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Autore: FairyCleo    31/03/2014    8 recensioni
Dal capitolo 1:"Erano trascorse tre settimane dall' ultima volta in cui aveva trascorso una giornata con la propria famiglia al completo. Erano trascorse tre settimane da quando aveva litigato per l' ennesima volta con Chichi.
Erano trascorse tre settimane da quando lei aveva preparato i bagagli, lasciando lui e Gohan soli in quella piccola, silenziosissima casa in cui non sarebbero mai più risuonati i passi leggeri della donna che Goku aveva sposato".
Dal capitolo 3: "Io non so se sei venuto a conoscenza degli avvenimenti che hanno segnato la mia famiglia nelle ultime settimane..."[...]"Vegeta, mio papà non ha preso bene la cosa... è stanco, spento, immotivato.[...]"So che il tuo più grande desiderio è quello di battere mio padre, è per questo che ti chiedo di aiutarlo. Allenati con lui Vegeta. Diventa il suo nuovo stimolo. E sono certo che diventerai anche tu un super sayan. Il super sayan più forte della storia".
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gohan, Goku, Un po' tutti, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wake me up when the pain ends
 
“NOOOOOOOOOOOOO!”.
 
Era stato l’urlo disumano del piccolo Dende ad aver riempito l’aria fino al punto di squarciarla. Era stato il suo urlo spaventoso ad aver atterrito coloro che continuavano a sostare alle sue spalle, quegli ignari amici desiderosi di sapere cosa stesse provocando in lui tanto orrore. Era stato quell’urlo spaventoso a sancire l’effettiva realtà di quanto avvenuto.
Perché, alla fine, e contro ogni più roseo pronostico, era accaduto. Perché, alla fine, non ci sarebbe davvero più stato ritorno.
 
*
 
Macerie. Tutto ciò che li circondava non era altro che le macerie di quello che un tempo era stato un florido ma piccolo pianeta. Le polveri di quello che era stato il terreno fertile ospitante verdi prati aleggiavano nell’aria, depositandosi sulla pelle di chi continuava a rimanere lì, immobile, non ancora consapevole di quanto fosse avvenuto in meno di un battito di ciglia.
Sarebbe stato tutto diverso se si fosse trattato di una battaglia, di un epico scontro che aveva visto un vincitore ed un vinto. Sarebbe stato tutto diverso se i due protagonisti fossero stati nemici. Sarebbe stato tutto diverso se quella non fosse stata la conclusione di uno dei più tragici episodi mai avvenuti.
 
Immobile. Continuava a rimanere immobile, inginocchiato davanti al corpo di chi lo aveva sostenuto fino all’ultimo, di chi non aveva pensato neppure per un attimo di potersi trovare lì e in quelle condizioni proprio per colpa della persona che più aveva amato.
Aveva ancora la mano immersa nel suo torace bollente, noncurante del sangue che continuava inesorabilmente a sgorgare da quello squarcio più profondo dell’Averno.
Sembrava che fossero in due a non essere più in vita. Non c’era niente in movimento, niente, al di fuori della polvere e del liquido scarlatto che aveva macchiato il piccolo sperone di roccia rimasto intatto dopo la quasi totale distruzione del pianeta che era stato la dimora dell’ormai defunto re Kaioh del Nord. Niente.
Non c’era niente di umano in quella scena, niente di pienamente comprensibile, né per chi la stava osservando da una distanza inimmaginabile, né per chi la stava vivendo.
 
Non respirava più. Anche se la sua forma era completamente bestiale, se era ancora la più brutale e crudele creatura che potesse esistere, si era reso perfettamente conto che lui non respirava più. Come avrebbe potuto farlo se la sua mano si trovava ancora immersa fino al polso nelle sue costole spezzate? Come avrebbe potuto farlo se la sua anima aveva abbandonato quella dimora carnale?
 
