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Autore: VandasGirls    08/04/2014    2 recensioni
«Ti ho tenuto nascoste molte cose, bambina mia», disse addolorata Lucia Marcelli, portandosi una mano al viso. «Ma ora è giusto che tu abbia una vita migliore. Questa è l’eredità di tuo padre.»
«Io sto bene qui.»
Violante guardò la chiave che sua madre le stava porgendo, senza far nulla per afferrarla. Tutto stava avvenendo troppo rapidamente, senza preavviso alcuno; si sentiva spaventata, stranita. Non voleva saperne nulla.
«Non andrò con Messer d’Alviano da nessuna parte.»

Cinque Assassini figli di Caino, cinque destini mescolati tra loro per raggiungere lo stesso obiettivo.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Volpe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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polverenera

Il destino di Qayin

Capitolo nono




Contrariamente alle aspettative più pessimistiche di Corella, la sera della festa il cielo di Roma fu clemente.
Le stelle brillavano, libere dall’oppressione di qualsivoglia nube, insieme a una grande luna piena.
Avevano passato quasi due settimane di allenamenti estenuanti al limite dell’assurdo che ogni sera permettevano loro giusto di divorare la cena prima di crollare miseramente fra le coperte, spesso senza nemmeno levarsi la divisa infangata.
Machiavelli aveva concesso loro solo il giorno stesso di quell’evento per recuperare le energie e procurarsi gli abiti per entrare alla festa degli Orsini, disponendo che tre di loro non avrebbero preso parte al piano di Ezio ma sarebbero rimasti sui tetti e per le vie, nel caso in cui le cose si fossero messe male.
Ovviamente uno di loro era Corella, che rischiava di incappare nel fratello Michelotto, e insieme a lui anche Cesco da poco redivivo e una Laura a dir poco irata.
«Escluderci così! Non lo trovo affatto giusto», commentò, affranta, mentre con Cristiano a Violante percorreva le ultime vie prima del palazzo. «Sia io che Corella potevamo essere utili, là dentro!»
Cristiano sospirò.
«A proposito di Corella», disse. «Lui dov’è finito?»
Laura alzò le spalle.
«Senza più una goccia di vino e senza il seno di Paola non gli resta molto per cui vivere. È da qualche parte sui tetti a crogiolarsi nel dolore.»
«Fa’ in modo che sia sveglio, quando sarà il momento di agire.»
«Sta’ tranquillo.»
Camminarono fianco a fianco ancora per un istante, dopodiché Laura li salutò entrambi, arrampicandosi su di una vecchia impalcatura per raggiungere Corella sui tetti.
In men che non si dica, Cristiano si ritrovò solo con Violante. Solo e senza una minima idea su come entrare alla festa.
La ragazza – che, dopo averglielo fatto pesare parecchio, pareva aver dimenticato ogni screzio fra loro – infilò  le mani nelle pieghe della toga bianca che indossava.
«Non saprei», disse di punto in bianco, mentre il biondo sbuffava scontento. «Non sembrano esserci molte vie di ingresso. Se uccidiamo una guardia ne attireremo cento e in più gli arcieri pattugliano i tetti.»
Si appoggiò all’impalcatura che li nascondeva da occhi indiscreti, scuotendo piano il capo.
«Idee?»
Cristiano scosse il capo.
Ci voleva un miracolo o, quanto meno, un’intuizione geniale.
«Neanche mezza», rispose, incrociando le braccia sul petto. «Ma so che Ezio si è intrufolato altre volte là dentro, perciò non deve essere poi inespugnabile, quel palazzo.»
Rimasero in silenzio alcuni minuti, entrambi alla ricerca di un possibile piano per arrivare alla festa. Erano i primi a presentarsi dinanzi alle porte, visto che gli altri se l’erano presa con calma ed erano rimasti al Covo a prepararsi. Forse, se avessero avuto la pazienza di aspettare, avrebbero trovato un modo per fare squadra e aprirsi una via.
Un rumore di zoccoli distolse Cristiano da qualunque pensiero.
Spallaci arrivò al trotto di Fiore di Maggio – il solo essere al mondo che pareva essere più stupido di lui – tutto impettito nel suo costume per la festa. Con addosso l’armatura e l’elmo dorato di Marte, assicurato da scudo e spada legati al suo fianco, il ragazzo si fermò proprio vicino a loro, scendendo da cavallo con fare stranamente elegante.
«La mia famiglia mi ha gentilmente ceduto il suo invito alla festa», esordì, senza mancare di vantarsi. «Ma venendo qui mi sono detto che non posso di certo arrivare senza un’accompagnatrice; sarebbe di magra figura per gli Spallaci.» Fece una pausa, sorridendo con fare velenoso a Cristiano, prima di rivolgersi a Violante. Le porse il braccio e le fece l’occhiolino. «Vogliamo andare?»
Lei lo guardò combattuta, prima di afferrare il braccio del ragazzo con poca convinzione.
Cristiano rimase senza parole. Anzi, in mente ne aveva fin troppe.
«Andiamo, mi prendi in giro?!»
«Se almeno uno di noi due non entra, rimaniamo fuori entrambi», rispose ovvia la ragazza, cercando di non guardare la faccia soddisfatta di Spallaci. «Ti verrò a prendere presto, rimani nei pressi del ponte.»
Salì quindi a cavallo con il romano, lasciandosi condurre alla festa con riluttanza.
Cristiano sospirò, scuotendo il capo.
A quanto pareva, essere un’allieva di Auditore aveva un prezzo.












