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Autore: martaparrilla    20/04/2014    11 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mia Regina Swan.

Non era stato difficile scegliere il nome una volta inquadrato il suo visino. Una testolina piena di capelli neri e gli occhi chiari...anche se probabilmente era troppo piccola per definirne il colore con precisione.

La scelta del doppio nome probabilmente è quasi scontata. Ho saputo fosse una bambina alla 34° settimana, quando aveva iniziato a scalciare come una dannata e avevo seriamente pensato fosse un maschietto per questo ma una cosa era certa: nessuno me l'avrebbe mai portata via. E da qui nasce il nome Mia.

Poi Regina...i capelli neri, rivedevo Regina in quei capelli. C'era quella parte di lei che non avevo più e il destino mi aveva regalato quel piccolo particolare che mi faceva cullare sul dolce pensiero che quella bambina potesse essere di entrambe. E dovevo sigillare questo pensiero col suo nome.

Non avevo idea di chi fosse il padre e l'interesse verso questa informazione era pari a zero, ma chiunque fosse, lo ringraziavo ogni giorno per avermi regalato l'esserino più bello del mondo.

Respira beata tra le mie braccia e mi inebrio dello speciale profumo che emana. Da piccola lo chiamavo “odore di bimbo”...non sono mai riuscita a capire se sia dovuto ai detersivi usati per lavare le loro tutine o i bagnoschiuma...ora con Mia lo so. E' la loro pelle, qualunque profumo tu abbia, qualunque bagnoschiuma usi...se tieni tra le braccia un neonato quel profumo ti entra nelle ossa e non lo scordi più.

Una volta lontana da Regina e dal suo profumo (altrettanto inebriante per i miei sensi), avevo iniziato a pensare solo a me.

I miei genitori erano felici della gravidanza, nonostante non avessi un “uomo” accanto a me.

Ma ero sempre stata molto indipendente, non volevo il loro appoggio, solo renderli partecipi di qualcosa che anche loro avevano solo sfiorato quasi due anni prima. Isabella veniva almeno una volta al mese, mi accompagnava alle visite quando poteva e appena aveva saputo il sesso mi aveva fulminata dicendo: “ti prego, non chiamarla come quella decorticata che ti ha lasciata così...suo figlio è dieci volte più intelligente, si vede che non ha lo stesso DNA!”

Isabella e le sue battute pungenti che arrivano dritto dritto al bersaglio. Non avevo intenzione di chiamare mia figlia col nome di Regina...ma quei capelli mi hanno stregata.

La gravidanza non aveva avuto nessun intoppo.

Non bevevo, non fumavo, facevo lunghe passeggiate, facevo tutti i servizi fotografici che le mie gambe reggevano e avevo messo da parte abbastanza soldi per non dovermi portare Mia a spasso per le scuole a fare foto. E non paga l'affitto perché lo facevano i miei, fino a che non avrei ripreso a lavorare.

Era nata la mattina del primo dicembre, pioveva a dirotto, dopo 26 ore di travaglio e nessuna epidurale. Volevo godermi tutto il dolore, volevo sentire che lei c'era e che stava nascendo, per superare la paura del primo parto non andato a buon fine.

Avevo passeggiato per i corridoi fino a un'ora prima, quando le contrazioni non mi avevano più permesso di camminare. A ogni passo credevo che la schiena mi si spezzasse in due. E avevo osservato insistentemente i visini di tutti i neonati nella nursery, cercando di immaginare il suo nasino, le sue manine...invece era stato tutto maledettamente più bello.

Avevo sentito scivolare qualcosa fuori dal mio corpo, molto velocemente e l'enorme pancione si era sgonfiato in pochi secondi. Attendevo parole rassicuranti dall'ostetrica, ma fu il suo pianto a farmi capire che ce l'avevo fatta. L'avevano avvolta in un telino verde e posata su di me. Il battito del mio cuore l'aveva calmata immediatamente.

«Ciao meraviglia» le avevo detto.

