Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    13/04/2014    1 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

 

Presto, presto, Elsa si dice, eppure, le mani si fermano prima di poggiarsi sulle maniglie. Dietro di lei i ritratti di re e regine la fissano con occhi accusatori, occhi che sono infilzati come pugnali nella sua schiena. Cristalli di ghiaccio blu scuro, rabbioso, si alzano lentamente dai suoi piedi. Guarda le porte; non le aveva mai osservate sul serio, mai. Bianche, fiori verdi e viola, diamanti, vortici. Le maniglie sono d’oro.

Elsa fa un respiro profondo. Dietro quelle bellissime porte c’era qualcuno che non voleva vedere. Chiunque sia dalle Isole del Sud—dopo Hans—è tutto quello che sente è tua sorella è morta, e tutto quello che riesce a vedere è la spada che si spezza, frammenta, in un milione di pezzi.

Non essere il mostro che vogliono tu sia, che pensano tu sia, non essere, mostro—

Come poteva qualcuno desiderare il potere a tal punto?

Elsa fa un respiro profondo, ma uno diventa due, e tre, e poi si ritrova ad avere l’affanno. Dà le spalle alla porta. Il ghiaccio scricchiola sulle pareti, crescendo come muffa negli angoli del soffitto. Nata e cresciuta ed educata per questo, pensa, guardando il ritratto che era sempre stata costretta a guardare, vicino allo spazio vuoto dove sarebbe stato appeso il suo, un giorno; ma non pronta. Come avrebbe potuto, chiunque, essere stato pronto, per quello che era successo?

Forse insegnandole prima di tutto come si ama, Elsa pensa con amarezza, voltandosi di scatto verso il ritratto, gli occhi del re, la preoccupazione passiva della regina, ed ecco i primi sovrani di Arendelle di fronte a lei ancora una volta, e la pittura scorticata, spellata, nell’angolo. Elsa fissa la pittura. È quasi color crema, aria fresca sotto il blu scuro. Inspira. Espira. Il ghiaccio recede.

Con un movimento veloce, si volta verso la porta, e la apre.


"No, non le serve adesso, le serve solo un po’ di riposo—"

"E in base a quali conoscenze fai questa prognosi? Forse il Venditore di Ghiaccio Reale ne sa più del Medico Reale su questioni del genere?"

"Uh, no, credo, ma so—uh, la mia famiglia, che—"

"Devo bendarle la testa. Portami dell’acqua calda."

"Che—io? No! Le serve solo un po’ di riposo."

"Le servono bende."

"Riposo."

"Bende!"

"Riposo," Anna geme. Le voci pulsavano bianche e arrabbiate dietro i suoi occhi. Sente il proprio letto sotto di sé, coperte familiari, cuscino piatto. "Riposo. Come credete che possa riposare, se urlate?"

"Le mie scusa, vostra Altezza." Questo doveva essere il medico. Non le era mai piaciuto; non da quando si era rotta il braccio arrampicandosi sul tetto del palazzo, e lui aveva dovuto per forza ri -romperlo, già, no grazie. Continua, "Dovrei solo fare un piccolo—"

"Vada via. Per favore," sbadiglia, rintanandosi più a fondo nelle coperte, fredda fino al midollo e con la sensazione di aver ingoiato un intero secchio di feltro. "La chiamerò…dopo…" sente l'oscurità che la trascina di nuovo dentro di sé. Sonno. Sonno è bello—

"Vostra maestà." Voce tesa, non è d'accordo, non fa niente—sonno, sonno—

Sente lo scatto della porta e apre un occhio, cisposo. Tutto è troppo luminoso. Vuole sibilare, e battere in ritirata. Dice, "Non tu."

