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Autore: Laylath    30/03/2014    6 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 49. Rapporto teso.

 

Vato aveva avuto il vago sentore che suo padre avesse in mente qualcosa di simile e dunque, nonostante fosse ancora offeso per essere stato coinvolto nella follia di Roy, con tutte le dolorose conseguenze, appena l’amico venne spinto dentro casa si accostò a lui.
“Non opporre resistenza – gli sussurrò, prendendolo per il braccio – peggiori solo le cose e non hai idea di quanto possa essere dannoso.”
“Ma che vuole fare? – chiese il moro, osservando Vincent che posava la giacca sulla sedia e poi andava in cucina – Non vorrà osare…”
“Adesso io e te andiamo in camera matrimoniale e facciamo un bel discorso – disse l’uomo, tornando con in mano il cucchiaio di legno – sta tranquillo che ho già parlato con tua zia e lei non ha fatto alcuna obiezione. Oggi sarai nostro gradito ospite a cena, ma temo che dovrai sederti con molta cautela.”
“Mi rifiuto categoricamente di… ahia!”
“Obiezione respinta. – Vincent lo afferrò per l’orecchio – Vato, quando torna tua madre dille di aggiungere un posto a tavola e spiegale la situazione: io e questo furfante saremo parecchio impegnati.”
“Sì papà…” sospirò lui.
Rimase in piedi nel salotto sentendo la porta della stanza matrimoniale chiudersi, attutendo le proteste di Roy, ma tutto fu perfettamente udibile.
“Mi lasci andare!”
“Resta fermo e smettila di dimenarti come una biscia!”
“Restare fermo? Fossi scemo… ahia! Il braccio!”
“Decisamente con il braccio bloccato sei più gestibile e adesso basta scalciare.”
“Questo è abuso disciplinare!”
“Ma non sai nemmeno di che stai parlando! E già che ci siamo, prendere un treno clandestinamente come lo chiami? A casa mia si dice reato!”
E come Vato iniziò a sentire i lamenti di Roy sospirò con rassegnazione.
“Gliel’avevo detto di non opporre resistenza…”
 
La problematica di Roy era non aver mai avuto a che fare con una figura paterna stabile, sia nel bene che nel male. Di conseguenza quello che era abbastanza chiaro per un Jean o per un Vato, per lui era invece qualcosa di totalmente estraneo. A vederla sotto questo punto di vista quanto successe nemmeno un’ora dopo fu logico, anche perché Vincent Falman non era certo morbido come un Andrew Fury,
“Ancora due minuti e potrai sederti a con noi.” dichiarò il capitano, impassibile, rivolgendosi al ragazzo nell’angolo della stanza.
“Che gentile concessione – sbottò Roy, cercando di ignorare il dolore al sedere e la bruciante umiliazione che stava provando nel stare in castigo come un moccioso delle elementari – non ci penso nemmeno. Piuttosto, posso andare a casa?”
“Se usi questo tono direi di no – lo squadrò Vincent – e ti avviso che il cucchiaio di legno è ancora posato sul letto, capisci cosa intendo?”
“Dai, Roy – sospirò Rosie, cercando di calmare gli animi – non fare l’offeso e vieni a tavola con noi.”
Vato dal canto suo gli rivolse un’occhiata eloquente che lo invitava a seguire quanto gli veniva detto. Ma un conto era avere un carattere tranquillo come il suo, un altro era avere un forte spirito di ribellione e  parecchi problemi nell’accettare l’autorità dei grandi.
“Se lo scordi, signora. Io con quell’uomo non voglio aver niente a che fare.”
“Roy…” mormorò Vato, iniziando a temere il peggio e vedendo il volto di suo padre diventare di pietra.
“Roy cosa? Gli avessi fatto chissà quale sgarbo! Te l’ho mai detto che tuo padre è veramente rigido?
“Ti avviso che mi sto per alzare…”
“Non provocare così…”
“Ma chi provoca! Io me ne vado a casa.” e senza aspettare risposta, con aria offesa, si allontanò dall’angolo dove era stato messo in punizione.
“No, tu ora vieni in camera con me – lo bloccò Vincent, alzandosi e afferrandolo per il colletto – a quanto pare c’è bisogno di una seconda ripassata.”
“Che? Dannazione a lei, mi lasci andare! Questo è sequestro di persona!”
“No – borbottò l’uomo, mettendoselo sottobraccio e avviandosi verso il luogo della sentenza – è cercare di metterti un minimo in riga. E prova a scalciare come l’altra volta e giuro che ci vado ancora più pesante!”
“Più pesante? Più pesante di come ha fatto prima… questo è impossibile!”
“E questa è resistenza a pubblico ufficiale! Molla quella maniglia!”
“Mai!”
“Oh sì che la molli! Piccolo testardo!”