«Entrare non sarà facile.»
Chiara guardò Bengiamino sbuffare, avvolto in una cappa se possibile ancor più scura del solito nel suo costume da Dio degli Inferi. A proporgli quel personaggio, Ezio aveva decisamente avuto un’idea brillante. 
«Forse ho un’idea», gli disse, mentre a passo rilassato prendevano a camminare sul ponte.
Rimasero in silenzio lungo tutta la traversata, senza osare staccare gli occhi dal gruppo di guardie che all’ingresso fermavano ogni passante, e raggiunsero la fine dell’attraversamento che ormai la folla era praticamente sparita.
Quando un miliziano li fermò con un cenno, Chiara sentì il braccio di Bengiamino irrigidirsi.
«Nome, prego.»
La ragazzina si sforzò di tirare fuori il suo sorriso migliore, anche se le parve di risultare fin troppo tirata.
«Mancini», rispose, pensando a uno dei cognomi romani dei clienti di suo padre.
La guardia controllò velocemente l’elenco che aveva in mano.
«Madonna Claudia», confermò, annuendo piano.
Chiara annuì, stringendo la mano attorno al braccio di Bengiamino.
«E questo è … »
Bella domanda.
Sospirando, si sforzò di sorridere.
«Mio marito.»
Il suo cuore quasi si fermò quando vide il miliziano riprendere a scorrere l’elenco.
«Messer Paolo Mancini, sì. Di Corcolle», confermò poco dopo, aprendo loro la via. «Buona serata, signori.»
Superando la fila di guardia, Chiara non poté che soffocare una risata soddisfatta.
Sentiva le gambe molli, il respiro pesante e il cuore che chiedeva disperatamente di uscire dal petto, ma poteva dirsi felice.
Bengiamino, invece, non riuscì a trattenere un’espressione a dir poco sconvolta.
«Ha funzionato», disse con un filo di voce, afferrando il primo calice di vino che si ritrovò per le mani quando furono all’interno. Si guardò attorno circospetto, cercando di non sembrare uno scemo ancor troppo meravigliato per le prodezze di Chiara. «Violante si sbagliava di grosso», le disse, prendendole una mano e portandola alle labbra per poterla baciare. «Una buona mente è più importante di ogni fuga!»










