Il destino di Qayin
Portando le mani
infreddolite sotto le pieghe dell’ampio mantello, Laura diede
un singhiozzo rassegnato.
Avrebbe dato davvero qualunque cosa, in quel momento, per essere alla
festa assieme a suo fratello. Invece le toccava stare a sorvegliare i
tetti al freddo, nel buio della sera senza neanche la decenza di una
candela e con la sola compagnia di Corella che, da sobrio, parlava
ancora meno di Bengiamino.
Affranta, si sedette sul cornicione di un palazzo, lasciando le gambe a
penzolare nel vuoto, e prese a sistemare la treccia in cui aveva
raccolto i capelli prima di lasciare il Covo.
Da quella posizione, poteva perfettamente tenere d’occhio la
festa. La festa e Bengiamino che, vestito com’era, spiccava
nel suo mantello nero in mezzo a una danza di tuniche bianche.
«Sembra un corvo.»
La voce lievemente roca di Corella la colse di sorpresa.
«Le somiglianze con Machiavelli aumentano sempre di
più; fossi in te, mi preoccuperei.»
Le sorrise, riportando poi gli occhi color cenere
sull’entrata e sul continuo via vai di persone, come se
queste non smettessero mai di arrivare o andar via.
Pareva invidiare un po’ tutti anche lui ma, al contrario di
Laura, il suo allontanamento dalla festa era più che
giustificato.
Sebbene fosse il braccio destro di Cesare Borgia, suo fratello
Michelotto non lo avrebbe mai denunciato apertamente ai Templari;
ciò nonostante, non si poteva rischiare che uno di loro
notasse qualcosa.
Anche se l’idea di Cristiano di far indossare a Corella una
maschera appariscente sembrava meno brutta di quando era stata proposta.
«Ho paura che Bengiamino si cacci nei guai»,
sospirò Laura, piegando una gamba contro il petto e
stringendo con le braccia il suo stesso ginocchio. «Non
è mai stato in grado di reggere le feste.»
Ridacchiò lievemente, ricordando quanti balli aveva mandato
a monte, da ragazzino, per quel suo intimidire gli ospiti con il
silenzio. Aveva sempre fatto così: non una parola in tutta
la sera; si limitava a fissare le persone intorno a lui e a seguirle
con lo sguardo.
Se non altro, a Roma pareva determinato a brillare e la cosa, forse, lo
avrebbe smosso dal suo mortorio.
«E tu?», disse all’improvviso, poggiando
il mento sul ginocchio mentre con lo sguardo seguiva Bengiamino nel
cortile. «Non hai paura che tuo fratello possa farsi del
male?»
Corella sbuffò una risatina, scuotendo il capo lentamente.
«Ho più possibilità di farmi male io
qui, su questo tetto, avvolto dal torpore delle stelle che Michelotto
al centro di un’enorme battaglia.»
Che il maggiore dei Corella fosse quasi invulnerabile a tutto, era una
sorta di dato di fatto.
Alessandro aveva ammesso più volte che non ricordava una
sola volta in cui il fratello si fosse ferito in qualsivoglia modo. A
detta sua, Michelotto possedeva la logica fredda di un assassino e
l’abilità con la spada di un maestro
d’arme. Era una delle menti più brillanti alla
corte dei Borgia e non faceva mai domande. Eseguiva e basta.
Per questo, Cesare se lo teneva stretto.
«L’ho sempre invidiato. Il suo modo di farsi notare
non facendosi mai notare è pura arte.»
«Tu ti fai notare in altri modi», lo
schernì Laura. «Ma sei sempre capace di spiccare
sopra gli altri. Magari è un’abilità di
famiglia!»
Rise sottovoce, coprendosi la bocca con la manica della tunica. Con un
gesto limpido del braccio, invitò Corella a sedersi accanto
a lei sul cornicione.
Lui eseguì, staccandosi dal comignolo a cui si era
appoggiato. Si buttò a sedere, tendendo le gambe nel vuoto,
prima di lanciarle un lungo sguardo divertito.
«Vero, ma per i motivi sbagliati, temo! Michelotto ha gli
onori, io le risate dei miei compagni. Non che esse valgano meno per
me, ma una medaglia dei Borgia è più bella da
sfoggiare di un insulto di Machiavelli!»
