Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: GuessWhat    12/04/2014    3 recensioni
LONG SOSPESA // Esiste Dio? Se esiste, è sordo e se mi sente, non mi vede. Così sono finito qui, dalla strada ai cessi di una scuola. Sempre e comunque sguazzo nella merda. Avete voglia di ascoltarmi? Bene. C'è spazio. Questa è la mia vita, questa è la mia storia.
[Levi POV]
Dal cap. 15:
Eravamo solo io e lui, io ed Erwin, in quella stanza scura – sì, sono tornato sui miei passi. Mi guardava, gli occhi fissi nei miei, c’era qualcosa sul tavolo… Carte, o qualche altra cazzata, documenti. Non me ne sbatteva una mazza; feci solo caso al suo completo grigio scuro con la cravatta color perla che faceva davvero schifo e molto matrimonio cattolico, al suo pomo d’Adamo che sobbalzava troppo e allo sguardo che non smetteva di essere fisso.
“Levi, possiamo fare un patto.”
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Irvin Smith, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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ECCOCI QUA DOPO UN SACCO DI TEMPO vi chiedo davvero scusa, sono stata impegnatissima con un corso e uno stage. Arrivavo a casa senza avere voglia di fare nulla a parte disegnare e parlare con mia moglie al telefono :(
Voglio ringraziare tutti quanti per le recensioni molto positive ricevute in questo periodo, in particolare Lord_Trancy che mi ha commossa con la sua analisi della storia *cries*
Spero che il capitolo vi piaccia e vi avviso che se non ci si mette di mezzo il diluvio universale, dovrei tornare ad essere più regolare con gli aggiornamenti, circa uno alla settimana. Alla fine 'sta storia, che era nata come una 12 capitoli, si sta tranquillamente trascinando verso i 30  e ho in mente anche altri spin off, oltre a quello di Erwin.
Chissà. Magari tra qualche anno finisce sugli scaffali di una libreria, come 30 sfumature di roba ahahahahah




Petra arrivò sotto casa mia con un certo ritardo, diciamo di almeno venti minuti. Dato che non mi aveva fatto sapere niente, né un messaggio né una chiamata, detti per scontato che aveva avuto qualche problema coi fratellini. Non sarebbe stata la prima volta che faceva tardi per quel motivo.
Saltai in macchina rivolgendole un cenno di saluto col mento; venni accolto dal profumo di lavanda che permeava l'abitacolo e da una vocina dolce e carina che proveniva dallo stereo. Non il mio genere, ma era molto rilassante.
"Ti piace Sol Seppy?" mi chiese, dopo i saluti, "Se no posso cambiare."
"Lascia, lascia".
Ormai l'avete capito che ero per tutt'altro genere, sebbene ciò non m'impedisse di lasciare agli altri modo di ascoltare l'accidenti che preferivano. E poi, come ho detto, quella roba era rilassante: inutile dire quanto avessi vergognosamente bisogno di qualcosa di leggero per tirarmi su.
Petra guidava in silenzio e io non avevo la più pallida idea di cosa dire. Credo che il ricordo dell'ultima sera in cui ci eravamo visti le bruciasse ancora molto. Non mi ero ancora perdonato l'atteggiamento da cane che avevo avuto, da ragazzino, anzi; i cani sono molto meglio di me.
Petra aveva freinteso sempre tante cose dove io ero convinto di averle messe in chiaro - ero affezionato a lei, senza sentire lo stesso trasporto che provavo per Erwin. O per Bobbo.
La osservavo quando le luci della strada riuscivano ad illuminarla: si era truccata molto poco, aveva raccolto i capelli rossi in una coda alta, lasciando delle ciocche a scendere morbire sul viso, come una cornice. Indossava un paio di ballerine nere un vestito nero a piccoli pois bianchi, stretto in vita da una cintura di pelle con un grosso fiocco sul fianco, e si era coperta le braccia con un coprispalle nero.
