell’ospedale e rimasero fermi ad osservare il sole che stava per tramontare.
“Vuoi sul serio dormire all’aperto?” chiese Riza chiudendosi la giacchetta che indossava sopra la camicia a maniche corte. L’idea non le piaceva per niente: stare fuori col buio non era una buona cosa, a maggior ragione in un posto sconosciuto e pericoloso come una grande città.
Ho promesso al padre di Kain che non sarei mai stata fuori da sola e con il buio…
“Sì, adesso andiamo a cercare un posto adatto: se hai freddo ti do anche la mia giacca.”
“No, è che… Roy, io non voglio dormire all’aperto: è pericoloso e lo sai anche tu.”
“Ma finiscila, perché devi…”
“No, non la finisco! – Riza si girò e lo affrontò con occhi gelidi – E’ tutta una follia, non capisci? Sono stata una sciocca a seguirti in questa avventura che non ci sta portando a niente: senza adulti non possiamo riuscire a trovare Kain. Mettitelo nella testa, Roy Mustang.”
“Non ti fidi di me? E’ questo il problema?” la fissò con aria offesa.
“Non è questo, ma ci sono cose per cui oggettivamente non sei pronto. Roy, guarda questa città… è enorme, mi fa paura e non sappiamo dove andare a dormire. Chissà che gente gira di notte.”
“Ma no, vedrai che…”
“Riza! Roy!” una voce sconvolta li fece girare.
Ellie ed Andrew erano appena usciti dall’ospedale e li avevano riconosciuti.
Roy sbuffò con disappunto mentre capiva che il suo piano era stato scoperto, Riza al contrario sospirò di sollievo: erano salvi.
 
“Avete fatto il viaggio da soli e clandestinamente?”
La voce di Ellie era così arrabbiata che Riza serrò gli occhi, mortificata; Roy, dal canto suo, si limitò ad incrociare le braccia al petto e a fissare il soffitto della camera con aria esasperata.
Alla fine l’ospedale dove erano andati era quello giusto (cosa che aveva fatto esultare interiormente Roy), ma l’orario visite stava praticamente terminando ed inoltre non potevano entrare senza nessuno a garantire per loro.
Ellie ed Andrew li avevano portati in albergo e avevano ovviamente preteso di sapere cosa stava succedendo: Roy era pronto ad inventare una storia più o meno verosimile, in modo da arginare la rabbia degli adulti, ma Riza l’aveva preceduto ed aveva raccontato tutto, dichiarandosi veramente dispiaciuta per quanto era successo.
Dannazione a lei, è troppo responsabile… potevamo cavarcela benissimo con qualche mezza verità.
“Ci mancava anche questa – sospirò Andrew, sedendosi nel letto – vi rendete conto dei pericoli che avete corso con questa bravata?”
“Ma quali pericoli…” iniziò Roy, ma l’uomo alzò l’indice.
“Se vi avessero preso i controllori alla stazione che avresti fatto?”
“Beh, avrei detto loro che…”
“Ti voglio far notare una cosa: – lo bloccò lui, implacabile – non è il capostazione che vi conosce tutti quanti da quando siete piccoli, ma gente sconosciuta alla quale non interessa molto la vostra storia. Siete semplicemente dei clandestini che non hanno pagato il biglietto… e per giunta non possono riaccompagnarvi a casa: vi avrebbero messo chissà dove in attesa di mettersi in contatto col paese.”
“Di certo non ci avrebbero fatto del male.”
“Certo che no, ma l’idea di sapervi alla stazione di polizia non mi piace per niente per nessuno di voi due, spero che questo ti sia chiaro, giovanotto. E poi, dimmi, dove avevate intenzione di passare la notte?”
“Fuori, tanto mica fa freddo.”
“E se qualche vagabondo o malfattore vi vedeva? Non siamo in paese, Roy Mustang, cerca di capirlo una volta per tutte.”
Roy rimase a fissare con offesa sfida Andrew, cercando qualche modo di ribattere a quanto gli aveva appena detto. Ma purtroppo non c’erano molti appigli.
“Quanto a te, Riza, – fu Ellie a parlare – questa proprio non me l’aspettavo da parte tua. Ma come ti è saltata in mente una cosa simile?”
“Volevo solo rivedere Kain prima dell’operazione…” spiegò lei a testa bassa.
“Non è una giustificazione, signorina – scosse il capo la donna – e se ti succedeva qualcosa? Ringraziando il cielo io ed Andrew vi abbiamo trovato prima che facesse buio… l’idea di sapervi fuori in questo posto da soli… preferisco non proseguire.”
Si scambiò un’occhiata significativa col marito ed Andrew si alzò.
“Vieni, Roy: devo andare a chiamare Vincent e credo che non sarà molto felice di sapere che tu sei qui con noi.”
“Figuriamoci – sbottò lui, mettendosi le mani in tasca – ci mancava anche questa ciliegina sulla torta. Vieni, Riza, andiamo.”
“No, lei resta qui – scosse il capo Ellie, mettendo una mano sulla spalla della ragazzina – abbiamo un discorsetto da fare e non è certo il caso di rimandarlo.”
A quelle parole e vedendo lo sguardo minaccioso negli occhi scuri della donna, Roy si sentì in dovere di obiettare, ma Andrew gli mise una mano sul braccio e lo incitò a seguirlo fuori dalla stanza.
 
