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Autore: Laylath    20/04/2014    5 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 55. Capire il punto di vista.

 

Il treno non procedeva a velocità molto sostenuta e così, dal finestrino, si vedevano le campagne passare con quella che si poteva definire placidità. Ogni tanto compariva qualche gregge di pecore o qualche pascolo di mucche ed era possibile osservare gli animali con attenzione prima che sparissero dalla visuale.
Persino gli odori della campagna estiva sembravano avere il tempo di penetrare nelle narici, regalando tutta la loro energia e ondata di ricordi.
Kain si godeva quell’andatura da crociera, assaporando il ritorno alla sua amata realtà bucolica libera dai ritmi forsennati della grande città.
“Riconosco quelle montagne! – esclamò all’improvviso, sporgendosi ancora di più dal finestrino – Sono quelle che stanno ad ovest del paese: siamo quasi a casa!”
Andrew sorrise e si alzò per andare accanto al figlio.
“Sì, hai proprio ragione – commentò, mettendogli una mano sulla spalla ed indicandogli alcuni dettagli – se fai attenzione, come facciamo la curva, potrai vedere il fiume. Direi che tra massimo dieci minuti saremo in stazione. Allora, ragazzo mio, sei pronto a tornare a casa?”
“Prontissimo – annuì lui con decisione – e voglio scendere i gradini del vagone da solo, senza stampella.”
“Sei sicuro di volerlo fare, pulcino? – chiese Ellie, mentre il bambino si risedeva accanto a lei e la aiutava a sistemare il cestino con i resti del loro pranzo – scendere dei gradini senza l’aiuto della stampella comporta caricare molto la tua gamba.”
“Tranquilla, mamma – sorrise il piccolo, prendendole la mano – hai sentito che ha detto il dottore: posso iniziare a fare esercizi di questo tipo, senza esagerare. Quando siamo saliti ho contato che il vagone ha solo tre gradini: non sarà uno sforzo eccessivo. E poi vorrei che gli altri mi vedessero scendere dal treno senza aiuti: Roy al telefono mi ha detto che verranno a prenderci.”
“E’ un bel modo per celebrare il tuo ritorno a casa – annuì Andrew, lanciando un’occhiata ad Ellie per tranquillizzarla – sono sicuro che i tuoi amici ne saranno davvero contenti. Forza, adesso prendiamo le valigie: il treno sta ulteriormente rallentando e vuol dire che siamo quasi alla stazione.”
Kain si alzò in piedi e affidò la piccola stampella alla madre.
Ormai si era abituato ad usare quello strano strumento, così come si era abituato al tutore. Dopo che gli avevano levato i punti era iniziata la riabilitazione e sembrava che tutto procedesse per il meglio: la gamba aveva perso buona parte della rigidità e rispondeva bene agli stimoli. I medici per due settimane gli avevano fatto fare decine e decine di sedute, constatando con piacere che l’esito dell’operazione era stato più che positivo: il tessuto cicatriziale stava finalmente crescendo nel modo corretto.
Certo era ancora presto per parlare di corse: per ora poteva camminare con l’aiuto di una stampella. Sulle prime quella soluzione gli era parsa veramente deprimente, lo faceva sentire un povero storpio. Ma poi aveva notato i sensibili miglioramenti e si era convinto che era solo un aiuto momentaneo, come il tutore, e che, ben presto, non avrebbe più avuto bisogno di niente.
E di niente aveva bisogno in quel momento, mentre i suoi genitori lo precedevano nel scendere dal vagone.
Guardò con determinazione la piattaforma di metallo dove stava l’uscita e fece i fatidici passi che l’avrebbero portato alla luce del sole.
“Ciao, gnomo!” fu la voce di Roy ad accoglierlo, proprio come si era aspettato.
Sollevò lo sguardo e vide che il ragazzo stava proprio davanti a lui, nella banchina, con le braccia tese pronto a prenderlo. Dietro c’erano Riza, Heymans e Jean.
“Ciao, ragazzi! – sorrise con gioia – Oh no, Roy, aspetta. Voglio scendere da solo, per favore.”
“Va bene – annuì il moro, con un sorriso soddisfatto, facendo un passo indietro – avanti, dimostrami che stare un mese ad East City ne è valsa la pena.”
Kain non se lo fece ripetere due volte e mise la gamba destra sul primo gradino, posando con cautela tutto il peso del corpo su di essa. Sentì un lieve formicolio che ormai aveva imparato a riconoscere come niente di allarmante e poi procedette a scendere i restanti gradini.