Avevo accarezzato la sua manina e lei saldamente aveva stretto il suo pugnetto sul mio indice, come per ancorarsi alla nuova vita. In quell'istante avevo capito che era Mia e io mi sarei aggrappata a lei con tutte le forze.

Dopo tre giorni di visite e controlli eravamo finalmente tornate a casa. Non avevo comprato molte cose: la mamma mi aveva portato la mia vecchia culla e io avevo preso solo la carrozzina, rigorosamente rossa e un'infinità di tutine e vestitini e calze e canottierine ricamate e...due cassetti del mio armadio erano suoi, ed erano zeppi! Le copertine con gli orsetti, le tute da ginnastica in miniatura. Ero diventata pazza per l'abbigliamento di mia figlia.

Ha ormai 15 giorni (pare passato un secolo) ed è la bambina più buona del mondo. Si sveglia solo per mangiare e le poppate a quanto pare sono soddisfacenti visto che ha già preso mezzo chilo. Le guance tonde e paffute sono una tentazione troppo forte per me, sono una calamita per i miei “cioppi cioppi” giornalieri. La osservo stiracchiarsi dentro la carrozzina dall'altro angolo del divano dove mi sono seduta con un plaid sulle gambe, pronta per vedere un film, quando sento il campanello.

«Diamine. Arrivo!».

Devo staccarlo, è un suono insopportabile e ogni volta spaventano Mia.

Abbasso le maniche del maglione prima di aprire.

Silenzio.

Niente di tutto quello poteva essere previsto.

Nemmeno nei miei sogni (o incubi) più nascosti quella figura che è fuori dalla porta in quel momento, compare.

«Ciao Emma» la sua voce squillante mi fa tremare.

Poi sposto lo sguardo su Isabella.

«Ciao Mim!» mi dice tutta allegra! «Ci fai entrare? Si gela qua fuori e non abbiamo tanto tempo».

«Già siamo in missione» dice Henry superandomi e andando direttamente verso la carrozzina, come se lo sapesse già.

«E' questa Mia?».

Non riesco a staccarmi dalla porta. Mi aspetto che qualcun'altro la varchi, che lei compia dietro suo figlio.

«Se aspetti mamma non verrà, non sa nemmeno che sono qui e quando lo scoprirà le verrà un infarto, ma le ho detto che sarei tornato a casa per cena».

Isabella mi prende le spalle e fa ruotare il mio corpo verso Henry che sorride alla bambina nella carrozzina. Sento il tonfo della porta chiudersi dietro di noi.

Non riesco a dire una parola, sono totalmente bloccata.

«Posso lavarmi le mani?» la voce di Henry è quasi ovattata, lontana e schiacciata dal pensiero che Regina possa essere spaventata a morte per la sparizione di Henry.

«Henry il bagno è la seconda porta a sinistra» Isabella risponde al mio posto.

Improvvisamente mi volto verso di lei, furibonda.

«Che diavolo di storia è mai questa???» le urlo in faccia.

«Shh Mim, calmati e siediti, tutto sotto controllo».

«Si Emma, tutto sotto controllo».

Henry parla come se mi conosca da sempre.

Mi siedo sulla poltrona a due passi da lei, affondando con tutto il peso sul cuscino. Mi metto le mani sui capelli pensando a come Regina possa sentirsi in questo momento. Gliel'avrebbero portato via se l'avesse perso di vista, starà di certo impazzendo, avrà chiamato la polizia e darà la colpa a me di tutto questo e mi odierà di sicuro.

Aspetta...se Henry è qui e sa di Mia probabilmente lo sa anche lei....per cui probabilmente già mi odia.

Questo mi fa impazzire più di tutto il resto.

«Rivestiti, Isabella ti riaccompagnerà immediatamente a casa» dico rivolgendomi a Henry e alzandomi in piedi di scatto.

«Mim siediti per favore» Isabella non sa con cosa ha a che fare. La paura di Regina di perdere Henry è incontrollabile.

«Tu non hai idea di quello che avete fatto».