Messi a confronto, stridevamo: i miei capelli erano solamente pettinati, avevo una maglia di cotone grigia a maniche lunghe con uno scollo a v, dei jeans, delle scarpe da ginnastica nere ancora 'buone' che usavo per 'le occasioni speciali', ovvero quelle rare volte che ci tenevo ad apparire come un adulto con uno stipendio.
Il silenzio era tale che non potevo non ascoltare la canzone che andava e andava. E mi sentii un poco morire, realizzando quanto parlasse di lei e della sua vita - mi chiesi se lo sapesse.

She had disappeared long ago
Waiting for Arthur to come through her window - Here I am, my love
But nobody came and the mist fell down
Her friends transformed into cane toads
Sitting in a room knowing all's a gas
And Arthur was replaced by a spacecraft
You want the kiss of life
Open up your heart
Then step inside and you'll be alright
You want the kiss of life
Open up your heart
And step inside and you'll be alright
But she can sing like my shore
It calls her name it's pure and true
And she runs toward this unbelievable love
The love she's dreaming of..



Mi torsi le dita tenendo la bocca sigillata, sommerso da un improvviso senso di colpa che cresceva insieme alle parole della signorina canterina. Quanto dovevo averle fatto male in quegli anni, forse apposta, o forse no. E quanto poco se n'era meritato di quel male, Petra - dura come una roccia, come il suo nome.
Affondai la testa nel sedile, sperando che non mancasse molto: povero illuso, il Lobo Loco era abbastanza fuori città. Ci attendeva almeno un'altra buona mezz'ora di silenzio in macchina. Mi misi a fissare fuori dal finestrino con l'insistenza di un pollo che vuole scappare dalla sua batteria.
"Levi" mi chiamò lei, soavemente, "Tutto bene?"
Petra mi stava guardando, approfittando del semaforo rosso. Annuii.
"Sembri preoccupato.." disse piano, facendo ripartire l'auto. Ridacchiò tra sé e sé, facendo spallucce. "Sta' pur tranquillo, so fare a guidare!"
"Pfh" sbuffai, non ero sicuro se suonasse divertito o scocciato. Ma a giudicare dalla sua espressione, l'aveva presa bene.
"Comunque" continuò, decisa a rompere il ghiaccio, "Che hai fatto in questo periodo? Sei quasi sparito..."
Ah, che avevo fatto? Il mondo avevo fatto, Petra. Mi ero praticamente innamorato, così credevo, mi ero attaccato furiosamente a qualcuno che conoscevamo entrambi, mi ero portato un gatto a casa, avevo fatto l'amore in un modo che mi aveva aperto gli occhi.
Capirete perché tenevo la bocca sigillata e avessi qualche remora nel dirglielo. Allo stesso tempo, iniziavo a chiedermi se fosse giusto lasciarla languire così nella speranza di un sentimento ricambiato. Conoscevo fin troppo bene il sapore di bile che ti accarezza la lingua in questi casi, lo sentivo sempre più spesso nelle ultime settimane; mi faceva quasi venire il vomito.
Era il caso di parlarne. Glielo dovevo. Senza alcuna scusa.
Il più era, da dove cominciare?
"Secondo te cosa ho fatto?" cazzo, stavo cominciando ad esprimermi come Erwin? Con quelle domande da ti-rigiro-la-frittata?
Petra fece una piccola pausa, un sospiro che riuscii a cogliere anche da sotto la musica della nuova canzone. "Non lo so. Dimmelo tu."
Quando ci eravamo conosciuti, Petra era un fiorellino delicato, remissivo, docile, obbediente. Era cresciuta tutta in un botto sul finire delle superiori, quando io avevo iniziato le mie infelici avventure e lei si era scossa, ma non abbastanza, non come negli ultimi anni. La Petra che avevo conosciuto a quattordici anni non avrebbe mai cercato di fare sentire così bene la sua voce.
