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Autore: Rexam    01/04/2014    2 recensioni
Quando Matthew si svegliò aveva la vista distorta ed era confuso. Era steso a terra, faccia in giù, senza forze, quasi privo di coscienza. Il suo corpo era rigido come un gigantesco tronco di legno. Le ossa gli dolevano e non riusciva a sentirsi le gambe. Riposava su una superficie calda e soffice. Non avrebbe saputo dire a cosa somigliasse quella sensazione. Era così familiare, ma anche così distante. Forse perché la sua testa ancora rimbombava di strani rumori immaginari. Percepiva i raggi del sole sulla sua pelle. Il suo respiro era regolare. Nonostante tutto, era felice di scoprirsi vivo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8: La Nave di Teseo

“Viviamo tutti a bordo di una nave salpata da un porto
 che non conosciamo, diretta a un porto che ignoriamo;
 dobbiamo avere per gli altri una amabilità da viaggio.”

“Allora forse ti ho già visto. Ti conosco. Chi sei? Chi sei?”
Questo pensava Matthew arrancando nella pianura, allontanandosi dal calore e dalla sicurezza che i teepee infondevano. Si sentiva rigenerato, ma non era sereno. Per nulla. Nella testa gli ronzavano mille pensieri, come uno sciame di api in agguato in un nido. Era certo di avere già incontrato in precedenza il Collezionista di Farfalle. Credeva di averlo visto, nel sogno della scorsa notte. Alcuni contorni avevano preso forma, ma non riusciva a focalizzare. Era tutto così oscuro e nebuloso. Come se mancasse la chiave di volta del tutto. Immagini cangianti gli vorticavano davanti agli occhi, e forse fu proprio per questo che non si accorse del cambio di ambientazione. Aveva la pianura alle spalle, e stava percorrendo un dissestato sentiero montano, pieno di ciottoli e terriccio fangoso. Certo, era curioso. Dall’accampamento era sicuro di non aver intravisto alcuna catena montuosa, per quanto piccola, all’orizzonte. A questo punto non sarebbe riuscito a tornare indietro neanche volendolo. Era sicuro che Nathan lo avesse previsto.
Nathan. Un personaggio bizzarro. Nitido come una sfera di cristallo. Dalla sua limpida serenità emotiva, dal suo distacco terreno da ogni cosa, sembrava conoscere tutto. Infondeva negli altri un senso di sicurezza. “Ci sono io a proteggerti, non preoccuparti”, questo sembravano dire i suoi occhi. E quegli occhi, dio, quegli occhi! Ti uccidevano come una coltellata! Potevi perderti in mille labirinti solo a guardarli, potevano stregarti più di Medusa. Potevano, da soli, sorreggere il mondo. Nathan era una figura teatrale e pura. Una presenza solida. Matthew non ce la faceva ad avercela con lui per non avergli dato spiegazioni. Come faceva ad essere arrabbiato? Gli aveva praticamente salvato la vita.
«Ci siamo persi, ragazzo?»
Una voce ruvida e grinzosa fendette l’aria come una lama deformata. Matthew si riscosse e si guardò intorno. C’erano solo rocce e alberi, e quel piccolo sentiero acciottolato pieno di buche.
«Sembra proprio smarrito, non è vero?»
Un’altra voce. Questa era sottile, di seta. Ma immancabilmente sgradevole e pungente.
«Chiamerà la mamma adesso?»
Una risata collettiva. Sembravano in due. Ma non c’erano. Non c’era nessuno su quel sentiero. Nessuno. Neanche un’anima. Il vuoto. Matthew pensò che forse era giunto in un punto di non ritorno nel baratro della sua follia. Quando si iniziano a sentire voci, o si è pazzi o sono gli altri ad esserlo. E in ogni caso non è un buon segno. Ma qui di altri non se ne vedeva l’ombra, quindi rimaneva soltanto una conclusione.
«Credi che lo abbiamo spaventato?»
Di nuovo la voce di seta, questa volta con un accento un po’ più incerto. Poi una risata ruvida.