Kristoff si ferma, proprio sulla porta. Riesce a vedere la tensione nelle sue spalle, riesce a sentire i secchi passi arrabbiati del medico che se ne va, nel corridoio. Continua, "Voglio dire, se ti va. Puoi rimanere qui," sbadiglia di nuovo, e oh, perché mai è così stanca, "se vuoi. O puoi dormire nelle stalle," la voce si fa più gentile, "Perché fai così, eh? Ma tutto ok. Non giudico. Beh, un poco giudico…" si strofina l'occhio. Kristoff sembra avere una disputa interna, senza dubbio con Sven. E’ in piedi sulla soglia della porta. In piedi. In piedi

Si alza all'improvviso, troppo veloce, e il mondo vortica. "Woah."

"Ehi, furia scatenata," fa, lasciando che la porta si chiuda, e si avvicina al lato del letto. La spinge di nuovo giù sui cuscini. "Rilassiamoci, ok?"

"No," lotta, spinge via il braccio, ma è come lottare contro un carro spazzaneve, "la tua gamba, come—non era rotta?"

Kristoff abbassa lo sguardo, sollevando una gamba come se non sapesse come usarla, e poi dice, "Ma—voglio dire, mia madre—l’ha aggiustata. Non è la mia vera madre. Adottato, sono stato—adottato—comunque."

Vuole dirgli che l'aveva capito, dalla, sai no, cosa dei troll, mentre se ne sta lì in piedi, sfregando il pavimento col piede. Vuole anche chiedergli spiegazioni, ma il mondo vortica ancora e si rende conto che non è il momento giusto. Fa alcuni lenti respiri dal naso, e finalmente riesce a far funzionare la bocca. "Quindi, tutto ok?"

"Quasi." Le fa un sorriso storto. "Dovresti dormire."

"Lo so," e lo sente arrivare di nuovo, come un lupo che si preparava a balzare o così—ma i lupi balzavano? Faceva schifo con le metafore—dà dei colpetti con la mano al letto, accanto a lei, senza arrossire perché non pensa a niente tranne che sonnosonnosonno. Sbadiglia. "Sembri…distrutto…" chiude gli occhi, ascoltando il rumore tenue degli stivali di Kristoff; sembrava come se stesse camminando sulla neve, e non su marmo o legno o qualunque cosa fosse il pavimento. Lo sente tirare le tende. La luce viene offuscata. Passo-passo-passo. "  ‘ono stanco…"

"Anche io."

E poi sente un bacio rapido, timido, al lato della testa, l’unica parte di lei visibile da sotto le coperte visto che ha freddo. "Sono contento che stai bene. Ma non farlo più, ok?."

"Fare che?"

Pausa. Riesce a immaginarselo guardare di lato. "Sai no. Farmi preoccupare e così."

"Non prometto niente, tranne che per il così," sospira-sorride. Lo sente rannicchiarsi accanto a lei e riapre un occhio. "Che stai facendo?"

Kristoff si è raggomitolato sul pavimento, proprio sotto al suo lato del letto.

"Kristopher," e non riesce a metterci abbastanza rabbia; è troppo stanca. "C’è un’intera metà del letto, qui. Prometto di dartene, cioè, almeno un terzo."

L’espressione di puro terrore sul suo viso è ridicola, ed è troppo stanca per sentirsi offesa.

"Beeeeeeene, dormi sul pavimento, cavolo." Allunga il braccio alla cieca dietro di sé, prende il cuscino in più, e glielo lancia in testa. E poi fa per togliersi la coperta.

"No," dice, "tienila. Sono abituato al freddo."

E Anna, come un sogno che si ricorda a metà, richiama alla mente quando era stretta vicino a lui in quella piccola fessura, che si sentiva, per la prima volta da quando tutta quella—storia era iniziata, al caldo. Rabbrividisce sotto la coperta. Ascolta Kristoff sistemarsi sul pavimento. La stalla sarebbe stata più comoda, a questo punto. Si sente male. Si sente stanca.

Fa cadere la mano. Kristoff la prende.

E, così, si addormenta.


