You felt
this way for far too long
Waiting for a change tomorrow
You know
you’re not the only one.
La
mia nuova giornata lavorativa si conclude come la precedente, le ore mi
scivolano di dosso lente, come per liberarsi di un parassita ma prendendosi il
tempo necessario per farlo bene. In ufficio si sono alternate le stesse
persone, gli stessi volti, gli stessi finti sorrisi, le stesse frasi sussurrate
alle spalle. Tutto come sempre. Per questo quando esco in strada mi sento un
peso in meno, una sensazione di libertà effimera mi riempie, come il giorno prima
e quello prima ancora, una piccola libertà che dura non più di sedici ore ma
che è comunque sufficiente.
L’aria
fredda di quest’oggi mi entra fino in profondità. È ferma e pesante, ma gelida.
Ogni respiro mi si condensa davanti alle labbra, mi stringo nelle spalle nel
vano tentativo di scaldarmi con il giaccone, la mia mano destra continua a
rigirare fra le dita il cartoncino con la calligrafia di Jocelyn.
È
là che sto andando, in quel posto di cui lei mi ha parlato, dove forse riuscirò
davvero ad incontrare qualcuno in grado di aiutarmi, in grado di farmi sentire
meglio e distrarmi dalla piega presa dalla mia vita.
L’ultima
via in cui svolto, quella giusta, è più silenziosa e deserta di quanto mi fossi
aspettato. Non c’è nessuno per tutta la sua lunghezza, le uniche persone che si
vedono sono quelle che passano frettolosamente sulla via principale con cui
questa si interseca e niente di più. Raggiungo il numero civico sette e alzo
gli occhi verso la porta d’ingresso. Nessuno potrebbe sognarsi di venire fin
qui da solo, per il fatto che non sembra altro che una casa, una normalissima
casa. Non si sentono rumori, musica, risate, non si sente niente che possa far
sospettare che qui dentro, forse, le persone si sentono un filino meglio che
nella vita di tutti i giorni. Forse ho sbagliato strada o forse Jocelyn ha
voluto semplicemente sbarazzarsi di me mostrandomi come vanno realmente le
cose: la gente inganna ed è tutto normale.
Quando
abbasso la testa per tornare ad osservare le lettere frettolose della ragazza
qualche ciocca scura mi copre la visuale e le ricaccio indietro sospirando.
Tornerò
a casa, a fare quello che faccio tutti i giorni, ossia nulla.
«Steve.»
Mi
volto e vedo Jocelyn venire verso di me, accelera il passo e appena mi è
accanto posa una mano sul mio braccio, rimasto inutilmente sollevato a
mezz’aria. Il suo cappotto rosso contrasta con il nero della mia giacca, lei
spicca come un fiore fra questi palazzi grigi.
«Sapevo
che saresti venuto.» mi sorride.
«Già.»
mormoro io, non sapendo esattamente come comportarmi.
Continua
a sembrarmi strana la mia presenza qui, per tutta una serie di motivi che non
so neanche indicare.
«Vieni,
entriamo.»
Mi
fa cenno di seguirla e lo faccio. Superiamo l’ingresso e saliamo la prima rampa
di scale, il ritrovo non è altro che un appartamento, forse la casa di questo
Vincent, o Vinny, come lo chiamano.
Entriamo
nella porta di sinistra e un mormorio di voci ci accoglie. Le stanze sono
spaziose e luminose quanto il grigiume della città può consentire, le persone
parlano avvicinandosi l’un l’altra, si guardano negli occhi, ma noto sguardi
persi, a tratti. Ci saranno all’incirca quindici persone in queste stanze,
formano gruppetti grandi o piccoli, a seconda dei discorsi, solo uno di loro se
ne sta in disparte. È seduto su una sedia, addossata alla parete, in grembo
tiene una chitarra acustica di cui pizzica distrattamente le corde; alza lo
sguardo su di me non appena gli passo accanto, i suoi occhi verde acqua
sembrano andare alla deriva e capisco perché si comporta così. Probabilmente anche
lui ha venduto tutto, ma quello che mi sorprende è il fatto che già nella sua
giovane età si sia accorto dell’errore che ha compiuto.