Vato e Rosie si guardarono con rassegnazione, mentre quello strano teatrino si concludeva con la porta che veniva chiusa e le proteste di Roy che continuavano a farsi sentire.
Sembrava che le cose tra lui e Vincent proprio non fossero destinate ad andare bene.
“Vuoi ancora insalata, tesoro?”
“Grazie, mamma – sospirò Vato – e mi passi anche l’olio?”
 
La mattina successiva Roy si svegliò con un gemito di protesta e rimase sorpreso nel constatare che si trovava nella sua camera: non aveva alcun ricordo di essere tornato al locale di sua zia, l’ultima immagine che aveva era del letto matrimoniale dove era rimasto sdraiato prono a sfogare l’universo di dolore che era il suo fondoschiena.
Maledetto bastardo, come si è permesso?
Si spostò supino, ma si rese immediatamente conto che non era ancora il caso di fare sforzi simili: probabilmente per il resto della giornata non avrebbe potuto sedersi se non con estrema difficoltà.
Ad una rapida analisi conveniva alzarsi in piedi: prima di tutto doveva levarsi il pigiama e…
Ma non sto indossando il pigiama.
No, aveva ancora i vestiti del giorno prima, solo le scarpe gli erano state levate.
Mentre scrollava la testa cercando di schiarirsi le idee, manco fosse reduce da un’ubriacatura, la porta si aprì e sua zia fece la sua comparsa, una vestaglia rossa a coprirle l’abito.
“Buongiorno, nipote – sorrise – vedo che ci siamo ripresi.”
“Ti ringrazio per avermi consegnato nelle grinfie del nostro grande capitano di polizia.” rispose sarcasticamente lui, lieto di parlare con l’unico adulto che accettava il suo modo di fare.
“Offeso nel tuo grande ego, Roy – boy? Non potevi certo pensare di passarla liscia dopo quella gita di tre giorni che ti sei fatto.”
“Stai diventando troppo apprensiva, Madame – constatò lui, odorandosi con disappunto la maglietta e sentendo l’esigenza di un bagno – mi devo preoccupare?”
“Di me no – sorrise furbescamente lei, posandosi al tavolo – ma del capitano Falman sì, mi pare. Mi ha raccontato che non sei stato molto disciplinato nel ricevere il tuo castigo.”
“E’ fuori di testa, te lo dico io. Non so nemmeno come sono riuscito a tornare a casa dopo quello che mi ha fatto: non lo voglio più vedere in vita mia. Adesso scusa, ma ho proprio bisogno di lavarmi.”
“Vai pure, ragazzo. Ah, a proposito, riguardo il grande mistero di come tu sia tornato in camera tua: ti eri addormentato da loro e ti ha riportato lui in braccio. Dovevi vederti, Roy – boy, avevi proprio un faccino delizioso con le guance ancora arrossate per il pianto.”
Roy sbuffò ed uscì dalla stanza con impazienza. Detestava simili prese in giro, anche da parte di sua zia; ed essere venuto a conoscenza di quell’umiliante dettaglio non faceva che aumentare il suo odio nei confronti di quell’uomo. Proprio non riusciva a capire come, per diversi mesi, avesse fatto affidamento su di lui.
“Non dimenticarti di andare a scuola – gli ricordò sua zia – oggi è l’ultimo giorno e non sarebbe bello mancare, non credi?”
“Perché, altrimenti il capitano Falman si arrabbia?” mormorò sarcasticamente.
 
“Non devi essere così spaventato – disse Heymans – lo sai che l’ultimo giorno sono solo tre ore.”
Henry annuì leggermente, ma si vedeva che non era molto convinto di quel ritorno a scuola.
Avrebbe preferito di gran lunga che quell’anno scolastico terminasse senza la sua presenza in modo da avere un’intera estate a disposizione per riordinare bene le idee e decidere che atteggiamento adottare a settembre con la ripresa delle lezioni.
“Non puoi par-parlare tu con i m-miei insegnanti?” chiese, mentre la fastidiosa balbuzie, residuo del suo periodo di mutismo, si faceva sentire. Un altro motivo per non voler rivedere i suoi compagni: già non sarebbero stati molto bendisposti nei suoi confronti, ne era certo, se si andava ad aggiungere questo fattore era anche peggio.
“E’ meglio che ci sia anche tu – scrollò le spalle il fratello, mentre scendevano dalle scale – hai saltato più di tre settimane di lezioni ed, anche se non rischi la bocciatura perché hai sempre avuto buoni voti, è giusto sapere se è necessario che a settembre tu faccia qualche verifica o cose simili.”
“Mh…”
“Ciao, mamma, noi andiamo. Ci vediamo dopo.”
“Ciao, ragazzi, mi raccomando.” salutò Laura.
