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Autore: VandasGirls    19/04/2014    2 recensioni
«Ti ho tenuto nascoste molte cose, bambina mia», disse addolorata Lucia Marcelli, portandosi una mano al viso. «Ma ora è giusto che tu abbia una vita migliore. Questa è l’eredità di tuo padre.»
«Io sto bene qui.»
Violante guardò la chiave che sua madre le stava porgendo, senza far nulla per afferrarla. Tutto stava avvenendo troppo rapidamente, senza preavviso alcuno; si sentiva spaventata, stranita. Non voleva saperne nulla.
«Non andrò con Messer d’Alviano da nessuna parte.»

Cinque Assassini figli di Caino, cinque destini mescolati tra loro per raggiungere lo stesso obiettivo.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Volpe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il destino di Qayin

Capitolo decimo




Portando le mani infreddolite sotto le pieghe dell’ampio mantello, Laura diede un singhiozzo rassegnato. 
Avrebbe dato davvero qualunque cosa, in quel momento, per essere alla festa assieme a suo fratello. Invece le toccava stare a sorvegliare i tetti al freddo, nel buio della sera senza neanche la decenza di una candela e con la sola compagnia di Corella che, da sobrio, parlava ancora meno di Bengiamino.
Affranta, si sedette sul cornicione di un palazzo, lasciando le gambe a penzolare nel vuoto, e prese a sistemare la treccia in cui aveva raccolto i capelli prima di lasciare il Covo.
Da quella posizione, poteva perfettamente tenere d’occhio la festa. La festa e Bengiamino che, vestito com’era, spiccava nel suo mantello nero in mezzo a una danza di tuniche bianche.
«Sembra un corvo.»
 La voce lievemente roca di Corella la colse di sorpresa.
«Le somiglianze con Machiavelli aumentano sempre di più; fossi in te, mi preoccuperei.»
Le sorrise, riportando poi gli occhi color cenere sull’entrata e sul continuo via vai di persone, come se queste non smettessero mai di arrivare o andar via.
Pareva invidiare un po’ tutti anche lui ma, al contrario di Laura, il suo allontanamento dalla festa era più che giustificato.
Sebbene fosse il braccio destro di Cesare Borgia, suo fratello Michelotto non lo avrebbe mai denunciato apertamente ai Templari; ciò nonostante, non si poteva rischiare che uno di loro notasse qualcosa.
Anche se l’idea di Cristiano di far indossare a Corella una maschera appariscente sembrava meno brutta di quando era stata proposta.
«Ho paura che Bengiamino si cacci nei guai», sospirò Laura, piegando una gamba contro il petto e stringendo con le braccia il suo stesso ginocchio. «Non è mai stato in grado di reggere le feste.»
Ridacchiò lievemente, ricordando quanti balli aveva mandato a monte, da ragazzino, per quel suo intimidire gli ospiti con il silenzio. Aveva sempre fatto così: non una parola in tutta la sera; si limitava a fissare le persone intorno a lui e a seguirle con lo sguardo.
Se non altro, a Roma pareva determinato a brillare e la cosa, forse, lo avrebbe smosso dal suo mortorio.
«E tu?», disse all’improvviso, poggiando il mento sul ginocchio mentre con lo sguardo seguiva Bengiamino nel cortile. «Non hai paura che tuo fratello possa farsi del male?»
Corella sbuffò una risatina, scuotendo il capo lentamente.
«Ho più possibilità di farmi male io qui, su questo tetto, avvolto dal torpore delle stelle che Michelotto al centro di un’enorme battaglia.»
Che il maggiore dei Corella fosse quasi invulnerabile a tutto, era una sorta di dato di fatto.
Alessandro aveva ammesso più volte che non ricordava una sola volta in cui il fratello si fosse ferito in qualsivoglia modo. A detta sua, Michelotto possedeva la logica fredda di un assassino e l’abilità con la spada di un maestro d’arme. Era una delle menti più brillanti alla corte dei  Borgia e non faceva mai domande. Eseguiva e basta. Per questo, Cesare se lo teneva stretto.
«L’ho sempre invidiato. Il suo modo di farsi notare non facendosi mai notare è pura arte.»
«Tu ti fai notare in altri modi», lo schernì Laura. «Ma sei sempre capace di spiccare sopra gli altri. Magari è un’abilità di famiglia!»