Adesso mi faccio schifo a pensare che mi era piaciuta proprio per quelle sue caratteristiche di ragazzina-zerbino. Anche se non mi ero mai approfittato di lei, non le avevo mai chiesto soldi, o presa con la forza, o convinta a fare sesso, né le avevo mai chiesto di drogarsi con me, mi secca ammettere che i suoi modi sottomessi me lo avevano fatto diventare parecchio duro quando avevo sedici, diciassette anni - e guardandola ora, avevo l'impressione di essere stato un idiota. Ero certo di fare parte delle cause della sua crescita.
Non mi piaceva affatto l'idea di averla sballottolata da una parte e dall'altra come una bambola di pezza, di avere preso la sua verginità. Sì, è un costrutto sociale, bla bla bla, ma a me non interessa. Non meritavo quella ragazza e in cuor mio sapevo di non averla mai meritata. Le ci voleva qualcun altro, qualcun altro che al mattino riuscisse a guardarla in faccia senza i sensi di colpa che gli strappavano lo stomaco coi denti. Una persona che si svegliasse sobria accanto a lei, non con i postumi della sbornia e con le mani che tremavano per lo stare a rota.
Ma soprattutto, le ci voleva qualcuno che sapesse amarla. Io non l'avevo mai amata.
Le avevo voluto bene e avevo sempre visto il sesso con lei come un gioco da fare insieme, non diverso dal costruire castelli di sabbia sulla spiaggia o lanciarsi le palle di neve. Ma Petra si aggrappava a me così forte dopo averlo fatto, mi baciava sempre con una tale dolcezza e accettava ogni cosa, ogni fottutissima cosa. Non le era importato fare sesso sul letto schifoso della mamma (o era la nonna?) di Auruo, o nel fondo del parco; le era andato bene fare l'amore per la prima volta con un ragazzo ad un passo dall'Inferno, nella macchina dei suoi.
Quando, quella sera a casa di Erd dopo la partita di D&D, lei mi si era avvicinata e mi aveva detto che aveva bisogno di un uomo, avevo capito d'improvviso che lei mi aveva aspettato per tutti quegli anni. Cazzo. E mi stava ancora aspettando, stava ancora sperando di prendermi per mano per diventare la mia fottutissima fidanzata: che casino avevo combinato? Che cazzo le avevo detto mentre ero fatto o ubriaco, o entrambi insieme, tanto per gradire?
Petra aveva aspettato troppo a lungo, e soprattutto aveva aspettato me troppo a lungo. Il più insulso verme del pianeta.
"Un po' di cose."
"Cosa?"
E voleva davvero sapere, senza se e senza ma. Nulla da ridire. Petra ne aveva tutti i diritti.
Sospirai, sfregandomi il viso con le mani, fingendo di trattenere uno sbadiglio. Vedi, Petra, Erwin ha il cancro e il suo gatto adesso sta a casa mia per un po'. Ah, dimenticavo, siamo stati a letto insieme ed è stato fantastico, una roba da, non so, canti angelici.
Erano tanti i motivi per cui ero certo che non avrebbe preso bene la notizia - conoscendola, sapendo quello che avevamo passato, riuscivo a sentire la domanda implicita: perché hai preferito me a lui?
Petra.. Se solo avesse potuto capire cosa provavo quando Erwin, una figura esterna, veniva da me per informarsi di come mi sentissi. Una persona che non conoscevo e che aveva davvero a cuore come mi sentissi! Fuori dal mondo, davvero fuori dal mondo. Una persona che non mi diceva solo "vedrai, tutto si aggiusterà" perché schiacciata da una situazione che non sapeva gestire, ma che con calma e pazienza, dimentico della mia resistenza, mi prendeva metaforicamente per mano e mi diceva "insieme ce la faremo".
A volte la "scintilla" di cui tanto si parla non scatta, non importa quanto ti sforzi e ti strappi i capelli.
"E' una lunga storia" stirai le gambe, prendendo tempo, "Sicura di volere ascoltare?"