Un vento gelido la segue nella stanza. Il fuoco vacilla, poi si spegne debole. Una finestra si spalanca. Riesce a sentire gli uccellini fuori, riesce a sentire il calore del sole estivo. E poi dice, "Mi perdoni, per favore, la mia—" la mia maledizione mi sfugge ancora di mano—ma si interrompe bruscamente. Si dirige al caminetto, sfregando un fiammifero sulla pietra di cornice e lanciandolo nel legno ancora ardente. Ha deciso di lasciare la finestra aperta, lasciare la finestra aperta avrebbe—il sole, e—

Elsa guarda in su, e poi deve forzarsi a non fare un passo indietro, ad afferrarsi alla scrivania. Sente il ghiaccio formarsi sotto le unghie. Ogni centimetro del suo corpo grida scappa.

"Regina Elsa," si inchina, e a quanto pare non si era accorto del suo passo falso.

Sono gli occhi, pensa, dopo che lo shock iniziale è diminuito, e il respiro si è calmato; dopo che si è detta calma, calma, calma.

Hanno gli stessi occhi.

Si concentra sulle altre cose. Il naso storto, le evidenti lentiggini—l’ammasso di capelli castani, che erano sfuggiti a qualunque tentativo di tenerli in ordine. Le punte erano ricce. Si concentra su queste cose per evitare gli occhi.

Quando si raddrizza, tiene la lingua tra i denti e si guarda assorto l’avambraccio, tenendo su la manica della giacca bianca. Riesce a distinguere appena i bordi di una scrittura netta e disordinata, stampata lì sopra. Guarda prima lui e poi lei, rapido, e poi dice, abbastanza sconsolato, "Ho solo—ah, preparato una cosina, ecco, mi permetta—" Tossisce. Si inchina di nuovo. "Regina Elsa. Sono il Principe Albert, dodicesimo figlio della corona delle Pisole del Sud—Isole," fa una smorfia, "ha, si è un po’ sbiadito—e desidero ringraziarla formalmente per—avermi ricevuto al suo—cestello." Alza gli occhi. Li riabbassa. Corregge, in fretta, "Castello. Il suo castello."

Gli occhi di Elsa schizzano alla scrivania, e alla lettera poggiata sopra. Inizia a maledirsi, il ghiaccio le si forma attorno ai piedi, perché non l’aveva letta l’avrebbe dovuta leggere che cosa avrebbe dovuto fare ora

"E, uh, questo è sbavato," borbotta sottovoce. Si morde di nuovo la lingua, e poi lascia andare la manica con un sospiro. Quando i loro sguardi si incrociano, il ghiaccio sotto i suoi piedi aumenta. Spera che non se ne sia accorto. "Volevo solo porgere le mie scuse ufficiali, per essere mancato alla sua incoronazione."

Elsa batte le ciglia. Stringe le mani. Dice, "Come, scusi?"

China la testa, ma non sembra essersi offeso terribilmente, per il fatto che non si fosse nemmeno accorta della sua assenza. "La sua incoronazione. Io e mio fratello Hans saremmo dovuti venire, ma ha sbagliato a darmi istruzioni nei pressi del regno di Corona, e poi una tempesta mi ha mandato fuori rotta—io e miei uomini abbiamo attraccato solo adesso."

Elsa chiede, "Solo adesso?"

"Sì. Avevo altre cose da dire—che avevo preparato—ma io—è—" si tira su la manica, e il braccio non è altro che una macchia nera d’inchiostro sbavato. Borbotta, "Per lo più erano congratulazioni e roba del genere—si sta, uhm, godendo—la reginità? L’essere regina?"

Elsa si sente galleggiare. Dice, "Mi perdoni, Principe Albert."

Esce.


Kristoff si rigira nel sonno, russando piano, e usa il braccio di Anna come coperta. Lei scivola dal letto per metà, ma non si sveglia.


La stanza di Elsa è una tempesta.

