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Autore: xxdrewsbeauty    20/04/2014    14 recensioni
La sua infanzia non fa di certo invidia. E' un ragazzo pieno di problemi, e poi ci si mette pure l'amore. Lui ama lei, lei ama un altro. Ma la storia si ribalta. Lui amerà un'altra, lei amerà lui.
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeremy Bieber, Justin Bieber, Pattie Malette, Ryan Butler, Sorpresa
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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No one’s POV
Il giorno prima pensava di poterlo amare per tutto il resto della sua vita, di poter condividere con lui tutti i momenti che avrebbe trascorso, belli o brutti che sarebbero stati, di poter vivere bene nella loro grande casa e amarlo ogni momento di più, ad ogni trascorrer di secondo.
  Il giorno dopo non pensava più tutto quello, non voleva farlo soffrire ma non provava più nulla per lui, voleva andarsene e eliminare la sua vecchia vita per crearsene un’altra, magari con Justin.
  Ora, invece, era sotto le grinfie malefiche di quel mostro che aveva scambiato come una persona tenera e sensibile fino a poco fa. Si divincolava, non servì a niente. Urlava, servì ancora meno.
  Avrebbe voluto essere un film, dove i buoni ti salvano sempre dalle mani sporche dei cattivi, dove la persona che ami ti viene a salvare dal mezzo della strada, poi ti stringe tra le braccia e ti sussurra: “Va tutto bene, ora ci sono io con te, non me ne andrò”.
  Invece in quel momento non c’era nessuno, nessuno che potesse salvarla e rassicurarla, nessuno che potesse eliminare quei brutti pensieri e quelle impronte sul suo corpo, nessuno che potesse fare qualcosa, che potesse amarla.
Doveva scappare da quella vita di merda. Doveva fuggire, e non sapeva come fare. Il mostro se ne era uscito, lasciandola dolorante e chiusa a chiave nella camera, era in trappola, come una prigioniera. Come una schiava sessuale. Non poteva aspettare il suo ritorno e poi fuggire, doveva agire, e in fretta. Ma che senso aveva lottare, se alla fine avrebbero sempre vinto i cattivi? Un oscuro pensiero le passò ancora una volta per la mente. E se si fosse  fatta trovare come uno straccio appesa al lampadario, con la sua vita che era volata dal corpo?
Raccattò le poche sue cose che poté trovare in quella stanza aprì la finestra, respirò aria pulita, vi si buttò.


Qualche giorno prima si era ritrovato con il telefono in mano, lui a parlare, lei a non ascoltare, la chiamata terminata. Ed ora era sorpreso di vedere quel numero sul display, con la suoneria che gli rompeva i timpani. La cornetta verde lo incitava a rispondere, così la trascinò verso destra.
  «P-pronto» rispose, leggermente nervoso. Si doveva chiudere questa storia, andava avanti da troppo tempo e non poteva sopportare questa tensione ancora per molto, aveva bisogno di riavere il rapporto madre-figlio di circa due mesi fa, aveva bisogno di perdonarla, nonostante tutto.
  Alla fine, avrebbe dovuto arrabbiarsi lei con lui, lui l’aveva abbandonata lì all’ospedale, con la costante paura che il mostro potesse andare a trovarla. Però una brava madre sa prendersi sempre le colpe, anche quelle più brutte, per amore di un figlio.
  «Oh, tesoro.»
  «Mamma.» Se fossero stati l’uno davanti all’altro si sarebbero sorrisi a vicenda, senza spiaccicare parola, lo stavano facendo anche al telefono, ma Patty fu costretta a rompere quella pericolosa lastra di ghiaccio.
  «Vorrei che si aggiust…»
  «Anche io.»
  Una così tale prontezza, come se Justin si aspettasse già quella precisa frase; una così tale felicità da parte della madre, come se lui non avesse avuto intenzione di perdonarla.
  Per fortuna, ora era tutto risolto. Erano bastate meno di una decina di parole per far ritornare tutto come prima. Ora nulla li avrebbe separati. Lui sarebbe comunque vissuto per i fatti suoi in casa sua, lei per i fatti suoi in casa sua, al sicuro dalle azioni violente del mostro, tenendosi sempre in contatto e continuando a incontrarsi, una madre e un figlio.
  Se Justin fosse stato da lei, avrebbe preso la rincorsa per sorprenderla con un enorme abbraccio.


