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Autore: YOUSHOULDLETMEBE    07/04/2014    2 recensioni
Il mondo di glee trasferito in quello di Hunger games.
La storia d'amore tra Brittana e Santana proiettata nell'arena.
***
Dal testo: «Faremo capire a Capitol City che non possono trattarci come se fossimo loro, noi siamo nostre, e di nessun altro.»
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Sue mi sveglia.
Sono sdraiata sul mio letto in orizzontale sopra le coperte con una bottiglia in mano.
Non ricordo cosa ho fatto ieri dopo aver parlato con Brittany, so solo di essere tornata in camera e di aver preso per la prima volta una goccia di alcol, seguita poi da tante, tante altre.
«Su! Alzati Santana!»
Seguo i suoi ordini e barcollante mi ritrovo davanti alla donna che adesso mi mostra una faccia esterrefatta.
«Vieni a fare colazione…E datti una ripulita!»
Si volta e in una frazione di secondo è già fuori la porta.
Vado in bagno e mi lavo faticosamente.
Indosso qualcosa  e poi vado in sala da pranzo, preparandomi per un’altra lunga, lunga, giornata.
«Bella nottata Lopez?» Scherza Sebastian.
«Dovresti smetterla di chiamarmi Lopez, Smythe»
Non lo guardo nemmeno in faccia, prendo un muffin e mi siedo a tavola.
Will si avvicina e mi riempie una tazza di caffè
«Questo è mille volte meglio di un muffin, adesso.»
Mi prende di mano il dolcetto e lo porta via, addentandolo.
Sorseggio la sostanza marrone, non avevo mai bevuto del caffè prima, il gusto amaro mi manda in estasi.
E’ assolutamente delizioso.
Ne riempio un’altra tazza e la svuoto di nuovo.
«Ti piace eh?»
Sebastian mi guarda e mi rivolge un sorriso meno agghiacciante del solito.
«Forse è perché è amaro almeno quanto te»
Questa volta il sorriso si estende fino agli occhi e non è per niente terrificante.
Sembra quasi un sorriso… da amico.
E’ il primo sorriso che mi rivolge che  ricambio istintivamente.
«Solo un po’ di meno.»
Gli rispondo prendendo di nuovo un muffin.
«Non vorrei interrompere questo momento di allegria tra tributi più unico che raro ma...»
Sue fa una pausa.
«Oggi avete le sessioni private di allenamento, tutto si è svolto in funzione di questo momento: dovrete essere perfetti se vorrete garantirvi degli sponsor, e vorrete garantirveli, se vorrete sopravvivere»
Sue ci sorride e ci spinge ad andare verso le nostre camere.
Indosso gli abiti dell’addestramento per l’ultima volta e lego i capelli in una treccia veloce, poi li arrotolo in uno chignon.
Mi guardo allo specchio per un lungo istante, poi la porta si spalanca lasciando entrare un Sebastian preoccupato.
«E’ ora di andare, Santana.»
Lo raggiungo sull’uscio e poi percorriamo in silenzio il corridoio fino alla sala da pranzo e poi all’ascensore.
«Date il meglio di voi»
Non facciamo in tempo a rispondere a Sue che le porte dell’ascensore si chiudono davanti a noi.
Prima di premere il pulsante per scendere dico a Sebastian:
«Sei nervoso?»
«Adesso non credere che siamo diventati amici, Lopez.»
«Ti ho solo fatto una domanda, Smythe.»
Premo il pulsante e restiamo il resto del tempo in silenzio.
Quando le porte si aprono davanti a noi percorriamo un corridoio che mi sembra infinito fino ad una stanza dove quasi tutti i tributi sono seduti e chiacchierano con il compagno di distretto.
«Da morire»
Sussurra Sebastian prima di sederci.
Sorrido per rassicurarlo, poi distolgo lo sguardo.
Cerco Brittany, anche lei sta facendo lo stesso.
Quando incontro i suoi occhi distolgo lo sguardo ma lei continua a fissarmi, preoccupata.
Perché sono tutti così preoccupati? Perché invece io sono così tranquilla?
Un uomo vestito di azzurro con vistosi tatuaggi sul volto e capelli verdi si affaccia nella stanza e chiama Finn, il ragazzo dell’1.
Passano cinque minuti e tra i vocii di sottofondo io e Sebastian siamo gli unici a non scambiare una parola.