«Che
posto è questo?» domando infine, dopo essermi affiancato a Jocelyn.
«Un
ritrovo, un rifugio, attribuiscili tu il termine che preferisci. È soltanto un
posto in cui le persone possono incontrarsi e parlare di un mondo che esiste
veramente ma che gli altri paiono non vedere. Nessuno dei qui presenti crede
più a quello che dicono le figure al Banco
dei Sogni. Per un motivo o per l’altro tutti hanno smesso di credere alla
felicità portata solo dall’oro, alla felicità comprata a costo della propria
anima. Tutta questa gente, Steve, sa cosa si prova a vendere i propri sogni, li
hanno venduti o, se non loro, i loro parenti, gli amici, gli amati. Qualcuno è
stato ad un passo da scivolare nel nulla, diventare come tutti gli altri,
smettendo di credere in qualcosa. Ma, per fortuna, sono riusciti ad aprire gli
occhi prima.»
«È
il merito è di Vincent?»
«Non
sempre, ma spesso. Lui sa cosa si prova a vedere qualcuno allontanarsi, suo
fratello maggiore vendette il suo sogno, anni fa. Le cose presero la piega
sbagliata e il fratello di Vinny arrivò ad un passo dalla follia. I sensi di
colpa, il rimorso, tutto quello che provi quando ti rendi conto dell’errore che
hai fatto ti trascina sempre più in basso.»
«È
davvero terribile…» il mio è un pensiero, pronunciato a voce bassa, ma lei se
ne accorge.
«Lo
so. Ma un giorno si sistemerà tutto, vedrai.»
La
guardo e Jocelyn mi sorride. Ripenso a ciò che mi ha appena detto e mi chiedo
dove abbia trovato la forza di ricominciare a credere in qualcosa anche dopo
aver lasciato il Banco dei Sogni
svuotata di una pare di sé.
«Vado
a dire a Vinny che sei arrivato.»
Scompare
prima che possa dire qualcosa. Mi guardo intorno aspettando il suo ritorno e
qualcuno mi lancia un breve cenno, come per darmi il benvenuto. Il ragazzo con
la sua chitarra ha ancora gli occhi bassi.
Jocelyn
ricompare e mi fa entrare nella stanza:
«Entra
pure.» mi sospinge appena con la mano e mi chiude la porta alle spalle: saremo
solo io e Vincent.
Il
mio cervello fa collegamenti veloci, ma in verità si sta solo ponendo domande.
Perché
sono venuto fin qui? Perché l’ho fatto? Temo di non saperlo, ma la verità è che
volevo soltanto trovare qualcuno come me, qualcuno stanco delle solite
giornate, qualcuno con cui poter parlare di ciò che c’è fuori da questa città,
sempre se là fuori c’è veramente qualcosa. Non so cosa potrei chiedere a questo
Vinny e non so neanche cosa lui potrebbe chiedere a me.
Ma
l’uomo che ho di fronte mi sorride e porta le sue mani sulle mie spalle:
«Sono
davvero felice di incontrarti, Steve.»
Il
viso fresco di rasatura si illumina quando punta il suo sguardo sul mio, i suoi
occhi azzurri sono luminosi e pieni di vita, resi ancora più brillanti dai
capelli chiari. Lui è come me, lui il suo sogno lo ha ancora.
Mi
fa cenno di sedermi e io eseguo in silenzio, lui si accomoda nella poltrona
difronte al mio divano e continua ad osservarmi. Mi sento incredibilmente a
disagio e non so su che punto della stanza lasciar cadere lo sguardo.
«Immagino
che tu sia confuso.» esordisce infine lui, sorridendomi.
La
sua cordialità riesce a tranquillizzarmi:
«Non
sai quanto.» mi esce.