Sentiva che tutti tenevano il fiato sospeso e la cosa lo fece emozionare, ma non ebbe esitazioni fino a quando non toccò con entrambi i piedi la banchina.
“Visto?” esclamò vittorioso.
Roy scoppiò a ridere e senza preavviso lo sollevò tra le braccia, come se fosse un trofeo. A quel segnale anche gli altri ragazzi si accostarono a lui e lo salutarono con entusiastiche parole, pacche sulle spalle e arruffate di capelli.
“Non c’è che dire – commentò Andrew, guardando il figlio che rideva e piangeva di fronte  a quelle dimostrazioni d’amicizia – un vero e proprio comitato d’accoglienza. Bentornata a casa, famiglia Fury.”
A quelle parole, Riza si scostò dal gruppetto e corse verso i due adulti, abbracciando Ellie con ardore.
“Sono così felice che siate finalmente tornati! – dichiarò – Questo mese sembrava non finire mai.”
“Lo so, tesoro – sorrise Ellie, prendendole il viso tra le mani – Ma adesso ci potremo vedere ogni giorno.”
“Allora, truppa – disse Andrew – vogliamo stare qui o possiamo tornare in paese?”
 
“Andrew mi ha detto che sta bene e che la riabilitazione procede spedita – spiegò Vincent, il giorno dopo mentre pranzava con moglie e figlio – a fine mese dovranno tornare ad East City per un controllo, ma sarà una questione di due giorni.”
“Sono splendide notizie – sorrise Rosie – domani andrò a trovare Ellie: ho sentito la sua mancanza in queste settimane. Porterò una torta al cioccolato: penso che Kain ne sarà felice, se non ricordo male lui lo adora.”
Vato annuì impercettibilmente allo sguardo della madre che gli chiedeva conferma e poi mandò giù un’altra cucchiaiata di brodo, sebbene con qualche difficoltà. Erano passati quasi cinque giorni dalla rissa con Roy e per quanto si fosse ripreso non era in grado di lasciare il letto che per poche occasioni, come i pasti.
L’occhio era ancora chiuso e una forte emicrania lo tormentava per la maggior parte della giornata, così come gli attacchi di nausea. Il medico aveva detto che i lividi non erano niente di preoccupante e il mal di testa sarebbe sparito col passare del tempo. Il malessere era dovuto al fatto che stava somatizzando pesantemente tutta la situazione che si era creata con Roy. Non era stupido e sapeva che si era spinto troppo oltre: il fatto che il moro non si fosse presentato per tutti questi giorni voleva dire che aveva troncato ogni rapporto con lui.
Me la sono cercata, del resto.
Era un pensiero che lo tormentava diverse volte al giorno e ogni volta gli mozzava il respiro.
Non pensava che l’amicizia potesse scottarlo così tanto.
“Io torno a letto – mormorò, alzandosi con cautela e posandosi al tavolo e sentendosi molto debole – non mi sento bene, scusate.”
“Fermo, ti do una mano – si alzò prontamente Vincent, notando il pallore nel suo viso – forza, appoggiati a me, figliolo. Nausea?”
“No, solo mal di testa. Scusa, papà, non dovevi alzarti.”
“Finiscila – il capitano lo fece sdraiare con cautela a letto, coprendolo con il lenzuolo – l’importante è che tu ti riprenda. Magari per l’ora di merenda riuscirai a mangiare qualcosa di più, va bene?”
“Mh.” annuì lui, girandosi di lato e chiudendo gli occhi.
Aveva scoperto che dormire gli riusciva facile e lo aiutava a dimenticare. Nei suoi sogni, miracolosamente, esistevano solo le care e vecchie nozioni imparate sui libri: la sua memoria lo cullava e proteggeva dal mondo esterno come ai vecchi tempi. Con un sospiro tremante si addormentò, solo in parte consapevole della mano paterna che gli accarezzava i capelli, come quando era piccolo.
“Dorme?” mormorò Rosie, entrando.
“Sì, è crollato subito – ammise Vincent, alzandosi dal letto – ma almeno non ha avuto la nausea. Meglio rispetto a ieri che non ha tenuto niente sullo stomaco.”
“Che possiamo fare? – chiese la donna mentre uscivano dalla stanza e chiudevano delicatamente la porta – Non l’ho mai visto così distrutto e sappiamo che c’è altro oltre le ferite.”
“E’ un bel problema, amore mio, ma purtroppo non possiamo fare molto – Vincent si risedette al tavolo, ma non riprese a mangiare – Vato e Roy si devono chiarire, questo è poco ma sicuro. Tuttavia Roy non ha alcuna intenzione di fare un passo avanti e nostro figlio non è nelle condizioni fisiche per farlo e dubito che Roy lo ascolterebbe. Hanno davvero ecceduto con questa storia.”