Mentre camminavano per le strade del paese, Heymans pensò che non andava più a scuola con suo fratello da anni, ormai. Probabilmente da quando lui era in terza elementare e già si stava facendo un gruppetto di amici non proprio affidabili. Lanciando un’occhiata di sbieco ad Henry gli fece male vedere come era rimpicciolito in quelle settimane: sembrava che assieme a Gregor fossero sparite tutte le espressioni strafottenti e arroganti che gli erano solite, lasciando solo un viso smunto e carico di ansia ed apprensione.
Oggettivamente era difficile affrontare un mondo esterno che in quel momento era loro ostile: mentre Heymans aveva basi solide con Jean ed il resto del suo gruppo, Henry sapeva di non avere nessuno.
“Sarai felice di rivedere i tuoi amici, suvvia.” gli aveva detto la sera prima.
“Non so se sar-saranno ancora miei a-amici.”
E non era una paura priva di fondamento.
Non parlare con i figli della poco di buono: era quasi diventato un comandamento che la maggior parte dei ragazzi della scuola doveva seguire. E molto probabilmente  i compagni di classe di Henry l’avrebbero applicato alla lettera.
Come arrivarono nel cortile, Heymans si rese conto di una grande differenza tra lui e suo fratello: la scuola in un paio di giorni si era in parte riabituata alla sua presenza, ma vedere Henry tornare destò maggior scalpore. La notizia di quello che aveva fatto a Kain era serpeggiata ovunque, ovviamente nelle versioni che più conveniva raccontare, e quindi lui era la mela più marcia della famiglia Breda.
“Heymans…” sussurrò il ragazzino, mentre i suoi occhi grigi saettavano nervosamente da una parte all’altra del cortile, cogliendo tutti quei visi chiaramente ostili. E dopo tutto quello che aveva passato era veramente difficile tenere i nervi saldi e convincersi che non c’era nessun pericolo.
“Stai calmo – gli consigliò il fratello – ci sono io con te. Forza, andiamo a parlare con i tuoi professori.”
Non fu un’esperienza molto facile: ovviamente i docenti erano paesani e dunque perfettamente influenzabili dall’ostracismo che stava colpendo la famiglia dei due ragazzi. Alcuni si dimostrarono più freddi del previsto, magari gli stessi che non avevano avuto esitazioni a lodare Henry durante le interrogazioni, ma per fortuna altri si dimostrarono più comprensivi e non lanciarono frecciate cattive contro di lui.
Durante quei colloqui la balbuzie del ragazzino, ovviamente determinata dal nervosismo, divenne molto forte, tanto che ad un certo punto serrò gli occhi e si rifiutò di parlare ancora.
“Mh – lo guardò di sbieco il docente di scienze – con un problema simile non so quanto possa combinare in classe. Sarebbe più un elemento di disturbo che altro.”
Certo che se lei è così incoraggiante…
Heymans si dovette ingoiare quella risposta rovente.
“E’ solo nervoso, tutto qui. Allora, se a settembre fa delle verifiche non ci dovrebbero essere problemi vero?”
E non ci dovevano essere problemi: in virtù del fatto che una simile possibilità veniva concessa a Kain, anche Henry doveva godere di tale trattamento. Anche se era chiaro che molti non lo consideravano giusto.
Quando quei colloqui finirono, Henry si sedette nel suo banco con aria così sconvolta che Heymans ne fu preoccupato.
“Resto con te, va bene? Tanto ormai manca poco al discorso del preside e poi torniamo a casa.”
“Mh…” annuì debolmente lui, comunque sollevato a quella concessione.
E poi abbiamo tre mesi buoni per farti tornare più sereno. Dannazione, Henry, non mi piace proprio per niente vederti in questo stato.
 
“Ovvio che non ho detto nulla a nessuno.” sospirò con rassegnazione Vato, mentre Roy lo fissava con un broncio degno di miglior causa.
“Nemmeno ad Elisa?”
“No, nemmeno a lei. E comunque te l’avevo detto di non ribellarti in quel modo: è la cosa che mio padre detesta di più.”
“Già, a proposito di lui: scordati che io venga ancora a casa tua e se mai lo farò sarà quando lui non c’è.”
“Non capisco perché te la prendi così tanto – si grattò la testa il giovane Falman – in fondo le hai prese anche dal padre di Jean quando facemmo quella caccia al fantasma e non mi pare che ce l’abbia con lui.”
“E’ stata una cosa completamente diversa.” dichiarò con convinzione.
James Havoc non si era imposto su di lui: aveva soltanto eseguito una richiesta fatta da sua zia ed inoltre, quella volta, c’era stata anche l’esigenza di non dare troppa soddisfazione a Jean che gongolava all’idea che lui fosse spaventato nell’assaggiare la cintura di suo padre.