Laura scosse velocemente il capo, allontanando con vigore quel lieve
rossore che le aveva illuminato le goti quando aveva ricevuto lo
sguardo di Alessandro.
Incrociò le gambe dinanzi a sé, mettendosi
più comoda sulle tegole ancora umide della precedente
pioggia.
«Gli insulti di Machiavelli sono sempre ben studiati,
però!», obiettò, senza più
cercare di contenere la sua risata. «Quantomeno, puoi vantare
un premio in originalità!»
«Poco ma sicuro, Signorina Lorenzetti»,
sottolineò Corella, alzando una gamba e appoggiando un piede
sul tetto. Portò indietro il corpo, stendendosi e
incrociando le braccia dietro al capo.
Il suo fiato si condensava diventando fumo davanti al suo viso.
«Ci vorrebbe un bel bicchiere di vino …»
Laura starnutì.
«Ci vorrebbe una coperta, piuttosto»,
commentò, tremando lievemente sotto il freddissimo
venticello che si era alzato sui colli.
Sebbene fosse avvolta nel mantello di lana che aveva avuto
l’accortezza di portarsi dal Covo, non riusciva a smettere di
provare una sensazione di gelo sotto la pelle ad ogni soffio che saliva
dalla strada.
Alzò le spalle, chiudendosi su se stessa per soffiare un
po’ di fiato caldo sulle mani scoperte.
Non aveva pensato ai guanti.
Corella si accorse del lieve tremolio che percorreva le spalle della
ragazza, così si mise di nuovo seduto, sfilandosi la cappa e
avvolgendovi la giovane.
«Non preoccuparti per me», le disse, prima che lei
potesse parlare. «Non ho freddo, anzi. Credo che, con tutto
il vino che ho bevuto in ventitré anni di vita,
starò bene per sempre!»
Ridacchiò appena, guardandola negli occhi.
Non si era reso conto di quanto fossero
vicini.
In un istante, Laura sentì le guance andarle in fiamme.
Provò a deglutire un paio di volte, passandosi la lingua
sulle labbra per inumidirle.
Non pensò neanche per un momento alla risposta da dare al
ragazzo, poiché la voglia di prendergli il viso tra le mani
e annullare ogni distanza tra loro fu così forte da non
lasciare spazio ad altre considerazioni.
Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, quando gli
affondò le dita tra i capelli mori per assaggiare quelle
labbra sottili che senza sorpresa sapevano di vino.
Quella era la prima volta che si trovava così vicina a
qualcuno.
Si baciarono per istanti infiniti, mentre le mani di Corella le
accarezzavano il braccio e lei continuava a stringere i suoi capelli
fra le dita.
Non si sarebbero staccati facilmente, se non fosse stato per il
silenzio. Troppo, per una festa del genere.
Alessandro si staccò di colpo con un piccolo schiocco,
affacciandosi al palazzo e notando qualcosa che lo confuse
prima di farlo sbiancare.
«Bengiamino sta puntando l’arco contro
Borgia?!»
«Cosa?»
Laura si alzò di scatto, saltando con uno slancio ben
ponderato sul tetto del palazzo di fronte.
Sarebbe stata imbarazzata, in un’altra occasione. Se ne
avesse avuto il tempo, si sarebbe persino data della stupida per aver
agito come la più gracchiante delle oche.
Ma non era quello il momento, non con Bengiamino che si stava
praticamente facendo ammazzare.
Senza aspettare che Corella le fosse alle spalle, si
appollaiò su un comignolo e incoccò la prima
freccia nell’arco.
Con un colpo solo, perforò il cranio del balestriere che
puntava la sua arma al petto di Bengiamino.
Alessandro le fu accanto in due balzi.
«Io scendo in strada, apro la via e aspetto che escano gli
altri. Sicuramente Machiavelli urlerà il tana libera tutti,
ora.» Le appoggiò una mano sulla spalla, serio
come poche altre volte. «Tu liberati di alcuni di loro e
occhio agli arcieri sui tetti. Raggiungimi appena vedi Bengiamino
correre fuori.»
Senza attendere risposta, scese aggrappandosi ad una grondaia.
Non andava bene. Non andava bene per nulla.
Cesare doveva essere parecchio
infuriato, visto che mancò Cristiano per ben due volte prima
di graffiarlo con la punta della spada.