“Sai – ammise Rosie – in questi ultimi giorni mi sono chiesta se in parte non sia stata anche colpa nostra. Quando era piccolo e ha iniziato ad estraniarsi nel mondo dei libri forse dovevamo essere più decisi nel spingerlo a socializzare con gli altri bambini.”
“Lo dici proprio tu, piccolo fiore? –  sorrise Vincent, allungando una mano per sfiorarle la guancia – Proprio tu che l’hai sempre protetto nella sua diversità?”
“Perché in fondo lo vedevo felice così, con i suoi libri, la sua memoria: mi sarebbe sembrato di violentarlo se l’avessi costretto a frequentare gli altri bambini quando lui non ne sentiva il bisogno. Poi è arrivata Elisa e, vedendo che faceva amicizia di sua spontanea volontà, mi sono convinta che avevo fatto la scelta giusta, ma oggi non sono più così sicura. A diciassette anni sta vivendo dei turbamenti così forti… si intuisce tutta la carenza relazionale che ha accumulato. Siamo dei cattivi genitori?”
“Finiscila, Rosie. Tu sei stata e sei una madre splendida, sin da quando lo portavi in grembo. Gli hai dato tutta te stessa e non puoi che essere fiera del ragazzo che abbiamo cresciuto. E’ intelligente, sensibile, educato e ti ama profondamente.”
“Vederlo in quello stato mi distrugge – disse lei con un sospiro tremante – non è come la crisi che ha avuto con te dopo quella storia della caccia al fantasma. Qui non… non ha reazione. Anche con Elisa parla pochissimo e dorme… è letargico, da spavento. Il mio fiocco di neve!”
“Ehi, Rosie – il capitano si alzò e la prese tra le braccia – che sono queste lacrime adesso? Andrà tutto bene, tranquilla. E’ solo una fase che passerà: troveranno il compromesso, come sempre, bisogna solo dare loro tempo, fidati. Conosco abbastanza bene Roy e sono sicuro che prima o poi la situazione si sbloccherà.”
“Dare tempo – Rosie ripeté quelle parole con ansia – e quanto? Vincent, come posso restare a guardare il mio unico bambino che si tormenta così?”
“Anche per me è dura, tesoro – la baciò in fronte lui – ma se forziamo le cose potrebbe essere peggio. Tranquilla adesso, vedrai che a merenda riuscirà a mangiare anche altro e piano piano starà meglio.”
“Hai visto Roy in questi giorni?” chiese lei dopo qualche secondo di pausa, ovviamente preoccupata per l’assenza in casa di quella particolare forma di figlio acquisito.
“Sì, l’ho visto.”
“E come sta?”
“Bene – ammise Vincent – ora che è tornato Kain è decisamente più vitale. L’aver sfogato quelle lacrime per la partenza del suo amico gli è servito e non penso che ci vorrà molto per vederlo tornare agli antichi splendori. E fidati, è la cosa migliore: una volta sbollito del tutto si riavvicinerà a nostro figlio.”
“Speriamo – sospirò la donna sciogliendosi delicatamente dal suo abbraccio e iniziando a sparecchiare, dato che era chiaro che nessuno dei due aveva voglia di terminare il pranzo – ma è così caparbio nelle sue scelte e anche molto orgoglioso. Non lo so, Vincent, a volte lui e Vato mi sembrano una combinazione davvero malriuscita.”
Il capitano non poté far a meno di annuire: l’aveva pensato pure lui diverse volte, eppure si era convinto che, nonostante la diversità, quei due erano in grado di instaurare un solido legame.
Devono solo superare questo nuovo scoglio.
 
Il pomeriggio del giorno dopo il gruppo di amiche era riunito a casa Fury.
Era stata una cosa nata completamente per caso: Angela, Laura e Rosie avevano avuto tutte la medesima idea e così, nell’arco di venti minuti, si era improvvisata una riunione delle quattro donne, felici di essere finalmente di nuovo riunite.
“Mamma, io e Janet andiamo in camera mia, va bene?” disse Kain.
“Va bene – annuì Ellie – attenzione a come fai le scale. Vuoi una mano?”
“Ma no – sorrise il bambino – ho la stampella e faccio attenzione.”
“Janet!” esclamò Angela, vedendo la bambina che, con abilità, prendeva due fette di torta al cioccolato e le metteva su un piattino.
