Il destino di Qayin
Contrariamente alle
aspettative più pessimistiche di Corella, la sera della
festa il cielo di Roma fu clemente.
Le stelle brillavano, libere dall’oppressione di qualsivoglia
nube, insieme a una grande luna piena.
Avevano passato quasi due settimane di allenamenti estenuanti al limite
dell’assurdo che ogni sera permettevano loro giusto di
divorare la cena prima di crollare miseramente fra le coperte, spesso
senza nemmeno levarsi la divisa infangata.
Machiavelli aveva concesso loro solo il giorno stesso di
quell’evento per recuperare le energie e procurarsi gli abiti
per entrare alla festa degli Orsini, disponendo che tre di loro non
avrebbero preso parte al piano di Ezio ma sarebbero rimasti sui tetti e
per le vie, nel caso in cui le cose si fossero messe male.
Ovviamente uno di loro era Corella, che rischiava di incappare nel
fratello Michelotto, e insieme a lui anche Cesco da poco redivivo e una
Laura a dir poco irata.
«Escluderci così! Non lo trovo affatto
giusto», commentò, affranta, mentre con Cristiano
a Violante percorreva le ultime vie prima del palazzo. «Sia
io che Corella potevamo essere utili, là dentro!»
Cristiano sospirò.
«A proposito di Corella», disse. «Lui
dov’è finito?»
Laura alzò le spalle.
«Senza più una goccia di vino e senza il seno di
Paola non gli resta molto per cui vivere. È da qualche parte
sui tetti a crogiolarsi nel dolore.»
«Fa’ in modo che sia sveglio, quando
sarà il momento di agire.»
«Sta’ tranquillo.»
Camminarono fianco a fianco ancora per un istante, dopodiché
Laura li salutò entrambi, arrampicandosi su di una vecchia
impalcatura per raggiungere Corella sui tetti.
In men che non si dica, Cristiano si ritrovò solo con
Violante. Solo e senza una minima idea su come entrare alla festa.
La ragazza – che, dopo averglielo fatto pesare parecchio,
pareva aver dimenticato ogni screzio fra loro –
infilò le mani nelle pieghe della toga bianca che
indossava.
«Non saprei», disse di punto in bianco, mentre il
biondo sbuffava scontento. «Non sembrano esserci molte vie di
ingresso. Se uccidiamo una guardia ne attireremo cento e in
più gli arcieri pattugliano i tetti.»
Si appoggiò all’impalcatura che li nascondeva da
occhi indiscreti, scuotendo piano il capo.
«Idee?»
Cristiano scosse il capo.
Ci voleva un miracolo o, quanto meno, un’intuizione geniale.
«Neanche mezza», rispose, incrociando le braccia
sul petto. «Ma so che Ezio si è intrufolato altre
volte là dentro, perciò non deve essere poi
inespugnabile, quel palazzo.»
Rimasero in silenzio alcuni minuti, entrambi alla ricerca di un
possibile piano per arrivare alla festa. Erano i primi a presentarsi
dinanzi alle porte, visto che gli altri se l’erano presa con
calma ed erano rimasti al Covo a prepararsi. Forse, se avessero avuto
la pazienza di aspettare, avrebbero trovato un modo per fare squadra e
aprirsi una via.
Un rumore di zoccoli distolse Cristiano da qualunque pensiero.
Spallaci arrivò al trotto di Fiore di Maggio – il
solo essere al mondo che pareva essere più stupido di lui
– tutto impettito nel suo costume per la festa. Con addosso
l’armatura e l’elmo dorato di Marte, assicurato da
scudo e spada legati al suo fianco, il ragazzo si fermò
proprio vicino a loro, scendendo da cavallo con fare stranamente
elegante.
«La mia famiglia mi ha gentilmente ceduto il suo invito alla
festa», esordì, senza mancare di vantarsi.