Marcia, avanti, indietro, avanti, indietro, e il ghiaccio si insinua come edera sulle pareti, fondendosi sul soffitto in una moltitudine di fiocchi di neve che brillano alla luce estiva. Il vento vortica attorno a lei, tende, lenzuola e vestiti completamente coperti dal ghiaccio. Si mette le mani tra i capelli. Avanti, indietro, avanti, indietro. Calmati. Doveva calmarsi, tutto questo non poteva uscire da quella stanza—

Dannata maledizione! Il braccio scatta di lato e l’armadio scoppia, colpito da un getto di ghiaccio. Fissa per un momento la propria mano tesa, poi i frammenti di legno spezzato, e si chiede come sarebbe, solo per un momento, essere normale, essere capace di sentire, completamente. Niente a metà. Sentire come faceva Anna. Elsa pensa che magari forse c’era la possibilità che stesse iniziando a farlo, ma questo era troppo

Si ferma al bordo del letto. Ha il respiro affannoso. E pensa, debolmente, come se ancora non fosse possibile—

Posso parlarne con Anna.

E poi pensa—

Anna si sta rimettendo.

E poi—

Ho bisogno di lei adesso.

Elsa fa un passo verso la porta, si morde il labbro, si ferma. Aveva un principe delle Isole del Sud in biblioteca e una situazione delicata tra le mani e non aveva dormito e—

Esce dalla stanza, chiudendo la porta sulla piccola tempesta. Tre, quattro passi, ed eccola alla porta della sorella. Si ferma proprio prima della maniglia; poi, sfogando la propria preoccupazione sul suo labbro, la apre, cercando di ignorare la traccia del proprio ghiaccio che si insinuava sul telaio mentre lo faceva.

Anna è stesa sul suo letto a metà, la fronte appoggiata alla spalla di Kristoff; il venditore di ghiaccio è accovacciato sul pavimento, e le stringe una mano. Elsa chiede, "Cosa state facendo voi due?"

Kristoff si sveglia di soprassalto. Svegliandosi immediatamente, si tira  anche su a sedere immediatamente, e la sua fronte sbatte contro quella di Anna. "Ohi," sibila senza energie, e poi perde l’equilibrio e cade dal letto. È un pasticcio, tutto, ed Elsa è sicura che il bernoccolo extra non avrebbe fatto bene al cervello già ammaccato di sua sorella, ma questo—"Hai detto che ti saresti assicurato che era sistemata," fa, rigida.

È troppo.

"Uhm," Kristoff risponde, guardando la mano che stringe, e Anna mezzo stesa addosso a lui.

"Gli ho chiesto io di restare," Anna replica, sedendosi, massaggiandosi la testa, "Era distrutto. C’è qualcosa che non va?"

"Questo!" Elsa dice—c’è un principe nella sua biblioteca e un uomo in camera di sua sorella e questo—"Pensi che visto che sei una principessa puoi fare quello che vuoi senza pensare alle conseguenze?" Il vento aumenta, insinuandosi nelle fessure.

"Perché ti arrabbi tanto?" Anna risponde. Stringe gli occhi. "Stava dormendo sul pavimento!"

"Anna," Elsa chiude gli occhi, pregando affinché le venga data pazienza, e tutto quello che riesce a vedere è mani che si stringono. "Hai un’immagine da mantenere. La proprietà d’immagine. Non mi interessa chi sia lui, non può rimanere in camera tua senza controllo, le persone inizieranno a parlare—"

"Lasciale parlare," Anna dice, alzandosi in piedi, spazzolandosi il vestito, massaggiandosi la testa. "Io non —che t’importa, e ok, Elsa, scusa, non per essere deprimente, qui, ma nessuno non parlerà di nient’altro che della tua crisi col ghiaccio —che, sì, è stata colpa mia, ma—"

"Per favore, vattene," Elsa dice. Kristoff si alza. Il suo viso è rosso.

"Sì. Certo."

"Elsa—"

"No," Elsa dice piano. Il vento si alza, la temperatura precipita. Se Anna è troppo agitata da accorgersene, Kristoff no. "Sei una principessa, Anna. Ecco una responsabilità che deriva dall’apertura dei cancelli. Non si tratta più solo di te."

Kristoff, che aveva preso il berretto per schiacciarlo tra le mani, dice ad Anna, "Ci, uh, vediamo dopo." Ha gli occhi piantati a terra. Si ferma da Elsa. "Io—solo che—mi dispiace."