“Per me e Kain – spiegò la bambina – se poi ci viene ancora fame non disturbiamo voi che parlate. Perché ora fate come le bambine grandi, no? A scuola vanno tutte in un angolo del cortile e si dicono cose segrete che i maschi e le altre non possono sapere.”
A quelle parole, dette con aria così convinta, Laura scoppiò a ridere.
“Beh, non c’è che dire, è decisamente arguta la piccolina.”
“Pettegolina – la rimproverò con un sorriso Angela, tirandole lievemente una delle trecce bionde – fai attenzione a non rovesciare il piattino e non sporcate.”
“Tranquilla, mammina. Andiamo pure, Kain!”
“E’ adorabile – sospirò Laura – con due figli maschi a volte sento la mancanza di una femminuccia.”
“La vedi adesso che con Kain è tutta moine e sorrisi – strizzò l’occhio Angela – ma guardala a casa col fratello e scoprirai la sua natura di istrice: due giorni fa hanno litigato malamente e lei ha dato una testata tale a Jean da mozzargli il fiato. Inizia a tirare fuori gli artigli.”
“Semplicemente si sa difendere – la giustificò Rosie – ma quando è con noi è sempre dolcissima. Confesso che pure io avrei voluto dare una sorellina a Vato.”
“A proposito, come sta?” chiese Laura.
“Come sta? – Ellie si girò sorpresa – Non sapevo niente. Che è successo?”
“Il venerdì prima che tornaste lui e Roy hanno litigato malamente – spiegò Rosie – con tanto di rissa. E ha avuto la peggio: l’occhio è ancora gonfio e continua ad avere forti mal di testa. Il dottore ha detto che tutto procede bene ed entro questa settimana il peggio passerà, tuttavia…”
“Vato che litiga – Ellie si mise a braccia conserte – proprio non me lo immagino.”
“Ragazze, vi è mai capitato di avere la sensazione di aver sbagliato come madri?” chiese Rosie, abbassando lo sguardo.
“Oh, ma che dici? Adesso non devi prendertela troppo – la consolò subito Angela – Se dovessi avere dei ripensamenti per tutte le volte che Jean è tornato a casa pesto non vivrei più. E’ normale che a volte si litighi ed i maschietti spesso sono propensi a risolverla a pugni.”
“Fosse quello… – scosse il capo Rosie – no, è un qualcosa che sta venendo a galla ora, ma ha radici molto più profonde. L’ho assecondato nel suo isolamento da piccolo e adesso è incapace di affrontare determinate situazioni relazionali. Lo scontro con una personalità forte come quella di Roy l’ha distrutto e anche se Vincent dice che tutto si risolverà, io mi sento impotente e mi chiedo se…”
“Se sei in parte responsabile di questa infelicità?” chiese Laura con comprensione.
“Sì, se non del tutto.”
“Ti capisco, sai – sorrise la rossa – ogni volta che vedevo Heymans o Henry turbati mi chiedevo se non avevo fatto abbastanza per proteggerli da Gregor o dal resto del paese. Ma a rifletterci ci siamo passate anche noi e sappiamo che la loro età non è per niente facile: per esempio io ero poco più grande di tuo figlio, ma un giorno mi sono scoperta veramente gelosa di una determinata persona.”
“Un ragazzo che ti piaceva?” chiese Angela con curiosità.
“No – ridacchiò lei – il mio miglior amico, il mio secondo fratello. All’improvviso avevo capito di non essere più l’unica speciale nella sua vita: era arrivata una ragazzina con una lunga treccia nera a fargli battere il cuore.”
“Che strano – ammise Ellie con una strizzata d’occhio – proprio in quel periodo io ero gelosissima della miglior amica del ragazzo che amavo. Mi sentivo così piccola in confronto a lei, con i suoi quattro anni in più ed il corpo già sviluppato: credevo che da un momento all’altro Andrew si accorgesse di quanta differenza c’era e mi dimenticasse.”
“Non so proprio come l’avete gestita – commentò Angela – con una situazione simile sarei morta di gelosia e avrei litigato con James, di sicuro.”
“Sono state settimane di disperazione, te lo assicuro – Ellie alzò gli occhi al ricordo – mi rodevo di gelosia e non osavo dire niente perché avevo paura che Andrew alla prima avvisaglia mi considerasse solo una ragazzina viziata. Però devo ammettere che una delle doti di mio marito è sempre stata quella di saper placare gli animi.”
“Placare gli animi, eh? Un giorno ci invitò entrambe a casa sua, una all’insaputa dell’altra, e ci mise faccia a faccia.”