Cristiano afferrò un calice di vino, lanciando un’occhiata nervosa a Machiavelli prima di buttarlo giù tutto d’un fiato.
Era riuscito a entrare alla festa solo grazie all’abilità di ladra di Violante, che aveva approfittato di un bacio strappatole da Spallaci per rubargli l’invito dalla sacca.
L’aveva raggiunto all’esterno e insieme erano rientrati, eludendo le guardie con quel pezzo di carta ma venendo subito divisi quando Augusto era arrivato a riprendersi la sua accompagnatrice.
In quella situazione, solo a una festa di sconosciuti a fissare il romano approfittarne dell’invito per trattare Viola come la sua fidanzata, Cristiano non vedeva altra soluzione che il vino.
Si avvicinò a Machiavelli, fermandosi al fianco di Paola, e rubò dal tavolo l’ennesimo bicchiere.
«Buonasera», salutò, elegante.
Il consigliere gli lanciò un’occhiata seccata.
«E tu? Come saresti entrato?», chiese, acido.
Cristiano alzò le spalle.
«Spallaci aveva l’invito.»
Maria, che decise di palesarsi in quel frangente, guardò attentamente Cristiano, rubandogli poi il bicchiere per prendere un sorso .
«Un invito, uhm? Sospetto.»
«La sua famiglia fa parte di una cricca di nobiltà che appoggia gli Orsini, gli organizzatori della festa», replicò Paola, sistemandosi il vestito piuttosto corto da Venere e sorridendo ad una nobildonna che la guardava sprezzante. «Dopotutto, anche Niccolò ha avuto l’invito.»
«Tu come sei entrata, piuttosto?», chiese Pagni alla modenese.
Lei lo guardò come se le avesse appena chiesto la più stupida delle ovvietà.
«Dai tetti», rispose ovvia, prima di fare qualche passo verso il parapetto delle mura.
Il biondo roteò gli occhi.   
«Ovvio, ma che stupido a non averci pensato», disse sarcasticamente, prima di prendere un altro bicchiere e bere alla salute di Machiavelli.












