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Autore: Lushia    13/04/2014    0 recensioni
E' una raccolta di piccole e brevi storie (One-shot, ma ci sono anche alcune Drabble e Flashfic!) che raccontano probabili momenti e situazioni, come sarebbe andata se e altre storielle non inerenti alla storia originale e non ufficiali. Ogni capitolo è una storia a sè stante.
Storie sconnesse, diverse fra loro, senza alcuna continuità o ordine cronologico e ambientate in universi paralleli.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'KHR! 11^ Famiglia'
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Padre e figlia

 

Sangue.
Sangue ovunque.

Cosa era successo? Cosa aveva fatto?
Ricordava le loro risate, gli sguarti divertiti e poi disgustati. Loro la odiavano e lei odiava loro.
Lei, un fallimento, un'inutile donna che non sarebbe dovuta nascere, sbagliata perchè non poteva diventare boss e sbagliata poichè si fingeva ciò che non era.
Non poteva essere un uomo, non poteva essere una donna, allora cos'era?

Non riusciva più a sopportare quelle risate, disprezzava quelle espressioni che la scrutavano con severità.

Non voleva più essere giudicata.
Non voleva più ascoltarli.

La sua mano tremava, il coltello sporco di sangue, il volto incredulo ma soddisfatto, i cadaveri sul pavimento e le urla di sottofondo.
Sì, ce l'aveva fatta!
A che servivano, dopotutto? Il mondo non necessitava di persone così meschine.

Lasciò cadere il coltello per terra e scoppiò in una risata convulsa. Probabilmente non si era nemmeno accorta di ciò che aveva fatto.
Ma l'aveva fatto.
Davvero? Aveva realmente ferito qualcuno? Cosa avrebbero detto suo padre, Primo-sama, i suoi amici?
Smise di ridere, il suo sguardo si offuscò. Un pensiero tartassava il suo cervello, una crudele verità.
E un urlo, disperazione.

 

 

Avanzò rapidamente, seguito da due uomini, lungo il corridoio che portava al tribunale. Incrociò un gruppetto fuori agli uffici, a loro non era stato concesso entrare. Erano disperati, il suo sguardo incrociò gli occhi di una ragazza dai lunghi capelli color fuoco.
Sapeva cosa stava provando, probabilmente disperata per la persona a cui voleva più bene.
Come lui, del resto.

Avanzò nell'aula, sedendosi in disparte assieme al suo braccio destro e al suo vecchio tutore, che gli lanciò un'occhiata seria. Indicò con il capo verso sinistra, verso l'altro capo della sala.
Una ragazza sedeva con occhi vacui accanto ad un uomo, un avvocato difensore molto famoso e abile. Conosceva ogni schifosissima tattica per far scagionare il suo cliente, ma dopotutto lui lo sapeva. Era stato lui ad ingaggiarlo.
Lanciò un'occhiata verso il giudice, siedeva in fondo alla sala e aveva incrociato il suo sguardo. Tossì, nervoso.
Avrebbe dovuto fare il suo lavoro, altrimenti non avrebbe mai potuto perdonarglielo.

Non era da lui ingannare la legge, corrompere un giudice, usare mosse sporche per far scagionare un assassino.
No, non era affatto da lui.
Ma la situazione era particolare, drastica. L' "assassino" era malato, aveva bisogno di cure, non si era nemmeno reso conto di ciò che aveva fatto, era stato trascinato dalla disperazione, torturato psicologicamente dall'odio umano.
E, sopratutto, era sua figlia.
Come poteva abbandonarla in quel modo?

No, avrebbe fatto di tutto per portarla via da lì, per non farla finire in prigione, ci avrebbe pensato lui stesso a sottoporla ai migliori e sicuri trattamenti per farla guarire. Avrebbe chiamato i più grandi specialisti, solo per lei.
Osservò il processo con attenzione, il suo sguardo puntato sulla ragazzina, sconvolta e assente.

"Non ti preoccupare, papà ti aiuterà. Ti aiuterà sempre."

Aspettava solo quel momento, l'istante in cui il giudice avesse dichiarato la ragazzina innocente, solo un'altra casuale vittima dell'ipotetico assassino ancora in libertà.
Non c'era prove contro di lei, ovviamente. Erano state tutte insabbiate dai Vongola.

Quanto si stava spingendo in là? Stava tradendo ciò per cui aveva sempre lottato, la sua morale.
Ma non importava, perchè doveva farlo. Per la sua bambina.

 

 

Incontrò una guardia all'uscita della sala, trascinava la ragazza per un braccio. Non era capace di parlare e a stento si reggeva in piedi. Sembrava distrutta e il suo animo era sparito.
"Non ti preoccupare. Papà è qui per te."
L'aiutarono ad entrare in macchina e partirono rapidamente, diretti verso l'Italia, il capo della piccola appoggiato sulla spalla del padre, l'amaro sorriso di Tsuna.
"Andiamo a casa, piccola mia."

Nella sua stanzetta, quella che aveva abbandonato dopo essere partita per il Giappone, la ragazzina si ritrovò con alcuni medici e uno psicologo. Erano i migliori nel loro campo, sapevano cosa fare e come aiutarla, pian piano, a guarire.
"Riuscirai a guarire, lo so. Sei forte."

 

Ogni notte, dopo aver lavorato fino a tardi, passava per la sua camera. Nozomi era sempre addormentata e Tsuna gli dava un bacio sulla fronte, standole vicino per una decina di minuti.
"Va tutto bene, amore mio. Papà ti proteggerà. Sempre."
Sorrise.

L'amore di un padre non aveva confini.

   
 
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