Elsa annuisce prendendone atto. Ecco l’edera di ghiaccio, sul muro. La porta si chiude. Guarda Anna, mezza aggrovigliata nella coperta, i capelli un pasticcio, con gli occhi torbidi e col bisogno di dormire ancora, e lo sa subito che non può parlare con sua sorella di queste cose, che era una stupida, sciocca idea, che se non fosse mai entrata questo litigio non sarebbe mai successo—

"Perché?" tutto quello che Anna chiede.

"Ti ho detto perché," Elsa dice, voltandosi. Testa alta, collo rigido. Il vento cala, il ghiaccio si ritira. "Sei una principessa, Anna. È ora che inizi a comportarti da tale."

"è per questo che sei venuta qui? Per urlarmi contro?"

Elsa si ferma alla porta. Mentire è semplice. "Per vedere come stavi."


Kristoff scivola piano nelle stalle. Fa caldo, e c’è puzza di cavalli e fieno. È tarda mattinata, ma sembra tarda notte, gli occhi pesanti, appiccicati, le braccia e le gambe molli. Crolla nel mucchio di fieno più vicino. Dopo alcuni momenti sente un piccolo strattone alla camicia.

"Ehi, amico."

Sven muove le labbra.

"No, sì, Anna sta bene." Prende il berretto e se lo appoggia sul volto. Sa di sudore, sembra oscurità. "Che c’è che non va, allora?" Sven vuole sapere. "Beh, non c’è niente di meglio dell’essere ricordati della questione della principessa. Di nuovo." Sven gli domanda, "Da chi?" Risponde, "Dalla regina Elsa. Capisco. È una principessa. Io no." Sven chiede, "Quindi vuoi essere una principessa?"

Kristoff solleva il berretto tanto quanto basta per guardar male l’amico.

È stanco. Era stato indiscreto, qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere, ma dopo aver sentito il respiro farsi sempre più debole per tutta la notte e averla portata dai troll e sua mamma e dopo tutto quello che era successo, tenersi un po’ per mano—

Ma la proprietà di immagine. Elsa aveva ragione.

Kristoff chiude gli occhi.

"Perché le cose non possono mai essere semplici," geme.


"Suppongo che—i litigi arrivino con—il territorio, no?" Anna brontola, infilandosi una scarpetta, e poi l’altra, e poi inciampando, con un oof! Fuori dal letto. Cade sul pavimento e si fa male, e questa volta non c’è nessuno ad attutire la caduta. Rimane seduta lì per un minuto, cercando di fermare le vertigini. La mano che Kristoff aveva tenuto stretta è ancora calda.

Si abbraccia le ginocchia, appoggiandovi la fronte. Il pavimento era freddo, e anche lei. I venti provocati da Elsa si erano scatenati, là dentro. E lì, in un angolo del soffitto, c’era una singola stalattite di ghiaccio, il colore delle campanule d’estate, ritorto e spezzato e assolutamente bello. Vorrebbe poterlo fare. La cosa della magia del ghiaccio. E la capisce. La questione della principessa. Ok, forse non è che la capisce, capisce proprio, ma—beh, ci sta arrivando. E forse far rimanere Kristoff in camera con lei da soli non era stata un’idea delle migliori—anche se non è che stavano facendo—

Facendo—

Hnn—o—niente.

Non che hnnare con Kristoff fosse una cosa brutta o un’idea di cui lamentarsi, in realtà era una bella idea, ma pensava anche alle porte aperte e a trovare il proprio posto e a prendersi il proprio tempo—ma era difficile quando tutto era nuovo e roba così e—

Fa un respiro profondo. Si siede. Ok, non era questa la ragione. La ragione di tutto ciò è che anche Elsa aveva una ragione. Un sacco di ragioni. Troppe ragioni.

E una parte di Anna le dice che Elsa non era entrata solo per vedere come stava. Una parte di Anna le dice che Elsa l’avrebbe lasciata dormire.

Il che significa che qualcosa non andava.