Ma Vincent Falman era un discorso differente perché si era imposto su di lui e non con la logica di Andrew Fury, a cui oggettivamente era stato impossibile rispondere, ma con una disciplina molto più pesante ed umiliante.
Era abbastanza paradossale fare l’offeso, proprio lui che ad inizio anno aveva rimproverato Vato per quell’eccessiva reazione alla punizione dopo la caccia al fantasma, ma questa volta Roy si trovava violato in una strana forma di dignità personale che probabilmente nessuno avrebbe mai capito.
Lui non aveva bisogno degli adulti, se non per questioni puramente legali, ma in questo bastava sua zia. Per il resto era perfettamente in grado di cavarsela da solo e pensava di averlo dimostrato ampiamente, per esempio quando aveva dato il suo aiuto nei lavori subito dopo la piena.
Ed invece Vincent Falman aveva deciso che non era così e gliel’aveva fatto capire nel modo più umiliante possibile: potevano starci le botte, ma l’averlo messo nell’angolo come un moccioso proprio no.
“Si è arrabbiato perché era preoccupato per te e anche per Riza. Insomma, se vi succedeva qualcosa…”
“Non sarebbe successo niente, dannazione! Avevo tutto sotto controllo, perché nessuno mi vuole credere?”
“Perché a quindici anni non credo che si possa dire di…”
“Io posso e sai perché? – Roy si mise una mano sul petto – Perché tra mia madre che è morta che ero piccolissimo e mio padre che ho visto poco e niente, ho imparato a cavarmela per conto mio. Non ho bisogno di genitori: non ho bisogno di un paparino arrabbiato che me le suoni, chiaro? Spero che tuo padre se lo metta bene in testa e mi lasci in pace.”
E lo disse con un tono tale che a Vato non restò che sospirare con rassegnazione.
Si trovava davanti all’ennesimo colpo di testa di Roy e sapeva che non ci poteva fare niente: in quei momenti era così ostinato che avrebbe potuto convincerlo a fare la guardia ad uno spietato assassino rinchiuso in un’armatura senza che lui potesse avanzare alcuna obiezione.
Spero solo che le cose tra lui e papà si risolvano.
In fondo era sinceramente dispiaciuto per la piega che aveva preso la situazione: gli piaceva quando Roy veniva a passare dei pomeriggi a casa sua e sapeva che anche i suoi genitori si erano affezionati tanto a lui.
Era una strana forma di fratello esuberante, proprio come Kain era un perfetto fratellino: ma mentre il piccolo Fury aveva dei genitori e dunque c’era un'ovvia separazione, Roy con il suo essere orfano ed avere quella zia particolare, era più facilmente inseribile all’interno del nucleo familiare.
Anche se… fosse mio fratello credo che scene come quella di ieri sarebbero all’ordine del giorno.
 
“Ferito nell’orgoglio come l’ho visto poche volte – scrollò le spalle Madame Christmas, versando il caffè nella tazzina e allungandola nel bancone – e anche lei, capitano, ha una bella faccia, eh? Mio nipote non è per niente facile da gestire.”
Vincent borbottò qualcosa di incomprensibile e prese quella tazzina con aria profondamente irritata.
Il giovane Mustang aveva la capacità di indisporlo come pochi: non aveva mai avuto a che fare con un ragazzino così ribelle e poco propenso alla disciplina. Sulle prime non aveva pensato che fosse così: Roy si era presentato a lui e Rosie con quella che si poteva definire timidezza, ma una volta presa confidenza si era dimostrato cortese ed educato. Non era quello il suo problema, no: in condizioni normali era perfettamente gestibile…
“Quando si mette in testa qualcosa non c’è verso di fargli cambiare idea – dichiarò scuotendo il capo – crede di aver ragione lui ed è tutto il mondo attorno che si deve adeguare alla sua scelta. Gli farei il sedere nero per una settimana di fila, mattina e sera: piccolo arrogante che non è altro.”
“Arrogante e con un grande spirito d’indipendenza: non vede l’ora di affrancarsi da noi adulti, non è chiaro anche a lei?”
“Non capisco proprio perché una simile fretta – sospirò Vincent – non c’è niente di male a rispettare i tempi e crescere con le giuste tappe. Proprio non riesce a capire che guidare i suoi amici in queste follie non vuol dire assolutamente essere maturo, tutt’altro.”
“Più che essere maturo, mio nipote vuole essere indipendente e vedere gli altri che lo seguono gli dà la sensazione di avere la sua vita sotto controllo, senza interferenze degli adulti. Un po’ lo capisco, considerata l’infanzia che ha passato… mio fratello non è mai stato carico d’attenzioni per lui, tutt’altro. A dire il vero tra me e Christopher ero io quella più adatta a diventare genitore, ed è tutto dire.”