«E questa bella signorina chi è, Augusto?»
Una nobildonna romana le toccò con disinvoltura la spalla, accarezzandola con fare amichevole.
«Madonna Sartori, di Chioggia», rispose Spallaci, mentre stringeva la mano di Violante tra le sue. «La mia fidanzata.»
«Non sapevo tuo padre avesse già pensato a trovarti moglie!»
«Non l’ha fatto. Io e Violante ci conosciamo da anni, invero. E poi … »
Anche aggruppando tutte le buffonate che Spallaci aveva detto nei mesi passati al Covo, non si sarebbe comunque raggiunta neanche la metà di quelle che stava sputando in quel momento. Erano tutte ciarlatanate, una dopo l’altra, quasi il romano provasse gusto ad inventare i più ridicoli particolari della loro infanzia passata assieme.
Violante iniziava a non poterne più, soprattutto perché non riusciva ad aprire bocca. Ogni volta che le veniva rivolta una domanda, Augusto rispondeva celere al suo posto, quasi come se temesse un passo falso.
Era così abile a mentire che Viola si insospettiva sempre di più di persona in persona con cui era costretta a parlare. O quantomeno a provarci.
Quando si staccarono da quella nobildonna che puzzava di stantio, gli scoccò un’occhiata in cagnesco.
«Stai passando il limite, Augusto.»
«Rilassati, degli Antoni», la prese in giro lui, afferrando due calici di vino prima di porgergliene uno. «Tu non ci sei abituata ma è così che va, a questo genere di eventi. Sta’ buona e fammi un bel sorriso. Forse qualche notizia riusciamo a farcela dire.» Le cinse i fianchi, prendendo un sorso della bevanda. «E divertiti, mi raccomando!»
Appena il braccio del romano le cinse i fianchi, a Viola si chiuse la vena.
Fece per mollargli uno schiaffo, ma poi decise di intraprendere una via più infima e sicuramente divertente.
Augusto voleva stare al centro dell’attenzione? Gliene avrebbe dato motivo.
Si staccò con uno strattone, guardandolo sconvolta.
«Quella puttana ti passato il Mal Francese?», sbottò inorridita, facendo voltare tutti i presenti. Gli versò il calice in faccia, prima di lasciarlo cadere a terra e arretrare . «Il fidanzamento è sciolto!», replicò perentoria, prima di dargli le spalle e allontanarsi, lasciandolo a levarsi il vino dagli occhi.
Tra tutte le facce sconvolte della serata, compresa quella di Machiavelli che per poco non mancò il bicchiere che gli stava venendo porto, le uniche risatine provennero dal gruppo in fondo alla sala.
Bengiamino, Chiara e Cristiano si coprirono la bocca a vicenda, evitando così la magra figura di scoppiare nella risata più fragorosa che si fosse mai udita.
Non arrivarono a coprire anche quella di Ezio, in piedi assieme a Maria dall’altra parte del banchetto, poiché la sua voce risuonò così profonda e tonante che per poco non si spaventarono.
Quando il gruppo di dame di fronte a lui si voltò per rimproverarlo con un’occhiataccia, la modenese alzò gli occhi al cielo.
«Che ho mai fatto di male?», commentò, allontanandosi mentre scuoteva il capo.
Violante adocchiò il Mentore quando fu ormai solo e lo affiancò.
«Sembri davvero compiaciuta», le disse lui, portando un braccio attorno alle sue spalle e prendendole il mento tra pollice e indice. «Una vera serpe. Dopotutto, però, sei vestita da Ninfa Dafne e non puoi innamorarti di un Marte … no.» Lanciò uno sguardo veloce a Cristiano, che ancora ridacchiava insieme a Chiara. «Il tuo Apollo è laggiù. Che aspetti, a lanciarti su di lui?»
«L’ho spacciato per un figlio illegittimo del duca di Urbino, sarebbe sospetto se andassi da lui dopo questa scenata», disse Viola, guardando attentamente Ezio. «Tu sei Bacco?»
«Sì, era il costume di Corella ma è rimasto fuori», rispose prontamente il Mentore.
«Quindi la gonna così corta non è voluta, uhm?»
«La scelta cadeva tra Corella e Ventimiglia, che non mi arriva neanche a metà petto. Tu che dici?»
Ridacchiarono, bevendo assieme dopo aver recuperato un paio di calici colmi dell’ottimo vino che stava venendo servito.
Per quasi un’ora, parlarono del più e del meno come due semplici conoscenti, guardandosi bene dal passare accanto a Machiavelli mentre passeggiavano.
La festa era tutto sommato piacevole, il vino dolce, la mano di Ezio rigorosamente appoggiata sul suo fianco … sarebbe tranquillamente potuta andare a finire come la prima volta, non fosse stato per la folla che d’un tratto ammutolì, aprendosi dinanzi all’ingresso per lasciar entrare qualche personalità di spicco.
Quasi fosse entrato il Re di Francia in persona, anche Ezio si irrigidì, lasciando a metà la frase che stava pronunciando.
Violante non capì subito cosa stesse succedendo, ma arrivò chiaramente al motivo di tutto quello stupore quando intravide coloro che avevano fatto il loro ingresso.
Un uomo e una donna che si tenevano per mano. Se non fosse stato per i molti drappeggi e cappe recanti il toro dei Borgia che li accompagnavano, non si sarebbero mai detti essere fratello e sorella.
Lui alto, con capelli neri come la notte e occhi azzurri come il ghiaccio più puro, con spalle ampie e un’armatura scintillante da vero soldato. Lei bionda, magra e sottile come lo stelo di una rosa, con grandi occhi verdi brillanti di malizia.
Cesare e Lucrezia Borgia avevano appena onorato gli Orsini con la loro presenza.
Ezio diede con discrezione le spalle alla folla, appoggiando le mani sulle spalle di Viola e guardandola diritta negli occhi.
Cesare conosceva bene il suo volto, non poteva farsi vedere o il Valentino avrebbe vendicato la morte del fratello in quello stesso istante, scatenando il panico.