Credo fosse sul punto di rispondermi, ma visto che non lo fece e notai che la macchina stava lentamente rallentando, mi voltai a guardarla mentre colpiva il volante e pestava il pedale dell'acceleratore. "No, no, no!! Lo sapevo che dovevo cambiare la batteria!!" E con queste ultime parole, con un ultimo rantolo di dolore, i fari si spensero e la sua auto ci abbandonò ai lati della strada provinciale, quasi in aperta campagna. Per ironia della sorte, ci trovavamo ad un centinaio di metri dal luogo in cui avevamo fatto sesso per la prima volta. Riconobbi in lontananza il casolare ricoperto di graffiti dietro al quale avevo nascosto la macchina.
Il fatto che la macchina ci avesse abbandonati significava che potevamo dire addio alla serata, ma se devo dirvi la verità, era l'ultimo dei miei problemi, e allo stesso tempo esattamente il primo. Ah, cazzo, adesso non c'era più modo di sviare il discorso fino all'arrivo - non ci sarebbe stato nessun ritrovo dell'allegra combriccola. Merda.
"Non disperare" dissi, piatto, mentre mettevo la testa fuori dalla portiera, "Intanto, spostiamo quest'affare prima che ci facciano fare un volo fino all'altro capo del mondo."
Petra era imbronciata, ma mi stava ascoltando. Buono: avevo guadagnato qualche secondo utile. Le lasciai il tempo di prendere il triangolo segnaletico da dentro il bagagliaio e, una volta arrotolate le maniche della maglia, mi misi d'impegno per spingere l'auto fuori dalla strada, sul ciglio di un campo. Ero sempre stato un ragazzo estremamente forte per la mia taglia - piccolo ma letale, lo scago di tutti i ragazzini quando andavo a scuola. E non solo.
"Aspetta!"
Petra mi raggiunse e spinse la macchina con me. Davvero sperava di darmi una mano..? So che mi sarei dovuto emozionare, perché era sicuramente robusta considerato che stava dietro a dei bambini tutta da sola;ma non provai nulla se non, lo ammetto, un briciolo di pena. Le piacevo in una maniera imbarazzante. Magari ero io a leggere il gesto nella maniera sbagliata? Non ci capivo più nulla.
Trascorsero alcuni minuti in cui io parlavo molto poco e lei cercava su Internet il numero di un carro attrezzi disponibile a portare via la macchina nottetempo. Tuttavia, le chiesi se per favore poteva fare parlare me; era agitata e quando mi ricordai che lei con quell'auto ci portava a scuola i fratelli, ci faceva la spesa e tutto il resto, compresi come mai lo fosse così tanto. Non c'era niente che potessi fare, a parte aspettare con lei vicino al lampione, seduti nel bagagliaio dell'auto abbastanza grande da contenere due gnomi come noi.
"Mi dispiace" farfugliò, dopo avere chiuso anche la conversazione con Auruo, che si era offerto di venirci a prendere. "Ma.."
"No. Non serve che ti spieghi."
Mi sorrise debolmente. Era stanca quasi quanto me, anche se per un motivo totalmente diverso. "Grazie."
"Sono cose che capitano."
"Immagino di sì."
Cadde di nuovo il silenzio. In lontananza, si sentiva qualche uccello notturno che faceva casino e qualche auto che sfrecciava, come noi prima, nelle strade di provincia. Chissà che pensava la gente passandoci davanti, questi due bassettini con i piedi che neanche toccavano a terra, una deliziosa gnomina rossa e un cupo nanetto scuro.
"Comunque, scusami davvero. Non volevo insistere."
"Su cosa?"
Petra si puntellò con i palmi sul bordo del bagagliaio. "Su quello che hai fatto in queste settimane."
"Sono successe molte cose" ammisi, incrociando le braccia e appoggiando la schiena ad una catasta di bottiglie d'acqua dietro di me.
"Non serve che me le racconti".
"Erwin ha il cancro" nel dire ciò, sentii la mia voce lontana, distante, come se non provenisse dal mio corpo. "Lo sapevi?"
"Erwin?" si girò verso di me, i grandi occhioni nocciola spalancati. "Erwin.. L'assistente sociale?"