Subito, il biondo portò una mano sulla pancia, saggiando con
i polpastrelli il taglio, pronto a schivare un altro fendente.
Non ce ne fu bisogno.
Bengiamino aveva recuperato dalla faretra che componeva il costume di
Artemide di Chiara un arco e una freccia, che ora puntava contro il
rampollo dei Borgia.
«Una passo e di voi non rimarrà che una testa
infilzata e amari ricordi», disse, prendendo bene la mira.
Lucrezia Borgia si fece avanti.
«Sai cosa stai facendo, straccione? Vi daremo la caccia per
tutta la vita solo per l’insulto subito! Scocca quella
freccia e non uscirai vivo da questo giardino!»
Bengiamino non perse la calma.
Senza distogliere la freccia dal suo bersaglio, si guardò
attorno. I fanti armati di spada si erano fatti più vicini,
ma di certo non avrebbero attaccato finché il loro padrone
sarebbe stato a uno scocco dalla morte.
Ciò che lo preoccupavano erano i balestrieri. Durante la
festa ne aveva contati sette in tutto, ma di certo qualcuno doveva
essergli sfuggito.
Socchiudendo le palpebre, si diede il tempo di tre respiri prima di
veder arrivare le frecce nemiche.
Tre respiri per togliere lui e Cristiano da quella situazione.
Piegò le ginocchia, scoccando la sua freccia.
In metà del tempo che Bengiamino si era prefissato, il dardo
passò letteralmente a un soffio dalla guancia di Cesare,
conficcandosi sul tavolo dove erano stati adagiati i calici di vino in
attesa di essere riempiti.
Nel pandemonio causato dall’infrangersi di almeno un
centinaio di bicchieri, si voltò per recuperare Chiara.
«Via di qui!», gridò, mentre con lo
sguardo cercava Machiavelli.
La biondina venne letteralmente lanciata verso l’uscita, dove
tutta la carca stava correndo nella speranza della salvezza. Ci
pensò Paola a lei, tirandola via prima che qualcuno potesse
farla cadere. Andarono via insieme, mentre Cristiano recuperava un
bastone e stendeva un fante solo per portagli via la spada. Dal nulla
arrivò anche Maria, che prese a combattere con ferocia
contro due delle guardie papali.
Bengiamino, però, non era ancora salvo.
Stava per raggiungere Machiavelli quando Cesare lo afferrò
per la tunica nera, colpendolo con un pugno in pieno viso che lo fece
cadere al suolo.
Il ragazzo si volto appena in tempo per vedere la lama del Valentino
puntata tra i suoi occhi e, quando Borgia la alzò, chiuse
d’istinto gli occhi, mettendosi in pace con il Creatore.
Un suono metallico e la voce di Ezio furono la degna sostituzione alle
trombe dell’arcangelo Gabriele.
«Va’ via, presto!», gli
intimò il Mentore, tendendo sollevata la lama di Cesare e
incastrandola fra le sue lame celate.
Bengiamino non se lo fece ripetere due volte.
Raccolse arco e frecce, incoccando quello che sarebbe stato il suo
prossimo colpo, e si diede alla corsa sui tetti, incerto sulla via da
intraprendere. Di Roma, conosceva ancora poco e nulla.
Scese con un balzo da un vecchio muro quando vide Violante alle prese
con un paio di fanti. Uno di loro venne scaraventato contro
un’impalcatura, mentre il secondo fu Bengiamino stesso a
freddarlo, piantandogli nel cranio una delle sue frecce.
«Violante!», chiamò, avvicinandosi a
passò spedito e senza nascondere un certo allarmismo.
«Cristiano non era con te?»
Dallo sguardo che la ragazza gli rivolse, capì di aver
sbagliato ogni previsione.
«Cosa?», domandò senza fiato lei,
guardandosi attorno disorientata. «Io credevo che fosse con
te!», gli rispose, prima di guardare verso
l’ingresso della festa a qualche metro da loro.
Appoggiò una mano sulla spalla di Bengiamino. «Ho
visto Chiara scappare con Corella, mentre Paola cercava tua sorella.
Sono tornati al Covo ed è meglio se tu le raggiungi. Ci
penso io a Cristiano!»
Bengiamino la guardò, in silenzio, senza rispondere subito.