“Ed è ancora vivo per raccontarlo?” chiese Angela con un sorriso divertito.
“Conosco le due donne della mia vita – intervenne Andrew entrando in cucina in tempo per sentire l’ultima parte del discorso – non fate caso a me, signore. Prendo un bicchiere d’acqua e me ne vado.”
“Ci sentiamo buone e ti concediamo anche una fetta di torta – lo prese in giro Ellie – anche se quella volta hai rischiato di beccartela in testa con tutto il vassoio.”
“Sembra un santo, ma in realtà è una mente diabolica.” commentò Laura.
“Chi io? – Andrew sogghignò, mettendosi tra lei ed Ellie – Mi definisco un buon osservatore, tutto qui. Ed i fatti mi danno ragione, no? Nonostante la vostra testardaggine vi ho fatto vedere le cose dal giusto punto di vista, tutto qui.”
“Ma sentilo come fa lo splendido.” Ellie diede una gomitata allo stomaco del marito, ma poi sorrise quando lui si chinò per baciarla sulla punta del naso.
“Giusto punto di vista, eh? – rifletté Rosie – Non guasterebbe in determinate occasioni.”
“Si riferisce al litigio che Vato ha avuto con Roy, signora? Suo marito mi ha raccontato tutto ed è stata una bella sfuriata, eh?”
“La questione del miglior amico è davvero scottante – sentenziò Angela – non ho mai visto Jean così convinto nel dare ragione a Roy. Ha detto che se qualcuno osasse toccare il suo rapporto con Heymans farebbe anche peggio.”
A quelle parole Rosie si irrigidì lievemente, sentendo che suo figlio veniva in qualche modo attaccato.
“Credo che in buona parte la situazione l’abbia creata anche Roy – disse – in tutti questi mesi che si conoscono lui e Vato si vedevano praticamente ogni giorno. Per me era quasi scontato sapere che a merenda avrei dovuto preparare qualcosa anche per lui… non posso biasimare mio figlio nell’aver creduto di aver un rapporto privilegiato con Roy perché è quello che ho pensato io stessa.”
“Sì, credo che lei abbia ragione, signora – ammise Andrew dopo qualche secondo di riflessione – ed è semplicemente la conseguenza di una lontananza così grande come quella che il nostro scalmanato ragazzo sta subendo con il suo miglior amico. Ho notato che nel gruppo ci sono dinamiche abbastanza definite, per esempio abbiamo Jean ed Heymans che restano sempre un nucleo a se stante.”
“E chi li scolla quei due?” alzò le spalle Laura, ormai abituata alla presenza del biondo in casa.
“E poi abbiamo il nostro Roy, metà di una coppia che è stata costretta a separarsi… e quando succede prima o poi senti che è il momento di instaurare nuovi legami: non ci si può rinchiudere per sempre nella solitudine. Forse capisco quel ragazzo meglio di chiunque altro.” disse quest’ultima frase con una lieve sfumatura di malinconia e i suoi occhi corsero a Laura.
“Dici che Vato è stato davvero un rimpiazzo per quell’altro ragazzo?” chiese questa con una smorfia di disappunto.
“Rimpiazzo – Andrew soppesò quel termine e poi scosse il capo – no, così come non lo è stata Riza prima di lui. Semplicemente sono dei nuovi amici che si è fatto e che l’hanno aiutato a colmare quel vuoto, così come ha fatto Kain… ma Riza è una femmina e Kain è oggettivamente troppo piccolo. Vato è diventata la persona con cui passare il tempo e stringere un forte legame perché, nonostante i differenti interessi, Roy ci si è trovato naturalmente bene.”
“E mio figlio ha equivocato tutto… no, non è nemmeno corretto dire questo perché lui considera veramente Roy suo miglior amico. Mi piange il cuore a vederlo in quello stato di depressione: si sente così inadeguato e mortificato.” si strinse le braccia attorno al corpo come a proteggersi da una pessima sensazione e subito Angela le passò un braccio attorno alle spalle.
“Andrew – Ellie alzò gli occhi verso il marito – cosa credi si possa fare?”
“Bisogna procedere con cautela, questo è certo. E non credo che Roy si smuoverà a breve.”
“E se organizzassimo qualcosa di simile a quello che hai fatto tu anni fa?” propose Laura.
“Che intendi dire?” chiese Rosie, alzando lo sguardo su di lei.
“Il 22 luglio è il compleanno di Heymans. Volevo chiedergli se gli va di festeggiare a casa ed invitare i suoi amici: potrebbe essere l’occasione giusta per far incontrare i due contendenti.”