Scoppiò in una strana ed amara risata e poi prese dalla tasca della sua vestaglia il bocchino d’oro e un pacchetto di sigarette. Dopo qualche secondo alle narici di Vincent arrivò l’odore dolciastro della nicotina.
“Mi sta dicendo che dovrei sentirmi in colpa, signora? – chiese l’uomo, guardando con aria pensosa il fondo della tazzina, ma poi scosse il capo – No, non lo sono: anche se ha avuto un’infanzia particolare, determinate cose richiedono una punizione e lui ha avuto quello che si meritava. E se il suo orgoglio ne è ferito tanto meglio: è un modo per imparare la lezione, tutto qui.”
“Si è davvero affezionato al mio turbolento nipote, eh? – sorrise la donna – Non pensavo che Roy trovasse qualcuno come lei a metterlo in riga quando serve.”
“Perché lei non l’ha mai fatto, signora? In fondo è suo nipote e…”
“Senta, lo sa bene che tipo di locale è questo, anche se sappiamo che le mie ragazze sono molto meglio di tante donne che girano con la puzza sotto il naso e poi magari la sera i loro mariti vengono qui. Un giorno mi trovo tra le mani una lettera con cui mi si informa che sono l’unica parente rimasta ad un microbo di sette anni: in meno di dieci giorni me lo ritrovo in mezzo ai piedi… e sa una cosa, capitano? Non gli ho mai visto versare una lacrima per suo padre.”
Vincent non rispose e Madame aspirò profondamente.
“Era serio, di poche parole, ci ho impiegato qualche tempo per capire che era così di natura e non per il trauma della morte del genitore. Io e le ragazze abbiamo trovato il giusto modo di approcciarci a lui e dopo qualche mese ha iniziato ad essere decisamente più piacevole come compagnia… ma non siamo tipe che raccontiamo favole o ci assicuriamo che faccia i compiti, io per prima. Non siamo le sue madri, ed io sono solo sua zia e gli ho dato quello che potevo… e a quanto ne so è più di quanto gli abbia dato suo padre e anche sua madre, anche se quella poveretta ha avuto l’unica colpa di morire troppo presto.”
“Non ho mai insinuato che lei sia stata una cattiva tutrice per Roy.” sospirò Vincent.
“Lo so: la conosco bene, capitano, e credo che lei sia una delle persone migliori che ci siano in questo paese. Ha sempre fatto in modo che io e le mie ragazze venissimo trattate con la dovuta cortesia e non per qualche interesse personale, ma semplicemente perché ha integrità morale. Concetto a molti sconosciuto, considerato l’atteggiamento che stanno assumendo con quella poveretta di cui ha cacciato via il marito… bel figlio di buona donna, quello lì, è stata una bella liberazione.”
“Mia moglie si è affezionata molto a Roy e pure io – ammise Vincent – anche se ha la capacità di farmi arrabbiare come pochi al mondo.”
“A Roy non fa male una figura paterna di polso come lei, capitano, si fidi, e se ci resta male perché scopre che a quindici anni può tranquillamente prenderle ed essere messo in castigo, buon per lui. Anche se probabilmente adesso ce l’avrà con lei per diverso tempo: non si aspetterà certo di vederlo nel suo ufficio a chiederle scusa, vero?”
“Se lo facesse lo porterei subito dal medico – sorrise sarcasticamente l’uomo – ma non ho nessuna intenzione di cedere davanti a questa sua stupida ostinazione. Signora, se suo nipote prova a mancarmi di rispetto o tentare qualche ripicca nei miei confronti io…”
“Lei è autorizzato a fare come meglio crede, capitano – ridacchiò Madame Christmas – non mi crea nessun problema rispondere ai suoi rimbrotti quando si ritrova col sedere pesto.”
“Quello che speravo di sentirle dire. Bene, adesso è meglio che ritorni in ufficio: grazie per il caffè, Madame.”
“E’ stato un piacere, capitano.”
 
“Finito anche quest’anno! – esclamò Jean, perfetta incarnazione dello studente liberato dalla tortura delle lezioni – Tre mesi di libertà!”
E con un rapido gesto sollevò Janet tra le braccia, provocandone le risate entusiaste. Anche tutti gli amici vicino a lui si fecero contagiare da una simile gioia: la prospettiva di un’estate tutta da vivere era qualcosa che faceva dimenticare totalmente le lezioni ed i libri che per nove mesi l’avevano fatta da padrone.
“Nuotate allo stagno, gite, picnic, feste – elencò Rebecca, andando a stringere le braccia attorno al collo di Jean che, per una volta tanto, non reagì con sdegnata vergogna ad un gesto così plateale – ragazzi, ci divertiremo un mondo!”