Se Chiara era al sicuro e Laura poteva contare sull’aiuto di
qualcuno, allora gli restava ben poco da fare, in quel luogo.
Senza la sua balestra, poi, poteva dirsi praticamente disarmato.
Poggiò quindi a sua volta la mano sulla spalla di Violante,
annuendo lentamente.
«Sta’ attenta», si raccomandò,
prima di scattare verso il ponte.
Sperava soltanto di aver preso la scelta giusta.
Se Bengiamino pareva avere dei
dubbi, Violante era del tutto certa che quella fosse la scelta migliore.
Afferrò saldamente una lancia con la mano sinistra e la
spada con la destra, tornando indietro e combattendo contro la marea di
persone che ancora stava uscendo dal palazzo.
Trovare Cristiano fu facile, visto che il ragazzo se ne stava in piedi
in mezzo al cortile a fissare con aria combattuta Ezio e Cesare
fronteggiarsi.
Violante lo afferrò per un braccio, strattonandolo.
«Ma dov’eri? Machiavelli ha detto che dobbiamo
scappare! Non possiamo rischiare che riconoscano i nostri
visi!»
Cristiano si voltò a guardarla.
«Che facciamo? Lo lasciamo da solo?»
A malincuore, la bolognese ammise qualcosa che le fece male.
«C’è Maria»,
soffiò. «E poi, star qui a fissarlo e basta non lo
aiuterà!»
Come risvegliato da un incantesimo, Cristiano si drizzò
sulle spalle, voltandosi finalmente a guardare Violante.
«Hai ragione», concordò, buttando a
terra una delle due spade che teneva tra le mani.
«Andiamocene da qui.»
Prese a correre verso l’uscita, facendo strada per la via che
ormai si poteva dire deserta. Eccezione fatta per le guardie che
parevano decise a tagliare loro ogni strada di fuga, non era rimasto
più nessuno.
«I tetti, forza!», urlò Violante,
abbattendo un paio di miliziani, i primi ad essere accorsi, mentre
Cristiano stava tagliando la gola ad un arciere. «Ti copro
io!» Ne atterrò due in un solo colpo,
lanciando poi la spada e colpendo in pieno uno dei capi delle guardie,
che cadde a terra con la lama conficcata al centro del petto.
La scalata fu dura e solo per miracolo nessuno li colpì con
una freccia o un sasso. Arrivati in cima, presero a correre verso la
sola direzione possibile: il Vaticano. Non aveva senso ma, superati i
torrioni di Castel Sant’Angelo, forse avrebbero trovato la
salvezza.
Cristiano arrestò la sua corsa quando furono arrivati
dinanzi alla Basilica di San Pietro. Ormai esausto e senza fiato per la
fuga, si appoggiò al monumento della Pigna, tirando un
grosso respiro per recuperare i battiti persi.
«Che facciamo?», chiese, piegandosi sulle
ginocchia.
Aveva ancora tra le mani la spada, unica arma che era rimasta loro nel
caso le guardie li avessero attaccati di nuovo.
«Da che parte è l’Isola?»,
aggiunse poi, guardandosi intorno con espressione smarrita.
Mai, nei mesi che avevano trascorso al Covo, si era mostrato
così sperduto.
Viola si fermò accanto a lui, chinandosi in avanti e
riprendendo il fiato, appoggiando le mani alle ginocchia. Si
guardò attorno, capendo che erano finiti in un brutto posto.
«Dobbiamo andarcene di qui», decretò,
asciugandosi il sudore con il polso prima di rialzarsi. «Da
sud, lungo il Trastevere. Se ci seguiranno, riusciremo a depistarli
facendoci una nuotata.»
Arrivò al Covo per
primo, seguito da Laura e da Paola che, insieme, erano riuscite a
superare le guardie confondendosi tra la folla in fuga.
Per tutto il tragitto aveva stretto a sé Chiara, rotta nel
pianto silenzioso di chi sa di aver fallito la propria missione. Da
quando si erano scontrati sul ponte e lei gli aveva detto di scappare,
non aveva più proferito parola.
Sospirando preoccupato, Alessandro la depose a terra
nell’ampio salone che si apriva dopo il corridoio
d’entrata. Si accertò che non avesse ferite gravi,
constatando che l’unica era nel suo animo affranto, e si
buttò sul tavolo alla ricerca di un bicchiere di vino.
