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Autore: Kary91    18/04/2014    17 recensioni
| Peeta!centric |child!Peeta/daddy!Peeta | Everlark|
“Perché non glielo porti?” chiese Delly incoraggiante, accennando al disegno. Peeta arrossì di nuovo. Spostò lo sguardo ad analizzare il suo ritratto, indugiando sui puntini grigi degli occhi e scosse il capo. Non era l’imbarazzo a trattenerlo: voleva dare a Katniss un disegno perfetto, uno di quelli che fanno brillare gli occhi al solo guardarli. Voleva dipingere un sorriso sul volto della bambina con le trecce di carta, ma per farlo aveva prima bisogno che fosse quella in carne e ossa a sorridergli.
|Partecipante al ~Contest of Passions~ di ellacowgirl in Madame_Butterfly|
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Delly, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Di biscotti, favole e pennelli.'
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A Federica, perché è un tesoro e la sua dolcezza equivale a quella di Peeta

E a Martina, perché ama questa canzone e perché le voglio bene.

 

Come un Pittore.

come un pittore

 

 


Difficile trovar parole molto serie,
tenterò di disegnare
come un pittore,
farò in modo di arrivare dritto al cuore
con la forza del colore.



 

 

Due linee incrociate scure e due puntini.

Una treccia e un paio di occhi chiari.

Peeta lavorava a capo chino, un lieve sorriso ad accarezzargli le labbra. La mano minuta, da ragazzino, muoveva il pennello da dolci sul foglio, mentre l’altra reggeva il piattino dei colori.

“Che stai disegnando?” chiese un’incuriosita Delly, sbirciando oltre la sua spalla. Il suo, di foglio, era pieno di scarabocchi a ricciolo e pallini multi-colore che chiazzavano la superficie bianca in maniera casuale. Non era un granché, ma era ugualmente soddisfatta della sua opera:  le piaceva appollaiarsi di fianco ai gradini della panetteria con qualche pennello vecchio e i coloranti scaduti che il signor Mellark di tanto in tanto regalava a lei e a Peeta per dipingere.

Il ragazzino le sorrise e si spostò leggermente verso destra, per permettere all’amica di guardare il suo disegno.

“Una bambina del Giacimento” rispose,  ripassando con il pennello le linee rosa del volto. Delly ricambiò il sorriso, con un insolito luccichio divertito nello sguardo: era evidente dall’espressione concentrata del coetaneo e dalla cura con cui si stava occupando di quel disegno che il soggetto delle sue pennellate non fosse una bambina qualunque.

“È bellissimo, Peeta” dichiarò ammirata, prima di spostare lo sguardo verso gli altri fogli lasciati ad asciugare poco distante dai due ragazzini. “Secondo me le piacerebbero molto” aggiunse, indicandoli. Peeta arrossì. Il suo sguardo tornò ad accarezzare  le trecce nere e gli occhi chiari a cui stava lavorando. Giocare a dipingere era da sempre uno dei suoi passatempi preferiti: riusciva a farlo anche a scuola o mentre aiutava i genitori in panetteria, le volte in cui non aveva né fogli, né disegni o colori a disposizione. In quei momenti, Peeta ritoccava a mente molte delle cose che andavano cambiate. Osservava assorto i clienti sporadici del Giacimento e li ritraeva come un pittore fa con  i suoi soggetti, dando loro sfumature diverse e colori più vivaci. Colorava le guance pallide dei  bambini che sbirciavano dentro il negozio dai vetri con aria affamata e tratteggiava sorrisi rosso porpora sui volti stanchi dei lavoratori. Erano  tutti più belli, così:  più felici. Di conseguenza, in quei momenti, si sentiva più allegro anche lui. Eppure con  lei quel trucchetto non riusciva. Lei, la bambina con le trecce e gli occhi grigi, non cambiava nei suoi ritratti pennellati a mente. I bronci non venivano  trasformati in risa e le trecce sfatte restavano tali così come le labbra screpolate e l’espressione  diffidente. Eppure per lui era bella anche così, nei suoi abiti un po’ corti e, qualche volta, sporchi di carbone sulle maniche o sull’orlo dei pantaloni. E quando schiudeva le labbra per cantare lo  era ancora di più, anche se Peeta non aveva ancora trovato i colori adatti per poter dipingere la sua  voce.

