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Autore: soel95    21/04/2014    2 recensioni
L'arte è ricchezza, passione, studio, dedizione. A tutto questo François ha dedicato l'intera esistenza, ha consacrato sé stesso; quell'idea, quel concetto vago, eppure, allo stesso tempo, tanto definito, ha mosso la sua mano, spingendolo oltre i limiti della storia. Oltre il tempo e lo spazio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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I rintocchi delle campane di Notre-Dame si perdevano lontano, piombando in ogni vicolo, sorvolando i campi arati, carezzando le colline all’orizzonte, giungendo ovunque alle orecchie dei fedeli che abitavano quei luoghi, ridestandoli dal torpore di un'anonima giornata di lavoro e richiamandoli ad una partecipazione attiva dalla quale, per troppo tempo, erano stati esclusi. Madame Bertrand percepiva l’agitazione e l'impazienza che si respirava per le vie di Parigi e ne era incuriosita. Si vedevano uomini e donne di ogni condizione affrettarsi a concludere i propri affari per raggiungere la cattedrale e persino i bambini, forse inconsapevoli del significato storico dell’evento al quale avrebbero assistito ma ugualmente euforici, attraversare rapidi le strade rispondendo al richiamo delle madri; erano anni che non si vedeva un tale ottimismo, una simile speranza riposta nel futuro e nelle azioni di un singolo uomo. Madame Bertrand, dall’alto dei suoi anni, poteva ormai dire di aver visto di tutto: aveva assistito allo splendore della propria nazione, alla sua miseria, al suo crollo e sperimentato la disperazione che ne era generata. Ora però vedeva un soldato ergersi sulle rovine di questo paese devastato dalle più feroci lotte intestine e riaccendere, nei cuori dei suoi concittadini, un ardore sopito dalle disgrazie, un ardore dimenticato ma mai davvero spento. 
In un'atmosfera simile, pregna di gioia ed aspettativa, non riusciva a capacitarsi della reticenza di François, a spiegarsi il fermo rifiuto che aveva opposto alla sua proposta di accompagnarla in città; lui era il primo, dopotutto, a condividere la speranza in un futuro migliore, finalmente sotto la guida di un uomo degno del ruolo che avrebbe dovuto ricoprire, un uomo che aveva dimostrato il proprio valore rischiando la vita più volte per la patria e sostenuto non dall’ambizione personale ma dal solo desiderio riportarla agli antichi fasti e al posto che da sempre le competeva nel mondo. Eppure aveva preferito rimanersene chiuso in casa a completare il quadro al quale stava lavorando da diverse settimane; lei lo aiutava da quando, affrancatosi da monsieur Vien, era riuscito ricavarsi in una piccola abitazione, lo studio privato dove dedicarsi alla propria arte e non lo aveva mai visto bloccarsi. Mai come in quei giorni. Rimaneva ore di fronte al cavalletto, perso nei propri pensieri, un mondo separato da quello reale, senza toccare un singolo pennello, senza macinare alcun tipo di colore, senza fare assolutamente nulla, se non osservare la tela. 
La tela bianca, amica fedele del pittore, in quel periodo gli era divenuta ostile, era come se respingesse ogni sua nuova idea, imprigionandola in un oblio impenetrabile, incatenandola in una dimensione irraggiungibile dalla mente umana, pure quella dell’artista
-Andate voi madame...- le aveva detto con malcelata rassegnazione quella mattina
-Ma... monsieur...-
-Non vi preoccupate per me...- aveva continuato alzando lo sguardo per posarlo sulla figura che, alla porta, attendeva un suo cenno -... devo assolutamente riuscire a liberarmi di queste maledette catene…mi opprimono…mi legano... rivoglio la mia arte!-
-Eppure... mi avete detto più volte di voler essere presente all'evento...-
-Me ne racconterete voi madame... stasera... quando tutto si sarà concluso...- aveva terminato con un sorriso forzato. 
Così se ne andò da sola, lasciandolo immerso nei propri pensieri, a lambiccarsi con le proprie riflessioni, con la sola speranza che l'ispirazione tornasse a visitarlo, ad abitare quell’anima tormentata.