L’uomo colorato ritorna e chiama la ragazza dell’1.
«Cosa farai lì dentro?»
Sebastian tiene lo sguardo basso sul pavimento e non presta nemmeno attenzione alle parole che dice, infatti, non sembrano uscire dalla sua bocca.
«Tirerò qualche coltello… credo.
Tu?»
Senza distogliere lo sguardo dal pavimento torna a parlarmi.
«Userò la lancia, e la mazza chiodata.
La trovo davvero eccezionale, credo che farà colpo.»
«Hai avuto problemi con le altre armi?»
Scuote la testa, poi, finalmente, alza lo sguardo e punta gli occhi nei miei.
«Per te non è lo stesso, vero? Voglio dire, so che la biondina è molto più brava di te.»
Le sue parole bruciano e mi ricordano che il Sebastian che ho davanti è lo stesso che ieri odiavo, non è cambiato niente.
Alzo le spalle e guardo Brittany per un attimo, lei sta tenendo strette le mani di Sam e gli sta parlando.
Sento la gelosia avvamparmi dentro.
«Beh… non so usare perfettamente tutte le armi che mi capitano in mano.»
«Beh, forse non ne avrai bisogno…Forse, una volta nell’arena, potremo essere alleati.»
Scuoto la testa.
Sento quelle parole e posso pensare solo a Brittany.
E’ lei l’unica che voglio accanto, e devo dirglielo prima che sia troppo tardi.
«No, non voglio soffrire quando morirai.»
Lui sorride.
«Neanch’io.»
L’uomo di Capitol City continua ad entrare e a chiamare tributi, negli attimi in cui non parlo con Sebastian guardo fissa la porta, aspettando che si apra di nuovo.
Sento la voce dell’uomo chiamare Sam e cerco lo sguardo di Brittany.
Lei gli sta sorridendo e nell’ultimo istante prima che la porta si chiuda lui la guarda e ricambia.
Quando scompare dietro il legno insieme all’uomo colorato lo sguardo di Brittany si sposta improvvisamente verso di me.
Ha smesso di sorridere e per la prima volta guardare i suoi occhi mi terrorizza.
Per la prima volta sono seri, arrabbiati.
Distolgo lo sguardo concentrandomi su Sebastian.
«Lei sarà la mia unica alleata. Non ho bisogno di nessun altro»
Leggo disapprovazione nello sguardo di Sebastian, ma poi la sua espressione si scioglie e mi sorride.
«Non t’importa soffrire quando morirà?»
Il suo sorriso questa volta è compiaciuto.
Ha capito.
Divento rossa e abbasso lo sguardo.
Mi tocca lo stomaco con il gomito.
«Lo sapevo che una ragazza normale non avrebbe saputo resistere al mio fascino»
Sussurra e poi scoppiamo a ridere; tutti gli altri ci fissano.
Mi stringe piano la mano.
Torno ad alzare lo sguardo.
«Non lo so se è così ma… ma sento che è speciale, è diversa…»
Perché mi sto confidando con lui? Gli sto dicendo il mio punto debole.
Un lampo mi attraversa la mente.
Ma certo, è questo che voleva, l’arma per distruggermi.
L’amicizia era solo un’esca, e io ci sono cascata.
Tolgo la mano dalla sua velocemente.
«Tu hai una ragazza, a casa?»
Lui resta fermo, poi, dopo qualche attimo, scuote la testa, incerto.
Io sorrido.
«Beh, se io mi sono confidata con te forse tu adesso dovresti fare lo stesso.»
Mi rifiuto di pensare che la storia dell’amicizia sia solo una bugia.
Non è così meschino.
Non può esserlo.
Giusto?
«Okay, c’è una ragazza, a casa, ma abbiamo litigato, prima della mietitura e…»
Le parole gli si strozzano in gola.
«E…?»
«E non le ho potuto dire addio, non ho potuto chiederle scusa, i miei genitori non l’hanno fatta entrare a salutarmi, non la sopportano.»
Non è una strategia. Non è una strategia. Non è una strategia.
«E’ per lei che vuoi tornare a casa?»
Lui annuisce.
«Brittany Susan Pierce»
L’uomo è rientrato nella stanza e adesso sta chiamando lei.
Si alza tremante e io guardo nella sua direzione senza toglierle gli occhi di dosso per un solo istante.
Cammina a testa bassa, incerta, e non mi guarda nemmeno una volta.