Ridacchia,
come se fosse tornato indietro alla sua infanzia:
«Non
preoccuparti, posso capire. Tutto quello che ti sta succedendo è diverso dal
solito, vero?»
Marca
la parola diverso, la pronuncia come
se fosse la chiave di tutto ciò che vuole dirmi.
Annuisco
con la testa:
«Abbastanza,
in effetti.»
«Jocelyn
mi ha raccontato di quando ti ha incontrato, del tuo sogno divenuto un fiore.»
Nuovamente
faccio cenno di sì con la testa, senza sapere cosa dire.
«Cos’è
che vuoi sapere, Steve? So che sei pieno di domande, te lo si legge in faccia.»
Respiro
a fondo sentendomi colto in flagrante:
«Lo
sono, è vero. Solo che non so da dove cominciare, non so cosa chiederti e non
so che risposte aspettarmi.»
«Tu
provaci, altrimenti non otterrai mai niente.»
Ha
ragione, cerco di fare ordine nella mia testa e di dare una priorità a ciò che
voglio scoprire:
«D’accordo,
allora… parlami del legame che unisce i nostri sogni al mondo, perché io
proprio non lo capisco.»
Sorride:
«Non
posso spiegartelo, perché non so come funziona.»
«Ma…»
attacco, ma mi ferma con una mano alzata.
«Nessuno
sa cosa sia questo legame, si sa solamente che il mondo si nutre dei sogni
degli esseri che lo abitano, tutto qui. Essi racchiudono un’incredibile energia
che permette alla vita di continuare. Pazzesco, non ti pare?»
«Direi
quasi fantascientifico…»
«Ma
è tutto vero, credimi.»
Certo
che gli credo, io l’ho visto con i miei occhi.
«Perciò,
io potrei continuare a dare il mio sogno al mondo per aiutarlo a crescere?
Intendo dire, come è successo ieri? …non so se mi sono spiegato.»
«Ho
capito cosa intendi, ma non puoi.»
«Come
sarebbe no? Ieri non ho venduto il mio sogno al Banco dei Sogni ma è diventato un iris, perché non potrei rifarlo?»
Vinny
appoggia i gomiti alle ginocchia e mi guarda attentamente:
«Perché
non è così che funziona. È vero che potresti farlo, ed è vero che faresti
nascere qualcosa di nuovo, forse qualcosa di molto più importante di un fiore,
la prossima volta, ma è anche vero che il mondo non ti restituirebbe più il tuo
sogno se dovessi cominciare a donarglielo con troppa frequenza.»
Se
prima credevo di essere vicino a capirci qualcosa, ora sono più confuso che
mai. Lui se ne accorge e cerca di chiarirmi i concetti:
«Vedi,
ieri tu ti sei privato del tuo sogno per darlo al mondo, lui se n’è nutrito e
te lo ha restituito. Questo perché era solo un piccolo frammento, una parte
infinitesimale. Se invece tu donassi tutto
il tuo sogno al mondo, prima che egli possa restituirtelo ci vorrà molto, molto
più tempo.»
«E
questo perché?»
Alza
le spalle e capisco che non sa approfondire ulteriormente l’argomento, tuttavia
sono già informazioni utili quelle che mi ha dato.
«Perciò
è per questo che quando credevo di averlo venduto al Banco dei Sogni mi sentivo così svuotato?»
Pare
rifletterci su, ma per poco:
«No,
credo fosse solo perché ti eri accorto dell’enorme sbaglio che stavi facendo.
La tua anima cercava di avvertirti.» sorride e provo a fare lo stesso, ma
rimango confuso.
«So
che è difficile, non pretendo che tutto ti sia chiaro fin da subito, ma sappi
solo questo: il mondo si nutre dell’energia dei sogni delle persone, continua a
credere nel tuo sogno e aiuterai il mondo.»