Evitai di chiederle 'sì, quanti cazzo di Erwin conosci?' e annuii.
Petra si mise una mano sulla bocca e la vidi piegarsi appena su se stessa, l'altro braccio sullo stomaco. Dal canto mio, continuai a fissarla zitto, visto che non c'era proprio un cazzo da dire.
"Non me l'aveva detto" fece, in un soffio, mentre si portava la mano alla guancia. "Come l'hai saputo?"
Poggiai di nuovo la testa alle bottiglie e guardai verso la luce del lampione, smorzata dal vetro un po' sporco. "Me l'ha detto Mike".
"Oh, santo cielo..." Petra si alzò e fece due passi davanti alla macchina, le braccia incrociate sul seno. "Quanto è grave?" mi chiese, fermandosi di fronte a me.
"Non molto, sembrerebbe. E' al polmone. Lo operavano oggi pomeriggio."
"Oggi pomeriggio..." tornò a sedersi e la vidi guardare verso il campo buio con sguardo determinato. "Voglio andarlo a trovare, la settimana prossima."
"Non so dove sia ricoverato" dissi, senza emozione nella voce. Persino lei era più convinta di me nel volerlo andare a visitare in ospedale e quel pensiero mi fece molto male. Mi sentii più verme che mai.
"Hai chiesto a Mike, giusto?"
Annuii.
"Ho capito. Beh" Petra si stava facendo forza da sola. "E' un uomo forte!" trillò, forse con una nota di falsa convinzione. Non potei biasimarla. "Ce la farà di sicuro."
"Già."
"Levi?"
"Hm?"
"Su, hai detto anche tu che non è grave."
Distolsi lo sguardo. Ancora una volta, era come se la ragazza mi stesse mettendo spalle al muro ed io non avessi la più pallida idea di come reagire. Le mani mi andavano a fuoco, mentre rivedevo tante scene di noi, una sopra all'altra: i suoi sorrisi, le sue gonne corte, le sue mutandine carine, i suoi occhi pieni di lacrime mentre mi diceva di smetterla, mentre squittiva che non ne poteva più, che a causa mia anche Auruo c'era finito dentro, nel tentativo di imitarmi. Petra, Petra, quanto cazzo ti avevo fatto male nel corso degli anni, e il tutto senza volerlo. Ero un disastro. Un totale disastro, e tu ti eri innamorata di me troppo presto e senza giudizio.
Il punto era che non sapevo nemmeno da dove partire a spiegarle cosa ci fosse esattamente tra me e quel biondino; porca puttana, neanche io lo sapevo. Il mantra delle domande su Erwin - il mio ragazzo? Lo scopamico? Il fidanzato? Il compagno? - tornò a galla mentre io riuscii solo a vomitare fuori, guardandola in faccia, senza alcun controllo sulle parole, "Erwin ed io stiamo insieme."
Ci fu un piccolo scatto da parte sua, un lieve ritrarsi delle mani e un'esitazione nei suoi occhi. I pezzi del puzzle che aveva cercato di mettere insieme per tanti anni le si erano frantumati tra le dita, ed ero stato io a spaccarglieli tutti in una volta con un grosso martello. Senza pietà ma anche senza cattiveria. Allo stesso modo in cui mi sentii libero di un peso, di un filo in meno stretto attorno al petto, vedere la sua faccia mi bruciò abbastanza. Tuttavia, sapevo che mi sarebbe passata: non potevo affogare nei sensi di colpa in eterno, né ero così stronzo da tenerla legata a una speranza per tutta la sua vita.
Era tempo che si staccasse anche lei e migrasse verso altri lidi... E qualche nome per lei, io l'avevo già in mente.
"..Da quanto state insieme?"
"Non lo so" mi ritrovai ad ammettere. Dalla sera del bacio nel mio bagno? Presumo di sì.
"Da molto?"
"Un mese. Forse due."
Respiravo l'imbarazzo della situazione e mi prudevano le gambe dalla voglia di scappare nei campi, nella notte, piuttosto che stare lì con lei in quello stretto bagagliaio ad aspettare il carro attrezzi.