“Che cosa ti sconvolge tanto?” chiese Andrew mentre scendevano le scale.
“La sta punendo… a Riza!” era una cosa così fuori dall’ordinario che il ragazzo stentava a crederci.
Riza era quella responsabile e pronta a rimproverare gli altri per i loro comportamenti sbagliati, a volte la trovava anche irritante in questo suo atteggiamento. L’idea che le stesse prendendo da Ellie lo faceva sentire come se qualcosa nel funzionamento del mondo fosse andato storto.
“Ha commesso una bravata non da poco e credimi che se fosse mia figlia le prenderebbe anche da me.”
“Non capisco questo suo ragionamento, mi scusi…”
“E’ una ragazzina di tredici anni, Roy, – scosse il capo Andrew – è abbastanza grande per avere un certo senso del pudore che è giusto rispettare: diciamo che non essendo suo padre non è corretto che veda determinate cose, capisci?  Ma non ti preoccupare che Ellie le darà quanto merita.”
“Sarà così delicata anche con me? – chiese Roy con finta e sarcastica curiosità, mentre l’uomo si fermava ad uno dei telefoni che stavano all’ingresso dell’albergo e faceva un numero – Sono un maschietto di quindici anni e certe cose non le deve vedere…”
“Oh tranquillo, Roy, tu non te la vedi né con me né con  mia moglie – sorrise enigmaticamente Andrew – Ciao, Vincent, ti devo raccontare alcune importanti novità.”
E a quelle parole Roy non poté fare a meno di sentire un brivido lungo la schiena.
Dopo qualche minuto Andrew gli fece cenno di avvicinarsi e gli passò la cornetta.
“Capitano Falman…”
“Mi limito a dire che aspetto con ansia il tuo ritorno, Roy Mustang.”
Voce calma e piatta, ma proprio per questo incredibilmente letale.
 
“Vato, tra una ventina di minuti è pronta la cena – lo avvisò Rosie dalla cucina – quindi non metterti a leggere che poi non ti stacchi più dai libri.”
“Tranquilla, mamma!” rispose lui dalla sua camera.
Guardando la sveglia sulla scrivania vide che erano le otto meno cinque e questo voleva dire che suo padre stava per rientrare. Il fatto che non fosse ancora piombato su di lui lo faceva ben sperare che almeno per quel primo giorno le cose fossero andate bene: insomma, era qualche ora in meno a separarli dalla riuscita di quel piano.
Proprio mentre iniziava a sentirsi sollevato, sentì la porta di casa aprirsi.
“Dov'è quel genio di nostro figlio?”
Riconoscendo quel tono arrabbiato Vato sentì tutte le sue speranze crollare come un castello di carte.
Abbandonò la posizione sdraiata sul letto per sedersi con apprensione, aspettando che suo padre arrivasse.
E come lo vide entrare con il cucchiaio di legno in mano sentì il sangue gelarsi nelle vene.
“Per i prossimi venti minuti io e te faremo un interessante discorso, giovanotto, a proposito di un viaggio clandestino ad East City. – dichiarò Vincent, chiudendo la porta e andando a sedersi alla scrivania – Di questi venti minuti te ne concedo due per darmi la tua versione dei fatti, ma giusto perché mi voglio levare la giacca e arrotolarmi la manica della camicia: il resto del tempo lo passi prono sulle mie ginocchia… e ti assicuro che per cena ti siederai a fatica. E ringraziami, perché quando tornerà il tuo amico a lui andrà molto peggio.”
E Vato capì come si erano sentiti i generali del passato nel vedere i loro piani clamorosamente falliti.
 