«Ma venendo qui mi sono detto che non posso di certo arrivare
senza un’accompagnatrice; sarebbe di magra figura per gli
Spallaci.» Fece una pausa, sorridendo con fare velenoso a
Cristiano, prima di rivolgersi a Violante. Le porse il braccio e le
fece l’occhiolino. «Vogliamo andare?»
Lei lo guardò combattuta, prima di afferrare il braccio del
ragazzo con poca convinzione.
Cristiano rimase senza parole. Anzi, in mente ne aveva fin troppe.
«Andiamo, mi prendi in giro?!»
«Se almeno uno di noi due non entra, rimaniamo fuori
entrambi», rispose ovvia la ragazza, cercando di non guardare
la faccia soddisfatta di Spallaci. «Ti verrò a
prendere presto, rimani nei pressi del ponte.»
Salì quindi a cavallo con il romano, lasciandosi condurre
alla festa con riluttanza.
Cristiano sospirò, scuotendo il capo.
A quanto pareva, essere un’allieva di Auditore aveva un
prezzo.
«Entrare non
sarà facile.»
Chiara guardò Bengiamino sbuffare, avvolto in una cappa se
possibile ancor più scura del solito nel suo costume da Dio
degli Inferi. A proporgli quel personaggio, Ezio aveva decisamente
avuto un’idea brillante.
«Forse ho un’idea», gli disse, mentre a
passo rilassato prendevano a camminare sul ponte.
Rimasero in silenzio lungo tutta la traversata, senza osare staccare
gli occhi dal gruppo di guardie che all’ingresso fermavano
ogni passante, e raggiunsero la fine dell’attraversamento che
ormai la folla era praticamente sparita.
Quando un miliziano li fermò con un cenno, Chiara
sentì il braccio di Bengiamino irrigidirsi.
«Nome, prego.»
La ragazzina si sforzò di tirare fuori il suo sorriso
migliore, anche se le parve di risultare fin troppo tirata.
«Mancini», rispose, pensando a uno dei cognomi
romani dei clienti di suo padre.
La guardia controllò velocemente l’elenco che
aveva in mano.
«Madonna Claudia», confermò, annuendo
piano.
Chiara annuì, stringendo la mano attorno al braccio di
Bengiamino.
«E questo è … »
Bella domanda.
Sospirando, si sforzò di sorridere.
«Mio marito.»
Il suo cuore quasi si fermò quando vide il miliziano
riprendere a scorrere l’elenco.
«Messer Paolo Mancini, sì. Di Corcolle»,
confermò poco dopo, aprendo loro la via. «Buona
serata, signori.»
Superando la fila di guardia, Chiara non poté che soffocare
una risata soddisfatta.
Sentiva le gambe molli, il respiro pesante e il cuore che chiedeva
disperatamente di uscire dal petto, ma poteva dirsi felice.
Bengiamino, invece, non riuscì a trattenere
un’espressione a dir poco sconvolta.
«Ha funzionato», disse con un filo di voce,
afferrando il primo calice di vino che si ritrovò per le
mani quando furono all’interno. Si guardò attorno
circospetto, cercando di non sembrare uno scemo ancor troppo
meravigliato per le prodezze di Chiara. «Violante si
sbagliava di grosso», le disse, prendendole una mano e
portandola alle labbra per poterla baciare. «Una buona mente
è più importante di ogni fuga!»
Cristiano afferrò un
calice di vino, lanciando un’occhiata nervosa a Machiavelli
prima di buttarlo giù tutto d’un fiato.
Era riuscito a entrare alla festa solo grazie
all’abilità di ladra di Violante, che aveva
approfittato di un bacio strappatole da Spallaci per rubargli
l’invito dalla sacca.
L’aveva raggiunto all’esterno e insieme erano
rientrati, eludendo le guardie con quel pezzo di carta ma venendo
subito divisi quando Augusto era arrivato a riprendersi la sua
accompagnatrice.
In quella situazione, solo a una festa di sconosciuti a fissare il
romano approfittarne dell’invito per trattare Viola come la
sua fidanzata, Cristiano non vedeva altra soluzione che il vino.
