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Autore: MadAka    12/04/2014    1 recensioni
"Chiamano questo posto il Banco dei Sogni, perché è proprio questo che fa, compra sogni.
Le persone qui vendono ciò che hanno di più evanescente, ma anche di più profondo. Racchiudono la loro speranza all’ interno della loro firma, la scrivono su un foglio bianco candido, lo ripongono in una busta e vengono fin qui per farsela valutare, farsi valutare il prezzo della propria anima, come diceva mio padre."
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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But why do I feel so old?

‘Cause I know I’m still so young

 

 

 

Lascio la casa di Vinny prima del solito, scendo le scale a grandi passi e quando sono in strada devo ancora finire di sistemare la mia giacca. Mi sembra ci sia meno freddo del solito, sembra quasi che le giornate siano più lunghe e meno grigie della norma, ma sono certo che appaiono così solo a me. Mentre cammino sono l’unico ad alzare gli occhi al cielo, quel tanto che basta per cercare un piccolo quadrato di mondo libero dai grattacieli, un piccolo pezzetto di qualcosa in cui, forse, potrei imbattermi in altre creature. Come sempre il silenzio regna ovunque; è il silenzio della gente, quasi nessuno parla e, se lo fa, è solo a voce bassa. Le automobili riempiono i vuoti con i loro rombi meccanici, rendendo il tutto quasi un insieme robotico. Stranamente, però, questa volta non mi infastidisce. Dentro di me c’è una musica leggera e armoniosa, una canzone che continua ad accompagnarmi da quando ho lasciato il ritrovo.

Sono note di infinita dolcezza uscite dalla chitarra di Gabriel dopo un altro pomeriggio passato a parlare insieme.

Fra una cosa e l’altra mi ha ricordato il valore dell’amicizia in questa città, in mezzo a questo nulla, mi ha ricordato di quanto sia importante aiutarsi l’un l’latro sempre, per questo l’ho ringraziato e sono uscito di fretta: voglio andare da Mark. È da quando sono andato al Banco dei Sogni credendo di cambiare le cose che non ho più avuto a che fare con lui, anzi, è da prima ancora. Lui è sempre stato talmente vitale che il suo allontanamento da me non può che essere dovuto al mio gesto e a tutta la perdita di identità che lo ha preceduto. Voglio andare a fargli vedere che posso riuscire a superare anche questo momento.

Eppure nei luoghi che è solito frequentare non c’è, le persone a cui ho chiesto informazioni mi hanno dirottato alla sua casa, il che è strano, perché lui a casa non dovrebbe esserci fino a sera.

Arrivo al suo palazzo, trovo l’ingesso principale aperto, così decido di raggiungere la sua porta di casa e suonare lì il campanello. È proprio quello che faccio, ma subito non ottengo risposta.

Trovo tutto davvero strano e ci riprovo, avvicino il viso all’ingresso e dico:

«Mark, sono Steve.» rimanendo in ascolto.

Sento un leggero rumore provenire dall’altra parte, ho la conferma che lui è in casa e aspetto.

La porta si apre dopo interi minuti di attesa, Mark si fa da parte senza neanche darmi in tempo di guardarlo.

«Ciao.» lo saluto, varcando la soglia.

Non risponde, o se lo fa non lo sento. Chiude la porta alle sue spalle e io inizio a parlare senza tanti preamboli. Lui è l’unico con cui posso farlo, raccontargli la piega presa dalla mia vita in quest’ultimo periodo, raccontargli che, finalmente, ho dato un valore diverso al mio tempo. Io e Mark ci conosciamo da anni interi, siamo cresciuti insieme e siamo come fratelli, il fratello che nessuno dei due ha mai avuto.

So che mi sta ascoltando, ne sono certo, ma continua a non rispondere, sembra non provare il più minimo interesse per la sensazione frizzante che provo e che credo sia felicità. Mi volto e lo guardo, è ancora immobile accanto alla porta chiusa, le braccia mollemente abbandonate, il viso inespressivo. Una strana sensazione mi attanaglia le viscere, un orrendo sospetto che vorrei non dover approfondire. Lui è sempre stato più alto di me di almeno dieci centimetri, devo avvicinarmici per vederlo bene negli occhi. Tuttavia, scoprire di avere ragione è la cosa peggiore che possa succedermi. Non c’è luce, le sfumature ambra sempre presenti nei suoi occhi sono scomparse, le sue iridi sono diventate talmente scure da sembrare nere e pare quasi che stiano sprofondando nel nulla. Mi sfila accanto e va a sedersi su una sedia del piccolo soggiorno, seguo i suoi movimenti e mi soffermo ad osservarlo, cosa che lui non fa.

«Mark.» lo chiamo.

La voce mi esce bassa e incerta, la nota di gioia di poco fa è scomparsa.

