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Autore: Rexam    07/04/2014    1 recensioni
Quando Matthew si svegliò aveva la vista distorta ed era confuso. Era steso a terra, faccia in giù, senza forze, quasi privo di coscienza. Il suo corpo era rigido come un gigantesco tronco di legno. Le ossa gli dolevano e non riusciva a sentirsi le gambe. Riposava su una superficie calda e soffice. Non avrebbe saputo dire a cosa somigliasse quella sensazione. Era così familiare, ma anche così distante. Forse perché la sua testa ancora rimbombava di strani rumori immaginari. Percepiva i raggi del sole sulla sua pelle. Il suo respiro era regolare. Nonostante tutto, era felice di scoprirsi vivo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9: La dea Prigioniera

“I discendenti di Noè vollero costruire nella città di Babele una
Torre così alta da toccare il cielo. Ma Iddio, sdegnato da tanta
superbia, confuse il linguaggio di quelli che la costruivano, i quali
 – non potendo intendersi fra loro – lasciarono l’opera incompiuta.
Opera che fu detta Torre della Confusione.”

Spesso è una torre a dare matto negli scacchi. È uno degli ultimi pezzi ad entrare in gioco, e per questo, solitamente, rimane viva in almeno uno dei due schieramenti. Ha un raggio d’azione più grande di un alfiere, preciso più di un cavallo. È l’emblema della solidità. Dell’immobilità di fronte alle catastrofi.
Una torre è spesso sviluppata in altezza, la base può essere circolare o rettangolare ma il risultato è sempre lo stesso: uno slancio verso il cielo. Una proiezione di se stessa in una dimensione onirica superiore, che trascende quella delle persone comuni, costrette a guardare dal basso in alto. A chinarsi di fronte a tanta magnificenza. Credete che Pisa sarebbe forse la stessa senza la celebre opera di Giovanni Pisano? Londra perderebbe un po’ della sua luce, evanescendo il Big Bang?
Probabilmente si.
Perché le Torri sono state per secoli il pilastro degli uomini sulla Terra: una monolitica testimonianza di essenza in un regno che si discioglie nel peccato.

Matthew si risvegliò intontito. Gli girava la testa, e sentiva il suo cuore pulsare a mille. Maledisse la terra e il cielo. Se c’è un dio a questo mondo, maledisse anche lui. Ancora una volta era tutto scomparso. Non c’era più nulla. Né Capitan La Roche, né Leroux, e nemmeno la nave nel cielo … era tutto svanito. Come una bolla di sapone scoppiata al sole. Forse Matthew si trovava in un sogno, senza saperlo. Magari da qualche parte c’era un “altro lui” che dormiva beatamente, in attesa solo di risvegliarsi. Attendendo i titoli di coda del film, il sipario della Divina Commedia.
Aspettando semplicemente di rivedere le stelle.
Matthew si alzò in piedi. L’erba gli aveva solleticato il viso e aveva ridato coscienza al suo spirito. Sintomo che allora, magari, era tutto reale. Che quella torre che vedeva davanti a sé non se la stava immaginando ma esisteva davvero. Un edificio imponente che fendeva il cielo come una spada demoniaca. Nuvole candide danzavano intorno a quella lama di pietra. Non si riusciva a vedere dove terminasse. Era ancestrale. Pietra su pietra si portava su, sempre più su, come a voler raggiungere un qualche scopo. Ma le pietre erano nere, e oscure. Regnava, anzi, in quella valle, un’aria di tenebra.
Con passo incerto, Matthew si avvicinò al grande portone di ingresso. Oramai aveva deciso di lascarsi semplicemente andare. Anche se sarebbe più preciso dire lasciarsi condurre. Lo sentiva nelle vene e nella testa. Qualcuno lo aveva portato lì, qualcuno gli aveva fatto incontrare Nathan, il Collezionista, La Roche, Leroux. Qualcuno aveva eretto quella folle torre nera.
E adesso quel qualcuno lo stava implicitamente invitando ad entrare.
Tutto finiva lì, in quella torre. Matthew lo sentiva. Lo aveva capito dal momento in cui aveva parlato con la Roche. Forse avrebbe trovato delle risposte. E forse quelle risposte lo avrebbero distrutto, annichilito, ma almeno avrebbe saputo la verità. Perché nulla – nulla! – è più importante della verità.
Matthew spinse la ferrea maniglia circolare, finemente ornata con il fregio di un serpente, e si lasciò immergere nella più cieca oscurità.

