High hopes, when you
let it go, go out and start
again
High hopes, when it
all comes to an end
But the world keeps spinning around
Lancio
un’ultima occhiata dentro la stanza, incontrando gli occhi celesti di Vinny,
seri, occhi di chi sa quello che sta facendo e chiudo l’uscio alle mie spalle.
Il rumore della serratura che scatta è un tonfo sordo nelle mie orecchie, un
suono che rimbomba fino in fondo dentro di me, dentro il vuoto che sono ora.
Rimango immobile davanti alla porta, a fissare distrattamente intorno.
Non
riesco a togliermi l’immagine del volto di Mark, non riesco a cancellare la
visione dei suoi occhi neri persi nel nulla. Mi avvio verso il divano che ho
difronte, rimasto vuoto dopo che la gente ha cominciato ad andarsene per via
dell’ora; mentre attraverso la stanza nessuna delle poche persone presenti mi
rivolge la parola: sanno che voglio restare solo.
Appena
mi siedo appoggio i gomiti sulle ginocchia e, quasi istintivamente, adagio la
fronte sulle mani. Le dita si infilano fra i capelli folti e scuri, vi si
aggrappano e tirano, ricordandomi che ciò che sto vivendo non è un orrendo
incubo, è la realtà. Non so cosa fare, non so cosa pensare, non so cosa
sperare. Vorrei tornare in quella stanza e dire a Mark che so esattamente come
aiutarlo, che so come restituirgli tutto quello che ha perso; vorrei andare da
lui e dirgli che ho trovato un modo per far tornare tutto come prima, ma non
posso. Non posso farlo perché non so come aiutare il mio amico, non so neppure
da che parte cominciare. Averlo portato qui, da Vinny, è già qualcosa, ma non
credo sia abbastanza, non visto lo stato d’animo in cui l’ho trovato. Mark era
atterrato, distrutto, nel suo sguardo c’era una tristezza infinita, nel suo
viso emaciato c’era la disperazione e temo che tutto ciò ci sia ancora.
Se
gli fossi stato accanto forse tutto questo non sarebbe successo, se mi fossi
preoccupato più di lui e meno di me forse le cose sarebbero andate
diversamente.
Con
questi pensieri stringo ancora di più i miei capelli e una fitta di dolore mi
attraversa lungo tutta la spina dorsale. Sento dei passi avvicinarsi e subito
riconosco le scarpe e la chitarra di Gabriel:
«Posso?»
chiede, indicando il posto libero che ho accanto.
Alzo
lo sguardo su di lui e annuisco, tentando di abbozzare un sorriso, ma non ci
riesco. Tutte le mie emozioni vengono deviate dalla tristezza che sto provando,
trasformandosi nelle smorfie di una persona sola.
Il
giovane mi si siede accanto lentamente, in modo quasi titubante posa la
chitarra in grembo e prende ad accarezzarla, probabilmente nel tentativo di
trovare le parole giuste per pormi la domanda che, so, è intenzionato a pormi.
Lo
sento prendere fiato e mi metto in ascolto:
«Lui
è tuo fratello?» mi chiede, indicando con il mento la porta dietro cui si trova
Mark.
Non
era esattamente questa la domanda che avevo in mente io, ma forse vuole
raggiungerla per vie traverse.
«No.»
rispondo, senza trovare la forza o la determinazione per aggiungere
qualcos’altro.
Gabriel
rimane in silenzio, forse soppesando accuratamente ogni lettera di ciò che
vuole chiedermi.
Apre
bocca dopo aver respirato a fondo ancora una volta, sfiorando le corde della
sua chitarra che, in risposta, suonano debolmente:
«E
cosa gli è successo?»
Una
fitta improvvisa mi stringe il cuore. Anche se ero preparato a questa domanda
riceverla mi mette a disagio; i sensi di colpa riaffiorano, la tristezza si fa
più persistente, quasi violenta, e credo che, sotto sotto, dentro di me stia
nascendo il terrore.
Mi
faccio forza, voltandomi verso il ragazzo, anche se apro bocca la mia voce ci
mette più tempo del dovuto ad uscire:
«Ha
fatto esattamente come te.»
Temporeggio:
«Ma a lui le cose non sono andate per il verso giusto, al contrario.»
Poso
gli occhi sull’ingresso della stanza di Vinny nel momento esatto in cui Jocelyn
abbassa la maniglia per entrare e scomparire dietro alla porta.
«A
lui le cose sono andate nel peggiore dei modi…» mormoro, per concludere la mia
risposta, ma riconosco a stento la mia stessa voce, tale è il mio stato
d’animo.