«Non avercela con noi, ragazzo, volevamo soltanto divertirci un po’. Non passa mai nessuno da queste parti!»
Nessuno dietro agli alberi, nessuno all’orizzonte. Le rocce sono vuote. Le foglie non parlano! Il vento non sussurra! Dove siete? Dove siete? Dove siete?
«Sai, il fatto che tu non sappia dove guardare fa pensare che tu non sia una persona molto ottimista. Il terreno è come un muro. Non saprà mai darti giusti consigli, per quanto tu voglia sbatterci la testa contro.»
Gli occhi di Matthew si erano ridotti a fessure. Continuava a guardarsi intorno con circospezione. Poi, la rivelazione.
«Osserva il cielo!», disse la voce ruvida.
Alzò lo sguardo. Bastò poco per capire. Come aveva fatto a non vederla? Una vista così stupefacente. E anormale, tanto per cambiare. A tratti sinistra.
Ancorata saldamente fra gli alberi, avvinghiata nei rami di tronchi millenari, riposava una nave gigantesca. Sospesa nel cielo, ma attratta al suolo. A metà fra il tetraedo e il cubo platonico. Era una nave maestosa. Di un legno lucido, che non mostrava il minimo segno di invecchiamento o di usura. Con fregi dorati che si raffinavano in morbide curve lungo i fianchi. Le vele bianchissime. Non aveva bandiera. A prua una polena dall’enigmatico sorriso guardava Matthew dall’alto. E il ragazzo era incantato. Fu solo a quel punto che si accorse dei due uomini che si muovevano freneticamente lungo il bordo, sporgendosi e cercando in tutti i modi di farsi notare. Il primo, quello dalla voce ruvida come la suola di una scarpa, era corpulento, con una fitta barba nera. Indossava un vestito da capitano e aveva sulla testa uno di quei cappelli marinareschi che probabilmente oggigiorno vedresti solo in un fumetto. O su una nave, appunto. L’altro era smilzo, più giovane, con un’uniforme blu e una barbetta incolta a segnargli il viso. Sarebbe stato pure un bel ragazzo se non avesse avuto una grossa cicatrice che gli segnava i lineamenti da parte a parte. Un volto angelico trasformato in demone.
L’uomo con il vestito da capitano lasciò cadere una lunga scala di corde e invitò il ragazzo a salire, con dei modi un po’ rozzi ma, almeno all’apparenza, amichevoli. Matthew era ancora fermamente attaccato al terreno, magnetizzato, e non sapeva decidere se scappare a gambe levate, evitando altri pazzoidi, o cercare di capire qualcosa in più sulla assurda situazione in cui si era andato a cacciare. Ma il suo innato istinto di curiosità lo spinse a mettere i piedi su quella scala di fortuna e a salire lentamente. Si sentiva come se stesse scalando un cielo invisibile, coperto dall’ombra di quella nave misteriosa.
Giunto sulla cima, Matthew venne tirato su dai due uomini e letteralmente scaraventato sul ponte. Si rialzò a fatica e riuscì finalmente a vedere distintamente i due figuri che fino a qualche istante prima erano solo puntini nel cielo. Fu l’uomo dalla voce ruvida a rompere il ghiaccio.
«Benvenuto a bordo, straniero!», incominciò, «Perdonaci per averti spaventato. Non era nostra intenzione. Permettimi di presentarmi, io sono Capitan La Roche», disse, togliendosi il cappello e mimando un inchino. Poi indicò il suo compare, «e questo è il mio primo ufficiale Sebastian Leroux.»
Il tipo mingherlino abbozzò anche lui un inchino.
«Io mi chiamo Matthew», disse il ragazzo, adeguandosi a loro, «e credo di essere un po’ confuso… Cosa vi è capitato, monsieur La Roche? Cosa ci fa una nave come la vostra qui sugli alberi? E dov’è il resto del vostro equipaggio?»
Lo sguardo del capitano si fece di cenere.
«Sono tutti scomparsi.»
«Intende dire che sono… morti?»
«No, no, parbleu», rispose Leroux, «sono semplicemente andati avanti.»