«Credo che tu dovresti sentire quello che ha da dire questo bambino che a quanto pare è l'unico dotato di cervello tra te e quella demente di sua madre» si volta verso Henry.

«Senza rancore piccolo».

Lui sorride e fa spallucce poi torna a toccare i piedini di Mia. Lei sembra a suo agio con lui, non ha ancora iniziato a piangere, a volte succede con gli estranei.

«Poggia quelle chiappe sulla poltrona e stai zitta un attimo».

Hanno vinto loro. Arresa, torno alla mia posizione e fisso Henry, aspettando dalla sua bocca uscisse qualcosa di sensato che possibilmente non contenesse le parole “Regina” e “triste” insieme.

«Ma tua madre rischia di perderti se scompari!» dico quasi disperata.

«Due settimane fa mamma ha vinto la causa di adozione. Sono suo figlio a tutti gli effetti per sempre, nessuno mi porterà via da lei. Ho aspettato che succedesse perché sapevo che avrei messo in discussione tutto, ma ora è tutto ok Emma, fidati di me».

Mi volto verso Isabella che annuisce, poi prende Mia dalla carrozzina e si siede sulla poltrona, cullandola un po'.

Henry prende una sedia e si toglie lo zainetto dalle spalle. Si siede di fronte a me, poi prende una cornice e un foglio bianco.

Oh quella cornice, la conoscevo bene. Il cuore a momenti esplode nel mio petto.

«Mamma non ti ha mai dimenticata».

Lo dice così, a bruciapelo. Come se mi stessi facendo una ceretta. Rapido e indolore.

Non è indolore.

E' dolorosissimo, allo stomaco, alla testa, alle gambe, alle mani. Le porto al viso, incredula e impaziente di sentire il resto.

«La mamma è felice quando stiamo insieme, ride sempre, e mi fa fare tutto quello che voglio...».

Non riesco a deglutire.

«...e dormivo nel lettone con lei perché avevo gli incubi. E durante una notte ho scoperto che anche lei faceva dei brutti sogni. O forse erano belli».

Mi si è fermato anche il sangue nelle vene.

«Diceva continuamente il tuo nome durante la notte...e non capivo».

Non è possibile. Lei mi aha allontanata per il figlio e ora mi sogna? Mi alzo nervosamente e inizio a camminare avanti e indietro.

«Poi ho letto il nome “Emma su uno scatolone accanto all'ascensore mentre tornavo da scuola un giorno. E ho incontrato Isabella. Le ho spiegato la situazione e le ho proposto un piano: l'abbiamo chiamata “Operazione SwanMills”. Dovevo farvi rincontrare in qualche modo, ma non prima della fine della causa. Ho organizzato tutto, le ho scritto un biglietto dove le spiegavo che sarei tornato entro il pomeriggio e che non doveva chiamare la polizia perché stavo bene e doveva fidarsi di me. E spero tanto che mi ascolti e che non si metta paura. E stamattina mi sono alzato prestissimo per non svegliarla..avevo paura di non riuscirci».

OPERAZIONE SWANMILLS. E' uno scherzo, sono certa che a momenti sarebbe comparsa una telecamera di un programma tv.

«Sai quando ho capito che io non potevo farla felice al 100%? Quando in campagna l'ho trovata stringere questa in mano ed era triste, le ho chiesto se era triste per me e ha detto di no. Ed era vero, ma poi ho chiesto di te e mi ha detto tutto ma lei non voleva tornare indietro perché credeva che tu non l'avresti mai perdonata. E poi...».

Mi si blocca il respiro. E' troppo, tutto questo è troppo. Lui si alza e prende quel foglio. Me lo porge.

«L'ha scritta due mesi fa. Poi l'ha nascosta ma io l'ho presa perché sapevo che se tu l'avessi letta sarebbe andato tutto bene. Quindi...leggila, per favore».

Alzo lo sguardo con gli occhi gonfi di lacrime. Non ci sarei riuscita a leggerla. Isabella mi raggiunge e me la prende dalle mani, mentre ancora culla Mia tra le braccia, ormai profondamente addormentata.

«Siediti Emma» mi dice.