Lui
non risponde, rimane in silenzio, continuando ad accarezzare il suo strumento;
non so dove stia guardando, i miei occhi sono bassi e fissi sulle mie mani
congiunte, che vedo tremare debolmente, sicuramente per la tensione.
Jocelyn
non esce dalla stanza e una serie di pensieri negativi si fa largo nella mia
mente, di qualunque entità, ma la vera domanda a cui vorrei trovare risposta in
verità è una sola.
Perché
Mark non mi ha detto niente?
Avrei
potuto fare qualcosa, aiutarlo come mi era possibile, anche solo standogli
accanto o, almeno, provandoci. Invece no, non mi ha avvertito di quello che era
intenzionato a compiere e non so perché si sia rifiutato di farlo; non so
nemmeno dove abbia trovato tutto quel coraggio per riuscirci da solo.
Gabriel
tossisce debolmente, risvegliandomi dai miei pensieri, riportandomi alla realtà
così orrenda che sto vivendo. Il mio corpo intero viene pervaso da un forte
senso di angoscia, un dolore talmente profondo che non so neanche descrivere.
Forse
è per liberarmene che decido di affrontare l’argomento, cercando risposte da
qualcuno che deve aver ragionato come Mark.
«Io
non capisco come ci siate riusciti, dove abbiate trovato la forza per farlo.»
Il
mio tono è basso, la mia voce si rompe quando termino la frase. Gabriel è un
ragazzo sveglio, sa esattamente a cosa mi sto riferendo, sa che gli sto
chiedendo di aiutarmi a capire come lui e Mark siano riusciti a vendere i
proprio sogni.
Lo
vedo voltarsi verso di me, il sorriso rassegnato che già più volte è comparso
sul suo volto quando si è affrontato l’argomento:
«Ci
saresti riuscito anche tu se fossi stato nella nostra situazione, se lo avessi
dovuto fare per qualcuno che ami.»
Percepisco
in ritardo le sue parole, soppesandole accuratamente e tentando di rapportarle
alla mia vita, ma senza risultati soddisfacenti.
Istintivamente
scuoto la testa, amareggiato:
«Non…
non credo ci sarei riuscito, neanche in un caso simile.»
Prendo
fiato e guardo fisso davanti a me prima di parlare ed ammettere la verità:
«Gabriel,
il motivo per cui io non ho venduto il mio sogno, quel giorno, è stato perché ho
avuto paura. Io ho avuto paura e sono scappato.»
Il
ragazzo smette di accarezzare la sua chitarra, il rumore delle corde lievemente
sfiorate cessa e lo sento sospirare, per poi calare nuovamente nel silenzio.
Temo
mi stia giudicando, temo stia perdendo la stima che forse, un po’, prova per
me, ma non saprei assolutamente come dargli torto.
«Non
credere che per me sia stato facile.» comincia e io mi volto a guardarlo, a
questa ammissione.
«Ho
avuto paura anche io, Steve, perché sapevo esattamente a cosa andavo incontro e
ne ero terrorizzato. Ma ho voluto farlo ugualmente perché era necessario se
volevo aiutare le persone alle quali voglio più bene. Sono certo che lo stesso
vale anche per il tuo amico.»
Ci
guardiamo un momento negli occhi, i suoi, verdi, che stanno riacquistando
lucentezza, brillano di tutta la determinazione di cui il ragazzo è capace,
quasi lo invidio per il suo essere così convinto delle sue scelte, mentre io,
nelle ultime ore, mi sono rivelato solo un dubbio continuo.
«Grazie.»
gli dico e lui risponde con un sorriso e un cenno del capo.
Ma
dalla stanza di Vinny continua a non uscire nessuno e io torno a guardare
distrattamente il pavimento in preda all’ansia. Sento Gabriel posarmi una mano
sulla spalla:
«Andrà
tutto bene.» mi dice.
Vorrei
credergli, vorrei veramente farlo perché i suoi occhi sono sicuri delle sue
parole, ma non ci riesco. Lui non conosce Mark come lo conosco io, lui non può
capire cos’abbia significato per me vederlo in quello stato.
Prende
parola subito, come se mi avesse letto nella mente:
«Senti,
io non conosco il tuo amico, ma se ti stai preoccupando così significa che lui
per te è veramente importante. Inoltre vedere la tua preoccupazione mi fa
capire che non avresti mai pensato di poterlo vedere in quello stato e quindi
che, in verità, lui è un uomo forte. Fidati di me, Steve, se è davvero forte
come sospetto tornerà presto quello di un tempo.» conclude sorridendomi ancora
una volta e cala il silenzio.