Rise sottovoce, coprendosi la bocca con la manica della tunica. Con un gesto limpido del braccio, invitò Corella a sedersi accanto a lei sul cornicione.
Lui eseguì, staccandosi dal comignolo a cui si era appoggiato. Si buttò a sedere, tendendo le gambe nel vuoto, prima di lanciarle un lungo sguardo divertito.
«Vero, ma per i motivi sbagliati, temo! Michelotto ha gli onori, io le risate dei miei compagni. Non che esse valgano meno per me, ma una medaglia dei Borgia è più bella da sfoggiare di un insulto di Machiavelli!»
Laura scosse velocemente il capo, allontanando con vigore quel lieve rossore che le aveva illuminato le goti quando aveva ricevuto lo sguardo di Alessandro.
Incrociò le gambe dinanzi a sé, mettendosi più comoda sulle tegole ancora umide della precedente pioggia.
«Gli insulti di Machiavelli sono sempre ben studiati, però!», obiettò, senza più cercare di contenere la sua risata. «Quantomeno, puoi vantare un premio in originalità!»
«Poco ma sicuro, Signorina Lorenzetti», sottolineò Corella, alzando una gamba e appoggiando un piede sul tetto. Portò indietro il corpo, stendendosi e incrociando le braccia dietro al capo.
Il suo fiato si condensava diventando fumo davanti al suo viso.
«Ci vorrebbe un bel bicchiere di vino …»
Laura starnutì.
«Ci vorrebbe una coperta, piuttosto», commentò, tremando lievemente sotto il freddissimo venticello che si era alzato sui colli.
Sebbene fosse avvolta nel mantello di lana che aveva avuto l’accortezza di portarsi dal Covo, non riusciva a smettere di provare una sensazione di gelo sotto la pelle ad ogni soffio che saliva dalla strada.
Alzò le spalle, chiudendosi su se stessa per soffiare un po’ di fiato caldo sulle mani scoperte.
Non aveva pensato ai guanti.
Corella si accorse del lieve tremolio che percorreva le spalle della ragazza, così si mise di nuovo seduto, sfilandosi la cappa e avvolgendovi la giovane.
«Non preoccuparti per me», le disse, prima che lei potesse parlare. «Non ho freddo, anzi. Credo che, con tutto il vino che ho bevuto in ventitré anni di vita, starò bene per sempre!»
Ridacchiò appena, guardandola negli occhi.
Non si era reso conto di quanto fossero vicini.   
In un istante, Laura sentì le guance andarle in fiamme. Provò a deglutire un paio di volte, passandosi la lingua sulle labbra per inumidirle.
Non pensò neanche per un momento alla risposta da dare al ragazzo, poiché la voglia di prendergli il viso tra le mani e annullare ogni distanza tra loro fu così forte da non lasciare spazio ad altre considerazioni.
Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, quando gli affondò le dita tra i capelli mori per assaggiare quelle labbra sottili che senza sorpresa sapevano di vino.
Quella era la prima volta che si trovava così vicina a qualcuno.
Si baciarono per istanti infiniti, mentre le mani di Corella le accarezzavano il braccio e lei continuava a stringere i suoi capelli fra le dita.
Non si sarebbero staccati facilmente, se non fosse stato per il silenzio. Troppo, per una festa del genere.
Alessandro si staccò di colpo con un piccolo schiocco, affacciandosi al palazzo e notando qualcosa che lo confuse  prima di farlo sbiancare.
«Bengiamino sta puntando l’arco contro Borgia?!»
«Cosa?»
Laura si alzò di scatto, saltando con uno slancio ben ponderato sul tetto del palazzo di fronte.
Sarebbe stata imbarazzata, in un’altra occasione. Se ne avesse avuto il tempo, si sarebbe persino data della stupida per aver agito come la più gracchiante delle oche.
Ma non era quello il momento, non con Bengiamino che si stava praticamente facendo ammazzare.
Senza aspettare che Corella le fosse alle spalle, si appollaiò su un comignolo e incoccò la prima freccia nell’arco.
Con un colpo solo, perforò il cranio del balestriere che puntava la sua arma al petto di Bengiamino.
Alessandro le fu accanto in due balzi.