L'agitazione in città non aveva fatto altro che crescere con approssimarsi dell'ora stabilita per l'evento; la popolazione, oramai libera da ogni impiego, si era radunata nei pressi dell'antica cattedrale, di fianco all'ingresso principale, ai margini del percorso che, a breve, sarebbe stato invaso anche da semplici curiosi, ufficiali in alta uniforme, esponenti dell'aristocrazia e dell’alto clero.
Per madame Bertrand non fu affatto semplice riuscire a posizionarsi di fianco all'alto portale strombato di pietra dal quale sarebbe stata in grado di udire ed osservare l'intera cerimonia; era convinta che un simile evento avrebbe giovato a François, alla sua situazione, alla sua immaginazione. Ne era convinta, eppure non era stata in grado di convincerlo ad uscire, a distrarsi, a smettere di rimuginare senza fine sulle immagini mancanti o sui colori inesatti o tutto ciò che gli impediva di concentrarsi appieno sul quadro; ne era convinta, eppure non era stata in grado di fare nulla.
Il vento freddo di dicembre sferzava violento sui volti, tagliava le labbra, gelava le mani, soffiava prepotente sui caldi cuori ricolmi di fiducia dei francesi. Il fuoco che ardeva in loro inesorabile non era affatto minacciato dalle rigidità del tempo o della storia. All'improvviso, da lontano, iniziarono a risuonare le grida dei passanti, un applauso entusiasta si levò dalla folla al passaggio della carrozza e del corteo da cui era accompagnata; i tamburi ne annunciavano l'arrivo, la terra sembrava tremare sotto i passi decisi, l'emozione e l'agitazione erano tangibili, infiammavano l'aria e crescevano senza controllo, si ingrossavano come un fiume in piena, oltrepassandone gli argini eretti a fatica, invadendo le terre circostanti e portando la consapevolezza di una totale impotenza innanzi alla sua forza. Madame Bertrand era più che mai decisa a portare a termine l'obbiettivo che si era preposta: ritornare da François con l'ispirazione giusta per il suo quadro, cercava in ogni modo di farsi strada tra la massa compatta e festante che la schiacciava contro le pareti di Notre-Dame, tentava di sporgersi verso l’esterno per quel poco che le era possibile, così da poter osservare meglio l'interminabile processione che inesorabile continuava ad avanzare verso la cattedrale. 
Il sole di mezzogiorno rischiarava, faceva risplendere, i ricchi ricami degli abiti, le spade sguainate della guardia metropolitana posta a sorvegliare le strade. Dalla carrozza dorata, ferma innanzi all'ampio sagrato, scese infine Napoleone, fiero, orgoglioso, gli occhi alti, fermi e rivolti all'ingresso, per nulla intimorito dai severi sguardi indagatori dei sovrani del passato che lo osservavano dall'alto della trabeazione; sembrava, in silenzio, volerli sfidare e relegare per sempre con il suo nuovo splendore oltre i cancelli dell'oblio impenetrabile. Avanzava, ancora e poi ancora, passo dopo passo, certo del proprio futuro e di quello di tutta la Francia, avanzava in mezzo alle ali della folla, verso un destino traboccante di gloria, l’immortalità del suo nome.

Non era stato semplice per lei. Non aveva mai riflettuto sulla strabiliante genialità di François, sulla sua incredibile capacità di rielaborazione delle immagini all'interno della mente. Non aveva mai provato ad osservare il mondo con i suoi occhi: a meravigliarsi, ad emozionarsi per una semplice variazione di luce, ad incantarsi dinanzi ad un paesaggio, alle fronde di un albero accarezzate dalla brezza, a stupirsi con un nonnulla; gli occhi del pittore erano come quelli di un bambino nuovo al mondo e che mai ne accumuli esperienza, ma ogni giorno lo riscopra nella sua interezza, così interminabilmente nel suo ciclo di rinascita. Non era stato semplice, eppure, dopo ore ininterrotte, era convinta di aver finalmente trovato ciò che cercava. Nell'istante in cui scorse Pio VII, l'eminentissimo pontefice, porgere la corona a Napoleone, offrirgliela, piuttosto che posargliela sul capo, comprese; tutte le conversazioni passate, tutti i pomeriggi trascorsi a fare compagnia a François, intento a dipingere, gli scambi di opinioni e di speranze, presero forma, di delinearono dinanzi a lei portandola, infine, a capire.
Alla fine della cerimonia Madame Bertrand, cominciò a correre; corse per quanto le era consentito dall’abito ingombrante, correva a perdifiato per scappare dalla città nella speranza di raggiungere il suo pittore, quanto prima, e poter condividere con lui l’immagine sublime che per sempre l’avrebbe accompagnata.