Petra sforzò un sorriso e prese a tormentarsi nervosamente una cuticola intorno ad un'unghia smaltata di beige. "Mi fa piacere per voi."
"Dovevi saperlo" non riuscivo a dare emozione alla mia voce e a conti fatti, nemmeno volevo.
"Sì" sospirò. Gli occhi le stavano diventando lucidi. Oh cazzo, no, no. "Capisco".
Frugai nella tasca dei jeans e ne cavai quel che restava di un pacchettino di fazzoletti. Glielo porsi. "Non piangere che ti cola il trucco."
Petra ridacchiò debolemente, prendendo i fazzoletti. "E' trucco waterproof!" la sentii dire mentre si asciugava le lacrime che avevano preso a cadere grosse come sorci sul suo visetto, "Non cola, visto?"
"..Visto."
Tirò su col naso e si mise a guardare anche lei nel campo buio. Se eravamo sulla stessa linea di pensiero in quel momento, allora non ero il solo a voler scappare.
"Comunque, davvero. Mi fa piacere" e si soffiò il naso, "Che tu abbia trovato qualcuno." se solo quel qualcuno fossi stata io, mi parve di sentire nella mia testa, con la sua voce.
"Eh... Che bella fortuna, per Erwin."
Petra mi colpì sulla spalla, facendomi sobbalzare. Mi fissava con aria appena incazzata. "Zitto." Non era la prima volta che la vedevo essere così manesca, ma di solito se la prendeva con Auruo. Avevo perso il conto delle gomitate che il poveraccio aveva incassato.
Stavolta fu il sottoscritto a ricevere il colpo e non avere alcun modo con cui replicare, se non stringermi nelle spalle e abbassare appena il capo. L'avevo fatta incazzare, o forse era incazzata con se stessa. Non capivo.
"Non ce l'ho con te" bisbigliò, tornando al suo posto, "Sono stata una stupida. Tu non c'entri."
"Siamo" sottolineai, "Stati stupidi. Non è che ti sei fatta tutte quelle cose da sola." Stirai i piedi e mi alzai. Stavo soffocando in quel cazzo di bagagliaio.
Stiracchiai le braccia, muovendo qualche passo davanti alla macchina, finché non decisi di lasciarmi andare giù tra l'erba alta - quando mi balenò in testa la domanda 'e se adesso atterro su una merda?' ero già a metà strada verso il suolo.
"L'hai già dimenticato?"
"No."
"Sono stato io a cominciare."
"Non fa niente."
Un tonfo, e Petra fu nell'erba alta vicino a me. Eravamo distanti circa una spanna e non ci toccavamo, ma mi sentivo emozionato e non sapevo perché. Mi ricordavo di tante notti passate con lei ed i ragazzi. Quando forse ancora credevo che avrei potuto, un giorno, crescere e diventare l'uomo per lei, in caso non fossi riuscito a scaricarla.
Il tempo era passato e aveva cambiato molto. Non ero diventato l'uomo per lei e lei non era mai stata la donna per me.
"A volte le cose non vanno semplicemente come te le aspetti."
"E' vero" aveva smesso di piangere ma ancora udivo quell'eco triste. Ci scommetto che i suoi pensieri erano tutti per i genitori. E infatti. "Volevo andare all'università, diventare medico. Oppure mi sarebbe piaciuto unirmi all'esercito. Volevo fare qualcosa di utile per le persone" si mise seduta, sorretta sui gomiti.
"Lo stai già facendo" dissi io, le braccia dietro la testa, gli occhi persi a guardare in su, in cerca delle stelle che vedevo a malapena per colpa del lampione. Strano, pensai, come in un gesto così cretino riuscissi quasi a riassumere la mia intera esistenza fino ad allora. "C'è qualcuno a casa che non saprebbe cosa fare senza di te".
Non mi rispose, si rimise giù nell'erba alta. Poco alla volta, la sentii farsi vicina a me, più vicina della spanna di sicurezza. "Grazie" mi disse e mi avvolse le braccia al collo.