Si avvicinò a Machiavelli, fermandosi al fianco di Paola, e
rubò dal tavolo l’ennesimo bicchiere.
«Buonasera», salutò, elegante.
Il consigliere gli lanciò un’occhiata seccata.
«E tu? Come saresti entrato?», chiese, acido.
Cristiano alzò le spalle.
«Spallaci aveva l’invito.»
Maria, che decise di palesarsi in quel frangente, guardò
attentamente Cristiano, rubandogli poi il bicchiere per prendere un
sorso .
«Un invito, uhm? Sospetto.»
«La sua famiglia fa parte di una cricca di nobiltà
che appoggia gli Orsini, gli organizzatori della festa»,
replicò Paola, sistemandosi il vestito piuttosto corto da
Venere e sorridendo ad una nobildonna che la guardava sprezzante.
«Dopotutto, anche Niccolò ha avuto
l’invito.»
«Tu come sei entrata, piuttosto?», chiese Pagni
alla modenese.
Lei lo guardò come se le avesse appena chiesto la
più stupida delle ovvietà.
«Dai tetti», rispose ovvia, prima di fare qualche
passo verso il parapetto delle mura.
Il biondo roteò gli occhi.
«Ovvio, ma che stupido a non averci pensato», disse
sarcasticamente, prima di prendere un altro bicchiere e bere alla
salute di Machiavelli.
«E questa bella signorina
chi è, Augusto?»
Una nobildonna romana le toccò con disinvoltura la spalla,
accarezzandola con fare amichevole.
«Madonna Sartori, di Chioggia», rispose Spallaci,
mentre stringeva la mano di Violante tra le sue. «La mia
fidanzata.»
«Non sapevo tuo padre avesse già pensato a
trovarti moglie!»
«Non l’ha fatto. Io e Violante ci conosciamo da
anni, invero. E poi … »
Anche aggruppando tutte le buffonate che Spallaci aveva detto nei mesi
passati al Covo, non si sarebbe comunque raggiunta neanche la
metà di quelle che stava sputando in quel momento. Erano
tutte ciarlatanate, una dopo l’altra, quasi il romano
provasse gusto ad inventare i più ridicoli particolari della
loro infanzia passata assieme.
Violante iniziava a non poterne più, soprattutto
perché non riusciva ad aprire bocca. Ogni volta che le
veniva rivolta una domanda, Augusto rispondeva celere al suo posto,
quasi come se temesse un passo falso.
Era così abile a mentire che Viola si insospettiva sempre di
più di persona in persona con cui era costretta a parlare. O
quantomeno a provarci.
Quando si staccarono da quella nobildonna che puzzava di stantio, gli
scoccò un’occhiata in cagnesco.
«Stai passando il limite, Augusto.»
«Rilassati, degli Antoni», la prese in giro lui,
afferrando due calici di vino prima di porgergliene uno. «Tu
non ci sei abituata ma è così che va, a questo
genere di eventi. Sta’ buona e fammi un bel sorriso. Forse
qualche notizia riusciamo a farcela dire.» Le cinse i
fianchi, prendendo un sorso della bevanda. «E divertiti, mi
raccomando!»
Appena il braccio del romano le cinse i fianchi, a Viola si chiuse la
vena.
Fece per mollargli uno schiaffo, ma poi decise di intraprendere una via
più infima e sicuramente divertente.
Augusto voleva stare al centro dell’attenzione? Gliene
avrebbe dato motivo.
Si staccò con uno strattone, guardandolo sconvolta.
«Quella puttana ti passato il Mal Francese?»,
sbottò inorridita, facendo voltare tutti i presenti. Gli
versò il calice in faccia, prima di lasciarlo cadere a terra
e arretrare . «Il fidanzamento è
sciolto!», replicò perentoria, prima di dargli le
spalle e allontanarsi, lasciandolo a levarsi il vino dagli occhi.