«Io scendo in strada, apro la via e aspetto che escano gli altri. Sicuramente Machiavelli urlerà il tana libera tutti, ora.» Le appoggiò una mano sulla spalla, serio come poche altre volte. «Tu liberati di alcuni di loro e occhio agli arcieri sui tetti. Raggiungimi appena vedi Bengiamino correre fuori.»
Senza attendere risposta, scese aggrappandosi ad una grondaia.
Non andava bene. Non andava bene per nulla.













Cesare doveva essere parecchio infuriato, visto che mancò Cristiano per ben due volte prima di graffiarlo con la punta della spada.
Subito, il biondo portò una mano sulla pancia, saggiando con i polpastrelli il taglio, pronto a schivare un altro fendente.
Non ce ne fu bisogno.
Bengiamino aveva recuperato dalla faretra che componeva il costume di Artemide di Chiara un arco e una freccia, che ora puntava contro il rampollo dei Borgia.
«Una passo e di voi non rimarrà che una testa infilzata e amari ricordi», disse, prendendo bene la mira.
Lucrezia Borgia si fece avanti.
«Sai cosa stai facendo, straccione? Vi daremo la caccia per tutta la vita solo per l’insulto subito! Scocca quella freccia e non uscirai vivo da questo giardino!»
Bengiamino non perse la calma.
Senza distogliere la freccia dal suo bersaglio, si guardò attorno. I fanti armati di spada si erano fatti più vicini, ma di certo non avrebbero attaccato finché il loro padrone sarebbe stato a uno scocco dalla morte.
Ciò che lo preoccupavano erano i balestrieri. Durante la festa ne aveva contati sette in tutto, ma di certo qualcuno doveva essergli sfuggito.
Socchiudendo le palpebre, si diede il tempo di tre respiri prima di veder arrivare le frecce nemiche.
Tre respiri per togliere lui e Cristiano da quella situazione.
Piegò le ginocchia, scoccando la sua freccia.
In metà del tempo che Bengiamino si era prefissato, il dardo passò letteralmente a un soffio dalla guancia di Cesare, conficcandosi sul tavolo dove erano stati adagiati i calici di vino in attesa di essere riempiti.
Nel pandemonio causato dall’infrangersi di almeno un centinaio di bicchieri, si voltò per recuperare Chiara.
«Via di qui!», gridò, mentre con lo sguardo cercava Machiavelli.
La biondina venne letteralmente lanciata verso l’uscita, dove tutta la carca stava correndo nella speranza della salvezza. Ci pensò Paola a lei, tirandola via prima che qualcuno potesse farla cadere. Andarono via insieme, mentre Cristiano recuperava un bastone e stendeva un fante solo per portagli via la spada. Dal nulla arrivò anche Maria, che prese a combattere con ferocia contro due delle guardie papali.
Bengiamino, però, non era ancora salvo.
Stava per raggiungere Machiavelli quando Cesare lo afferrò per la tunica nera, colpendolo con un pugno in pieno viso che lo fece cadere al suolo.
Il ragazzo si volto appena in tempo per vedere la lama del Valentino puntata tra i suoi occhi e, quando Borgia la alzò, chiuse d’istinto gli occhi, mettendosi in pace con il Creatore.
Un suono metallico e la voce di Ezio furono la degna sostituzione alle trombe dell’arcangelo Gabriele.
«Va’ via, presto!»,  gli intimò il Mentore, tendendo sollevata la lama di Cesare e incastrandola fra le sue lame celate.
Bengiamino non se lo fece ripetere due volte.
Raccolse arco e frecce, incoccando quello che sarebbe stato il suo prossimo colpo, e si diede alla corsa sui tetti, incerto sulla via da intraprendere. Di Roma, conosceva ancora poco e nulla.
Scese con un balzo da un vecchio muro quando vide Violante alle prese con un paio di fanti. Uno di loro venne scaraventato contro un’impalcatura, mentre il secondo fu Bengiamino stesso a freddarlo, piantandogli nel cranio una delle sue frecce.
«Violante!», chiamò, avvicinandosi a passò spedito e senza nascondere un certo allarmismo. «Cristiano non era con te?»
Dallo sguardo che la ragazza gli rivolse, capì di aver sbagliato ogni previsione.