Annuisco
con la testa, dando mentalmente ragione alle sue parole e sperando anche che
non si sia sbagliato minimamente sull’ultima parte, ma faccio fatica. Sento
l’angoscia riaffiorare, il desiderio di tornare indietro per evitare tutta
questa situazione si fa impellente, quasi vitale. Mi alzo di scatto,
spaventando Gabriel che, di riflesso, sposta il suo strumento per proteggerlo
da tutto ciò che può fargli del male e alza lo sguardo su di me.
«Se
puoi scusarmi…» gli dico, in fretta, la stessa fretta che uso per scendere le
scale stringendomi nella giacca che non
mi sono mai tolto, come se fossi inseguito dai miei più orribili fantasmi.
Appena
sono in strada mi fermo, di colpo. Il freddo mi arriva fino al cervello, il
respiro si condensa in fretta e accelera quando mi rendo conto di non riuscire
a stare fermo. Intorno a me solo buio e silenzio, il lampione che ho a destra
fa brillare la mia ombra nella sua luce arancione, poi la fa scivolare lenta
nel nero. Sento l’agitazione crescermi dentro, terrorizzato all’idea di
rimanere immobile cammino inutilmente avanti e indietro davanti al civico
sette, con il cuore che pompa più sangue di quanto ne abbia bisogno e lo
stomaco stretto in una morsa che lo sta lentamente dilaniando.
Sono
grato a Gabriel, sono davvero felice che lui si sia preoccupato per me, ma
avrei preferito restare da solo. Ha detto che secondo lui Mark tornerà quello
di un tempo, che secondo lui è un tipo forte abbastanza da riuscirci e spero
fortemente sia così. Ma se invece si sbagliasse?
Il
pensiero che le cose possano andare per il verso sbagliato mi perseguita, si fa
sempre più insistente e mi fa sentire morire. Mark è tutto ciò che mi è
rimasto, è l’unica persona che ha continuato a starmi accanto nel corso del
tempo, giorno dopo giorno. Lui è l’unico con cui ho continuato ad avere un
rapporto vero, sincero; la nostra amicizia ha superato il passare degli anni e
pensare che rischia di interrompersi ora, perché io non mi sono preoccupato abbastanza di lui, è un’agonia.
Devono
essere trascorsi almeno dieci minuti da quando sono uscito di fretta dal
palazzo, ma proprio non riesco a calmarmi; tento invano di respirare a fondo un
paio di volte, ma l’ansia che provo continua a pesarmi dentro come un macigno,
facendomi sentire totalmente impotente.
«Steve.»
Mi
blocco, voltandomi appena vedo Jocelyn venire verso di me, indossa il suo
cappotto rosso che la fa risaltare meravigliosamente anche nel buio della sera,
la sua espressione preoccupata mi fa agitare ulteriormente.
«Gabriel
mi ha detto che sei uscito di fretta.»
«Avevo…
solo bisogno di prendere un po’ d’aria, tutto qui, non volevo spaventarlo.»
Lei
mi guarda, seria, preoccupata, io so perfettamente che il mio comportamento è
assurdo, che non devo farla io la parte di quello che ha bisogno di essere
aiutato, non ora, ma non ci riesco, non riesco a trovare la forza per
affrontare la cosa.
«Cosa
c’è che non va?» mi chiede, il respiro argentato che diventa visibile appena
arriva alle sue labbra.
Rimango
immobile a guardarla negli occhi e quasi mi pare di notare un leggero bagliore
renderli meno appannati, ma forse mi sbaglio perché per il resto Jocelyn è la
stessa di sempre. Espiro a pieni polmoni, sentendomi teso come non mai e vengo
pervaso da un forte senso di inquietudine: sono terrorizzato, non so come altro
definire il modo in cui mi sento ora; sono terrorizzato che tutto possa andare
per il verso sbagliato.
Sorpresa
dal mio silenzio, la donna prende parola:
«So
che è per Mark, so che sei preoccupato per lui, ma ha solo bisogno di tempo,
come ne hai avuto bisogno tu e tutte le altre persone che hai conosciuto qui.» indica
l’edificio dietro di sé con un cenno.
Mi
passo una mano fra i capelli, un nodo alla gola mi blocca il respiro e, proprio
per questo, quasi prendo ad ansimare.