Un odore stantio invase i suoi sensi. C’era puzza di chiuso e di muffa, come se quel luogo non avesse visto la luce da millenni. Una luminosità soffusa permetteva di intravedere qualcosa all’interno di quella stanza polverosa. Le pareti erano composte, come dall’esterno, da grandi pietre, impilate le une sulle altre, ma, al contrario, erano grigie. Il soffitto era basso e opprimente. C’erano ragnatele ovunque. Da una piccola finestrella posta in alto filtrava una pallida luce biancastra.
Per il resto la stanza era vuota. Piena di umido e in stato di abbandono, ma vuota.
Matthew si guardò intorno. Doveva esserci dell’altro. Quello che aveva capito, dalle sue esperienze passate sull’isola, era che ogni cosa sembrava avere uno scopo. Quindi anche lì avrebbe trovato qualcosa. Magari qualcosa di folle come in precedenza, ma sicuramente più di niente.
Fu allora che si rese conto che la follia era proprio davanti ai suoi occhi. All’interno di quella stanza circolare, in quella torre altissima che toccava il cielo, una scala che conducesse verso l’alto non esisteva. Era presente, di contro, una minuscola distesa di gradini che conduceva verso il basso. La contrazione di ogni logica. Cautamente, Matthew gli si avvicinò e, dopo aver dato una rapida occhiata al portone d'ingresso ancora spalancato sul mondo, iniziò a scendere.
Le discesa non fu ardua. Le scale si sviluppavano a spirale mantenendosi sempre all'interno del perimetro della torre in una ricorsiva chiamata su se stesse. Alle pareti erano incastonate delle torce e risplendevano cupe. Matthew scendeva lentamente, ma senza timore. Non aveva mai avuto davvero paura da quando si era svegliato sulla spiaggia. Anche se ogni cosa che aveva vissuto da quel momento in avanti non sembrava avere alcun senso, lui era stato inconsciamente sereno. Come se tutti i suoi problemi non fossero incominciati davanti all'oceano, ma fossero finiti proprio lì, e fossero stati trasportati lontano, dalle onde. Dopo alcuni interminabili minuti, Matthew intravide la fine di quella discesa uroborica. Dopo l’ultimo gradino, oltre un’arcata, si estendeva una piccola sala circolare di pietra, identica in tutto e per tutto a quella in superficie. Dall'altro lato, si ergeva un enorme portone di legno sigillato. Era chiuso, ermeticamente. Una porta senza pomello e senza maniglia, con un'unica fessura per sbirciare all'interno. Il ragazzo si avvicinò con curiosità e tese l’orecchio per cercare di cogliere qualche rumore che potesse provenire dall’altra parte. Riusciva a percepire un suono indistinto. Come un lamento continuo, ma lontano, lontanissimo. Come se provenisse da un altro tempo o da un altro spazio, da una dimensione diversa, estranea alla sua.
Matthew non resistette più alla tentazione, e sbirciò guardingo all’interno tramite quella piccola fessura posta proprio al centro della porta. Quello che vide non si può descrivere. Al di là, si allungava un lunghissimo corridoio di pietra, tanto grande da non riuscire a poterne vedere la fine. E a terra, da un lato, appoggiata ad una parte, una creatura singhiozzava furiosamente. Era in ombra e non era possibile distinguerne bene i lineamenti. Era una donna. Portava uno straccio in vita, aveva le gambe al petto e il viso appoggiato su di esse, con le mani a cingerlo in un abbraccio di disperazione. I suoi capelli erano ricci, e rossi, focosi più di una fiamma, e cadevano con eleganza sulle sue spalle.
Matthew guardò quella creatura per qualche istante, poi provò a parlare. A dire qualcosa di indefinito. Bastò questo per farla riscuotere e farle guardare in alto, verso quello che – forse – pensava essere il suo carceriere. Con passo felpato, la donna si alzò e in un attimo fu alla porta. I loro sguardi si incrociarono.
«Charlotte», disse Matthew in un sussurro talmente flebile da trascinarlo nell’Ade.
La donna iniziò a battere furiosamente contro il portone e a gridare come una forsennata. Il ragazzo urlò e, come accecato da una visione di sangue, scappò via. Su per le scale! Su, ancora più su!
Aria, aria!
La testa scoppia!
Non ho più respiro!
Grida più forte! Non ti sento!
Le scale si riavvolgono al contrario!
Non farmelo rivivere!
Non farmelo rivedere!
Mostrami il mare e la libertà oltre le onde che si allungano in una notte scura!
Oltre il portone d’ingresso di quella folle torre!
Oltre la donna che urla al piano di sotto!
Oltre il mare di ricordi in cui annego!


L'Angolo dell'Autore
Rieccoci con un nuovo capitolo. Perdonate la mia esasperante lentezza ad aggiornare, ma in questo periodo sono abbastanza preso da diverse cosette. Coooomunque, stiamo per arrivare alla fine, mancano un paio di capitoli e ci siamo. Nel prossimo probabilmente troverete la maggior parte delle risposte alle domande che vi sarete posti per tutta questa storia. Spero solo che il finale non vi deluda. Anche perché, come dissi all'inizio di questa storia, è vero che la pubblico qui nella categoria dei gialli, ma si tratta di un giallo atipico, quindi.... lo scoprirete nel prossimo capitolo!
  
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