Gli occhi del mostro continuavano ad essere bianchi come il latte, due specchi affacciati su un mondo imperscrutabile e imperturbabile, un mondo dominato solo da sangue e da distruzione.
Aveva placato ogni suo più basso istinto dopo averlo colpito. Aveva raggiunto il suo obiettivo, aveva spento quella sete di morte che tanto gli aveva fatto ardere la gola. E adesso… Cosa avrebbe fatto, adesso?
Quale sarebbe stato il suo prossimo obiettivo, la sua prossima vittima? Chi avrebbe potuto fargli provare un simile piacere? Il piacere di decidere della vita o della morte non di un qualunque, insignificante individuo, ma di chi, esattamente come Goku, avrebbe davvero potuto fare la differenza?
Non si era reso conto di chi avesse davanti. Aveva semplicemente avvertito un’aura dalla potenza gigantesca e aveva attaccato, incapace e del tutto indifferente rispetto a chi potesse essere in verità. Lui non era in grado di vederlo. Non c’erano occhi per lui, non c’erano labbra, non c’era niente se non una massa informe emanante la più grande forza che fosse stato in grado di percepire dopo aver distrutto Broly.
Vegeta non poteva sapere che quello fosse Goku, non aveva idea che quello che aveva appena ucciso fosse il ragazzo che amava più di chiunque altro, persino più di se stesso. Vegeta non sapeva che il sangue di cui si era macchiato era quello dell’amore della sua vita.
Eppure, quel sangue, quello stesso sangue che aveva versato, quel sangue che lo stava sporcando e che stava lasciando il corpo che prima aveva percorso con forza e vigore, non si era solo depositato su quella pelle dura come il cuoio, quella pelle piena di calli e ferite così come poteva fare la pioggia, così come poteva fare la polvere, no. Quel sangue rosso e caldo come il fuoco, quel sangue ancora vivo, era come penetrato nello strumento che aveva decretato la sua fuoriuscita. Quel sangue, a modo suo, stava facendo quello che Goku non era riuscito a fare. Quel sangue, forse, stava per compiere un miracolo.
 
*
 
Era stato come svegliarsi da una specie di sogno.
Non aveva capito come aveva fatto ad addormentarsi, in verità. Era confuso, come se avesse camminato per ore in una nebbia fitta, densa quasi come cotone. Non sapeva dove stesse andando, o cosa di preciso stesse facendo. Si stava muovendo? Poteva anche essere che così non fosse. Poteva anche essere che non stesse avanzando affatto, che fosse rimasto lì, fermo, e che fosse tutto il resto, quel resto che non aveva l’aspetto di niente, ad avanzare, dandogli l’illusione di poter fare tutto quello che avrebbe dovuto fare al posto suo.
Non sapeva bene cosa stava provando, quali fossero le sensazioni della sua pelle e del suo cuore. Lo stomaco si stava contorcendo in una smorfia sempre più dolorosa e faceva su e giù, su e giù, su e giù in quel suo corpo che proprio non voleva saperne di andare di pari passo con la sua mente.
Udiva delle voci lontane… Era tutto ovattato, distante mille miglia, un suono a dir poco indistinguibile. Avrebbe tanto voluto sapere cosa stesse dicendo, se fosse un suono umano o magari il verso di qualche strano animale appena uscito dalla sua tana. Ma era troppo lontano da raggiungere, e lui non poteva muoversi. O forse poteva, ma comunque non sarebbe stato in grado di scovarlo.
Forse, non aveva neppure gli occhi aperti. Forse, sta dormendo e non lo sapeva.
Alla fine, aveva davvero lasciato che le palpebre si abbassassero. Cielo, solo gli dei potevano sapere quanto fossero diventate pesanti, simbolo più evidente di quanto grande fosse la stanchezza che stava accusando.
Era sempre stato una persona non avvezza ad arrendersi ai capricci del proprio corpo. Era un guerriero, lui, un soldato, e poco importava chi o cosa fosse il suo nemico. Ogni decisione presa, in un modo o nell’altro, finiva per essere portata a termine. Non c’erano se, non c’erano ma. Lui era Vegeta, era il principe dei saiyan e non poteva di certo arrendersi o soccombere. Ma perché, allora, proprio non riusciva a reagire? Perché, allora, più trascorreva il tempo, più sentiva di essere schiacciato, più si sentiva incapace di reagire?
 
Il rumore che aveva sentito sembrava essere diventato improvvisamente più forte, così forte da averlo costretto a sollevare le palpebre, anche se quel gesto così semplice gli era costato tanto, forse troppo.
Era assurdo il pensiero che aveva appena formulato, lo sapeva bene. Ma allora, perché gli era davvero parso che quel suono stesse in qualche modo cercando di attirare proprio la sua attenzione? Lui non poteva rispondere. Non ne aveva le forze. La voce gli moriva in gola appena provava a parlare, e il suo corpo era diventato pesante, troppo pesante ed intorpidito perché potesse in qualche modo prestarle attenzione.
Spiegare a se stesso cosa gli stesse accadendo stava diventando sempre più difficile, sempre più arduo. Avrebbe tanto voluto stendersi un minuto, solo un minuto. Magari sarebbe bastato per recuperare un po’ di forze. Cosa sarebbe cambiato se avesse riposato per poco tempo?
 