«Cosa?», domandò senza fiato lei, guardandosi attorno disorientata. «Io credevo che fosse con te!», gli rispose, prima di guardare verso l’ingresso della festa a qualche metro da loro. Appoggiò una mano sulla spalla di Bengiamino. «Ho visto Chiara scappare con Corella, mentre Paola cercava tua sorella. Sono tornati al Covo ed è meglio se tu le raggiungi. Ci penso io a Cristiano!»
Bengiamino la guardò, in silenzio, senza rispondere subito.
Se Chiara era al sicuro e Laura poteva contare sull’aiuto di qualcuno, allora gli restava ben poco da fare, in quel luogo.
Senza la sua balestra, poi, poteva dirsi praticamente disarmato.
Poggiò quindi a sua volta la mano sulla spalla di Violante, annuendo lentamente.
«Sta’ attenta», si raccomandò, prima di scattare verso il ponte.
Sperava soltanto di aver preso la scelta giusta.











Se Bengiamino pareva avere dei dubbi, Violante era del tutto certa che quella fosse la scelta migliore.
Afferrò saldamente una lancia con la mano sinistra e la spada con la destra, tornando indietro e combattendo contro la marea di persone che ancora stava uscendo dal palazzo.
Trovare Cristiano fu facile, visto che il ragazzo se ne stava in piedi in mezzo al cortile a fissare con aria combattuta Ezio e Cesare fronteggiarsi.
Violante lo afferrò per un braccio, strattonandolo.
«Ma dov’eri? Machiavelli ha detto che dobbiamo scappare! Non possiamo rischiare che riconoscano i nostri visi!»
Cristiano si voltò a guardarla.
 «Che facciamo? Lo lasciamo da solo?»
A malincuore, la bolognese ammise qualcosa che le fece male.
«C’è Maria», soffiò. «E poi, star qui a fissarlo e basta non lo aiuterà!»
Come risvegliato da un incantesimo, Cristiano si drizzò sulle spalle, voltandosi finalmente a guardare Violante.
«Hai ragione», concordò, buttando a terra una delle due spade che teneva tra le mani. «Andiamocene da qui.»
Prese a correre verso l’uscita, facendo strada per la via che ormai si poteva dire deserta. Eccezione fatta per le guardie che parevano decise a tagliare loro ogni strada di fuga, non era rimasto più nessuno.
«I tetti, forza!», urlò Violante, abbattendo un paio di miliziani, i primi ad essere accorsi, mentre Cristiano stava tagliando la gola ad un arciere. «Ti copro io!»  Ne atterrò due in un solo colpo, lanciando poi la spada e colpendo in pieno uno dei capi delle guardie, che cadde a terra con la lama conficcata al centro del petto.
La scalata fu dura e solo per miracolo nessuno li colpì con una freccia o un sasso. Arrivati in cima, presero a correre verso la sola direzione possibile: il Vaticano. Non aveva senso ma, superati i torrioni di Castel Sant’Angelo, forse avrebbero trovato la salvezza.
Cristiano arrestò la sua corsa quando furono arrivati dinanzi alla Basilica di San Pietro. Ormai esausto e senza fiato per la fuga, si appoggiò al monumento della Pigna, tirando un grosso respiro per recuperare i battiti persi.
«Che facciamo?», chiese, piegandosi sulle ginocchia.
Aveva ancora tra le mani la spada, unica arma che era rimasta loro nel caso le guardie li avessero attaccati di nuovo.
«Da che parte è l’Isola?», aggiunse poi, guardandosi intorno con espressione smarrita.
Mai, nei mesi che avevano trascorso al Covo, si era mostrato così sperduto.
Viola si fermò accanto a lui, chinandosi in avanti e riprendendo il fiato, appoggiando le mani alle ginocchia. Si guardò attorno, capendo che erano finiti in un brutto posto.
«Dobbiamo andarcene di qui», decretò, asciugandosi il sudore con il polso prima di rialzarsi. «Da sud, lungo il Trastevere. Se ci seguiranno, riusciremo a depistarli facendoci una nuotata.»












Arrivò al Covo per primo, seguito da Laura e da Paola che, insieme, erano riuscite a superare le guardie confondendosi tra la folla in fuga.
Per tutto il tragitto aveva stretto a sé Chiara, rotta nel pianto silenzioso di chi sa di aver fallito la propria missione. Da quando si erano scontrati sul ponte e lei gli aveva detto di scappare, non aveva più proferito parola.