L’unica cosa che in quel momento gli avrebbe potuto far mantenere quel sorriso inebetito era una bella passeggiata. Uscì di casa portandosi dietro solo le chiavi e qualche dollaro, nel caso avesse voluto comprare qualche bevanda fresca.    
  Camminando per le luminose vie di Stratford si accorse che quella mattina era particolarmente soleggiata, i raggi del sole si proiettavano sull’asfalto creando fantastici giochi di ombre, gli uccelli che svolazzavano tra le deboli nuvole. L’ambiente rispecchiava per la prima volta il suo stato d’animo. Si diresse verso la biblioteca, aveva voglia di crogiolarsi con le parole di un libro, ed era quello che avrebbe fatto. Una volta entrato, si diresse verso lo scaffale che ospitava i suoi libri  preferiti. Ne scelse uno che aveva già letto, Il cliente di John Grisham. Lo aprì verso le ultime pagine per rileggere quell’ultimo passo che lo aveva commosso. Era uno dei suoi libri preferiti.
  Senza prestare molta attenzione a dove mettesse i piedi – anche perché conosceva a memoria quel luogo –, si avvicinò ad un tavolo, alzò lo sguardo dal libro e scorse un posto vuoto tra una mora e una bionda. Avrebbe preferito un tavolo dove poter leggere da solo, ma gli altri erano tutti occupati e inoltre non sembrava che quelle persone facessero molta confusione. Così prese posto, e si immerse nella lettura di quelle ultime righe.
  Il  bambino di nome Mark stava per perdere l’unica persona che fino a quel momento l’aveva aiutato, senza neanche conoscerlo, trattandolo come un figlio. E ora stava abbandonando l’affetto di quella donna, e non l’avrebbe rivisto mai più.
  Un po’ quella situazione rispecchiava la sua di qualche mese fa, aveva abbandonato una persona che si era presa cura di lui, proteggendolo. Per fortuna lui aveva rimediato a tutto, quel bambino non l’avrebbe più vista.
Dopo aver riletto quella parte, si guardò attorno, e ebbe l’impressione che la mora alla sua sinistra lo stesse guardando, e quando si girò dalla sua parte riuscì solo a scorgere un movimento di capelli scuri. Rigirò la testa anche lui, indietreggiò con la sedia per alzarsi e prendere un altro libro. Difronte allo scaffale, stava ancora una volta scegliendo un libro. Senza farci caso le sue orecchie seguirono il rumore di una sedia che si spostava e di alcuni passi verso la sua direzione, mentre le sue dita accarezzavano i titoli dei libri. Una volta che quella figura si posizionò al suo fianco, il suo volto assunse un’espressione ancora più impassibile di prima, non si voltò; invece sentì lo sguardo della ragazza costantemente su di lui – con la coda dell’occhio aveva capito che era quella mora che era seduta alla sua sinistra.

  Aveva qualcosa di famigliare, ma non sapeva ancora cosa. C’era un lieve ricordo nella sua mente, ma non sapeva a che occasione associarlo. Finalmente fece la sua scelta e prese un libro intitolato L’avvocato di strada, dello stesso autore, forse il suo preferito. Quando fece per allontanarsi, fu fermato da una voce. «Fermati un attimo, vorrei parlarti.», e così ricordò. Quella voce, quei capelli, quel viso appartenevano a quella ragazza carina, logorroica e ubriaca della discoteca.
  Fece finta di non ricordarsi, e disse: «Scusa, ci conosciamo?»
  Lei abbassò lo sguardo, già molto imbarazzata dalla situazione, e si poteva notare un leggero rossore sulle sue guance. «No, fa niente.» rispose, delusa. Dalla sua espressione Justin capì che era triste, così la fermò, procurandole un sorriso, e dicendole che ora si ricordava chi era, quella ragazza carina. Non voleva vedere le persone soffrire, era troppo per lui.
  «Di cosa volevi parlarmi?» chiese Justin.
  «Della discoteca.» rispose semplicemente, e insieme si avviarono al bar più vicino lasciando disordinatamente sugli scaffali i libri che entrambi avevano scelto.
Presero posto, l’una di fronte all’altro. In realtà nessuno aveva invitato nessuno, ma entrambi volevano dirigersi lì, e così fecero. Il silenzio governava su tutto, l’unico rumore che si poteva sentire era il tintinnare delle posate all’interno del locale e l’unico loro vocio era causato dal cameriere che era arrivato per ritirare le ordinazioni. La ragazza voleva rompere il ghiaccio, ma non ne era capace. Anche Justin avrebbe potuto fare qualcosa, ma non sapeva da dove incominciare. D’altronde era stata lei a chiedergli di parlare, quindi ora doveva agire, doveva dire qualcosa.
  «Allora..» iniziò, la voce tremolante «penso tu abbia capito perché ho voglia di parlarti.»
  «Sinceramente no» disse innocentemente Justin, non ne aveva davvero idea.
  «Volevo prima di tutto scusarmi per averti importunato, ero ubriaca, certo, ma capivo tutto, cioè ero cosciente di quello che facevo..» cercò di farsi capire al meglio, e poi abbassò lo sguardo. E Justin capì il perché, si ricordava che lui l’aveva lasciata sul bancone a parlare con la sua ombra.
  «E quindi ricordo che mi hai lasciato sola..» ecco. «Ma in un certo senso ti capisco, avrei fatto lo stesso. Solo che quando qualcuno lo fa a te è tutto diverso. Ci sono rimasta un po’ male, ecco.» spiegò, mentre il rosso sul viso si accentuava. L’unica cosa che lui seppe dire fu ‘Scusami.’
  Non aveva altre parole, era davvero dispiaciuto, non gli era completamente passato per la testa che lei potesse capire e che ci fosse potuta stare male. Lei non conosceva lui, lui non conosceva lei, quindi cosa poteva accadere? Nulla. Eppure c’era rimasta male sul serio per parlarne con uno sconosciuto. Però i suoi pensieri non presero forma di parola e rimasero in mente, mentre l’espressione della ragazza si trasformò in delusione.
  Non sapendo quindi che fare, si tenne occupato cercando di chiamare il cameriere, al quale chiese di portare due tè, lei annuì. Durante i dieci minuti successivi non si spiaccicò parola, come due sconosciuti, cosa che erano. Il rumore del tè che veniva bevuto riempiva il relativo silenzio.