Si trovava ancora una volta in un luogo sconosciuto e non aveva idea di come avesse fatto a raggiungerlo o del perché fosse lì. Non sapeva cosa fosse accaduto prima e non sapeva nemmeno cosa sarebbe accaduto dopo. Non sapeva proprio niente. Perché avrebbe dovuto prestare attenzione ad uno stupido suono che forse non era nemmeno reale?
 
La testa aveva cominciato a girare. Veloce, sempre più veloce. Perché non poteva semplicemente addormentarsi? Perché?
 
“Svegliati”.
 
Nonostante fosse quasi crollato sulle ginocchia come un castello di carta distrutto dal vento, era riuscito a non lasciarsi andare. Lo aveva sentito in maniera più chiara, quella volta. Lo aveva sentito davvero. E lo aveva udito di nuovo, stavolta, più nitido, più severo, più vero che mai.
 
“SVEGLIATI”.
 
Era stato un ordine perentorio, un ordine a cui non si sarebbe potuto sottrarre. Per questa ragione aveva recuperato le poche forze che gli erano rimaste ed era riuscito a non cadere, aprendo di finalmente quegli occhi troppo stanchi e rimanendo per un lungo istante basito prima di avere un conato provocato dal disgusto.
 
Non era la prima volta che vedeva se stesso in carne ed ossa, come se il suo riflesso fosse fuoriuscito da uno specchio incantato capace di dare la vita a ciò che era inanimato, ma non era stato in grado di ricordarlo prima di quel momento così sconvolgente. Era stato solo dopo aver messo a fuoco quella figura così familiare che si era reso conto di quanto stava vedendo e soprattutto di cosa fosse accaduto, ed era stato come sprofondare inesorabilmente fra le acque di un lago ghiacciato.
 
Quel Vegeta lo stava guardando. Lo stava guardando con occhi risoluti, pieni di rabbia verso il se stesso che aveva osato tradire lui e le sue più radicate convinzioni. Il principe dei saiyan sapeva bene di averlo già incontrato, sapeva che quello era il Vegeta che gli aveva chiesto silenziosamente più volte di non cedere alla brutalità, alla rabbia, di non diventare simile al mostro che avrebbe dovuto sconfiggere, quello che aveva ignorato per dare ascolto al consiglio di chi lo aveva aiutato a diventare un ragazzo diverso, un ragazzo che aveva imparato ad amare.
Quel Vegeta, però, era diverso dal riflesso della sua coscienza che aveva avuto l’opportunità di incontrare in precedenza. Quel Vegeta era più forte fisicamente, più vigoroso, ma allo stesso tempo era visibilmente più angosciato, sensibilmente più provato e decisamente più furioso.
 
Non sapeva cosa fare. Poche volte si era sentito tanto a disagio, un disagio causato da se stesso, tra l’altro.
Era forse un’altra prova, quella? Un modo per fargli capire che stava sbagliando in qualcosa e doveva recuperare? Ma lui aveva tanto sonno… Aveva tanto, troppo sonno… Non poteva proprio scendere in campo e affrontare una battaglia devastante come quella vissuta in precedenza con ogni singola parte di sé. Perché non poteva dormire? Perché, per una volta, non potevano lasciarlo stare?
 
“Devi svegliarti”.
 
Glielo aveva ordinato di nuovo, in maniera ancora più perentoria.
Ma cosa stava dicendo? Lui era sveglio, anche se lo stava facendo con tanta fatica. Forse, era pazzo. Ma certo che era pazzo. Chi poteva vantare di aver parlato con diversi se stessi tutte quelle volte? Di aver avuto uno scontro così diretto con tutte le componenti della propria coscienza? Nessuno all’infuori di un matto.
 
“Tsk… Io sono sveglio…” – aveva biascicato con non poca fatica, cercando di tenere gli occhi aperti – “Sono sveglio”.
“No che non lo sei. Se fossi sveglio saresti in grado di vedere”.
Vedere? Cosa avrebbe dovuto vedere? Il suo viso arrabbiato? La sua espressione di disgusto?
“Svegliati”.
 
Non era stato in grado di sottrarsi alla ferrea presa che aveva esercitato sui suoi avambracci. Il contatto lo aveva fatto ritrarre indietro di scatto, proprio come se fosse stato investito da una potente scarica elettrica, ma lui era più forte, era molto più forte di quanto avesse mai potuto credere. Lo aveva fissato dritto negli occhi, quasi fossero due magneti da cui era impossibile staccarsi, e proprio per questo aveva dovuto far affidamento al tatto per rendersi conto di cosa fosse quella sostanza calda e appiccicosa entrata improvvisamente a contatto con la sua pelle, per capire che quello era sangue.
Solo a quel punto aveva chinato il capo e aveva potuto avere conferma di quanto sospettato, tremando davanti alla vista di quelle mani imbrattate di rosso che stavano tingendo anche i suoi avambracci. Non era il suo sangue. Se fosse stato suo lo avrebbe capito immediatamente. Non c’erano ferite sul corpo del suo doppio, non c’era neppure il minimo graffio. Che cosa aveva fatto, quel Vegeta? Che cosa aveva fatto fare anche a lui?
 