Matthew non riusciva a comprenderli.
«E anche noi li seguiremo al momento opportuno!», riprese La Roche, «Alla prossima mareggiata! È vicina, lo sento! Me lo dicono queste vecchie ossa, e credimi, ragazzo, non ho mai sbagliato. È in arrivo una tempesta!»
Matthew non sapeva più cosa pensare.
«Piuttosto, ragazzo, tu cosa ci fai qui? Non capita spesso di avere visitatori!»
«Io…», iniziò, «io credo di essermi smarrito. Mi sono svegliato sulla spiaggia… credo di aver perso memoria dei miei avvenimenti recenti… Non saprei cosa rispondervi, davvero. Ormai non sono più sicuro nemmeno di chi sono davvero.»
Tirò un sospiro, Matthew, uno di quelli rassegnati all’ineluttabile corso degli eventi. Capitan La Roche guardò il suo compare di sottecchi e sorrise leggero.
«Questo problema assai interessante è», disse, sgrammaticando la frase, «Mi ricorda un racconto che ho sentito, una volta, navigando per mare. Conosci la storia della Nave di Teseo? Ne hai mai sentito parlare?»
Matthew scosse la testa.
«È racconto antico. Certamente avrai sentito parlare di Teseo, il mitico eroe greco, il signore dei Dori e degli Iori, l’uccisore del Minotauro, no? Ebbene, il vascello sul quale Teseo si imbarcò insieme ad altri giovani guerrieri era una galera a trenta remi, che gli Ateniesi custodivano fin dall’epoca di Demetrio Falereo. Costoro ne asportarono via i pezzi man mano che si deterioravano e li sostituirono con altri, esattamente identici agli originali, finché non rimase nulla, assolutamente nulla, neanche un chiodo o un asse, della nave originale. Ma allora la nave si è conservata oppure no? Nonostante i cambiamenti, è rimasta la Nave di Teseo che venne condotta per mare in origine?»
Matthew rimase sovrappensiero. Non sapeva cosa rispondere. Improvvisamente, era affascinato dalle parole di La Roche.
«Pensa questo, ragazzo», continuò il capitano, «una persona negli anni cambia, il giovane muta in adulto, l’adulto in vecchio, il bambino si trasforma perdendo la sua purezza, succede a tutti. Anche a me. Anche a te. Eppure, noi siamo sempre lì dentro, nel nostro corpo. Non cambiamo mai davvero. Pensaci.»
E Matthew ci pensò. Ci aveva già pensato, in realtà. Per ore. Era il suo Nero Motore del Mondo. Se lo era chiesto dal primo istante in cui aveva scoperto di non poter ricordare. Chi avrebbe potuto assicurargli di essere ancora se stesso? Chi poteva dargli la garanzia del fatto che, prima di precipitare su quest’isola, non fosse stato una persona completamente differente?
«Vedo che le parole del Capitano ti hanno colpito.»
Matthew si riscosse, aveva le braccia poggiate alla balaustra, lo sguardo perso verso l’orizzonte. L’imbrunire. Uno spettacolo ancestrale. Una danza di colori ai confini della terra. Nuvole fumose e chiaroscuri. E poi all’improvviso, nella contemplazione di quel divino, l’inaspettato. Una mancanza di sensibilità nelle gambe, una caduta ripida verso il centro della terra. I colori che sfumano.
Dissolvenza in nero.


L'Angolo dell'Autore

Avevo promesso ad un utente che avrei aggiornato oggi, per cui eccomi qui! Vi ragguaglio un po' sulla situazione: diciamo che stiamo per entrare nelle battute finali (manca ancora un pochetto, ma con questo capitolo si conclude un po' il blocco centrale del racconto). Sto scrivendo il successivo e, se tutto va bene, dovrebbe essere online questo fine settimana o al massimo all'inizio della prossima. So che probabilmente avete tante domande e del racconto ancora non avete capito bene il senso, vi prego di avere ancora un attimo di pazienza e spero che finale non vi deluda. Perciò... restate connessi!
  
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