«Che cosa hai fatto?» sussurro.

Mi avvicino a lui che si ostina a non guardarmi.

«Dimmi che non è vero.» riprendo. «Lo hai fatto? Hai venduto il tuo sogno?»

Scuote debolmente la testa, dall’alto verso il basso, fissando il nulla.

No. No, ti prego, tutti ma non lui, non il mio migliore amico!

Scatto verso Mark e lo afferro per le spalle, costringendolo a guardarmi:

«Perché?» gli chiedo.

Non risponde, sembra chiudersi in se stesso sempre più, non tiene i suoi occhi sui miei per più di pochi secondi. Non riesco a capacitarmi di quello che gli sta succedendo, non riesco a capire perché lo abbia fatto. Ha venduto il suo sogno, il suo, che era persino più bello del mio, quel sogno che ruotava attorno alla donna che ama e al suo futuro con lei.

Non resisto, non posso vederlo così:

«Mark, guardami, sono io, Steve! Dimmi perché lo hai fatto, dimmi perché, ti prego.»

Il suo sguardo si posa spento sul mio e io quasi non riesco a trovarlo.

«L’ho fatto per Ellen.» mormora, la voce impastata.

«Come?»

La sua risposta è preceduta da un lungo silenzio, un’autentica tortura per me.

«Era malata. Aveva bisogno di essere operata e costava troppo. Ho dovuto farlo… per lei.»

Nuovamente abbassa lo sguardo.

Lo ha fatto per lei. Ha venduto il suo sogno per aiutare la sua fidanzata, un gesto folle che prova quanto lui ci tenga.

Ma allora perché si sta comportando così? Perché si è allontanato tanto da me e da tutti?

Capisco che il suo distacco non era dovuto al mio stato d’animo, ma al suo. Mi tornano in mente le parole di Jocelyn sul rimorso e l’ossessione che portano ad un passo dalla pazzia, ma Mark, in fin dei conti, ha fatto tutto per una giusta causa, può far nascere un nuovo sogno insieme ad Ellen, magari proprio lo stesso che ha venduto.

«Dici davvero?» gli chiedo.

«Sì…»

È sempre perso e assente e continuo a non capirne il motivo:

«Ma, se lo hai fatto per lei… voglio dire, Mark, cosa c’è che non va?»

Niente.

«Ora che lei sta bene potrai avere un altro sogno, solo non devi lasciarti andare così.»

Il suo silenzio prolungato mi fa rabbrividire:

«Ehi, amico mio, dimmi cosa ti sta succedendo, per favore…»

«Se n’è andata.»

Gli esce in un sussurro, un filo di voce basso, appena percepibile, ma carico di tristezza e orrore: è disperazione.

«Come?» gli chiedo, le mie dita si stringono ancora di più intorno alle sue spalle, sotto i miei indici percepisco le sue ossa. Alza lo sguardo, quei suoi occhi spenti, così estranei:

«Se n’è andata, Steve. Mi ha lasciato.»

Mollo la presa, come se mi fossi scottato, apro la bocca per parlare ma non esce alcun suono.

«Come sarebbe?» riesco a pronunciare infine.

Mark abbassa gli occhi e annuisce con la testa, mi aspetto di vedere comparire delle lacrime, di vedere il suo corpo scosso dai singhiozzi, ma niente. È totalmente assente, perso nel vuoto, smarrito.

«Mark… Mark, guardami!» lo incito.

Torna a guardarmi e io quasi non riconosco il volto della persona che ho davanti.

Perché, perché sta succedendo?

«Non puoi continuare così.»

Riprendo a scuoterlo debolmente per le spalle, nella speranza che il suo corpo si decida a reagire, seguito dalla sua mente.

«Devi uscire di qui. Devi fare qualcosa, qualunque cosa, ma non puoi continuare così. Cosa ti sta succedendo, si può sapere?»

Quasi urlo davanti a lui, ma il dolore che provo a vederlo lì, immobile a fissare il nulla, lui che da quando lo conosco è sempre stato energico e attivo nonostante tutto, mi distrugge dentro.

«Se n’è andata.» Ripete: «Non mi è rimasto più niente.» i suoi occhi appannati si spengono sempre più.

Gli serve aiuto.

«Ti serve aiuto.»

Ma lui non accenna a muoversi, continua a tenere lo sguardo basso e il suo corpo pare afflosciarsi sotto il suo peso. Non avrei mai pensato di trovarmi in una situazione come questa, neanche lontanamente, neanche nelle mie fantasie più negative. È come se i ruoli si fossero invertiti, ora sono io che devo fare qualcosa per impedire al mio amico di scomparire, anche se non ho la più pallida idea del dolore che sta provando. Da solo non potrei mai farcela, temo di non essere abbastanza forte da aiutare qualcuno, solo Vinny e tutti gli altri possono fare qualcosa, ma devo convincere Mark a seguirmi.