Henry si accomoda di fianco a Isabella, in attesa di sentire di nuovo le parole che ha scritto sua madre, la donna che amo. Apre delicatamente il foglio e inizia a leggerle. La mia mente inizia a immaginare la voce di Regina che le pronuncia ad alta voce.

Mi appoggio al muro dietro di me, con le braccia incrociate, quasi in un abbraccio verso me stessa.

 

“Amore mio,

Scrivo su questo foglio parole che non avrò mai il coraggio e l'opportunità di pronunciare a voce guardando i tuoi occhi, toccando le tue mani, baciando le tue labbra.

Solo oggi ho rimesso piede nella mia casa in campagna. Sono passati quasi sei mesi e in questa casa sento ancora il tuo profumo. In qualunque angolo mi volti ci sei tu. Sul letto, in cucina, in bagno, sulla porta...perfino vicino al melo. Sei una presenza costante, quasi un'ombra che segue ogni mio passo. Henry riempie costantemente le mie giornate ma bastano cinque minuti senza di lui che tu mi piombi addosso come un camion, e rialzarmi è ogni volta più difficile.

Sai che ho portato Henry alla cascata del sole? Mi sono messa a piangere. Ho dovuto fingere che avessi sbattuto il piede in una pietra per non farlo preoccupare...ma lui aveva già capito tutto.

Le udienze per l'adozione di Henry non sono finite, ma non manca molto ormai. Ogni volta che entro dentro quell'aula mi manca la terra sotto i piedi, temo di non farcela, temo che me lo portino via. Ma ti sento anche li dentro...a incoraggiarmi, come sono certa tu saresti riuscita a fare. Si perchè solo ora ho capito quanto sono stata stupida a lasciarti andare così.

Ho usato Henry per allontanarti da me quando proprio lui mi ha fatto capire quanto avresti solo migliorato la mia esistenza, e anche la sua. Questo pomeriggio avevo la nostra foto in mano e lui mi ha detto che mi vedeva spesso triste e temeva che non fossi felice con lui. Ti rendi conto? Lui pensava non fossi felice di averlo con me.

Gli ho spiegato quanto fosse la cosa più bella che mi fosse capitata, ma che tu mi mancavi. Allora mi ha chiesto se tu fossi la mia fidanzata. Quanto imbarazzo Emma...mi sono sentita una bambina alle elementari. Lui aveva capito e sai che c'è? Non ha pensato nulla di sbagliato, voleva accompagnarmi a chiederti scusa e ha detto che hai delle belle gambe. Ti sarebbe piaciuto il mio bambino...e il suo sguardo è come il tuo. Dolce, sincero.

Avevi ragione...tu non saresti stata un ostacolo. La nostra storia, il nostro amore era agli inizi, ma Henry con noi avrebbe solo rafforzato il nostro amore. Sono stata così stupida...ma avevo paura. Avevo paura che la storia con te avrebbe condizionato anche i giudici sull'affidamento di Henry, ma ho scoperto che nel nostro stato le coppie gay possono adottare i bambini che vogliono. Avremo avuto la nostra famiglia. Tu mi hai salvata e io ti ho sbattuto la porta in faccia senza nemmeno chiederti scusa.

Mi dispiace averti delusa così. So che ti ho delusa, ho letto il tuo disprezzo negli occhi il giorno che ti ho vista in macchina. Sembravi parecchio sconvolta, non so se per me o per altre ragioni, ma di certo la mia presenza non ti era d'aiuto. E il fatto che ti sia ricordata di Henry mi ha solo confermato quanto potessi essere perfetta accanto a me. Tu sei stata quasi mamma, avresti fatto di tutto per salvare tuo figlio vero? Ho pensato di fare la cosa giusta per il mio.

Solo che ho sbagliato con te, la persona che amavo.

Che amo.

Si perché quel giorno avrei voluto urlarti che ti amo ancora, che riempivi i miei sogni tutte le notti, che solo l'amore per Henry mi tratteneva dal correre da te e abbracciarti di nuovo.