“Oggi è il 9 luglio – rifletté Andrew – direi che in due settimane Vato ha tutto il tempo per guarire e riprendersi fisicamente e anche mentalmente. E anche il nostro grande eroe smaltirà qualsiasi residuo di quell’odio. Sì, direi che potrebbe essere lo scenario ideale per farli riappacificare.”
“Ottimo, allora è deciso – ridacchiò Angela – sarà una festa indimenticabile, ci scommetto.”
 
Mentre in cucina gli adulti complottavano per raccogliere i cocci dell’amicizia di Vato e Roy, al piano di sopra Kain scopriva che Janet non era un ospite discreta come Riza.
La bambina era letteralmente affascinata dalla sua cameretta e continuava a vagare da uno scaffale all’altro prendendo in mano qualsiasi cosa e facendo centinaia di domande, senza lasciare al ragazzino la possibilità di rispondere.
“Questa qui dentro è come quella del braccialetto che mi hai fatto! – esclamò all’improvviso, prendendo in mano un vasetto di vetro con dentro alcune pietre – lo vedi? Solo che questa pietra è nera e non bianca.”
“Attenta che è pesante – si spaventò Kain, seduto nel letto ed impossibilitato a starle dietro – solleva il coperchio e prendila se ti piace tanto. Ma poggia il vaso nella scrivania, se cade si rompe e le schegge di vetro potrebbero ferirti.”
Janet fece come richiesto e si rigirò la pietrolina fra le mani prima di mettersela nella tasca del grembiulino.
Poi prese dalla scrivania il piattino con le fette di torta e con l’aiuto della forchetta le tagliò in tanti piccoli pezzetti. Quindi sorrise e si sedette nel letto accanto a Kain, prendendo il primo.
“Avanti, fai aaaah!” esclamò mettendoglielo davanti alla bocca.
“Eh? Ma posso mangiare da solo – protestò lui arrossendo – non è il caso.”
“Una volta ho visto Rebecca farlo con Jean, però Heymans non vuole farlo con me: vorrei provare se è speciale come si dice.”
“Speciale? Beh, non saprei che dire: mia mamma mi imbocca quando sto molto male.”
“Pure la mia quando ho l’influenza. Però forse fatto quando non si è malati è diverso, non credi?”
“Forse – ammise Kain, riflettendoci – va bene, mi puoi imboccare.”
Con un’esclamazione gioiosa a quella concessione, Janet mise il pezzetto di torta nella bocca di Kain, sentendosi enormemente adulta nel compiere quel gesto.
“Beh, come ti è sembrato?” chiese impaziente.
“E’ buona – spiegò Kain – del resto è cioccolato.”
“Adesso prova tu con me! – subito Janet gli porse forchetta e piattino – Però piano che mi si muove un dentino, eh.”
“Davvero? Anche a me e quando cade ne resta solo uno e avrò cambiato tutti quelli da latte.” dichiarò con una sfumatura d’orgoglio.
“Che grande che sei! – lo ammirò Janet – Io ne ho perso solo due, questo è il terzo. Quale devi perdere?”
“Questo sopra: si chiama canino.”
“Io questo sotto, mamma dice che come cade fa la finestrella. Dai, ora fammi assaggiare la torta.”
“Va bene – annuì, allungando la forchetta con il pezzetto - Opinioni?”
“Hai ragione, è buona perché è al cioccolato – ammise la bambina dopo qualche secondo – però non ci vedo tutta questa magia. Ma è divertente suvvia! Facciamo un pezzetto a testa?”
“D’accordo!” acconsentì Kain, lieto di non averla delusa.
E così si divisero equamente i pezzi di torta, ridacchiando allegri nel fare quel gioco che era nato quasi per caso. Era la prima volta che i due avevano occasione di stare da soli e il ragazzino aveva avuto una piacevole conferma: Janet era così dolce e vivace, si era accorto di volerle tantissimo bene.
“Mettilo pure sopra la scrivania – consigliò quando terminarono lo spuntino – lo riportiamo giù come scendiamo.”
Janet annuì ed eseguì l’ordine, facendo attenzione a non far cadere le briciole per terra. Poi tornò a sedersi nel letto, accanto all’amico che, nel frattempo si era spostato all’indietro fino a posare la schiena contro il muro, la gamba completamente distesa.
“Ti spaventa molto?” le chiese, notando che osservava il tutore.
“Un po’ – ammise lei, non sapendo come valutare quelle cose di metallo che imprigionavano la gamba – ti fa male?”