“Kain verrà operato verso le undici e noi possiamo andare in ospedale a partire dalle nove e mezza – spiegò Andrew, andando verso la porta della loro camera – vieni, Roy, iniziamo a scendere per la colazione.”
“Sissignore – sbadigliò lui, arruffandosi i capelli neri – ho una fame da lupo.”
Come la porta si chiuse alle spalle dei due maschi, Riza si chiese per la centesima volta come potesse fare il suo amico ad essere così tranquillo, come se ieri non fosse successo niente e non fosse nei guai fino al collo.
“Vieni, Riza – la chiamò Ellie, sedendosi sul letto – ti do una sistemata ai capelli.”
Si accostò a lei, sedendosi vicino e lasciando che il pettine sbrogliasse i nodi che si erano formati durante la notte. Era ancora molto imbarazzata e dispiaciuta per quanto era successo ieri sera: non le era mai capitato di vedere Ellie così arrabbiata con lei e l’essere stata punita in maniera così severa l’aveva colta completamente di sorpresa: non sospettava minimamente che sarebbe passata dalla sgridata ai fatti.
“Ancora arrabbiata?” chiese timidamente.
“No – sospirò la donna, sistemandole i ciuffi sulla fronte – la cosa importante è che vi abbiamo recuperato in tempo. Non dovrei dirlo, ma sono felice che tu sia qui, signorina.”
“Vorrei chiederle scusa per il disagio che vi stiamo provocando io e Roy: stanotte abbiamo costretto suo marito a dormire in quel divano ed io…” non terminò la frase.
E lei aveva dormito nel letto matrimoniale con Ellie, svegliandosi abbracciata a lei, a stretto contatto con quelle braccia morbide, quel profumo rassicurante che le ricordava tanto quello di sua madre. E si era sentita così bene nell’accorgersi che era ancora presto e che si poteva riaddormentare in quel nido così caldo e protetto.
“Quando dormi ti raggomitoli su te stessa, l’avevo già notato quando sei stata a casa nostra – Ellie sorrise – e metti la mano sotto la guancia, lo sai che anche Kain ogni tanto lo fa? Bene, direi che ci siamo: possiamo raggiungere Andrew e Roy per la colazione e poi andare a trovare Kain.”
Annuendo Riza si alzò in piedi e seguì la donna, ma come furono nel corridoio appena fuori la stanza le prese la mano e arrossì.
“Davvero veniva a vedere se dormivo quando stavo da voi?”
“Certo che sì, tesoro – sorrise la donna, ricambiando quella stretta – io mi accerto sempre che i miei piccoli dormano tranquilli. Dai, adesso andiamo, rischiamo di far aspettare troppo i maschietti.”
 
“Buongiorno, Kain – l’infermiera entrò nella stanza con un gran sorriso e aprì la finestra – come hai passato la notte?”
“Ecco io – mormorò il bambino – a dire il vero non lo so…”
Era una bugia bella e buona: come si erano spente le luci si era accucciato sotto il lenzuolo e aveva iniziato a piangere tutte le lacrime che aveva trattenuto da quando i suoi genitori erano andati via. Quella separazione l’aveva lasciato così sconvolto che non era nemmeno riuscito a singhiozzare e a chiamarli: aveva tenuto stretta la mano di sua madre fino a quando lei non aveva gentilmente sciolto quella presa, rassicurandolo che la mattina successiva sarebbe arrivata il prima possibile.
Era stato così brutto passare tutte quelle ore senza di loro, mangiando quella cena servita su un vassoio bianco e che sapeva sempre di disinfettante. E poi ogni volta che qualcuno entrava in camera a controllare come stava, aveva sempre il terrore che gli facesse qualcosa di brutto come un nuovo prelievo di sangue.
“Allora, oggi è il grande giorno – disse l’infermiera, accostandosi al suo letto – tra poco verrà il dottore a controllare che vada tutto bene: nel frattempo ti devo misurare la temperatura e la pressione.”
A quelle parole il bambino si irrigidì tra i cuscini.
“Fa male misurare la pressione?” ansimò.
“No, tranquillo – sorrise lei, accarezzandogli i capelli – adesso apri la parte superiore del pigiama e metti il termometro sotto l’ascella: nel frattempo lasciamo che la stanza arieggi.”
“Mamma e papà quando vengono?”
“Sono le otto e mezza, tesoro, ci vorrà ancora un’oretta buona.”
Ancora un’ora: la mente di Kain iniziò a fare spietati calcoli, su quanti minuti e secondi c’erano in quell’arco di tempo. Forse a fare il conto alla rovescia sarebbero passati più in fretta.
 