Tra tutte le facce sconvolte della serata, compresa quella di
Machiavelli che per poco non mancò il bicchiere che gli
stava venendo porto, le uniche risatine provennero dal gruppo in fondo
alla sala.
Bengiamino, Chiara e Cristiano si coprirono la bocca a vicenda,
evitando così la magra figura di scoppiare nella risata
più fragorosa che si fosse mai udita.
Non arrivarono a coprire anche quella di Ezio, in piedi assieme a Maria
dall’altra parte del banchetto, poiché la sua voce
risuonò così profonda e tonante che per poco non
si spaventarono.
Quando il gruppo di dame di fronte a lui si voltò per
rimproverarlo con un’occhiataccia, la modenese
alzò gli occhi al cielo.
«Che ho mai fatto di male?», commentò,
allontanandosi mentre scuoteva il capo.
Violante adocchiò il Mentore quando fu ormai solo e lo
affiancò.
«Sembri davvero compiaciuta», le disse lui,
portando un braccio attorno alle sue spalle e prendendole il mento tra
pollice e indice. «Una vera serpe. Dopotutto,
però, sei vestita da Ninfa Dafne e non puoi innamorarti di
un Marte … no.» Lanciò uno sguardo
veloce a Cristiano, che ancora ridacchiava insieme a Chiara.
«Il tuo Apollo è laggiù. Che aspetti, a
lanciarti su di lui?»
«L’ho spacciato per un figlio illegittimo del duca
di Urbino, sarebbe sospetto se andassi da lui dopo questa
scenata», disse Viola, guardando attentamente Ezio.
«Tu sei Bacco?»
«Sì, era il costume di Corella ma è
rimasto fuori», rispose prontamente il Mentore.
«Quindi la gonna così corta non è
voluta, uhm?»
«La scelta cadeva tra Corella e Ventimiglia, che non mi
arriva neanche a metà petto. Tu che dici?»
Ridacchiarono, bevendo assieme dopo aver recuperato un paio di calici
colmi dell’ottimo vino che stava venendo servito.
Per quasi un’ora, parlarono del più e del meno
come due semplici conoscenti, guardandosi bene dal passare accanto a
Machiavelli mentre passeggiavano.
La festa era tutto sommato piacevole, il vino dolce, la mano di Ezio
rigorosamente appoggiata sul suo fianco … sarebbe
tranquillamente potuta andare a finire come la prima volta, non fosse
stato per la folla che d’un tratto ammutolì,
aprendosi dinanzi all’ingresso per lasciar entrare qualche
personalità di spicco.
Quasi fosse entrato il Re di Francia in persona, anche Ezio si
irrigidì, lasciando a metà la frase che stava
pronunciando.
Violante non capì subito cosa stesse succedendo, ma
arrivò chiaramente al motivo di tutto quello stupore quando
intravide coloro che avevano fatto il loro ingresso.
Un uomo e una donna che si tenevano per mano. Se non fosse stato per i
molti drappeggi e cappe recanti il toro dei Borgia che li
accompagnavano, non si sarebbero mai detti essere fratello e sorella.
Lui alto, con capelli neri come la notte e occhi azzurri come il
ghiaccio più puro, con spalle ampie e un’armatura
scintillante da vero soldato. Lei bionda, magra e sottile come lo stelo
di una rosa, con grandi occhi verdi brillanti di malizia.
Cesare e Lucrezia Borgia avevano appena onorato gli Orsini con la loro
presenza.
Ezio diede con discrezione le spalle alla folla, appoggiando le mani
sulle spalle di Viola e guardandola diritta negli occhi.
Cesare conosceva bene il suo volto, non poteva farsi vedere o il
Valentino avrebbe vendicato la morte del fratello in quello stesso
istante, scatenando il panico.
Tutto quel bere le stava dando alla
testa. Non era abituata al troppo vino, ma d’altronde
Bengiamino aveva continuato a passarle calici su calici senza battere
ciglio e lei non aveva avuto modo di rifiutare.
La testa le girava leggermente, i piedi non erano più
stabili sul terreno.