Quando sta per chiudersi la porta alle spalle, però, i suoi occhi incrociano i miei e le sorrido, la porta si chiude e riesco quasi a immaginarla mentre ricambia il sorriso.
Torno a concentrarmi sul mio compagno di distretto.
«Mi dispiace tanto… per voi.»
Lui alza le spalle.
«Poteva andare peggio. Io ho ancora una possibilità di incontrarla di nuovo, anche se remota… Voi invece…  Voi non ce l’avete.»
Già… noi non ce l’abbiamo.
La mia mente vola ai settantaquattresimi Hunger Games, i primi della ghiandaia imitatrice.
I primi con due vincitori.
Gli ultimi con due vincitori.
Gli innamorati sventurati del distretto 12.
Nessun cambiamento del genere avverrà mai più, non dopo tutto quello che è successo in quell’edizione…
Noi siamo più sfortunate.
Noi non avremo occasioni.
Noi non avremo una possibilità, insieme.
Noi non sopravvivremo agli Hunger Games.
Forse una di noi due sopravvivrà.
Ma noi non sopravvivremo, insieme.
Mi si stringe lo stomaco e le lacrime mi inondano gli occhi, non le lascerò scorrere, non qui, non davanti a 13 dei miei nemici.
Abbasso lo sguardo.
«Le innamorate sventurate dei distretti 4 e 7»
Sussurro e lui sorride lievemente.
Non era mia intenzione farlo ridere.
Restiamo immobili tutto il resto del tempo, senza scambiare una parola.
Le ultime che ci siamo scambiati basteranno per sempre.
Lo guardo e i suoi occhi sono dolci.
Come farò ad ucciderlo? Io non sono così, io non sono un’assassina.
Io non riuscirò ad uccidere nessuno di loro.
Nel tempo che passa mi abbandono all’idea che perderò questi giochi, che non ho nessuna possibilità di vincere, né di aiutare Brittany a riuscirci.
Mi rassegno all’idea che non vedrò mai più la mia famiglia, e, per la prima volta, lasciare questa vita non mi sembra poi così tanto brutto.
Dopotutto, perché dovrei sopravvivere? A casa non ho amici, non ho nessuno.
E qui ho soltanto Brittany, ma se vinco, non la avrò più.
Chiudo gli occhi e me ne resto rannicchiata sulla mia panca fino a quando l’uomo dai vestiti sgargianti non chiama il mio nome.
Serro i pugni e mi alzo, raggiungendo la porta a testa bassa.
Io e l’uomo percorriamo un corridoio buio simile a quello che mi ha portato in questa stanza quasi un’ora fa e poi mi lascia davanti ad una grande porta di metallo.
Tiro la maniglia e la porta si apre cigolando.
Davanti a me c’è una grane palestra, contenente un gran numero di armi, la maggior parte delle quali non ho mai visto prima.
In alto, dietro una barriera di vetro, gli strateghi mi guardano curiosi.
«Santana Lopez, distretto 7.»
Afferro tre coltelli da un espositore di metallo e mi posiziono a circa trenta metri dal mio bersaglio.
Prendo la mira e lancio: colpisco la spalla, invece del cuore.
Sospiro perché so di aver perso ammiratori, lì su.
Prendo di nuovo la mira e questa volta colpisco in pieno la testa del manichino.
Gli strateghi però non prestano poi così tanta attenzione a me.
Ancora una volta centro il mio bersaglio ma loro non mi seguono.
Decido di cambiare arma.
Afferro una lancia da terra, non è su un espositore, credo che Sebastian l’abbia lasciata lì prima di me.
La afferro e torno al mio posto, prendo ancora la mira e colpisco ancora il mio bersaglio.
Alzo lo sguardo verso il muro di vetro e noto che adesso praticamente nessuno sta prestando attenzione a ciò che faccio.
Sono frustata, no, sono arrabbiata.
Da loro dipende il mio futuro e non si prendono nemmeno la briga di guardarmi.
Metto due dita in bocca e fischio più volte.
Nel giro di qualche secondo tutti gli occhi sono fissi su di me.
Prendo di nuovo i pugnali e centro più volte la testa del mio manichino a distanze sempre più elevate fino a quando è il capo stratega a fermarmi.
«Basta così, signorina Lopez.»
Lascio cadere il coltello che ho in mano, mi volto e raggiungo l’uscita.
                  
   
 
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