Roy non poté far a meno di sfoggiare un sorriso strafottente all’infermiera all’ingresso dell’ospedale che sicuramente si ricordava di lui dalla sera prima: adesso non c’era niente che l’avrebbe potuto fermare e si sentiva di nuovo con la situazione sotto il suo controllo, preferendo ignorare che in realtà il merito era di Andrew ed Ellie che avevano garantito per loro.
“Signori Fury – salutò un dottore andando loro incontro – il bambino sarà felice di vedervi e… oh, ma abbiamo visite.”
“Sono degli amici di Kain – spiegò Andrew, mettendo le mani sulle spalle di Riza – proprio non ce la facevano a stare in paese ad aspettare e così ci hanno raggiunto.”
“Possiamo vederlo?” chiese con impazienza Roy.
“La stanza più avanti, direi che sarà felice di…”
Ma non terminò la frase che i due ragazzi si erano già catapultati nel corridoio.
Roy aprì con frenesia la porta, tallonato da Riza.
“Gnomo!” esclamò con gioia correndo accanto al letto.
“Roy! Riza! – Kain annaspò per la sorpresa, ma due secondi dopo era già stretto tra le braccia di Riza, ridendo e piangendo allo stesso tempo – Siete qui…”
“Ma certo che siamo qui – dichiarò Roy, stringendolo a sua volta e mettendo completamente da parte qualsiasi forma di dignità adolescenziale – quando mai ti potevamo lasciare solo? Vedrai che andrà tutto bene, coraggio.”
“Starete con me? Anche quando mi sveglierò dopo l’operazione?”
“Ma certo, tesoro – sorrise Riza – saremo proprio accanto a te, non aver paura.”
“Siamo venuti clandestinamente in treno – sogghignò Roy – appena finisci con questa stupida operazione ti racconto tutto quanto.”
Con una promessa del genere Kain non vedeva l’ora che tutto terminasse per poter ascoltare quell’incredibile avventura.
 
La presenza dei suoi amici riuscì a rendere le cose molto più sopportabili per Kain.
Mentre con Ellie ed Andrew era più facile lasciarsi andare a scene di sconforto, Roy riusciva a stimolarlo nel modo giusto e a far uscire il lato più coraggioso della sua personalità. Riuscì a trattenere le lacrime persino quando due infermiere entrarono in stanza con il lettino mobile e lo prepararono per l’operazione.
“Voi non potete venire, vero?” chiese lui, mentre Ellie gli levava gli occhiali.
“No, pulcino – la donna lo baciò in fronte – ma aspetteremo qui e come ti sveglierai ci troverai tutti accanto a te, non temere.”
E così ai quattro non restò che aspettare quelle due estenuanti ore di operazione.
Per tutto quel tempo Ellie rimase a guardare dalla finestra, tenendo tra le mani gli occhiali del figlio, lo sguardo perso nel cortile dell’ospedale. Riza ne fu così colpita che decise di non disturbarla e così si sedette nel letto accanto ad Andrew, posandosi contro il suo fianco in cerca di conforto.
“Andrà tutto bene, piccola mia – sorrise lui, passandole il braccio attorno alle spalle – è solo snervante stare ad aspettare, tutto qui.”
Roy invece era posato allo stipite della porta, le braccia conserte, e fissava l’orologio appeso alla parete: erano due ore e anche se quelle lancette si ostinavano a procedere con grande lentezza, lui avrebbe atteso.
 