Si buttò contro Bengiamino, anch’egli brillo e
preso a discutere vivacemente con Cristiano, e gli schioccò
un bacio sulla guancia, ridacchiando con fare civettuolo mentre lui le
passava la mano intorno alle spalle. Si voltò verso il
banchetto per farsi versare dell’altro vino e ne
approfittò per appropriarsi anche di un grappolo
d’uva, che divise ben volentieri con i due ragazzi.
Parlavano di Roma, di viaggi, di libri. Fuori dal contesto perennemente
teso del Covo e delle prove offerte da Machiavelli, erano entrambi due
ragazzi più che piacevoli.
Ridacchiando, Chiara dondolò il suo calice.
«Non credo sarebbe una buona idea»,
commentò, quando Cristiano propose di avvicinarsi a un
gruppo di nobili che parevano superare di poco la loro età.
«Non ci ha mai visti nessuno, qui in giro. Saremo solo
sospetti!»
Rise di nuovo, alzando le braccia per liberarle dallo scialle che le
copriva. Con tutto quel bere, cominciava a sentire caldo.
«Chiara!», la chiamò d’un
tratto la voce allegra di Paola.
Lei si voltò senza neanche pensarci.
Volteggiò rapida sui sandali con le braccia ancora alzate e
il bicchiere si inclinò praticamente da solo, complice la
sua ubriachezza che la faceva barcollare di continuo.
Con una smorfia di disappunto e di terrore, Chiara guardò il
vino lasciare il suo calice e librarsi verso il vuoto dinanzi a
sé.
Sarebbe andato tutto bene, se solo non vi fosse stata quella dama alle
sue spalle.
La dama sul cui petto, senza riguardo e senza preannuncio alcuno,
andò a versarsi l’intero contenuto del suo
bicchiere.
In un istante, l’intera festa raggelò. Fu come per
Violante e Augusto, in un certo senso, ma molto, molto peggio.
Persino l’arpista smise di suonare melodie
dall’aria classica, portando le mani alla bocca con
espressione a dir poco inorridita.
Chiara alzò gli occhi in quelli verdi della Madonna che
ancora stava immobile come pietrificata innanzi a lei.
«Sono mortificata», mormorò, prendendo
il fazzoletto che Cristiano stava porgendole con espressione
angosciata. «Io … mi scuso ancora!»
La bionda le strappò di mano l’oggetto guardandola
con odio, ma ci pensò qualcun altro a parlare al suo posto.
«Stupida sgualdrina!»
Il tono profondo e crudele utilizzato dall’uomo che stava in
piedi accanto alla vittima della sbadataggine di Chiara, la fece
sobbalzare. Fece un passo verso di lei, alzando una mano come per
colpirla con uno schiaffo.
«Stai attenta a quel che fai!»
Chiara chiuse gli occhi, pronta ad avvertire la sberla sulla guancia,
ma ciò non avvenne. Quando li riaprì, parato
davanti a lei, c’era Bengiamino che teneva per il polso
quell’uomo sempre più incollerito.
Peccato che lui e la dama del vino non fossero due ospiti normali,
tutt’altro.
Quelli erano precisamente Cesare e Lucrezia Borgia.
Ovviamente.
Rapido, Cesare Borgia si scostò dalla presa di Bengiamino,
muovendo un passo indietro per poi mettere la mano alla spada. La
sguainò tanto rapidamente che il rumore del metallo
riuscì a propagarsi solo quando l’arma su in alto,
pronta per essere scagliata sulla gola del milanese.
Chiara gridò, ma non fece in tempo a raggiungere il suo
compagno.
Cristiano la scansò, balzando in avanti e interponendosi tra
Bengiamino e Cesare. Braccia alzate e sguardo impaurito, parve bloccare
la realtà.
«No!», gridò, completamente disarmato
davanti a colui che era il peggior nemico dell’Ordine.
Per un istante, la lama di Cesare Borgia parve abbassarsi, innocua.
Poi tornò a colpire.