Sospirando preoccupato, Alessandro la depose a terra nell’ampio salone che si apriva dopo il corridoio d’entrata. Si accertò che non avesse ferite gravi, constatando che l’unica era nel suo animo affranto, e si buttò sul tavolo alla ricerca di un bicchiere di vino.
«Qualcuno ha visto Machiavelli?», chiese dopo aver buttato giù un paio di sorsi per calmare i nervi.
Paola si avvicinò. Aveva ancora i capelli rossicci raccolti nella preziosa pettinatura del suo costume per la festa e il vestito bianco della Dea Venere raccolto sopra le ginocchia e stretto in pugno.
«Non potrà fare ritorno qui fino a che le acque non si saranno calmate», disse, guardandosi attorno con nervosismo. «Potremmo non vederlo arrivare prima di domattina».
«Senza contare che non è ancora tornato nemmeno Bengiamino», aggiunse Laura, passandosi una mano tra i capelli con fare nervoso. Pareva parecchio in pena per suo fratello, anche se lui sapeva benissimo cavarsela da sé.
«Violante, Cristiano, Spallaci … nemmeno Maria ed Ezio», contò Corella, prima di tirare una testata al tavolo. «Mi volete dire che è successo?», domandò poi disperato. «Siamo nei guai?»
La porta si aprì cigolando, sbattendo subito dopo che Bengiamino ebbe fatto la sua comparsa nella sala. Avvolto nel suo mantello scuro, il milanese camminò svelto fino a Chiara, senza degnare di uno sguardo i presenti, e la prese tra le braccia stringendola al suo petto e accarezzandole i capelli con dolcezza.
Per risposta, la fiorentina prese a singhiozzare sommessamente, aggrappandosi alla casacca del ragazzo per accoccolarsi contro il suo petto.
«Io sto bene!», gracchiò d’improvviso Laura, incrociando le braccia sul petto con disappunto. «Vi ho appena visti scampare alla morte in quell’inferno, ma davvero: sto bene. Grazie dell’apprensione, Bengiamino. Grazie, grazie tante.»
Corella sospirò.
Se non altro, anche Bengiamino aveva fatto ritorno sano e salvo.
«Che diavolo è successo?», ritentò, stavolta alzando di poco il tono di voce.
Il milanese, per risposta, lasciò andare lentamente Chiara e fece qualche passo verso di lui.
«Nulla di rilevante. Ho apertamente insultato Cesare Borgia e sua sorella, che ora mi detesta», raccontò con tono pacato e privo di interesse.
Corella lo fissò a bocca aperta, così come Laura, mentre Paola mugolava sconfortata.
«Diavolo, pensa se invece era rilevante!», sdrammatizzò il forlivese, versando altro vino per sé e per l’amico, che intanto aveva preso posto davanti a lui. «Hai visto gli altri?»
«Violante era uscita, ma è tornata indietro per Cristiano. Di Spallaci nemmeno l’ombra e Maria sicuramente tornerà con Ezio», disse Bengiamino, buttando giù il bicchiere, voltandosi poi verso le ragazze. «Machiavelli invece credo se ne sia andato con un ambasciatore o qualcosa del genere: non poteva permettersi di rivelarsi immischiato con noi.»
Laura portò le mani ai fianchi.
«Forse dovremmo uscire a cercarli», commentò, senza prendere posto alla tavolata. «Il Mentore saprà anche cavarsela da solo … ma gli altri? Sono preoccupata.»
Fece per sospirare e raggiungere Corella attorno a quell’unica caraffa di vino che qualcuno aveva lasciato sul tavolo, ma la porta del Covo sbatté di nuovo e stavolta con forza, lasciando che il silenzio della sala venisse rotto dai passi zoppicanti di un paio di persone.
Maria sbucò dal buio del corridoio con una smorfia affaticata a scurirle il viso, mentre con la spalla destra sorreggeva Ezio nella camminata. Arrivò a malapena a farlo sedere su una panca, che tutti gli furono addosso.
Aveva un bel taglio sul fianco che perdeva parecchio sangue e imbrattava l’abito bianco latte, ma non sembrava profondo. Un paio di punti e sarebbe tornato tutto intero.
Mentre tutti lo tempestavano di domande, lui si limitò ad alzare una mano per zittirli. Li guardò uno ad uno, prima di voltarsi allarmato verso Bengiamino.