Si alza dal pavimento, aiutandosi col letto. Scivola fino alla porta. È la maestra di come si impiega minor sforzo possibile per ottenere il massimo risultato—cade sulla maniglia, ed è ancora fredda. Fuori il sentiero di ghiaccio porta fino all’atrio, fino alla stanza di sua sorella.

Non si ferma davanti alla porta. Non lo fa più, non bussa nemmeno—si fionda dentro, già parlando, già—"Elsa? Mi dispiace. Voglio dire, per Kristoff. Suppongo che posso dirti che non stavamo—facendo niente, perché di queste cose si parla tra sorelle, no? Non lo so. È tipo…già…" Anna smette di parlare. La stanza è un macello. L’armadio è ridotto in pezzi, nell’angolo, e il legno è sparso per il pavimento. Sembra un relitto. I muri gocciolano, il ghiaccio si sta sciogliendo, e i vestiti di Elsa sono arrotolati a terra.

Anna è colpita da un improvviso attacco di vertigini. Si copre la bocca, scivolando senza grazia fino al letto della sorella. Le coperte erano l’unica cosa miracolosamente asciutta, grazie al baldacchino di sopra. Si stende per un momento, respirando dal naso, espirando dalla bocca, provando a sopprimere la nausea.

Il baldacchino è un noioso blu scuro. Quanti anni aveva passato, sua sorella, a guardarlo?

Anna si raggomitola su un fianco. Il letto aveva l’odore di una mattina d’inverno.

Chiude gli occhi.


Elsa è di nuovo nella sala dei ritratti, e guarda le porte bianche che danno nella libreria. Sta dando forma a un piano—cioè, una lista di quello che sa, e la speranza che ne venga fuori qualcosa.

Il Principe Albert delle Isole del Sud è dall’altro lato di quella porta.

Il principe Albert delle Isole del Sud, dirottato, non era a conoscenza del tradimento di suo fratello, né dei poteri di Elsa, né dell’inverno-durante-l’estate.

Il problema era, cosa fare col Principe Albert.

Si sarebbe offeso, se gliel’avesse detto e basta? Avrebbe preso la spada e—

Elsa scuote la testa. Iniziava a sembrare sua sorella. C’era una pecora nera in ogni famiglia.

 Dopo tutto, pensa piuttosto cupa, facendo galleggiare un fiocco di neve sulle nocche, guardate lei.

Apre le porte. Il principe chiude il libro che stava leggendo con un colpo secco, e un’espressione colpevole, ri-infilandolo a forza nello scaffale. Esclama, "E’ Tristano e Isotta. Lo leggo per le parti in cui combattono con la spada." Fa un mezzo sorriso. Quando lei non ricambia, scivola via dal suo volto.

Elsa dice, "Principe Albert. Forse dovrebbe sedersi. Ci sono delle…cose di cui ho— ho bisogno di metterla al corrente."

E in quel momento la porta alle sue spalle si riapre. Sente il brivido della propria magia. Olaf chiede, "Elsa? Pensavo solo che dovresti sapere che Anna è in camera tua. E poi, qualcosa ha distrutto il tuo armadio," conclude, con un sussurro.

Il principe sposta lo sguardo tra lei e il pupazzo di neve che batte le piccole mani, avanti e indietro.

Il principe dà di matto.


"Ciao, fratello. Cielo, sembri così arrabbiato! Le sbarre di metallo non si addicono a uno con la pelle chiara e delicata come la tua."

"Sei qui per gongolare?"

"No. Immagino che già ci abbiano pensato abbastanza gli altri. Ci hai provato. Non posso incolparti per averlo fatto. Impariamo dai nostri errori, e tutto il resto. Forse la prossima volta mirerai un po’ più in basso."

"Come hai fatto tu? Tu, che ti accontenti di rimanere nelle ombre—"

"Ah, fratellino. Sono abbastanza contento della mia posizione. Forse, se lo fossi stato anche tu, adesso non saresti lì a mangiare senza il tuo cucchiaio d’argento."

"Sta zitto."

"Hans. Pensavo di averti insegnato qualcosa."

"Nessuno di voi mi ha mai insegnato niente."

  
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