Ad un trattò lei si alzò, amareggiata, allontanandosi dal tavolo, senza salutare. Justin in un primo momento non capì, ma si svegliò un attimo dopo, lasciando qualche dollaro per pagare le ordinazioni. Usci velocemente catapultandosi nella via percorsa da molta gente, riuscì però a scorgerla, mentre si dirigeva a destra. La rincorse, ma non poteva chiamarla, non sapeva ancora il suo nome. Si stava avvicinando al parco, ebbe così la possibilità di allungare il passo, e la raggiunse.
  «Hei» sussurrò, prendendola dal braccio. «Perché sei scappata?» le chiese. Lei si lasciò cadere su una panchina lì vicino, lo sguardo tra delusione e vergogna. Sembro una bambina, pensò. Alzando lo sguardo, lo invitò con gli occhi a sedersi. 
  «Scusami..» cominciò. «E’ che.. sono una stupida. Ho la tendenza a dire subito quello che penso, e capisco che non te ne freghi nulla. Non ci conosciamo, siamo praticamente sconosciuti, non so come ti chiami, tu non sai come mi chiamo, ma ho sentito il bisogno di dirtelo, mettendoti solo a disagio. Scusami.»
  «Non devi scusarti,» chiarì il ragazzo, «è colpa mia. Non ho pensato in quel momento a cosa avresti potuto pensare, ho agito e basta. Quella sera ero uscito dopo un periodo non molto bello e avevo bisogno di svagarmi, e non mi sembrava adatto svagarmi con una ragazza ubriaca, carina, ma ubriaca, e non sapevo se capissi.» disse, un po’ a disagio, sentendosi strano. Aveva fatto soffrire una ragazza senza volerlo, senza pensarci. Magari succedeva anche a Lisa così, non succedeva per sua spontanea volontà. No okay, sapeva fosse una bugia assurda. Lei lo faceva, e provava piacere.
 
 La ragazza si sentì un po’ meglio. Lui si era scusato, anche se il suo comportamento restava quello di una bambina, che poteva fregargliene? Sicuramente aveva una ragazza, o in quel momento si sentiva con qualcuno. Impossibile che una persona così bella fosse sola, come lei.
  Però aveva detto che aveva avuto un brutto periodo, forse causato da una ragazza?
  Ma che poteva saperne lei? Come poteva permettersi di insinuare qualcosa, senza conoscerlo? Non sapeva il suo nome, non sapeva nulla, e cercava già di indovinare qualcosa sulla sua vita. Le venne da sorridere, ma non causò nessun cambiamento nel viso di lui, continuavano a fissarsi, incapaci di dirsi nulla. Ora toccava a lei parlare, perché non riusciva a dire nulla?
  Così usò il primo argomento che le venne alla mente. Non era solo per parlare, per non stare zitti e per ammazzare il silenzio. Era per curiosità. Curiosità di conoscere il nome di quel ragazzo dagli occhi dolci color caramello.
  «Io sono Selena.» si presentò, porgendogli la mano. Lui la accolse, e con la sua dolce voce le disse: «Io mi chiamo Justin.»
Justin. Cercò di creare una storia intorno a quel nome, come al suo solito, e immaginò un ragazzo dolce, timido e sofferente. 
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Hello! Finalemente sono tornata. E' stato difficile scrivere questo capitolo, forse non è niente di che, ma mi piace davvero molto. Adesso sappiamo chi è quella ragazza, Selena. Okay, sicuramente a questo punto perderò lettori e bla bla, perchè molti odiano i Jelena, ma io li amo e scrivo una storia su di loro yee haha 
Spero che vi sia piaciuto, magari fatemelo sapere<3 <3 Per ultima cosa, BUONA PASQUAA 
ps. Un grazie enorme a Mirea, che mi ha ispirato.
 
Twitter: xxdrewsbeauty
Ask: ilariajachillea
  
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