Inorridito, aveva sollevato lo sguardo per poter sperare di trovare una risposta in quegli occhi che conosceva così bene, ma così non era stato, e non perché non fosse in grado di leggere in se stesso, no, ma perché quello che aveva davanti non era più Vegeta. Quello che aveva davanti era Kaharot.
 
Il fiato gli era morto in gola, così come tutte le domande e i dubbi che avevano rischiato di strozzarlo.
Perché Goku non era felice. Perché Goku stava piangendo. Perché Goku aveva il petto sfondato e sanguinava copiosamente. Perché Goku gli aveva appena chiesto con una voce che non gli apparteneva di aprire gli occhi e guardare. Perché Goku stava cercando disperatamente di fargli capire quello che lui si ostentava a non voler neppure vedere.
 
*
 
Ed era successo.
La sua mano, un minuto prima ferma, immutabile come il perfetto arto marmoreo del David, aveva cominciato improvvisamente a tremare, sintomo di un disgusto e di una presa di coscienza che nessuno avrebbe mai creduto possibile.
Subito dopo la mano, era toccato ai suoi denti: le terribili fauci ferine avevano iniziato a regredire, tornando ad essere delle loro dimensioni canoniche. I muscoli, prima gonfi e pulsanti fino al punto di scoppiare, avevano perso quell’innaturale vigore, diventando nuovamente armoniosi e proporzionati al resto di quel corpo così bello. I capelli, splendenti d’oro e di fuoco come l’aura che lo circondava, erano spariti insieme a quest’ultima, tornando del loro naturale colore scuro come la notte. Per ultimo, era toccato ai suoi occhi. In quel mare di latte era finalmente riapparsa, come un’isola nata dall’eruzione di un vulcano, l’iride scura e viva, l’ultimo sentore di un’umanità riguadagnata con tanta fatica, un’umanità segnata dalle lacrime.
 
Aveva respirato così rumorosamente da aver prodotto un suono quasi innaturale, il suono di chi si è appena reso conto di aver fatto andare il proprio cuore in frantumi.
Nonostante il velo di lacrime che stava appannando il suo sguardo, era stato perfettamente in grado di vedere quello che aveva fatto. Nonostante lo sgomento, era stato in grado di capire, e mai, mai come allora avrebbe voluto non essere in grado di farlo.
 
“Kaharot…” – aveva biascicato, cercando disperatamente di trattenere le gocce salate che prepotenti stavano prendendo il sopravvento su di lui – “Kaharot…        No… No… No…”.
 
Non si era reso conto di aver sfilato via la mano da quel torace sfondato e di aver cominciato a toccare freneticamente ogni singolo centimetro del suo volto, del suo collo, delle sue spalle, dei suoi fianchi, lasciando una scia rossa sempre meno evidente al suo passaggio, cercando un disperato modo per svegliarlo, per costringerlo ad aprire gli occhi.
 
“Svegliati” – gli aveva imposto, proprio come prima era stato imposto a lui – “Hai capito stupida terza classe? Devi svegliarti! Hai capito? Mi hai capito razza di idiota?”.
 
E aveva cominciato a scuoterlo. Aveva cominciato a scuoterlo con estrema violenza, sperando in quel modo di poterlo destare da quel sonno innaturale. Sembrava che non si fosse reso conto di cosa potesse voler dire quello squarcio che Goku aveva nel petto. Era come se avesse dimenticato come fosse fatta una ferita mortale, nonostante fosse avvezzo alla vista di queste ultime e ne avesse portate diverse sul suo corpo in tempi neppure troppo lontani. Per lui non era uno squarcio così grave. Vegeta non vedeva altro se non un misero taglietto, se non qualche misera goccia di sangue.
Ma era davvero così? Era davvero quello che il principe dei saiyan stava vedendo o era solo frutto della sua immaginazione? Frutto del dolore scaturito da una verità troppo difficile da accettare e affrontare?
 
“Andiamo! Ti devi svegliare! Svegliati Kaharot! SVEGLIATI!”.
 
Ma Goku non si stava svegliando. Goku continuava a rimanere fermo, immobile, il volto rilassato in maniera innaturale e macchiato di quell’orribile liquido rosso che non avrebbe mai dovuto scorrere, soprattutto non per colpa sua. Perché nonostante stesse cercando di negarlo a se stesso, nonostante stesse cercando di fingere che così non fosse, era fin troppo cosciente di quanto in realtà fosse accaduto, era fin troppo cosciente che quell’abominio fosse solo ed esclusivamente causa del suo operato.
 