«Devi venire con me.» gli dico.

Non mi dà alcun segno, non si muove, non mi guarda.

«Mark, andiamo, non puoi restare qui, te l’ho già detto.»

Scuote debolmente la testa, ripetutamente, le sue labbra si muovono appena in un sussurro di cui percepisco a stento la parola niente; dentro di me il dolore continua a crescere.

«Ora smettila, non ci riesco a vederti così, non ce la faccio! Non è vero che non ti è rimasto niente, ci sono ancora io, io! Sono il tuo migliore amico e finché sarà così non permetterò che ti succeda nulla.»

Solleva i suoi occhi su di me, rimane in silenzio a guardarmi, il viso che si distende in un’espressione di incredula consapevolezza.

«Devi venire con me.» concludo, ripetendo la stessa frase di prima, senza sapere che altro aggiungere, sapendo che non avrei altro modo per indurlo a seguirmi.

Mark continua ad osservarmi, il respiro debole sembra sul punto di fermarsi da un momento all’altro. Infine si alza, costringendomi ad allontanarmi per lasciargli lo spazio di manovra, si sposta nell’altra stanza lasciandomi solo.

È quando mi convinco che non sarebbe mai venuto con me che lui ricompare nel soggiorno, si infila il cappotto aggrappandosi letteralmente alla stoffa dell’indumento, poi si ferma aspettando un mio gesto. Un’ombra di sorriso aleggia sul mio volto, sapendo che forse riuscirò ad aiutarlo, ma scompare immediatamente non appena incontro i suoi occhi, quei baratri di disperazione.

Ci avviamo verso casa di Vinny, cammino rapidamente per la fretta, per l’ansia, l’agitazione, per tutto; voglio raggiungere il ritrovo di Vincent il più in fretta possibile, voglio poter sapere se posso aiutare il mio amico in qualche modo, sapere se un giorno tornerà il Mark di sempre.

Lui mi sta dietro di almeno tre, quattro passi; a tratti mi volto appena per vedere se continua a seguirmi, cammina silenzioso guardando distrattamente in terra, una fitta al cuore mi dice che lui è diventato come tutti gli altri, un’anima nera che cammina smarrita in questa città, una figura a cui è rimasto davvero poco. Mark ha compiuto lo stesso, coraggioso, gesto di Gabriel, ma a lui le cose sono andate per il verso sbagliato, sono andate nel peggiore dei modi.

E io che credevo di essere solo, di non avere uno scopo in questa città; solo ora mi rendo conto dei miei sbagli.

«Siamo arrivati.» dico fermandomi davanti al civico sette.

La luce è lentamente calata nel frattempo, mi fa capire che la notte si sta avvicinando, l’aria comincia a diventare sempre più fredda, qualche luce comincia ad accendersi.

Il mio amico non dice una parola e mi segue lungo le scale, davanti alla porta dell’appartamento di Vinny busso, restando in attesa.

Sulla soglia compare Jocelyn e mi sorride:

«Steve, sei tornato. Hai dimenticato qualcosa?»

Contemporaneamente apre la porta, notando Mark. Lei sofferma i suoi occhi su di me, sulla mia espressione che non può che essere il ritratto dell’orrore.

Non serve dire niente perché capisca:

«Venite.» dice soltanto, lasciandoci entrare.

Nella casa il numero delle persone è decisamente calato rispetto a prima, il silenzio è aumentato ma la leggera musica di Gabriel continua a provenire dallo stesso punto sotto alle finestre.

Eppure si interrompe appena il giovane vede me e la ragazza, seguiti da un Mark che non è altro che l’ombra di se stesso, andare a grandi passi verso la stanza di Vincent. Mi dispiace assalire quest’ultimo con dei problemi già al suo ritorno in città, dopo l’assenza di due giorni da Jason, ma non so a chi altro potermi rivolgere.

Jocelyn mi accarezza leggermente il braccio, lanciandomi un sorriso incoraggiante, a cui cerco di rispondere senza risultati, prima di allontanarsi. Busso e aspetto una risposta, che arriva immediata:

«Avanti.» è la voce di Vincent.

Apro la porta e appena l’uomo mi vede si alza per salutarmi:

«Ciao. A cosa devo la tua seconda visita in breve tempo?» sorride radioso, come sempre.

Tuttavia lo vedo diventare serio nel momento esatto in cui nota Mark, che per via della sua statura è ben visibile alle mie spalle.

«Ho bisogno del tuo aiuto.» dico, sentendo la mia voce rompersi leggermente.

Vinny acconsente con un cenno del capo e ci fa segno di entrare.

  
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