«Dove sono Violante, Cristiano e Augusto?»
Il milanese scrollò le spalle.
«Non lo sappiamo», si limitò a dire.
«Ce lo stavamo chiedendo anche noi», aggiunse Corella, passandosi una mano sul viso, mentre Laura correva a chiamare il guaritore.
Le porte si riaprirono e a fare il suo ingresso, sudato e sporco di polvere, fu Spallaci.
«Là fuori pare di trovarsi all’Inferno!», disse, guardando il Mentore negli occhi per poi lasciar scorrere lo sguardo sulla ferita che intanto Maria stava tamponando. «Ho fatto il giro lungo, passando dietro ai Fori e per il Palatino, seminando tre guardie. Non credevo che sarei tornato, mi stavano alle costole.»
«Strano», ribatté Corella con voce carica di sarcasmo. «E dire che sono stati così carini, con noi. Non solo ci hanno lasciato passare, ma ci hanno addirittura offerto da bere per scusarsi del trambusto!»
Bengiamino lo zittì con un’occhiata severa, tirando su col naso mentre si inginocchiava accanto a Ezio.
«Mancano ancora Violante e Cristiano», esordì, poggiando la mano sulla panca.
Il Mentore tentò di alzarsi in piedi, puntando le mani sul tavolo di legno.
«Bisogna andare a cercarli», impose, tremando dal dolore.
«Ottima idea», commentò Maria, voltandosi verso Corella e Bengiamino. «Andate a recuperarli, io mi occupo di Ezio.»
«Cosa ne sai tu di cure?», le soffiò contro lui, risedendosi sulla panca. Nonostante la fissasse con ostilità, si lasciò aprire la blusa come il più docile degli animali.
Maria storse il naso di fronte al taglio ancora aperto.
«Molto più di te, questo è sicuro», borbottò, mentre con uno straccio cercava di fermare la fuoriuscita del sangue. «E voi su, andate!»
Corella non si era ancora allacciato il mantello, quando finalmente Violante e Cristiano fecero ritorno.
Non erano soli, però. Dietro di loro, con espressione torva e rancorosa, si ergeva in tutta la sua autorità Niccolò Machiavelli. Sembrava un corvo, un uccello del malaugurio pronto a colpirli tutti quanti.
Corella deglutì piano.
«Ben tornati …», sussurrò, prima di scostarsi. Incrociò per errore lo sguardo furibondo di Machiavelli, prima che l’uomo lo superasse senza degnarlo di una risposta. Terrorizzato, si avvicinò a Bengiamino. «Credevo che Paola avesse detto che non avrebbe fatto ritorno prima di domani mattina», bisbigliò, pregando ogni divinità affinché l’Assassino non udisse quelle parole. Poi, senza osare respirare, si voltò verso Violante e Cristiano. «State bene?»
Cristiano lo guardò con espressione spiritata, prima di far cenno verso Machiavelli.
«Per ora sì, ma non so cosa ci succederà.»
«Ha detto che prenderà provvedimenti seri, questa volta», sussurrò Violante, sfilando i fiori che qualche ora prima Chiara le aveva incastrato nella treccia. «E credo che per noi non sarà piacevole.»
«Quando mai lo è», ribatté Alessandro, guardando con la coda dell’occhio Machiavelli chino su Ezio. Quando il medico portò il Mentore nella sua stanza per poterlo ricucire, il consigliere guardò un ad uno tutti gli assassini.
«Andate nella camerata maschile. Vi raggiungerò subito e vi chiarirò un paio di punti. Maria, tu aspetta qui.»
Con riluttanza, Corella dovette far strada a tutti gli altri.
Per tutta la salita delle scale, sentì i piedi farsi più pesanti a ogni passo.
Non poteva dirlo con certezza, ma sentiva gli occhi del consigliere piantati sulla sua schiena e su quella dei suoi compagni.
«Credo farò i bagagli prima che Machiavelli arrivi quassù», commentò, mentre un brivido freddo gli percorreva la schiena.
Spallaci schioccò la lingua.
«Scappi a Forlì, Corella?», ridacchiò.
Lui scosse il capo.
Se mai ne avesse avuto il modo – e ne dubitava assai molto – sarebbe scappato molto, molto più lontano.




   
 
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