Trovo
le sue parole bellissime, quasi mi scaldano dentro. Scoprire di non essere il
solo a non aver ancora compreso cosa ci lega al nostro mondo mi dà la
possibilità di iniziare questa ricerca contando sull’aiuto di qualcuno. Non so
che tipo di ricerca potrei voler svolgere, non so che risposte potrei voler
cercare e dubito fortemente che potrei riuscire in alcun modo a trovarne
qualcuna, ma non si può sapere. Avrò modo di constatare se Vinny ha ragione su
ciò che mi ha detto, ma per il momento credo ad ogni singola parola uscita
dalla sua bocca, perché lui e Jocelyn sono gli unici ad avermi parlato
apertamente fin da subito.
Mentre
penso a che altro potrei chiedergli la mia mente fa un paio di collegamenti e
mi propone una teoria che voglio verificare:
«Ma,
quindi, il Banco compra i sogni delle
persone per servirsene e basta? Là non aiutano il mondo?»
L’uomo
scuote la testa, amaramente:
«Li
usano per i loro affari, per continuare a costruire palazzi su palazzi, per
continuare ad uccidere questa città già morta e chi ci abita. Tutto quello che
vedi intorno a te è opera loro, tutto il grigio, il silenzio, la solitudine che
ti circonda. Comprando i sogni della gente la privano di una parte fondamentale
di esse: la loro anima, è questo che si prendono, con il tempo, ciò che
distingue l’uomo dall’automa. Ti basta osservarti intorno, ti basta guardare il
modo in cui gli altri si muovono, il modo in cui guardano il mondo con i loro
occhi spenti.»
A
quelle parole il volto di Jocelyn mi compare davanti, il suo sguardo assente e
perso, ciò che mi ha fatto porre le prime domande su cosa stessi cercando.
«A
proposito di questo.» comincio, sperando di non sbagliarmi, ma tutti quegli
sguardi smarriti che ho visto nell’ultimo periodo mi fanno sospettare di avere
realmente ragione:
«Per
quale motivo tante persone hanno quello sguardo così vacuo? C’entra anche qui
il fatto di vendere il proprio sogno?»
Vinny
assume un’espressione più seria di quanto mi fossi aspettato:
«Gli
occhi sono lo specchio dell’anima.» recita.
Capisco
a cosa si sta riferendo, ora mi è chiaro. Lo guardo in quelle sue iridi celesti
ancora brillanti e lucenti. Tuttavia non mi sfugge quel velo di tristezza,
delicato, appena percepibile, sicuramente dovuto al suo passato, a suo
fratello. Vinny lo ha visto perdere parte di sé, arrivare ad un passo dalla
pazzia dopo aver venduto il proprio sogno. È per questo che sa come posso
sentirmi io, o Jocelyn, o chiunque delle persone che ha intorno. Sono sicuro
che lui vuole aiutare tutta questa gente per salvarle dal dolore che lui ha
provato su di sé, il suo coraggio è invidiabile.
«Quindi
è per questo che Jocelyn…» comincio.
Completa
la frase per me:
«Sì,
è per questo. Lei vendette il suo sogno, tempo fa. Io la incontrai per caso,
era sconvolta, distrutta. Le offrii un caffè e qualcuno con cui parlare. Si era
pentita subito di ciò che aveva fatto, ma la paura le aveva impedito di
riprendersi ciò che era suo prima che fosse tardi e ora, a mesi di distanza,
lei ancora non ricorda quale fosse quel suo sogno. Nella sua stessa situazione
ci sono tanti altri, ma non tutti riescono ad affrontare la cosa, molti si
lasciano solo andare, scivolano in una felicità fittizia portata dall’oro.»
Sapere
che ha ragione mi riempie di tristezza. È vero, tutto vero. Nei miei ventisette
anni di esistenza ho visto questa città diventare sempre più grigia, più sola,
più spenta. Ho visto le persone vendere i propri sogni con frequenza maggiore,
senza neanche darsi il tempo di farne sbocciare uno vero e profondo, solo per
il bisogno di oro che, ogni giorno, diventa sempre più impellente per vivere
una vita che si possa definire normale.