E che non ci sarà mai nessuno importante quanto Henry nella mia vita...ma di certo non posso fidarmi di nessuno nella mia vita assieme a lui che non sia tu.

Ti amo Emma Swan.

Ti amo e devo dirti addio.

Con Amore.

 

“Temevo di disturbarti e perderti.
Temevo di annoiarti e perderti.
Temevo di lasciarmi andare e perderti.
Temevo di legarti a me e perderti.
Non sono stata me stessa e ti ho perso.”

Regina”

 

Chiudo gli occhi mentre me la immagino scrivere quella lettera, probabilmente tra le lacrime.

La mia mente ripercorre i nostri momenti insieme...il barattolo della nutella, la sua visita a casa mia con la marmellata, la mia visita a casa sua, il suo crollo per Henry, io che accarezzo la sua mano, la mia voglia sconosciuta di baciare quelle labbra perfette. La nostra confessione sotto il temporale, la mia fuga, la mia disperazione, il suo ritorno e la mia salvezza. Il nostro fine settimana.

Il nostro fine settimana perfetto.

Poi era tornato Henry e io avevo avuto Mia.

C'è Mia. E' lei ora la mia vita.

E Regina non l'avrebbe mai mai mai accettato. Non è una donna che accetta il sesso per dimenticare la persona che si ama, lei non è fatta così.

Mi stringo le gambe al petto ancora per un po', mentre Henry e Isabella stanno in religioso silenzio poco distanti. Inizio a muovermi avanti e indietro per terra, dove piano sono scivolata.

Non avrebbe mai perdonato la mia debolezza.

E io l'ho persa. Ora l'ho davvero persa.

Emma. Tu ora hai Mia, è lei la tua ragione di vita.

Mi ripeto questa frase in continuazione ma l'unica cosa che riesco a fare è piangere e piangere e piangere. Sento qualche passo ma non voglio alzare lo sguardo. Una mano mi tocca il braccio.

«Non voglio farti piangere».

Ma perché quel bambino si fa carico di tutto questo casino?

Gli devo una risposta.

«Non è colpa tua» tiro su col naso prima di continuare. Lui mi porge un fazzoletto. Lo afferro con mano tremante.

«Io non credevo che lei...potesse pensarmi ancora».

«Infatti sono qui per questo...».

«Sei proprio figlio di tua madre...».

«Non è difficile, se vi volete bene potete stare insieme...».

Per i bambini è tutto facile.

«Non è così semplice».

«Oh dite sempre le stesse cose, sembrate voi delle bambine qui, non io o Mia».

Si stava arrabbiando? Mi sta rimproverando un bambino di 8 anni?

«Mi associo al piccolo, anzi ci associamo» dice Isabella tirando un po' la manina di Mia, come se anche lei stesse votando.

«Henry quella lettera...sarebbe stata perfetta e risolutrice se non esistesse Mia, ma Mia esiste, e non l'ho adottata».

«E quindi?».

Che sguardo innocente.

«E quindi è un bambino che ho creato con qualcun'altro quando tu sei tornato e tua madre non ne sarebbe felice».

Si alza in piedi e mi offre la sua mano per fare altrettanto.

«Mi spiegate perché usate me e Mia per non affrontare le vostre cose? Madri biologiche, madri naturali, madri adottive, padri inesistenti, che cosa importa? Io e Mia non siamo un ostacolo per voi, voi lo siete per voi stesse. Mamma ti ha allontanato per il mio bene...ma se lei è infelice non ha senso, per cui va da lei, parlaci...sono sicuro che lei capirà, come tu hai capito lei. Vi amate troppo forse, ma non siete coraggiose. Io e Mia lo siamo di più di sicuro».

Si allontana per tornare accanto a Isabella, a cui allunga la mano per battere il cinque.

Ha ragione? Siamo codarde e ci nascondiamo dietro di loro?

Non sono codarda. Ho cambiato me stessa, ho messo in discussione tutta me stessa per lei...ma come ho detto, lei sarebbe stata una forza nella mia vita con un figlio. Il figlio c'è, Mia c'è. E anche Henry.