Persino Roy si concesse un sorriso soddisfatto: l’estate portava con sé l’opportunità di fare miliardi di cose assieme ai suoi amici, che altro poteva chiedere di più? E poi tra un mese sarebbe tornato anche Kain e tutto sarebbe stato perfetto, assolutamente perfetto.
“Ehi, Heymans! – chiamo Jean – Non dimenticarti che in questi giorni dobbiamo festeggiare l’inizio delle vacanze, va bene?”
“Sì, va bene – annuì lui, mentre usciva da scuola con Henry e rispondeva al gesto di saluto dell’amico – ci sentiamo in questi giorni.”
Si sarebbe tanto voluto unire agli altri e celebrare quel momento come si conveniva, ma mise una mano sulla spalla del fratello e lo incitò gentilmente a camminare verso casa. Sicuramente una volta che la porta si fosse chiusa alle sue spalle sarebbe andata meglio: aveva parlato poco e niente da quando si era seduto nel suo banco.
“Ciao, Henry.”
Una voce li fece girare e furono sorpresi nel vedere Mike e Liam, gli amici più stretti di Henry e come lui facenti parte della banda.
“C-ciao.” mormorò lui con esitazione, non aspettandosi che gli rivolgessero la parola.
“Senti, – fece uno di loro – non è facile dirtelo, ma ha detto il capo che non ti vuole più nella banda.”
“Ragazzi – iniziò Heymans – non mi pare il caso di parlare di simili cose.”
“No, dit-ditemi pure.”
“Ma perché parli in modo così strano?” chiese Liam con curiosità.
“Ho… ho solo qualche problema temp-temporaneo.”
“Uh – annuì Mike, avvicinandosi – beh, dicevamo che il capo dopo quanto è successo, considerato anche che era da tempo che non ti facevi più vedere, ritiene che non sia più il caso che tu stia nel gruppo.”
“Liquidato.”
La parola, usata nel gergo delle bande per indicare l’espulsione di qualcuno dal gruppo, uscì dalla bocca di Henry senza alcuna esitazione. Heymans notò come i suoi pugni si strinsero lievemente: durò solo per qualche secondo, ma doveva essere dura vedere tutti i propri compagni sparire in modo così vigliacco.
“Sì, – ammise Liam, abbassando lo sguardo con imbarazzo – abbiamo cercato di opporci, ma come sai noi delle medie non abbiamo molta voce in merito a queste decisioni.”
“Cap-capisco.”
“Senti, anche se sei uscito fuori dalla banda per me non ci sono problemi a vederci. A noi non è che considerino più di tanto, lo sai, e d’estate siamo sempre stati in tre a divertirci…”
“E’ vero – annuì Mike – dai, perché qualche volta non passi da me… anzi, no, forse mia madre non sarebbe molto felice. Ma ci possiamo vedere all’aperto, tanto chi vuoi che ci controlli?”
Heymans a quelle parole fece un lieve sorriso e diede una lieve pacca ad Henry, incitandolo a rispondere.
Lui, commosso da quelle parole di amicizia, annuì e mormorò.
“Mi piacer-ebbe, sul serio.”
“Perfetto! Allora ci vediamo nelle prossime settimane e mi raccomando, riprenditi.”
Come i due ragazzini si furono allontanati, Heymans sospirò di sollievo, vedendo il viso di Henry rilassarsi in un sorriso. Non tutte le persone che frequentava quando era un teppistello erano dei cattivi diavoli e la presenza di quei due l’avrebbe aiutato a superare le difficoltà.
Dunque quando tornarono a casa e Laura andò loro incontro, si dimostrarono più soddisfatti del previsto.
Tuttavia, quando Henry fu andato in camera sua la donna chiamò il figlio maggiore in cucina e gli mise una mano sulla spalla.
“Oggi è venuto il padre di Andrew – iniziò – gli è arrivata una lettera dall’avvocato di New Optain.”
“La nonna è morta.” capì subito lui, ricordandosi di come l’avvocato avesse detto che non le restava molto da vivere.
Laura annuì ed Heymans la sbirciò con curiosità, cercando di cogliere le emozioni che una simile notizia poteva suscitare in lei. Ma appariva estremamente serena, gli occhi grigi limpidi e puliti, senza quella gelida rabbia che traspariva le poche volte che aveva parlato della madre in sua presenza.
“Non sei arrabbiata…”
“No – ammise lei – è come se fosse un altro piccolo livido nella mia anima che sparisce. So che ormai non poteva più nuocermi, ma è come se adesso fossi libera da un altro peso. Ora non dovrà più distruggersi nella rabbia per quanto mi è successo.”
“E nel dolore per la morte dello zio – Heymans disse quelle parole con discrezione, ma voleva che almeno quella parte di sua nonna, forse l’unica decente, venisse riferita a sua madre – per lui credo che…”
“Forse, – sospirò Laura – ma mio fratello non avrebbe voluto che facesse molte cose… anche struggersi in quel dolore assurdo per la sua morte.”