Tutto è partito dal Banco dei Sogni,
tutto è cominciato dopo che hanno iniziato a dare valore ai nostri sogni, a
tentare di convincerci che loro sono il tramite giusto, e l’unico, per nutrire
il mondo.
Vendendo
il sogno a loro lo darai al mondo, ti fanno credere, ma non funziona così e
questa è la realtà.
«Fortunatamente.»
riprende parola Vinny: «Qualcuno che ha aperto gli occhi c’è e siamo sempre di
più. Le cose cambieranno.»
Sorride,
veramente convinto delle sue parole. Io non so se dargli ragione, spero solo
che sia così.
Ma
un’altra domanda comincia a balenarmi in testa, lo fa non appena assimilo
interamente le parole dette dall’uomo in precedenza:
«Posso
chiederti una cosa?» esordisco.
Lui
annuisce e mi lascia parola con un gesto:
«Se
Jocelyn si è pentita di quello che ha fatto, per quale motivo non ricorda più
il suo sogno?»
«Perché
purtroppo è così che funziona.»
«Ma
io mi ricordo del mio, quello che stavo per vendere, quello di cui si è nutrito
il mondo.»
«Proprio
per questo lo ricordi. Tu non lo hai venduto, Steve, lei sì. Se lo vendi al Banco lo dimentichi e quando riesci ad
avere un nuovo sogno, non saprai mai se è lo stesso che hai venduto la volta
prima o no. Dipende tutto dalle persone, molte di esse, infatti, vanno a
vendere appena hanno il più piccolo sogno per avere altro oro. Ci vuole troppo
tempo per elaborare un sogno profondo come il tuo o come quello che aveva
Jocelyn e il più della gente non è disposta ad aspettare, tanti, oltretutto,
non sarebbero nemmeno in grado di elaborare tale profondità.»
Ancora
mi torna in mente la ragazza che mi aveva rivolto la parola al Banco. Chissà qual’ era il suo primo,
vero, sogno, chissà perché ha cominciato a considerare l’oro come la cosa più
importante.
Qualcuno
bussa alla porta e il discorso fra me e Vincent viene interrotto, nella stanza
entra Jocelyn che guarda prima il suo amico poi me, infine sorride posando sul
tavolino accanto a noi un vassoio con un paio di tazze fumanti.
«Spero
ti piaccia il the.» mi dice.
«Grazie.»
La
voce di Vinny mi fa eco:
«Grazie
infinite, Jocelyn. Fermati a prenderlo con noi.»
Lei
si siede accanto a me e Vinny le allunga una delle due tazze, lasciandomi
l’altra.
Nessuno
dice nulla, io per primo perché non so che cosa poter dire, non so che parole
potrebbero uscire dalla mia bocca dopo la conversazione appena conclusa. Almeno
ora credo di aver capito che cosa devo proteggere nella mia vita, cosa è
realmente importante per me, credo di averlo capito davvero.
«Tornerai
anche domani?» domanda improvvisamente la ragazza.
Mi
volto verso di lei e noto che si sta rivolgendo a me, la tazza a mezz’aria, il
fumo argentato che disegna forme inimmaginabili.
«Posso?»
pronuncio confusamente.
«Puoi
venire tutte le volte che vuoi.» risponde Jocelyn.
Alla
fine, annuisco. Tornerò, perché voglio farlo. Mi è bastato un semplice incontro
con queste due anime per capire che ci sono altre persone simili a me sotto
molti aspetti, che c’è qualcun altro che vede le cose con i miei stessi occhi. Mi
è bastata poco più di un’ora per vedere che le cose possono cambiare, che
possono cambiare nel momento in cui temevo di non poter avere niente. Non so
cosa succederà prossimamente e la consapevolezza di ciò è una gioia per la mia
mente, perché significa che, forse, la monotonia sta per finire.