«Qualcuno ha visto Machiavelli?», chiese dopo aver
buttato giù un paio di sorsi per calmare i nervi.
Paola si avvicinò. Aveva ancora i capelli rossicci raccolti
nella preziosa pettinatura del suo costume per la festa e il vestito
bianco della Dea Venere raccolto sopra le ginocchia e stretto in pugno.
«Non potrà fare ritorno qui fino a che le acque
non si saranno calmate», disse, guardandosi attorno con
nervosismo. «Potremmo non vederlo arrivare prima di
domattina».
«Senza contare che non è ancora tornato nemmeno
Bengiamino», aggiunse Laura, passandosi una mano tra i
capelli con fare nervoso. Pareva parecchio in pena per suo fratello,
anche se lui sapeva benissimo cavarsela da sé.
«Violante, Cristiano, Spallaci … nemmeno Maria ed
Ezio», contò Corella, prima di tirare una testata
al tavolo. «Mi volete dire che è
successo?», domandò poi disperato.
«Siamo nei guai?»
La porta si aprì cigolando, sbattendo subito dopo che
Bengiamino ebbe fatto la sua comparsa nella sala. Avvolto nel suo
mantello scuro, il milanese camminò svelto fino a Chiara,
senza degnare di uno sguardo i presenti, e la prese tra le braccia
stringendola al suo petto e accarezzandole i capelli con dolcezza.
Per risposta, la fiorentina prese a singhiozzare sommessamente,
aggrappandosi alla casacca del ragazzo per accoccolarsi contro il suo
petto.
«Io sto bene!», gracchiò
d’improvviso Laura, incrociando le braccia sul petto con
disappunto. «Vi ho appena visti scampare alla morte in
quell’inferno, ma davvero: sto bene. Grazie
dell’apprensione, Bengiamino. Grazie, grazie tante.»
Corella sospirò.
Se non altro, anche Bengiamino aveva fatto ritorno sano e salvo.
«Che diavolo è successo?»,
ritentò, stavolta alzando di poco il tono di voce.
Il milanese, per risposta, lasciò andare lentamente Chiara e
fece qualche passo verso di lui.
«Nulla di rilevante. Ho apertamente insultato Cesare Borgia e
sua sorella, che ora mi detesta», raccontò con
tono pacato e privo di interesse.
Corella lo fissò a bocca aperta, così come Laura,
mentre Paola mugolava sconfortata.
«Diavolo, pensa se invece era rilevante!»,
sdrammatizzò il forlivese, versando altro vino per
sé e per l’amico, che intanto aveva preso posto
davanti a lui. «Hai visto gli altri?»
«Violante era uscita, ma è tornata indietro per
Cristiano. Di Spallaci nemmeno l’ombra e Maria sicuramente
tornerà con Ezio», disse Bengiamino, buttando
giù il bicchiere, voltandosi poi verso le ragazze.
«Machiavelli invece credo se ne sia andato con un
ambasciatore o qualcosa del genere: non poteva permettersi di rivelarsi
immischiato con noi.»
Laura portò le mani ai fianchi.
«Forse dovremmo uscire a cercarli»,
commentò, senza prendere posto alla tavolata. «Il
Mentore saprà anche cavarsela da solo … ma gli
altri? Sono preoccupata.»
Fece per sospirare e raggiungere Corella attorno a
quell’unica caraffa di vino che qualcuno aveva lasciato sul
tavolo, ma la porta del Covo sbatté di nuovo e stavolta con
forza, lasciando che il silenzio della sala venisse rotto dai passi
zoppicanti di un paio di persone.
Maria sbucò dal buio del corridoio con una smorfia
affaticata a scurirle il viso, mentre con la spalla destra sorreggeva
Ezio nella camminata. Arrivò a malapena a farlo sedere su
una panca, che tutti gli furono addosso.
Aveva un bel taglio sul fianco che perdeva parecchio sangue e
imbrattava l’abito bianco latte, ma non sembrava profondo. Un
paio di punti e sarebbe tornato tutto intero.
Mentre tutti lo tempestavano di domande, lui si limitò ad
alzare una mano per zittirli. Li guardò uno ad uno, prima di
voltarsi allarmato verso Bengiamino.
«Dove sono Violante, Cristiano e Augusto?»