“No, tranquilla – le sorrise con dolcezza – e poi per la notte lo levo. Aiuta la mia gamba a guarire più in fretta: è una specie di strano e grosso cerotto, vedila così.”
“Però usi ancora quel bastone così strano. Quando torni a camminare?”
“Se tutto va bene a settembre non avrò più niente addosso.”
Lei annuì, ma i suoi occhi azzurri non poterono far a meno di tornare al tutore.
“Vuoi toccarlo?” propose Kain.
“Ti farà male? A me se tocchi una ferita anche se c’è il cerotto fa male.”
“Dammi la mano – sorrise, tendendole la sua – lo senti? E’ solo metallo, come… uhm… gli attrezzi da lavoro del tuo papà. Vedi? Non mi fa male?”
“E se tocco la gamba?” chiese lei, infilando la manina tra quelle giunture e toccando la pelle calda del ginocchio. Guardò con ansia il viso di Kain e poi sorrise nel vedere che non c’era alcuna smorfia di dolore.
“Ora sei più tranquilla?” le strizzò l’occhio.
“Decisamente. Sai, Jean mi ha detto che avevi un taglio brutto brutto nella gamba, ma non c’è più.”
“A dire il vero c’è – ammise Kain, sollevandosi i pantaloncini che gli arrivavano appena sopra il ginocchio – ma è fasciato e sta guarendo lentamente, vedi? Ti impressiona?”
“No, sono grande – scosse il capo lei con serietà – sai, ora ho sette anni. Li ho compiuti a fine maggio.”
“Davvero? Allora tanti auguri, sebbene in ritardo.”
“Ti volevo invitare al mio compleanno, ma tu stavi male e la mamma mi ha detto che non era il caso.”
“Mi dispiace, sarei venuto volentieri. Ti prometto che per i tuoi prossimi compleanni non mancherò mai, va bene?”
“Sul serio? – a quella promessa Janet lo abbracciò con foga – Che bello! Grazie, Kain!”
“E di che, dopo che ti ho fatto preoccupare così tanto; anzi, vai alla mia scrivania e apri il cassetto in alto. C’è una scatolina azzurra: portala qui.”
La piccola annuì e tornò con quanto richiesto, accostandosi con meraviglia al ragazzino che l’apriva e ne mostrava il contenuto. Pietroline, piume, petali, fili colorati, elastici: qualcosa di magico che fece sgranare gli occhi azzurri di lei.
“Me la ridai la pietra che ti ho regalato?” chiese lui, prendendo un nastro azzurro abbastanza lungo.
Poi, con destrezza iniziò ad armeggiare, prendendo anche un altro nastro, questa volta blu scuro, della medesima lunghezza. Era come un mago che intesseva un incantesimo con degli strumenti fatati e la cosa incantò così tanto la bambina che si accovacciò al suo fianco e guardò quel nuovo braccialetto che prendeva forma.
“Avanti, dammi il polso – sorrise infine Kain – vediamo come ti sta.”
E sembrava un preziosissimo gioiello con quell’intreccio color del cielo e quella pietra nera in mezzo.
“E’ per me?” annaspò lei, stringendosi il polso al petto.
“Certo, è un regalo di compleanno. Forse ne avrai ricevuti di più belli, ma non ho avuto il tempo di…”
“E’ bellissimo! – esclamò la piccola, mozzandogli la frase con il suo abbraccio – Kain è il gioiello più bello di questo mondo! Nessuna delle mie compagne ha un braccialetto così!”
Il bambino arrossì, ma poi ricambiò quell’abbraccio: l’esuberanza di Janet lo lasciava sempre interdetto, ma doveva ammettere che gli piaceva davvero tanto. Era così vitale, proprio come la campagna che li circondava: perfetto emblema della gioia di vivere.
Tornare a casa voleva dire anche questo: essere circondato dalle persone che si amano.
 
Fra tutte le ospiti Laura fu quella che si attardò più di tutte, lei ed Ellie finalmente libere di parlare dopo tanti anni in cui avevano dovuto nascondere la loro amicizia.
Alla fine, Andrew si offrì di accompagnarla fino all’inizio del sentiero, poco fuori dal cortile.
“Sai, Andy – iniziò sorridendo – mi ha molto sorpreso che…”
“Innanzitutto dimenticati di usare quel nomignolo con me – la bloccò lui, mettendole l’indice sulla fronte – altrimenti io riprendo a chiamarti Follettino e a parlare delle tue lentiggini.”
Efelidi.”
“A te la scelta, Laura Hevans. Allora, che cosa ti avrebbe sorpreso?”
