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Autore: Angelique Bouchard    16/04/2014    0 recensioni
Premetto che è una breve one-shot molto seria; l'argomento trattato è il comportamento delle persone nei confronti dei disabili.
"Sento la rabbia montarmi dentro come panna, gonfiarsi sempre più e diventare sempre più voluminosa; ma anziché tutto bianco, vedo rosso, e il sapore non è dolce per niente. L’effetto finale, tuttavia, è davvero simile a quando mangio troppe fragole con panna: mi vien da vomitare."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Immaturità e ipocrisia
                     
 
Bimbaminchia a diciannove anni


«Matteo, ma che cazzo ridi?» chiede Sara, un po’ divertita, un po’ curiosa.
«Mi fa ridere» risponde Matteo, spezzando più volte la frase a causa delle risate.
«Ma che cosa?» insiste Sara con un tono scocciato, come una sorella maggiore che rimprovera per l’ennesima volta il fratellino.
Matteo pare pensare la risposta, con ancora quell’enorme sorriso sulle labbra che sembra non volersene andare per nessun motivo.
«Non lo so» risponde infine, alzando le spalle e continuando a ridere rumorosamente, con il capo chinato verso il banco, scarabocchiando un quaderno con la penna. Il professore scuote piano la testa con un sorriso appena accennato; io stringo i pugni.
Lo dica prof., la prego. Lei che può, dica qualcosa.
 Ma il professore di sostegno non dice assolutamente nulla; guarda Sara e sospira, poi volta la testa e incrocia il mio sguardo. Per un attimo mi fissa, forse ha sentito il mio urlo muto; la sua espressione è cambiata, è più dura. Guarda ancora il gruppo seduto dietro di me e sembra stia per dire qualcosa, ma alla fine rinuncia definitivamente e abbassa lo sguardo.
Codardo, penso io, mentre sento che i miei occhi iniziano a bruciare.
«Non lo sa» dice Sara intanto, voltandosi verso i compagni con una smorfia quasi disgustata in viso. «Non lo so» ripete ancora imitando malamente la voce di Matteo, facendola assomigliare a quella di un vecchio che perde la dentiera.
Oca, penso io, insieme a una sequela di insulti che preferisco non riportare, perché mia madre non ne sarebbe per niente contenta. Sento la rabbia montarmi dentro come panna, gonfiarsi sempre più e diventare sempre più voluminosa; ma anziché tutto bianco, vedo rosso, e il sapore non è dolce per niente. L’effetto finale, tuttavia, è davvero simile a quando mangio troppe fragole con panna: mi vien da vomitare.
Sara, nel frattempo, deve aver fatto una lodevole imitazione del compagno, perché tutti ridono e il suono che fanno mi ricorda il ragliare incessante dei muli nella stalla.
«Che testa di cazzo»
Tutto ciò che capto è la delicatissima ed elegantissima conclusione di quell’osceno discorso; vorrei chiudere gli occhi per non vedere le facce ridenti di tali disgustose persone, ma so che se lo facessi inizierebbero a cadere tante – troppe – lacrime. Guardo in alto, verso il soffitto, mentre le mie dita, come dotate di vita propria, torturano la lettera in inglese che dovrei consegnare alla professoressa l’ora successiva.
Perfetto.
 
L’ora buca è finita, ora c’è l’intervallo. Rimango seduta al mio posto e rimetto nel portafoglio l’euro che avevo preso poco prima per comprarmi la pizza dal paninaro; mi è passata la fame.
Anche Sara è rimasta in classe, e la sua voce mi pare ancora più fastidiosa e stridula del solito; è dall’altro lato dell’aula, ma il suono sembra rimbombare sulle pareti e tornare a me con ancora più intensità. Chissà se è possibile qualcosa di simile; di fisica non ci capisco nulla, io.
Sono talmente intenta a pensare ad altro per non sentire la sua voce che a mala pena mi accorgo di Sara che ha spostato la sedia accanto alla mia e ci si è seduta con un ginocchio alzato, voltata verso di me. Ruoto appena il busto verso di lei e accenno un sorriso di cortesia, sebbene la mia unica cortesia nei suoi confronti, al momento, potrebbe essere quella di regalarle un trapianto di intelligenza e maturità.
Sara, del tutto ignara dei miei pensieri, sorride a sua volta, inclinando un poco la testa di lato; mi parla, e improvvisamente la sua voce sembra più calda e amichevole, meno stridula e beffarda di quando parlava con Matteo, o di lui.
«Auri, come va tuo fratello?»
Crack.
Il tono di voce è quello che rivolgerebbe a un’amica che non vede da molto tempo, caldo, interessato e dolce; ma l’ipocrisia di quella domanda fa gonfiare ancora di più quella montagna di panna rosso sangue che sento bloccarmi le vie respiratorie, comprimendomi la cassa toracica.
Male. Mio fratello è una testa di cazzo. Ride sempre, Dio solo sa perché. Chissà che cazzo ha nella testa; forse niente, forse è totalmente deficiente. È pazzo, completamente pazzo, non ti pare?
No.
No, a me non pare.
Non è pazzo, sei tu che sei una stronza schifosa. Ipocrita, pure.
Inspiro profondamente, guardandola in viso, cercando di incrociare il meno possibile i suoi occhi. «Bene, grazie» rispondo, sorridendo.
Un sorriso falso, che di allegro non ha nulla; ma come fa a non capirlo? Non lo vede che l’ultima cosa che vorrei fare è sorridere? Non le vede le lacrime incastrate dietro la pupilla, che spingono per uscire?
Sara sorride ancora, e comincia a parlare di qualcosa che non ho minimamente voglia di ascoltare; mi fa domande e neppure aspetta una risposta, va avanti e conversa da sola. È evidente che le piace il suono della propria voce.
Non ho ancora espirato, per questo sento la testa cominciare a girare, mentre la voce di Sara si confonde con quelle degli altri compagni che tornano dal bagno o dai distributori automatici. Chissà se in mancanza di ossigeno è possibile che quella montagna di panna acida si sgonfi, insieme alla voglia di picchiare Sara che mi fa pungere le mani; la verità è che io non ci capisco nulla neppure di chimica.
 
 
 
 
 
 
 
 
N.b. Salve! Oggi sono un po’ malinconica, e questo è il risultato di questa giornata un po’ così :/
Vorrei solo precisare che è una storia vera, tratto dalla mia vita quotidiana: io ho un compagno disabile e dei compagni disgustosi, e ho anche un fratello autistico. Scusate se siete stati voi a farne le spese, ma non mi piacciono i diari, e avevo bisogno di confidarmi con qualcuno.
Spero comunque che la one-shot vi abbia toccati almeno un po’.
Un bacio,
Angelique 
   
 
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