Forse devo fare un tentativo.

«Credo che andrò a cambiarmi...» dico con voce roca per le lacrime.

«Evvaiiii» urla Henry soddisfatto. Poi corre verso di me e mi abbraccia.

«Grazie».

Ricambio il suo abbraccio, un po' impacciata.

«Aspetta di vedere come reagisce tua madre prima di ringraziarmi».

Mi stacco da lui e mi dirigo a passo svelto in camera. Devo preparare una piccola valigia, per me e Mia, devo stare qualche giorno...dove? Mi sarei arrangiata. Oppure sarei tornata subito a casa. In ogni caso devo portare qualcosa con me. Tutine, pannolini, cremine, copertine, calze, bavaglini. Infilo tutto in una borsa di piccole dimensioni.

Infilo velocemente dei jeans e un maglione.

Dio la montata lattea...i seni iniziano a farmi male. Quei copri capezzoli sono ridicoli...ma mi salvano da situazioni imbarazzanti e Mia dorme profondamente per cui dubito che li avrei svuotati presto.

Fuori dalla camera Isabella e Henry confabulano qualcos'altro ma non voglio avere ulteriori informazioni, per ora erano sufficienti. Infilo gli stivali imbottiti ai piedi e il giubbotto e mi ripresento in salotto.

«Possiamo andare».

Non ho controllato l'orario. Sono quasi l'una del pomeriggio. Regina è di sicuro sull'orlo di un esaurimento.

«A che ora siete partiti da casa tua?» prendo Mia dalle braccia di Isabella e la sistemo sulla carrozzina. Prendo altre due copertine e le metto sopra il parasole, coprendola totalmente. E' la prima volta che la portavo fuori casa, sono terrorizzata.

«Non erano nemmeno le sette del mattino, abbiamo fatto colazione e siamo partiti, come ben sai sono tre ore di macchina»

Tappo le orecchie a Henry con le mani.

«Le mie tette scoppieranno» sussurro a Isabella.

Scoppia a ridere.

«Almeno non moriremo di fame».

«Qualcuno deve prendermi le ruote della carrozzina, non posso trasportarla per la città in spalla».

«Faccio io» si propone Henry.

«Io prendo la tua borsa» segue Isabella.

«Vado a prendere la macchina e a metterla di fronte all'ingresso, così Mia non prenderà freddo» sparisce fuori dalla porta.

Rimango con Henry, che mi fissa sorridente, quasi a volermi incoraggiare.

«Lo sai che non dovevi scappare vero?».

«Non sono scappato, ho solo fatto la cosa giusta per me e per voi, e anche per lei. Avremo due mamme contente almeno».

Il telefono squilla improvvisamente, un solo squillo. E' Isabella che ci da il via libera per uscire di casa.

«Vedi di coprirti bene tu, che fuori si gela e se ti ammali tua madre avrà un altro motivo per odiarmi».

«Lei non ti odierà mai». Si infila la cuffia e lo zainetto sulle spalle. Apre la porta d'ingresso e la richiude, permettendomi di portare via la carrozzina senza perdere tempo.

Fuori dal vialetto, la portiera della macchina è aperta e cercando di non darle troppe scosse, riesco a far sparire la carrozzina dietro il sedile posteriore. Mi siedo accanto a lei mentre Henry prende posizione accanto a Isabella, sul sedile anteriore.

«Dobbiamo fermarci a mangiare qualcosa, muoio di fame e di sete» dico appena usciti dalla città. La mia pancia inizia a brontolare, e anche Mia che si sta svegliando, finalmente.

«Si il primo autogrill che incrocio sarà nostro non temere».

Afferro Mia, cercando di tenerla ben coperta.

«Ciao principessina, ben svegliata» emette piccoli mugugni chiaramente sinonimo di fame. Sposto verso l'alto il maglione e scopro il seno destro. E' turgido e dolorante.

«Amore fai il tuo dovere, fa malissimo».