“Tu cosa stai disegnando?” chiese con gentilezza, allungando il collo per osservare il disegno di Delly. L’amica non gli rispose: lo tirò per la manica e indicò con l’indice due persone che stavano attraversando il vicolo di fronte alla panetteria. Erano una donna e una bambina: la ragazzina era magra e dallo sguardo vigile, due trecce nere a incorniciarle il volto pallido. Mentre Peeta la osservava il suo cuore aveva incominciato a picchiettare con forza nel petto, come un pennello sulla tavolozza di un pittore.

“Perché non glielo porti?” chiese Delly incoraggiante, accennando al disegno. Peeta arrossì di nuovo. Spostò lo sguardo ad analizzare il suo ritratto, indugiando sui puntini grigi degli occhi e scosse il capo. Non era l’imbarazzo a trattenerlo:  voleva dare a Katniss un disegno perfetto, uno di quelli che fanno brillare gli occhi al solo guardarli. Voleva dipingere un sorriso sul volto della bambina con le trecce di carta, ma per farlo aveva prima bisogno che  fosse quella in carne e ossa a sorridergli. 

 “Un giorno lo farò” mormorò infine, distogliendo lo sguardo dal suo foglio per tornare a voltarsi verso Delly. Con la coda dell’occhio osservò la ragazzina con le trecce allontanarsi dal vicolo, mano nella mano con la madre. Inspiegabilmente sorrise: il suo cuore-pennello batteva ancora con insistenza, utilizzando il suo petto come superficie per dipingere.

 

Peeta Mellark aveva già capito che i suoi dipinti  migliori sarebbero nati grazie a lei.

 

 

***

 

Per le tempeste non ho il colore
Con quel che resta, disegno un fiore
Ora che è estate, ora che è amore

 

 

Due linee incrociate scure e due puntini.

Una treccia e un paio di occhi chiari.

Peeta lavorava a capo chino, un lieve sorriso ad accarezzargli le labbra. La mano grande e ruvida -  da uomo, da fornaio, - muoveva il pennello per colori acrilici  sul foglio, mentre l’altra accarezzava il capo della bambina seduta sulle sue ginocchia.

“Che stai disegnando?” chiese incuriosita sua figlia, sbirciando oltre la sua spalla. Il suo, di foglio, ospitava  un gran numero di figure tremolanti che lo occupavano per intero. Haley disegnava spesso fiori, alberi e bambini che correvano nel Prato, riempiendo ogni disegno di sfumature simili a quelle  delle foglie in primavera: il verde era anche il suo colore preferito. Il padre le sorrise.

“Una bambina del Giacimento” rispose,  sfiorando con il pennello la punta del naso della ragazzina.

Haley rise, pulendosi con la mano. Quella risata era un balsamo per Peeta, nei pomeriggi come quello: nelle giornate che lo accoglievano dopo le notti dai sogni più agitati. Anche da adulto non aveva perso l’abitudine di ritrarre a mente ciò che voleva cambiare.

Ma nella tavolozza immaginaria di Peeta non c’erano colori adatti per trasformare in mare calmo le tempeste e il vortice di dolore che travolgeva lui e sua moglie la notte, le volte in cui gli incubi bussavano alla porta del suo cuore da pittore. In quei momenti potevano solo cercare appiglio l’uno nell’altro;  Katniss cercava  l’abbraccio di Peeta e Peeta trovava conforto sulle labbra della moglie, fino a quando la tormenta non passava. E quando tutto tornava calmo, quando anche le increspature di dolore si spiegavano, Peeta sceglieva l’azzurro e tornava a dipingere, questa volta seguito con attenzione da un paio di  occhi vispi dello stesso colore. Haley si divertiva ad osservare affascinata i movimenti fluidi del  pennello sulla tela o su un foglio e non perdeva mai occasione di sedersi sulle ginocchia del padre per osservarlo mentre lavorava. Le piaceva quando Peeta usava l’azzurro, perché capitava spesso che lo utilizzasse per  dipingere due iridi chiare e profonde, proprio come stava facendo in quel momento: erano occhi vivaci e curiosi, gli occhi di un’altra ragazzina con le trecce. Erano gli occhi di Haley, sua figlia. E se anche, in quei ritratti, le trecce della bimba fossero spesso sfatte, come quelle della Katniss ragazzina,  il suo sguardo non era mai spento, eccessivamente triste o disilluso.  Le sue labbra non erano screpolate, ma belle piene e rosse.