«Tu
sai cosa ha fatto?» le chiedo, nella speranza che possa aiutarmi a trovare un
modo per stare accanto al mio amico, un modo qualunque. Io non ho la minima
idea di quello che lui sta attraversando e se voglio poterlo aiutare prima devo
farmene una.
Lei
annuisce, lentamente:
«Sì,
quando sono entrata da Vinny lui ne stava parlando e mi ha permesso di sentire
la sua storia.»
Abbasso
lo sguardo, non riuscendo a reggere oltre. Mi sento sul punto di scoppiare,
vorrei poter gridare per liberarmi di tutta la frustrazione che sento in corpo
ma non ci riesco, sono atterrato.
Mi
copro il viso con le mani, sospirando, sento la mano di Jocelyn appoggiarsi al
mio braccio:
«Steve…»
«È
colpa mia…» mormoro appena, tornando a guardarla.
Lei
mi osserva sorpresa, il respiro che continua a condensarsi.
«Se
gli fossi stato accanto tutto questo non sarebbe successo. Se solo lo avessi
saputo… Avrei fatto il possibile per aiutarlo, avrei fatto qualunque cosa, ma
non sapevo niente. Non ero al corrente delle sue intenzioni, non ero nemmeno al
corrente del fatto che la sua ragazza fosse malata.»
«E
come potevi saperlo? Lui non te l’ha detto perché non voleva dirtelo.»
interviene lei, lasciandomi sconvolto.
«Cosa?»
sussurro.
Fa
cenno di sì con la testa, abbassando lo sguardo per poi riportarlo sul mio più
sicura che mai:
«Mark
non credeva che le cose sarebbero andate così, credeva che si sarebbero risolte
in fretta e non voleva che tu ti preoccupassi più del dovuto per lui. Non lo
aveva calcolato Steve, non avrebbe potuto immaginare che tutto sarebbe andato
per il verso sbagliato.»
Assimilo
le sue parole, le analizzo singolarmente, attentamente; questa verità è quasi
peggiore di ciò che mi sarei aspettato.
«Perché
si è comportato così? Avrei potuto aiutarlo…»
La
risposta di Jocelyn, ancora una volta, è pronta:
«Con
che coraggio sarebbe venuto da te per dirti che aveva preso una decisione
simile? Sapeva che avrebbe ferito i tuoi sentimenti tanto quanto sapeva che tu
lo avresti capito, ma non ce l’ha comunque fatta.»
Distolgo
lo sguardo, pensando. Mark si è sempre preoccupato troppo per me, ha sempre
fatto la parte del fratello maggiore, fin dalle scuole elementari e scoprire
una cosa del genere non mi sorprende più di tanto, in fin dei conti.
Ma
continuo ad essere in ansia per la sua sorte, continuo ad avere paura che le
cose non si sistemino a dovere, per questo il mio stato d’animo non accenna a
migliorare. Se nemmeno lui aveva calcolato che le cose sarebbero potute andare
per il verso sbagliato significa che il colpo subito è stato infinitamente più
forte di quanto chiunque possa immaginare.
E
questo pensiero mi uccide.
«Tornerà
quello di un tempo, vero?» chiedo alla ragazza, sentendo la mia voce
incrinarsi.
Jocelyn
si avvicina ancora di più a me e sorride, con dolcezza:
«Si
sistemerà tutto, soprattutto se accanto a lui c’è una persona come te.»
Vorrei
che lei avesse ragione, lo vorrei veramente, ma quando sto per esprimere a
parole questo pensiero, non ci riesco.
Lei,
infatti, si avvicina ulteriormente e mi abbraccia. Sento le sue mani scorrere
fino alla mia schiena, il viso posarsi sulla mia spalla, i morbidi boccoli neri
hanno lo stesso profumo del vento, il vento che ricordo.
Il
suo gesto mi dà tutta la sicurezza di cui sento di aver bisogno; il mio respiro
si regolarizza, diventando sempre più lento e profondo, il nodo che ho in gola
si scioglie, liberandomi dalla sua sensazione opprimente e i pensieri più
negativi si annebbiano leggermente.
«Andrà
tutto bene.» la sento dire mentre la stringo a me.
Spero
davvero che abbia ragione, lo spero con tutto me stesso perché al momento non
so che altro poter fare. Prima Gabriel e poi Jocelyn, entrambi mi hanno
mostrato cosa vuol dire avere qualcuno vicino nei momenti peggiori, cosa vuol
dire avere un amico ed è ciò che ho intenzione di far vedere anche a Mark, gli
starò accanto, sempre.
«Grazie.»
sussurro e non serve aggiungere altro.