Si attacca come una piccola medusa e inizia a succhiare, avida, con gli occhietti ancora chiusi. Stringe il suo pugnetto e lo avvicina al seno, quasi per aiutarsi nel durissimo lavoro che sta compiendo.

Il viaggio fortunatamente è tranquillo, con Henry che fa milioni di domande su me e Regina, su Mia, su me e Isabella...sembra che non si renda conto della complessità della situazione.

«Oh, autogrill!» Esclama Isabella.

«Dio finalmente. Mia mi ha prosciugato tutte le energie» la tengo in piedi sulla spalla, dandole dei colpetti sulla schiena, per facilitarle la digestione.

«Non voglio uscire però, prendetemi una bottiglia d'acqua e un panino con...non mi fido di quei panini» non voglio intossicare mia figlia con qualcosa di contaminato.

«Trancio di pizza, semplice, senza aggiunte e possibilmente poco oleosa».

«Possiamo prendere diverse cose e poi quello che non va bene lo mangiamo noi!».

«Diventi obeso se mangi così tanto».

«Naa, solo per oggi, mamma mangia solo cose sane, dovresti saperlo».

Colpita e affondata.

«Andate, quando arriviamo voglio cambiarle il pannolino».

 

Mia mi ha tolto totalmente le energie ma non ho tanta fame. Nella mia mente non riesco a smettere di immaginare la faccia di Regina quando mi sarei presentata a casa sua con Henry e mia figlia.

Mi avrebbe chiuso la porta in faccia. No, non è da lei.

Mi avrebbe detto con una frase sottile e tagliente come la lama di un coltello, che io dovevo sparire in una nube di fumo, senza lasciare niente dietro.

Oppure...oppure mi avrebbe accolta e ascoltata.

L'idea mi rende felice e una dolorosa palpitazione incornicia il tutto. Mi sento di nuovo una ragazzina al primo appuntamento, solo che stavolta non me ne sarei andata da sola.

Son una donna, una madre. Qualcuno dipende totalmente da me e non posso crollare di nuovo.

Cosa le avrei detto se mi avesse permesso di spiegarle? A dire il vero non sono solo io a dover spiegare il mio comportamento e la conseguenza che aveva avuto. Tutto è partito da lei, se non mi avesse tagliata fuori non sarebbe successo niente del genere e io non avrei avuto Mia. Forse devo ringraziarla per averlo fatto. Quella meravigliosa bambina che ho accanto non ci sarebbe e probabilmente non avrei nemmeno immaginata di poterla avere.

Le massaggio il pancino mentre varchiamo il confine della città che pensavo mi appartenesse. A me e a Regina, come un regno incantato in cui noi potevamo essere quello che volevamo, purché insieme.

Il respiro comincia a farsi irregolare, faccio memoria della respirazione che ho imparato al corso pre-parto.

«Emma stai tranquilla» dice Henry voltandosi verso di me «tanto prima urlerà contro di me».

«Non mi tranquillizza questa notizia». Lui sorride e poi guarda Isabella.

L'ascensore sembra non arrivare mai. Mia sta piangendo e il tutto mi rende nervosa.

La prendo tra le braccia, sperando che il battito del mio cuore la calmi, insieme al ciuccio ovviamente. Henry spinge la carrozzina mentre Isabella sta dietro, col borsone.

«Non mi sento molto bene..» improvvisamente ho una nausea pazzesca.

«Hai Mia in braccio, se ti agiti, lei si agita».

Riprendo a respirare meccanicamente. Inspiro, espiro.

Mi posiziono accanto a Henry, Isabella e la carrozzina dietro. Mi stringe la mano e suona il campanello.

Passi veloci raggiungono la porta e la spalancano.

Regina.

Mi si annebbia la vista.

«Mi sento male, prendete la bambina».

Buio.

 

 

 

Note dell'autrice:Questo è il penultimo capitolo della storia. Lo dico per preparavi psicologicamente, soprattutto per tutti quei lettori che sono particolarmente legati a questa ff almeno quanto ci sono legata io.

BUONA PASQUA :)

 

 

 

  
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