“Il signor Fury mi aveva detto diverse volte che tu sei forte in modo molto diverso da Henry, mamma – sorrise lui, baciandole la guancia – e ogni giorno ne colgo una sfumatura diversa. E adesso cosa succederà?”
Laura lo abbracciò.
“Niente di particolare: è morta la settimana scorsa e si è già provveduto al funerale secondo le disposizioni che aveva lasciato. L’eredità a quanto pare va a me e dunque ho chiesto al padre di Andrew di occuparsene, come ha sempre fatto; la casa che avevano a New Optain era solo in affitto e dunque non ci saranno nemmeno problemi legati ad essa.”
“Mh, capisco… però, devo andare dal signor Fury e parlargli di una cosa che vorrei da quel posto. Ci vediamo dopo, mamma.”
 
“Ciao, Roy – salutò Rosie, incontrando il ragazzo per strada – come va?”
Roy si irrigidì a quella domanda, la gioia per la fine della scuola che spariva improvvisamente, ma cercò di ingoiare almeno in parte la risposta rovente.
“Si riferisce a me o al mio sedere? – chiese, mettendosi le mani in tasca – In ogni caso bene, ma non certo grazie a suo marito.”
La donna sospirò e allungò una mano per accarezzare i capelli neri, ma Roy si scostò con sdegno.
A quel gesto lei ci rimase male, ma sapeva che era molto probabile che per i prossimo giorni il ragazzo ce l’avrebbe avuta particolarmente con suo marito e dunque in parte anche con lei.
“Roy, vorrei che non…”
“Mi scusi, ma ora devo proprio andare.” e si allontanò senza darle il tempo di replicare.
Rosie lo guardò andare via, carico di rabbia ed umiliazione: non era facile da gestire come Vato. Roy era un genere di ragazzo molto differente e Vincent era arrivato davvero ai ferri corti con lui.
“Forse sei stato troppo severo, dovevi parlargli. Magari avrebbe capito dove ha sbagliato e accettato meglio il castigo.”
“Non c’era niente che dovevo spiegargli: sapeva benissimo che grande cavolata ha combinato. L’unico discorso che può capire è quello dove lui sta sulle mie ginocchia a prenderle… farabutto che non è altro.”
“La seconda passata di botte potevi evitarla, poverino: quando sono venuta in camera era così sfinito e stravolto dal dolore che si è addormentato quasi subito.”
“Tu pronta a fargli le coccole, vero?”
“Gli ho solo asciugato le lacrime e consolato un pochino, Vincent. Proprio come ho sempre fatto con nostro figlio dopo che veniva punito.”
“Nostro figlio dopo la punizione ha sempre avuto la decenza di chiedere scusa e di capire il suo errore. Questo demonio non ha capito proprio nulla, ma non si illuda che ceda.”
“Non ti ho mai visto così intestardito su qualcosa. Certo che un figlio come Roy sarebbe stato davvero impegnativo per te, vero? Non ne vuole proprio sapere di stare sotto l’autorità di qualcuno.”
“Non farmici pensare… forza, adesso lo riporto a casa; almeno quando dorme è tranquillo. Vieni, furfante, non mi pare il caso di interrompere il tuo sonno, sei anche esausto dal viaggio in treno.”
Già, ovviamente Roy non poteva sapere di quella discussione: era praticamente crollato addormentato dopo un minuto che lei era arrivata a consolarlo.
Le dispiaceva: si era sinceramente affezionata a lui ed era sicura che con un minimo di pazienza…
Ma fra lui e Vincent è davvero difficile.
Bisognava aspettare che la situazione sbollisse.
 
Qualche giorno dopo Heymans attendeva l’arrivo del treno alla stazione ferroviaria, chiacchierando con tranquillità col capostazione.
“Dovrebbe arrivare una cosa per me – stava dicendo – e preferisco prenderla già da qui piuttosto che aspettarla a casa. Ah, ecco il treno!”
Con un sorriso aspettò che l’addetto al vagone merci aprisse lo sportello e parlasse con il capostazione il quale gli fece cenno di avvicinarsi. Prese in consegna quando gli doveva arrivare, constatando con felicità che non aveva subito traumi per il lungo viaggio e si diresse a casa.
“Mamma, sono tornato – annunciò, aprendo la porta con qualche difficoltà per via dell’ingombro – vado in camera di Henry.”
Salì le scale ed entrò nella stanza del fratello che stava seduto nel letto a leggere.
“Ehi – sorrise, sedendosi accanto a lui e mettendo sopra il materasso quella grossa scatola di cartone con il coperchio e le pareti piene di fori – c’è una sorpresa per te.”
Un tintinnio seguito da un miagolio uscì dalla scatola come Henry la scosse.