“Beh, direi che fare un viaggio in un vagone normale è tutta un’altra cosa.” dichiarò Roy il giorno dopo mentre lui e Riza stavano seduti nello scompartimento del treno che li riportava in paese.
“I signori Fury sono stati davvero premurosi – sospirò Riza, prendendo dalla tracolla uno dei panini che avevano comprato per il viaggio – tieni questo è tuo e poi ci sono anche delle fette di torta.”
“Allora, farai come ti hanno proposto? Io accetterei, Riza, così almeno tu rivedi Kain.”
Lei ci rifletté per diverso tempo, tenendo il proprio panino, ancora avvolto nel tovagliolo, in grembo: tornare ad East City fra una decina di giorni, approfittando di Andrew che scendeva in paese per prendere qualche cambio per sé e la moglie, voleva dire farsi pagare il viaggio da loro e le dispiaceva essere di così tanto disturbo… avevano già pagato i loro biglietti per farli tornare a casa.
“Non lo so…”
“Sei importante per loro, ragazzina – scrollò le spalle Roy – non sei un peso, assolutamente, e sono certo che sarebbero felici di averti lì per altri tre giorni: pensa anche a Kain, la tua presenza non potrà che fargli bene. In fondo se tu ci andrai, noi altri ci sentiremo molto più tranquilli.”
“Dici? Beh, mi riservo ancora del tempo per pensare: tanto il signor Fury non rientra in paese che tra una decina di giorni. Oh, ecco il controllore, prendo i biglietti.”
Ci furono dieci secondi di apprensione mentre l’uomo controllava e forava i loro biglietti, ma poi passò oltre come se niente fosse. Ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo.
“Roy, non faremo mai più delle follie simili come quel viaggio clandestino in treno, va bene?” dichiarò lei dopo diverso tempo che rimasero in silenzio.
“Ma dai, in fondo è andato tutto bene, no?” ritorse il ragazzo con aria offesa.
“Certo, come no. Diciamo le cose come stanno: la situazione ti è del tutto sfuggita di mano.”
In minima parte, suvvia. In fondo all’ospedale giusto ci siamo arrivati senza problemi.”
Riza scosse il capo: quando Roy assumeva quel tono di supponenza era irremovibile: oramai si era convinto che in ogni caso il suo piano sarebbe riuscito se non fosse stato per l’intervento degli adulti. E Riza ringraziò per l’ennesima volta il cielo che Andrew ed Ellie li avessero trovati in tempo, prima che lui tentasse qualche nuova follia.
Roy purtroppo era fatto così: se si intestardiva su qualcosa non c’era modo di fargli cambiare idea.
“Oh, stiamo arrivando – disse, vedendo la stazione del paese dal finestrino – dai, iniziamo ad alzarci e ad avvicinarci all’uscita del vagone.”
“Perfetto.”
Come misero piede nella piccola banchina tirarono un sospiro di sollievo, la loro avventura clandestina ufficialmente finita. Mentre Riza si sistemava meglio la tracolla, Roy si stiracchio, felice di sgranchirsi le gambe dopo così tante ore di viaggio. Fece un rapido saluto al capostazione che lo guardò perplesso, chiedendosi quando quei due ragazzi erano partiti per andare a chissà dove, ed assieme all’amica uscì dalla stazione, tutto sommato felice di essere tornato a casa.
Come fecero i primi passi fuori dal piccolo edificio una voce li bloccò.
“Bentornati, clandestini – salutò Vincent, staccandosi dal muro della stazione dove era tranquillamente posato – aspettavo con ansia il vostro ritorno, il tuo in particolare Roy.”
“Ca… capitano Falman…” mormorò il ragazzo con voce nervosa, mentre l’uomo si avvicinava e metteva una mano sulla spalla di ciascuno di loro.
“Ci dispiace tanto.” si scusò subito Riza.
“A te hanno già pensato Andrew e sua moglie, signorina – la squadrò lui – mi limiterò a dirti che una storia simile non si deve ripetere mai più, mi sono spiegato bene?”
“Certamente.”
“Ottimo: forza, adesso ti riaccompagniamo a casa. E poi mi occupo di te, Roy Mustang.”
E Roy ebbe un brivido nel percepire tutta la minaccia insita in quell’ultima frase.
  
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