Tutto quel bere le stava dando alla testa. Non era abituata al troppo vino, ma d’altronde Bengiamino aveva continuato a passarle calici su calici senza battere ciglio e lei non aveva avuto modo di rifiutare.
La testa le girava leggermente, i piedi non erano più stabili sul terreno.
Si buttò contro Bengiamino, anch’egli brillo e preso a discutere vivacemente con Cristiano, e gli schioccò un bacio sulla guancia, ridacchiando con fare civettuolo mentre lui le passava la mano intorno alle spalle. Si voltò verso il banchetto per farsi versare dell’altro vino e ne approfittò per appropriarsi anche di un grappolo d’uva, che divise ben volentieri con i due ragazzi.
Parlavano di Roma, di viaggi, di libri. Fuori dal contesto perennemente teso del Covo e delle prove offerte da Machiavelli, erano entrambi due ragazzi più che piacevoli.
Ridacchiando, Chiara dondolò il suo calice.
«Non credo sarebbe una buona idea», commentò, quando Cristiano propose di avvicinarsi a un gruppo di nobili che parevano superare di poco la loro età. «Non ci ha mai visti nessuno, qui in giro. Saremo solo sospetti!»
Rise di nuovo, alzando le braccia per liberarle dallo scialle che le copriva. Con tutto quel bere, cominciava a sentire caldo.
«Chiara!», la chiamò d’un tratto la voce allegra di Paola.
Lei si voltò senza neanche pensarci.
Volteggiò rapida sui sandali con le braccia ancora alzate e il bicchiere si inclinò praticamente da solo, complice la sua ubriachezza che la faceva barcollare di continuo.
Con una smorfia di disappunto e di terrore, Chiara guardò il vino lasciare il suo calice e librarsi verso il vuoto dinanzi a sé.
Sarebbe andato tutto bene, se solo non vi fosse stata quella dama alle sue spalle.
La dama sul cui petto, senza riguardo e senza preannuncio alcuno, andò a versarsi l’intero contenuto del suo bicchiere.
In un istante, l’intera festa raggelò. Fu come per Violante e Augusto, in un certo senso, ma molto, molto peggio.
Persino l’arpista smise di suonare melodie dall’aria classica, portando le mani alla bocca con espressione a dir poco inorridita.
Chiara alzò gli occhi in quelli verdi della Madonna che ancora stava immobile come pietrificata innanzi a lei.
«Sono mortificata», mormorò, prendendo il fazzoletto che Cristiano stava porgendole con espressione angosciata. «Io … mi scuso ancora!»
La bionda le strappò di mano l’oggetto guardandola con odio, ma ci pensò qualcun altro a parlare al suo posto.
«Stupida sgualdrina!»
Il tono profondo e crudele utilizzato dall’uomo che stava in piedi accanto alla vittima della sbadataggine di Chiara, la fece sobbalzare. Fece un passo verso di lei, alzando una mano come per colpirla con uno schiaffo.
«Stai attenta a quel che fai!»
Chiara chiuse gli occhi, pronta ad avvertire la sberla sulla guancia, ma ciò non avvenne. Quando li riaprì, parato davanti a lei, c’era Bengiamino che teneva per il polso quell’uomo sempre più incollerito.
Peccato che lui e la dama del vino non fossero due ospiti normali, tutt’altro.
Quelli erano precisamente Cesare e Lucrezia Borgia.
Ovviamente.
Rapido, Cesare Borgia si scostò dalla presa di Bengiamino, muovendo un passo indietro per poi mettere la mano alla spada. La sguainò tanto rapidamente che il rumore del metallo riuscì a propagarsi solo quando l’arma su in alto, pronta per essere scagliata sulla gola del milanese.
Chiara gridò, ma non fece in tempo a raggiungere il suo compagno.
Cristiano la scansò, balzando in avanti e interponendosi tra Bengiamino e Cesare. Braccia alzate e sguardo impaurito, parve bloccare la realtà.
«No!», gridò, completamente disarmato davanti a colui che era il peggior nemico dell’Ordine.
Per un istante, la lama di Cesare Borgia parve abbassarsi, innocua.
Poi tornò a colpire.






   
 
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