“Quello che hai detto sul capire Roy meglio di chiunque altro. E’ la prima volta in così tanto tempo che fai un riferimento a proposito del tuo rapporto con Henry.”
“Fra due mesi e un giorno saranno esattamente quindici anni – sospirò l’uomo guardando il cielo che ormai si tingeva del rosso del tramonto – a volte mi sembra passata una vita, altre volte quella dannata lettera pare essere arrivata solo poche settimane fa. Sai, adesso che la questione di Gregor è stata finalmente risolta mi sento più libero di pensare a lui e mi fa piacere, anche se è innegabile un pizzico di tristezza.”
“E’ vero, anche a me succede la stessa cosa: Heymans mi chiede spesso di parlargli di lui e anche Henry sta iniziando ad interessarsi alla figura di suo zio. Ma sai, in qualche modo mi aiuta a vedere quanto c’è di mio fratello nei ragazzi ed è una grande gioia.”
“Era… anzi, è insostituibile.”
“Ma tu capisci Roy meglio di tutti, no?”
“Che vorresti dire, Laura Hevans?”
“Suvvia, conosci bene le donne della tua vita, ma anche loro ti conoscono. Io ed Ellie ci siamo accorte che con quella frase si è smosso qualcosa in te… e abbiamo deciso che è meglio che ne parlassi con me, piuttosto che con lei.”
“Si complotta alle mie spalle, eh?”
“Rendiamo pan per focaccia – alzò le spalle lei con noncuranza – andiamo, non vuoi dirlo alla tua sorellina? Che poi sono più grande di te di tre mesi, ricordiamocelo.”
“Va bene, lo confesso: è un pensiero stupido, ma mi sono reso conto che per la prima volta dalla sua morte ho stresso un legame d’amicizia molto forte.”
“Il capitano Falman, vero? – sorrise Laura – E’ una gran brava persona.”
“Già, sai ti confesso che nei primi giorni ad East City, quando Kain era così spaventato, sentire la sua voce al telefono mi aiutava a farmi forza. E parlare con lui è davvero piacevole, diciamo che ci capiamo abbastanza bene ed una cosa del genere non mi era più capitata. Precisiamo, a trentaquattro anni, quasi trentacinque, è un po’ infantile fare discorsi sul miglior amico o cose simili, ma…”
“Senti che in qualche modo lo stai tradendo?”
“E’ così?” chiese lui con un triste sorriso.
“Io credo che lui è felice di vederci andare avanti con le nostre vite, tutto qui.”
“Conosci fin troppo bene questo stupido che a volte è troppo sentimentale, Laura Hevans.”
“Ne abbiamo passato troppe per non conoscerci bene a vicenda, Andrew. Brutti momenti, certo, ma anche altri meravigliosi… i miei primi diciannove anni, a pensarci bene, sono stati fantastici. Persino quando mi hai costretto a quel faccia a faccia con Ellie, dicendomi che non dovevo essere stupida e gelosa.”
“Per me sei sempre la mia sorellina, Laura Hevans, mettiti in testa che è qualcosa che nessuno ti leverà mai e poi mai.” citò lui, come se fosse tutto successo il giorno prima.
Laura scoppiò a ridere, ricordandosi quella scena così assurda nel salotto di casa di Andrew, con lei ed Ellie che si squadravano con gelosia reciproca. Ma erano ricordi così belli e dolci, un passato meraviglioso che li accarezzava come la leggera brezza del tramonto estivo.
“Parlerai con Roy, vero?” fece Laura dopo qualche minuto stringendosi il leggero scialle attorno alle spalle.
“L’avevi capito da subito – ammise lui – lui e Riza sono ormai parte delle nostre vite.”
“Sono sicura che ce la farai.”
“Beh, parlare con quello scalmanato non è mai facile, ma penso di…”
“Non mi riferivo a quello – lo interruppe lei – ma a Riza. Sono sicura che prima o poi tu ed Ellie, con il piccolo Kain, darete a quella bambina la famiglia che merita. Dal migliore amico di Henry Hevans sono abituata a simili miracoli.”
“Laura…”
“Tra due mesi e un giorno sono quindici anni – lo salutò lei, iniziando ad avviarsi – e siamo cresciuti anche noi, Andrew.”
“Già, cresciuti…” Andrew sospirò, guardando la sua amica allontanarsi sempre di più.
Ma poi un sorriso gli rischiarò il volto.
Sì, ha ragione lei. Sei certamente felice di vederci andare avanti, amico mio.

 


Ps:
auguri di buona pasqua ^_^
  
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