Aveva perduto il controllo. Era stato necessario che ciò avvenisse affinché potesse distruggere il nemico. Aveva dovuto diventare un mostro per sconfiggere Broly, e c’era riuscito. Ma perché, perché aveva attaccato Goku? Perché aveva fatto del male proprio a chi amava più di tutti?
 
La consapevolezza di quanto era accaduto lo aveva assalito con tutto il suo peso, impedendogli di pensare, impedendogli persino di respirare.
Tante volte si era sporcato le mani con il sangue altrui, tante volte aveva privato della vita nemici o semplici innocenti finiti più o meno per caso sul suo cammino, ma non aveva mai versato il sangue di una persona a lui cara, mai. Certo, aveva ucciso Nappa, ma non era stata la stessa cosa. Nappa non era Goku. Nappa non era niente, niente! La sua morte non era stata diversa dalle altre che aveva inflitto senza rimorso o pietà. Ma quella di Goku, quella del suo Kaharot era… Era… Non sapeva come definirla.
 
Come avrebbe potuto spiegare a parole quello che si stava agitando dentro di lui? Spiegare quanto si stava odiando per essere stato debole nonostante avesse a disposizione quella potenza di cui non aveva memoria, spiegare quanto si stava detestando per aver equiparato quel mostro di Broly a Goku? E, a quel punto, chi era il mostro? Chi, se non lui? Chi?
Goku era morto. Il suo Kaharot era morto per la seconda volta dopo aver conservato il suo corpo nel regno dell’Aldilà. Non ci sarebbe stato modo per lui di poter tornare indietro, non ci sarebbero state per lui altre occasioni. Il suo sangue era stato versato un’ultima volta. Presto si sarebbe seccato, tramutandosi solo in una macchia su degli abiti che sarebbero diventati dei vecchi stracci buoni solo per versarci sopra lacrime amare.
 
Avrebbe dovuto lasciarlo stare se avesse avuto un po’ di coraggio in più. Avrebbe dovuto prendere il suo corpo e restituirlo a ciò che rimaneva della sua famiglia, allontanandosi da lui e da tutti il più velocemente possibile, portando con sé ogni tipo di sciagura che sarebbe stato potenzialmente in grado di provocare.
Lui non era capace di produrre qualcosa, buona o negativa che fosse. Lui sapeva solo distruggere. Lui sapeva solo infrangere in mille pezzi tutto quello che gli veniva posto tra le mani. E adesso, adesso che era diventato
quello che era diventato, adesso che aveva raggiunto quello stadio bestiale, era anche peggio della creatura di prima. Nessuno avrebbe dovuto stargli accanto. Nessuno avrebbe dovuto neppure pensare di avvicinarsi a lui. Perché non era mai stato davvero umano, ma mai prima di allora era stato davvero un mostro.
Eppure, nonostante continuasse a ripetersi che quella fosse l’unica cosa da fare, nonostante sapesse che quella fosse l’unica cosa giusta, che toccarlo per lui significava profanarlo, che stargli accanto per lui significava infettarlo con i suoi geni velenosi, non riusciva ad allontanarsi. Vegeta non riusciva proprio a lasciarlo andare.
 
“Non puoi andare via da me…” – gli aveva detto, accogliendolo fra le proprie braccia e adagiandogli come meglio poteva il capo fra la sua spalla e il suo petto – “Mi hai sentito, stupido idiota? Non puoi andare via! Non te lo permetto! Il sono il principe dei saiyan e tu sei solo una stupida terza classe che deve obbedire ai miei ordini! Non puoi disobbedirmi! Non puoi neanche pensare di farlo, mi hai sentito, Goku? Hai capito, Kaharot? Hai capito? Tu non puoi lasciarmi, non puoi! Non puoi…”.
Senza neanche rendersene conto, aveva iniziato a dondolarsi avanti e indietro, quasi come se stesse cullando un bambino piccolo appena addormentatosi tra le amorevoli braccia del padre. E, ad un primo acchito, poteva davvero sembrare che Goku stesse dormendo, ma quella non era la verità.
“Tu non puoi lasciarmi…” – aveva ripetuto nuovamente, affondando la bocca tra quei capelli così buffi che distinguevano la sua terza classe da chiunque altro.
Stava male. Era come se qualcuno gli stesse serrando la gola con forza, e gli occhi bruciavano come il fuoco, ormai incapaci di trattenere tutto il dolore che stava provando.
Era assurdo quello che aveva fatto. Ed era assurdo che non aveva ancora fatto. Ma poteva avere senso dirlo adesso? Poteva davvero significare qualcosa dirlo in quell’occasione?
Aveva provato a trattenersi, ma ormai aveva perso il controllo delle proprie emozioni, anche se si trattava di una perdita di controllo molto diversa da quella precedente. Non era stata scatenata dal bisogno, ma dal rimorso, dal senso di colpa e dall’amore, dalla forza di un sentimento che non riusciva proprio a mettere a tacere.
Era stato per questo che non era riuscito a trattenersi. Era stato per questo che aveva chiuso gli occhi e aveva lasciato che le lacrime sgorgassero come un fiume in piena e che il dolore si riversasse senza più freni, senza nessuna inibizione.
 