Il milanese scrollò le spalle.
«Non lo sappiamo», si limitò a dire.
«Ce lo stavamo chiedendo anche noi», aggiunse
Corella, passandosi una mano sul viso, mentre Laura correva a chiamare
il guaritore.
Le porte si riaprirono e a fare il suo ingresso, sudato e sporco di
polvere, fu Spallaci.
«Là fuori pare di trovarsi
all’Inferno!», disse, guardando il Mentore negli
occhi per poi lasciar scorrere lo sguardo sulla ferita che intanto
Maria stava tamponando. «Ho fatto il giro lungo, passando
dietro ai Fori e per il Palatino, seminando tre guardie. Non credevo
che sarei tornato, mi stavano alle costole.»
«Strano», ribatté Corella con voce
carica di sarcasmo. «E dire che sono stati così
carini, con noi. Non solo ci hanno lasciato passare, ma ci hanno
addirittura offerto da bere per scusarsi del trambusto!»
Bengiamino lo zittì con un’occhiata severa,
tirando su col naso mentre si inginocchiava accanto a Ezio.
«Mancano ancora Violante e Cristiano»,
esordì, poggiando la mano sulla panca.
Il Mentore tentò di alzarsi in piedi, puntando le mani sul
tavolo di legno.
«Bisogna andare a cercarli», impose, tremando dal
dolore.
«Ottima idea», commentò Maria,
voltandosi verso Corella e Bengiamino. «Andate a recuperarli,
io mi occupo di Ezio.»
«Cosa ne sai tu di cure?», le soffiò
contro lui, risedendosi sulla panca. Nonostante la fissasse con
ostilità, si lasciò aprire la blusa come il
più docile degli animali.
Maria storse il naso di fronte al taglio ancora aperto.
«Molto più di te, questo è
sicuro», borbottò, mentre con uno straccio cercava
di fermare la fuoriuscita del sangue. «E voi su,
andate!»
Corella non si era ancora allacciato il mantello, quando finalmente
Violante e Cristiano fecero ritorno.
Non erano soli, però. Dietro di loro, con espressione torva
e rancorosa, si ergeva in tutta la sua autorità
Niccolò Machiavelli. Sembrava un corvo, un uccello del
malaugurio pronto a colpirli tutti quanti.
Corella deglutì piano.
«Ben tornati …», sussurrò,
prima di scostarsi. Incrociò per errore lo sguardo furibondo
di Machiavelli, prima che l’uomo lo superasse senza degnarlo
di una risposta. Terrorizzato, si avvicinò a Bengiamino.
«Credevo che Paola avesse detto che non avrebbe fatto ritorno
prima di domani mattina», bisbigliò, pregando ogni
divinità affinché l’Assassino non
udisse quelle parole. Poi, senza osare respirare, si voltò
verso Violante e Cristiano. «State bene?»
Cristiano lo guardò con espressione spiritata, prima di far
cenno verso Machiavelli.
«Per ora sì, ma non so cosa ci
succederà.»
«Ha detto che prenderà provvedimenti seri, questa
volta», sussurrò Violante, sfilando i fiori che
qualche ora prima Chiara le aveva incastrato nella treccia.
«E credo che per noi non sarà
piacevole.»
«Quando mai lo è», ribatté
Alessandro, guardando con la coda dell’occhio Machiavelli
chino su Ezio. Quando il medico portò il Mentore nella sua
stanza per poterlo ricucire, il consigliere guardò un ad uno
tutti gli assassini.
«Andate nella camerata maschile. Vi raggiungerò
subito e vi chiarirò un paio di punti. Maria, tu aspetta
qui.»
Con riluttanza, Corella dovette far strada a tutti gli altri.
Per tutta la salita delle scale, sentì i piedi farsi
più pesanti a ogni passo.
Non poteva dirlo con certezza, ma sentiva gli occhi del consigliere
piantati sulla sua schiena e su quella dei suoi compagni.
«Credo farò i bagagli prima che Machiavelli arrivi
quassù», commentò, mentre un brivido
freddo gli percorreva la schiena.
Spallaci schioccò la lingua.
«Scappi a Forlì, Corella?»,
ridacchiò.
Lui scosse il capo.
Se mai ne avesse avuto il modo – e ne dubitava assai molto
– sarebbe scappato molto, molto più lontano.