-Monsieur Guijon! Monsieur Guijon!- giunse all'improvviso spalancando con vigore l'uscio dell'abitazione dell'uomo -Non avete idea di quante cose devo raccontarvi, ne sarete entusiasta... la cerimonia è stata incredibile...- prese a parlare senza mai fermarsi, togliendosi lo scialle e appoggiandolo su una semplice sedia all'ingresso continuando incontenibile a raccontare ogni dettaglio di quanto era riuscita a scorgere. Le parole fluivano senza controllo: i dettagli osservati, i riflessi ammirati; tentò di raccontargli ogni cosa come in un solo istante, in un unico flusso di pensiero, così da non fargli rimpiangere la propria assenza, così da dargli l'illusione di essere stato realmente presente e aver potuto ammirare ogni cosa con i propri occhi. Eppure vi era qualcosa di strano, non comprendeva di cosa si trattasse ma lo percepiva con certezza; l’abitazione era immersa in un silenzio innaturale. Surreale.
-Monsieur Guijon! Monsieur Guijon ci siete?- si diresse subito nell'unico luogo in cui avrebbe potuto trovarlo ed infatti lì lo vide, seduto alla finestra, il braccio mollemente disteso reggeva ancora il pennello, il capo reclinato come se stesso dormendo; avvicinandosi riprese: -Monsieur, vi siete stancato troppo in questi giorni e...- ma la voce ed il tenero sorriso che l'aveva accompagnata in quella vista si spense, si gelò all'istante quando, sfiorandogli la spalla, si rese conto che era freddo. Troppo freddo.
Prese allora a chiamarlo ed a scuoterlo, con tutta la forza che ancora le restava ma era tutto inutile. Il corpo dell'uomo sebbene assecondasse ogni singolo movimento, non lo faceva per propria scelta, invero, non sarebbe mai più stato in grado di farlo.
Le lacrime iniziarono a rigarle il volto, sfuggendo la gabbia delle ciglia e poi via, lungo le gote scavate mentre la consapevolezza della morte si faceva sempre più chiara; con gli occhi offuscati, il respiro rotto dai singulti del pianto, spostò lo sguardo lungo tutta la stanza che era stata il mondo di François, che aveva rappresentato per lui l'intero universo, indugiando su ogni dettaglio, su ogni particolare che non avrebbe più goduto della sua spensieratezza. Infine lo vide. In mezzo alla camera svettava il cavalletto con l'opera finalmente ultimata, in mezzo alla stanza svettava il suo capolavoro più grande; a quella vista celestiale non poté che abbandonarsi ad un ultimo lieve sorriso verso colui che era diventato il suo più caro amico: -Arrivederci... François- sussurrò appena prima di uscire per sempre da quel grande quadro in continuo divenire che era stata la sua vita.

Dalla finestra aperta che dava sulle colline, una lieve brezza scostava le tende, accarezzava il volto rilassato e soddisfatto dell'uomo, gli scostava i capelli sino a giungere alla tela illuminata dai colori del tramonto: da una città distrutta, dalle sue rovine, un piccolo germoglio riscopriva la vita illuminato da un tenue fascio di luce; un giovane, un uomo, con lo sguardo simile a quello di un falco, puntava la propria preda. Si voltava indietro, dando le spalle al germoglio, proteggendolo dalle città splendenti che svettavano sullo sfondo scuro, difendendolo con il proprio corpo, per questo avrebbe dato la vita e l’anima stessa. Alla cintura, un tricolore sgualcito mosso dal vento ne accompagnava i sogni e le speranze.
  
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