“Mi dispiace…” – era stata la sua prima ammissione – “Mi dispiace da morire… Non doveva finire così… Tu non avresti dovuto… Io non avrei dovuto… Dio quanto mi dispiace…”.
 
Aveva cominciato a stringere convulsamente i capelli corvini della sua vittima, torcendo contemporaneamente la stoffa usurata della sua adorata tuta arancione.
 
“E’ stata colpa mia… E’ stata solo colpa mia, Paragas e Broly avevano ragione. Se non avessi mai accettato di venire sulla Terra con la stupidissima scusa di vendicare Radish, noi non ci saremmo mai incontrati e niente di tutto questo sarebbe mai avvenuto. Se io non fossi stato così... Stupido e tronfio, se non fossi stato così debole tu non saresti morto ed invece… Invece…”.
 
Le parole gli erano morte in gola. Era assurdo quanto tutto quello fosse in contrasto con quanto aveva sostenuto fino ad un po’ di tempo addietro. Lui voleva distruggere Kaharot, voleva far penare l’essere che aveva osato sconfiggerlo e umiliarlo davanti a tutti, ma ora che l’aveva fatto, ora che era riuscito a portare a termine quel suo antico proposito, avrebbe solo voluto morire a sua volta.
Ma neanche in quel caso avrebbe potuto raggiungerlo per potergli chiedere perdono, perché nessuno avrebbe potuto o dovuto avere pietà di uno che si era macchiato dell’uccisione a sangue freddo dell’uomo che amava. Nessuno avrebbe concesso una conclusione definitiva alla vita dell’assassino più spietato di sempre.
Lui sarebbe stato spedito all’Inferno, nel girone più profondo e più duro di tutti, forse in un girone istituito proprio per lui. Ma non era questo che gli importava, non era questo che gli faceva stringere il cuore, perché avrebbe trascorso milioni e milioni di anni nel Regno degli Inferi se questo gli avesse permesso di riportare indietro il suo Kaharot.
 
Il pensiero di Gohan aveva assalito improvvisamente il giovane principe, aumentando esponenzialmente la sua nausea. Come, come avrebbe potuto spiegare a quel ragazzino che era stato lui a privarlo definitivamente di suo padre? Lo avrebbe odiato. L’unico bambino che avesse mai provato nei suoi confronti un sentimento d’affetto lo avrebbe odiato esattamente come tutti gli altri.
Era un pensiero insostenibile quello che lo aveva raggiunto, un pensiero che lo aveva portato ad odiarsi ancora più di prima. E lui sapeva che l’odio sarebbe presto sfociato in pazzia e che doveva andare via da lì. Lui sapeva che doveva andare via da lì prima che fosse troppo tardi.
 
“Mi dispiace di aver perso il controllo…” – aveva ripetuto, continuando a strofinare il mento e le labbra sui suoi capelli incrostati di sangue e polvere – “Mi dispiace… Mi dispiace da morire”.
 
Doveva andare via. Era quello il momento adatto. Se avesse esitato ancora, non l’avrebbe più fatto.
E ci aveva provato, ci aveva provato davvero, ma in quel preciso istante il corpo di Goku aveva cominciato a dissolversi nel nulla come aveva fatto durante la sua fuga improvvisata, facendolo tornare sui suoi passi, facendolo letteralmente gettare su chi aveva cercato di abbandonare con non poca difficoltà.
 
Non lo aveva previsto. Non aveva capito che “cessare di esistere” fosse davvero così letterale, ma lui non poteva permettere che ciò avvenisse, lui non poteva permettere che l’eroe più grande di tutti facesse una simile fine, non poteva permettere che l’unica persona che avesse mai amato lo abbandonasse.
 
“NO!” – aveva urlato, prendendolo di nuovo fra le braccia – “No, ti prego, no! Non puoi lasciarmi in questo modo! Non puoi e basta! Mi hai sentito Goku? MI HAI SENTITO STUPIDO IDIOTA?”.
 