Mi feci rigido sul momento, solo per sciogliermi qualche secondo dopo, realizzando che non aveva bisogno di nient'altro se non del tepore di un abbraccio. Come me.
Avvolsi le braccia attorno a lei e la strinsi nella maniera più sincera che avessi mai fatto, lasciando che si stendesse sopra di me come una bambina: mi lasciai andare all'affetto, senza sbottonarmi troppo. Petra era un po' meno leggera rispetto ad anni fa, ma aveva lo stesso profumo di gelsomino e pepe rosa.
Pensai ancora una volta che volevo vedere Erwin come non mai; mi chiesi perché cazzo mi fosse venuto in mente proprio in quel momento: non era il caso, eppure era capitato. Come se qualcosa fosse sbocciato all'improvviso, mi si erano aperti gli occhi su me stesso. Avrei avuto il coraggio di trattare male qualcun altro, ancora una volta, solo per la mia totale incapacità a comportarmi con gli altri esseri umani? Potevo crescere un altro po'?
"Eh, grazie al cazzo."
Petra ridacchiò vicino al mio orecchio, e il suono della sua risata si fuse insieme al rombo cigolante del motore di un carro attrezzi in avvicinamento.

***

Al mattino fui svegliato dalla mia nuova sveglia a quattro zampe, che mi leccava la faccia e miagolava insistentemente. Oh, Bobbo, che cazzo! Dammi un po' di tregua.
Mi misi seduto massaggiandomi la faccia e sbadigliando forte. "Ho capito, ho capito. Ma che cazzo la metto a fare la sveglia, io" borbottai, grattandogli la schiena e poi la pancia (Dio, Bobbo, che puttanella!) "E soprattutto che cazzo la metto un'ora prima, se poi tu mi svegli in anticipo?" ficcai i piedi nelle ciabatte e scesi dal letto. "Devi imparare a prenderti il cibo da solo" continuai a parlare col gatto mentre sciabattavo in cucina come un vecchio pensionato scorbutico, "E che cazzo, mi hai scambiato per tua madre? Credi di potere fare la poppata?"
Acchiappai il gatto nell'andare in cucina e premetti il suo muso contro al mio petto, mentre con l'altra mano prendevo la busta di croccantini. "Toh. Poppa bene!"
Da come si è capito, la mattina era iniziata bene. Preferivo di gran lunga essere svegliato dal gatto che dalla mia sveglia. Bobbo era così pulito e così profumato, un gioiellino di gatto in salute e discretamente rompicoglioni.
La sera prima, una volta tornato a casa in taxi, mi ero buttato a letto non sentendo assolutamente niente nel cervello se non un cupo e continuo ronzio. Si era chiuso un capitolo della mia vita: faccende irrisolte erano venute a galla e avevo fatto sì di metterci una croce sopra. Ora toccava a Petra guardare avanti, trovarsi qualcun altro (se proprio era così convinta di non riuscire a stare da sola), superarlo. Avevo notato il leggero sorriso che aveva rivolto al telefono, vedendo che Auruo la chiamava -per la terza volta in una sera-. Aveva smadonnato tra sé e sé, imprecando che era un rompicazzo, ma aveva sorriso. Petra, c'era qualcuno che ti meritava più di me. Dovevi solo avere gli occhi aperti per vederlo.
Avevo fatto qualcosa di buono, passeggiando fuori dal suo cuore: come Erwin con me, le avevo dato gli strumenti per iniziare una nuova vita. Ora dipendeva tutto da lei.
Io, invece, mi ero buttato a letto consapevole di cosa dovevo fare la mattina seguente. Il ronzio dei miei pensieri non mi aveva lasciato in pace neanche durante il sonno e nemmeno al risveglio, nemmeno mentre davo da mangiare al gatto o pisciavo. Da dentro lo stomaco avevo la certezza che nulla mi avrebbe fermato. Neanche il senso di vomito che mi provocano gli ospedali.




 
   
 
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