“Un gatto?” esclamò, aprendo il coperchio.
La prima cosa a fare capolino fu una folta coda arancione, seguita subito dopo dal muso con gli occhi verdi e incuriositi. Dopo due secondi il grosso gatto si stiracchiava nel letto di Henry, annusando con sospetto la sua nuova casa.
“Heymans – Laura entrò – dove sei stat… un gatto?”
“Mamma, è bellissimo – sorrise Henry, accarezzandolo – po-po-possiamo tenerlo?”
“E quello di cui mi avevi parlato, vero? – sospirò lei, andando davanti al letto e squadrando il figlio maggiore – Ecco cosa volevi recuperare, eh?”
“Ti dispiace tanto? Io l’ho trovato simpatico da subito e mi sarebbe dispiaciuto che finisse chissà dove, magari per strada.”
“Va bene, possiamo tenerlo.” concesse lei, vedendo come Henry ne fosse entusiasta.
“Ha un nome?” chiese il ragazzino.
“Non mi pare che nel collare ci sia scritto qualcosa – constatò Heymans – ha solo il sonaglino attaccato. Beh, è maschio, per il resto direi che lo puoi chiamare come vuoi tu, Henry.”
“Allora ci pe-penserò bene.”
Il grosso gatto miagolo con soddisfazione: dopo tutto il trambusto che era successo negli ultimi giorni era piacevole avere un po’ di tranquillità. E poi quegli umani sembravano simpatici: si sarebbe trovato bene con loro.
 
Mentre la famiglia Breda accoglieva quel nuovo ospite, Vincent tornava a casa dopo una giornata di lavoro.
Posò la giacca della divisa sulla sedia, sentendo che ormai iniziava a fargli veramente caldo, e si sedette nel divano con aria cupa.
Erano passati cinque giorni ma non c’era stato nessun segnale da parte di Roy. Aveva ritenuto che il ragazzo cedesse dopo massimo due giorni, cercando un minimo di dialogo con lui, magari tramite Vato, ma non era accaduto niente di simile. Le poche volte che l’aveva incrociato per strada, lui si era sempre preoccupato di cambiare improvvisamente direzione, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Questo l’aveva portato a ripensare ai discorsi che aveva avuto con Madame e con Rosie e una piccola parte di lui iniziava a pensare che forse doveva fare il primo passo con quel piccolo ribelle. Roy non era Vato, su questo non c’erano dubbi: non ne voleva sapere di ammettere le proprie colpe e chiedere scusa.
“Mamma, vuoi che apparecchi? – chiese proprio Vato uscendo dalla sua camera – Oh, ciao papà, bentornato.”
“Ciao, figliolo, tutto bene?” sorrise, lieto di vedere il figlio che, eccetto quell’unica volta, aveva imparato ad accettare e a comprendere le sue punizioni.
“Sì, certo.”
“Ah sei rientrato – fece Rosie, apparendo dalla cucina – non ti avevo sentito, caro.”
“Scusa, ero molto stanco e non sono nemmeno venuto a salutarti.”
“Fa niente – sorrise lei, facendosi avanti e guardandoli a turno con aria felice – bene, ora che ci siamo tutti devo farvi un annuncio. E’ arrivata posta per me, qualche ora fa, da New Optain.”
A quelle parole Vincent sentì un gelido brivido lungo la schiena; al contrario Vato mandò un’esclamazione gioiosa e si accostò alla madre che aveva tirato fuori dalla tasca del grembiule una lettera.
“E’ da parte di zia Daisy, vero?” chiese con foga, cingendole il braccio.
“Certo che sì, fiocco di neve.” ridacchiò Rosie.
“Bruciala subito e facciamo finta che non ci sia mai arrivata…”
“Vincent!”
L’uomo sospirò: ci mancava anche la lettera della sua odiatissima cognata.
“E cosa vuole la vipera? – chiese con voce cupa, sprofondando nella poltrona – Mandarmi i suoi amorevoli saluti?”
“Finiscila, possibile che tu e Daisy proprio non riusciate ad andare d’accordo?”
“Oh, dai mamma, non tenermi sulle spine! Che dice la zia?” la riscosse Vato.
“Tieniti forte, tesoro, lei e zio Max vengono a trovarci la settimana prossima!”
“Che cosa? Grandioso! – il viso del ragazzo era felice come poche volte i suoi amici avevano visto. Abbracciò la madre ed iniziò a battere le mani come un bimbo delle elementari – Zia Daisy e zio Max!”
“Vengono a trovarci… vengono qui?”
Al capitano di polizia Vincent Falman era appena crollato il mondo addosso.
Perché se c’era una persona che non sopportava era la sua sarcastica cognata Daisy McLane.
Dovrò armarmi di tutta la pazienza possibile…
  
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