Era piombato in pieno panico, un panico a dir poco viscerale. Cosa poteva fare per evitare che Goku svanisse nel nulla? Perché qualcosa si doveva pur fare! Qualsiasi cosa!
 
“Re Kaioh!” – aveva cominciato ad urlare, evidentemente inconsapevole della sorte toccata al sovrano del Nord – “Re Kaioh! VENGA SUBITO QUI!”.
 
Ma solo allora sembrava aver messo a fuoco quello che li stava circondando, solo allora aveva capito dove si trovassero e cosa fosse accaduto. Lui non aveva solo ucciso Goku, ma aveva distrutto quel piccolo pianeta che per un po’ di tempo era stato la sua casa, e non era stato difficile capire che fine avesse fatto la persona che stava chiamando a gran voce.
Aveva chiuso forte gli occhi, deglutendo rumorosamente nel tentativo di mandare giù quel boccone così amaro.
Forse, aveva tolto a Goku l’ultima speranza che gli era rimasta.
 
Si era lasciato cadere in ginocchio, prendendo con delicatezza la salma del saiyan più giovane e adagiandola nuovamente sul suo petto, piangendo in silenzio.
Goku non c’era più. Il suo Kaharot non c’era, non poteva fare niente per aiutarlo e lui non aveva più voglia di tenere gli occhi aperti, non aveva più voglia di sperare, non aveva nemmeno più voglia di vivere.
 
Il ricordo di quanto era avvenuto durante la sua brutale trasformazione era riaffiorato improvvisamente, trafiggendo la sua mente come mille frammenti di specchi taglienti. La morte di Broly, quella di re Kaioh, la distruzione di parte del pianeta e il pestaggio di Goku terminato con quel pugno micidiale che gli aveva sfondato il torace. E lui, per tutto il tempo, aveva stretto il cuore sanguinante strappato dal petto del suo nemico, quel cuore che secondo un antico rituale avrebbe permesso al giovane e sfortunato saiyan di tornare in vita.
 
“Credevo di potercela fare…” – aveva ammesso candidamente con un filo di voce – “Credevo davvero di poterti far tornare da me”.
 
Si sentiva stanco. Si sentiva talmente stanco da volersi stendere, proprio come gli era capitato poco prima, durante quello strano sogno. Ma non poteva stendersi. Sarebbe stato tremendamente irrispettoso nei confronti di chi avrebbe voluto alzarsi e correre via, lontano, insieme al vento.
Per questa ragione non si era lasciato andare. Per questa e per nessun’altra.
 
Era così assorto, così perso in quei ricordi dell’unico periodo veramente felice che avesse mai vissuto in vita sua, nei ricordi dei sorrisi di Gohan, dell’ingenuità di Kaharot e della semplice bellezza della vita di tutti i giorni da non essersi reso conto che qualcuno gli si era avvicinato. Solo quando qualcosa di morbido e decisamente peloso aveva sfregato il suo braccio si era reso conto di non essere l’unico individuo ancora in vita su quella specie di pianeta. Grande era stata la sua sorpresa nell’essersi reso conto di essere in compagnia di una scimmia e di uno strano insetto che ricordava un grillo o forse una cicala.
La scimmia, una sua lontana parente, stando a quello che era solito ricordargli Freezer, non riusciva a staccare gli occhi da Goku, e lo stesso valeva per l’insetto munito di ali. Sembrava che entrambi fossero perfettamente in grado di capire che il saiyan non fosse più fra loro, e poteva giurare di aver visto gli occhi di entrambi velarsi di lacrime. Non era riuscito a mascherare un sorriso sofferente ma grato, così come non era riuscito a non chiudere gli occhi diventati rossi per colpa del pianto diventato impossibile da trattenere.
 