“Oggi dipingo anch’io!” aveva annunciato qualche ora prima la bambina, spruzzando un po’ di colore in un piattino. Al  suo fianco, il fratello minore Rowan aveva già le mani imbrattate di tempera e il grembiulino che utilizzava  anche per cucinare sporco di macchie multi-colore. Più volte aveva insistito con Katniss affinché li raggiungesse per giocare con loro. Alla fine la donna aveva ceduto e adesso stava aiutando Rowan a colorare un tratto di spiaggia nel lato basso del foglio. Di tanto in tanto Peeta interrompeva il suo lavoro per osservarli, mettendo da parte il pennello: lo divertiva il modo in cui il figlioletto tirava la lingua di fuori per la concentrazione, nel tentativo di tratteggiare un cerchio perfetto, per disegnare il sole. Era buffo, buffo e bellissimo. Rowan amava il giallo: lo usava di continuo, macchiandosi le dita paffute della stessa solarità che regnava nel suo sorriso allegro. Anche Katniss era bella, con quell’espressione assorta e le mani del figlio appollaiate sulla sua spalla.  I suoi occhi erano spesso ancora velati della disillusione di quando era bambina, ma la diffidenza se ne era andata, così come il pallore sulle sue guance e l’aria smunta. Spesso gli sorrideva, come aveva sempre sognato che facesse quando erano piccoli. Sorrideva anche ai suoi figli, che avevano imparato sin da subito a sfruttare ogni pretesto per riempire la loro casa di parole, risa e marachelle, distraendoli dai turbamento sempre in agguato. Erano vita, luce e colore. Erano pennellate vivaci su uno sfondo di vernice scura, che con il tempo stava incominciando a sbiadire, rischiarandone i toni.

 

Peeta scoccò un’occhiata divertita a Haley, che rideva sulle sue ginocchia e a Rowan che le faceva le pernacchie, posandosi i pollici sporchi sulle guance.

Inspiegabilmente sorrise: il suo cuore-pennello batteva ancora con insistenza, utilizzando il suo petto come superficie per dipingere.

 

Spostò lo sguardo verso Katniss che stava analizzando con un mezzo sorriso le loro baruffe: aveva sempre saputo che i suoi dipinti migliori sarebbero nati grazie a lei.

 

 

Azzurro come te,
come il cielo e il mare
E giallo come luce del sole,
Rosso come le
cose che mi fai... provare.

Nota dell’autrice.

"Partecipante al ~Contest of Passions~ di ellacowgirl in Madame_Butterfly" 

Le citazioni sono versi della canzone “Come un Pittore” dei Modà.

Devo fare una premessa giganterrima, prima di proseguire con il mio solito polpettone! Non sono una grande sostenitrice della coppia Everlark e il personaggio di Peeta mi è piuttosto indifferente. Tuttavia ascoltando la canzone che viene menzionata nel testo non ho potuto fare a meno di associarla a Peeta. Inoltre era da tempo che sognavo di poter scrivere qualcosa di Everlark per le due belle personcine sopra citate, e ho pensato di approfittare con questa one-shot. La incominciai diverso tempo fa ma, forse proprio perché non amo particolarmente la coppia protagonista non sono mai riuscita a concluderla fino ad ora xD Purtroppo non leggo molte Everlark e posso immaginare che questo tema sia piuttosto ricorrente nelle varie storie, spero di non aver scritto qualcosa già proposto da altre autrici >.< In tal caso chiedo scusa! Diverse parti della storia si rifanno ovviamente al testo della canzone. La parte delle tempeste si collega agli incubi di Katniss e Peeta, il giallo e il blu li ho associati ai due piccoli “dipinti” di Peeta: i suoi figli, Haley e Rowan. I nomi dei due bambini sono gli stessi che ho usato nelle altre storie in cui hanno fatto comparsa, perché ormai ci sono affezionata!  

Credo di aver detto tutto! Prometto che dalla prossima storia me ne tornerò al mio angolino a coccolare Gale e gli altri Hawthorne u_u

Un abbraccio!
Laura

 

   
 
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