Era finito. Era tutto finito. Non ci sarebbe stato altro da fare se non attendere che il momento tanto temuto raggiungesse il suo apice, e Vegeta era certo che non potesse volerci poi tanto.
Doveva salutarlo. Voleva salutarlo un’ultima volta. Non importava se sotto quella pelle non scorreva più sangue, se quelle labbra non avrebbero potuto contraccambiare. Quella era la sua ultima occasione, la sua unica occasione e non se la sarebbe fatta scappare per nulla al mondo.
Era lui, anche se in verità non lo era più. Era il suo Kaharot, e nessuno avrebbe potuto cambiare quella realtà.
Non aveva sprecato tempo ad asciugare le lacrime, anche se sospettava che gli avrebbe fatto male vederlo in quello stato, ma non poteva nascondere il suo reale stato. Non sarebbe stato corretto.
Aveva accarezzato le labbra ancora morbide con il polpastrello della mano sinistra, lasciandolo scivolare più volte su di esse, saggiandone la consistenza, cercando di memorizzare ogni sensazione. Il passo da lì a chinarsi era stato breve, ancor più breve quello che lo aveva portato a posare la bocca sulla sua, leggero, tenero come non mai, con gli occhi chiusi e bagnati di quel liquido salato che lo stava aiutando a non impazzire, a non perdere il controllo.
E quella era stata la fine di tutto, era stata la fine di ogni cosa, perché prima che potesse rendersene conto, prima che potesse dischiudere gli occhi e osservarlo per l’ultima volta, Goku si era dissolto, Goku era svanito, lasciando fra le braccia di Vegeta solo una vecchia divisa rovinata e la consapevolezza di aver perso la cosa più bella che la vita avesse deciso di offrirgli, la consapevolezza di aver perso l’unica ragione per cui valesse la pena di provare ad andare avanti.
 
Non gli importava se quei due esseri bizzarri lo avessero visto disperarsi e crollare. Non gli importava se avessero visto le sue lacrime. Era un principe, era vero, ma non era solo quello.
Vegeta era cambiato ancora, ma non era stato in grado di capire cosa fosse diventato. E, purtroppo, cominciava a credere che non gli sarebbe mai più importato.
Per il momento, avrebbe continuato a prendere a pugni il terreno, piangendo disperatamente tutto quello che poteva piangere, riversando all’esterno tutto quello che poteva riversare, stringendo convulsamente la giacca della tuta che per un qualche assurdo motivo era rimasta lì con lui.
Era assurdo pensare a quanto fosse crudele e dispettoso il destino. Era andato via lasciando a Goku solo un vestito in sua memoria, ed ora che era stato lui ad andare via, gli veniva offerto lo stesso.
Poteva forse esserci punizione peggiore? Non credeva che ciò fosse possibile.
 
Eppure, se c’era una cosa che Vegeta non aveva ancora imparato nonostante tutto quello che aveva sopportato, era che niente era davvero impossibile. Niente. E presto, ne avrebbe avuto conferma. Presto, avrebbe imparato una lezione nuova che non avrebbe mai potuto dimenticare.
Perché poco dopo, aveva sentito la sua voce. Perché poco dopo, aveva potuto di nuovo guardare nei suoi occhi e perdersi in un modo del tutto diverso rispetto a quanto aveva fatto in precedenza.
Perché poco dopo, aveva potuto capire davvero quanto imprevedibile e piena di sorprese fosse quella vita che per un breve ma intenso istante aveva sperato di perdere.
 
Continua…
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Ed eccomi qui!
Dopo una bella pausa, ma con un capitolo che… Bè, aspetto che mi diciate voi com’è stato questo capitolo! XD
Ragazzi, io non sto bene con la testa! Non sto bene per davvero, ma credo che ormai lo abbiate capito.
E so che molti/e di voi vogliono uccidermi dopo quello che vi ho fatto passare nello scorso capitolo, ma vi prego, ABBIATE PIETA’ DI ME.
Anche perché devo scrivere il prossimo capitolo, no? E non solo di questa storia… Prometto di mettermi d’impegno anche per l’altra Long, ma ho un calo di ispirazione, vi parlo chiaramente. Non è che sono diventata vagabonda da un giorno all’altro.
Ma torniamo a questa storia. Io in realtà non sono bene cosa dire riguardo a questo scritto. E’ davvero stato una sorpresa anche per me, e so che vi siete stancati di sentirvelo dire, ma è la realtà. Nel senso che io sapevo quale sarebbe stata la conclusione del medesimo, ma non che sarebbe stato così travagliato tutto il percorso. Ho sofferto insieme a Vegeta, credetemi. E ancora devo riprendermi.
Ma sapete qual è la cosa che mi sta lasciando davvero senza parole? Sapere che ci sono tante persone che hanno iniziato a leggere la storia da poco tempo e l’hanno letteralmente divorata. Mi sembra impossibile che questa storia sia riuscita a fare una cosa del genere, che magari a voi può sembrare poco, ma per me non lo è affatto. Per questo colgo l’occasione per ringraziare chi è appena arrivato e chi c’è sempre stato. Vi adoro.
Questa storia è così solo grazie al vostro sostegno.
<3
Ma ora basta perché sembra che io stia facendo un discorso di commiato e non ne ho intenzione. Ancora ci sono un paio di capitoli da scrivere, no? ;)
Amici miei, vi auguro la buonanotte!
Un bacino!
A presto!
Cleo
   
 
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