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Autore: writinglove    22/04/2014    2 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Between the hungry

Il tunnel dell'orrore .


Correvo veloce,nonostante di tanto in tanto avvertissi le gambe cedere. Sentivo l’aria spostarmi i capelli e colpirmi il viso delicatamente. Il sangue pompava veloce nelle vene,mentre invano mi guardavo attorno,nervosamente,cercando una via di uscita. Era New York quella? Il cielo tetro,nascosto sotto uno strato di nuvole spesso e angosciante,si rispecchiava sulle vie di quella città immensa,che aveva un qualcosa di spettrale e profondamente scoraggiante. Ero sola. Il vento trasportava pezzi di carta che svolazzavano qua e là,simili a degli uccelli goffi ed incapaci. Camminavo tra le strade grigie e malconce,infilandomi tra le macchine abbandonate in strada. Mi inseguivano e non avevo neppure una misera arma con me,niente…ero sola e abbandonata ad un unico destino. Niente voci,né il suono dello scorrere delle macchine o quello del traffico che una città come quella avrebbe dovuto avere. L’unico rumore che mi inseguiva rompendo quel silenzio che sapeva di morte,era quello degli affamati. D’un tratto smisi di correre e mi fermai davanti un grattacielo,pronta a voltarmi per rendermi conto di quanti ne avessi dietro. Mi girai e fermai l’impulso di chiudere gli occhi. Ce n’erano a decine. Ero pronta per tornare a correre,perché fuggire era l’unica cosa che potessi fare,ma qualcosa mi bloccò. Sentii un peso violento sullo stomaco e una scarica di pugni mi si scatenò sul petto,fermandomi per qualche secondo il respiro. In prima fila scorsi delle ciocche rosse su un viso irriconoscibile : bianco cadaverico,con un pezzo di zigomo mancante. Ma era lei : era Mandy. La osservavo con gli occhi sgranati per il terrore,come se il mio cervello avesse già deciso che sarei morta per mano sua. Si avvicinava,ed io pietrificata continuavo ad osservarla,con la speranza che quella ragazza simpatica e solare,che avevo conosciuto durante il primo giorno di lavoro,sarebbe tornata in sé. Ma lei mi guardava non come un’amica avrebbe dovuto fare,no…lei mi guardava e vedeva davanti a sé una sola cosa : cibo.

Mi svegliai di soprassalto col fiatone,immersa in un bagno di lacrime. Mi guardai attorno e grazie al cielo capii di trovarmi nell’abitacolo del fuoristrada. Me ne stavo buttata a peso morto sul sedile,e quando provai a staccare la schiena da lì,avvertii un dolore alla spalla e uno altrettanto fastidioso al collo. Dio,sarebbe stato meglio dormire sull’asfalto…quel sonno malsano mi aveva resa una specie di catorcio. Mi girai per dare un’occhiata dietro : Lucas dormiva profondamente con la testa appoggiata alla spalla della signora Puckerman. Sorrisi e poi,ancora stordita dal sonno e turbata da quello schifosissimo sogno,aprii lo sportello dell’auto e uscii fuori. Mi stiracchiai e lasciai andare i ricordi di quella realtà distorta in uno sbadiglio. Il sole spezzava l’oscurità della notte e si levava lento nel cielo. Forse erano le sei,forse le sei e qualcosa.  

«Buongiorno» mi disse Noah con un sorriso dal tettuccio della vettura.

Se ne stava seduto con le gambe incrociate ed il fucile poco distante da lui,sulla superficie metallica nera.

«Dio,hai un aspetto terribile!» esclamai osservando le occhiaie bluastre sul suo viso.

«Oh,ti ringrazio…anche tu sembri una rosa questa mattina» rispose ridacchiando.

Scossi la testa sorridendo.

«Tra massimo una mezz’ora ripartiremo,» mi informò il ragazzo «così finalmente potrò chiudere un po’ gli occhi».

Annuii. Non doveva essere stato piacevole passare un’intera notte sveglio,con un fucile tra le mani,e il sonno come nemico. Da lì fino a New York avrei guidato io,era scontato.

«Ne hai vista qualcuna di quelle cose?» chiesi,issandomi sul cofano della vettura per raggiungerlo.

«Tre o quattro,ma erano soli…li ho fatti fuori con il coltello».

Mi sedetti al suo fianco e notai qualche cadavere al lato della strada. Noah mi guardò,con ancora un briciolo di apprensione sul viso,ed io continuai a guardare il sole,cercando di ignorare i suoi occhi che continuavano a ricordarmi quel che era successo il giorno prima.

«Come facevi a sapere che era un attacco di panico,ieri?» ruppi il silenzio.

Sentii il suo sospiro,e così mi voltai. Aveva lo sguardo basso,e sembrava essersi rattristato. Poi gettò gli occhi verso il bosco che si diradava ai lati della strada,e tornò di nuovo ad osservare la vettura sotto di sé.

«Quando passi un anno dentro,impari tante cose che non vorresti imparare…» si limitò a dire con un mezzo sorriso amaro.

Ricordai cos’aveva detto la sera prima,quando mi aveva urlato contro ; aveva detto di essere stato in prigione,e soltanto allora mi tornava in mente quel fatto.

«Perché ci sei finito?» domandai,improvvisamente curiosa.

Lui mi guardò e scosse la testa,come se avesse voluto cancellare qualche brutto ricordo.

«Furto d’auto» rispose,toccandosi la nuca rasata «e anche perché sono un coglione…»

Dedussi dal suo tono di voce che non doveva essere stata una bella esperienza. Il buon senso mi imponeva di chiudere la bocca,ma la curiosità prendeva il sopravvento. Parlare mi distraeva,ed era proprio quello di cui avevo bisogno.

«Hai…hai avuto degli attacchi di panico lì dentro?»

Noah scosse la testa «non io,il mio compagno di cella. Era un incubo.» disse ormai perso nei ricordi pieni di immagini «Ogni notte si svegliava all’improvviso e cominciava ad urlare di volere che sua madre lo perdonasse…ne soffriva ed era un miracolo se riuscivo a chiudere gli occhi per più di tre ore».

«Cos’aveva fatto?»

I suoi occhi divennero ancora più bui.

«Aveva picchiato sua madre fino a mandarla in coma».

Rabbrividii e poi tornò il silenzio. Eravamo soltanto io,Noah,ed i nostri pensieri. Qualcosa all’orizzonte destò la mia attenzione.

«Lì giù» dissi a Puckerman indicando l’affamato con un dito.

Noah annuì,si sfilò il coltello dalla cintura dei jeans e fece per saltare giù dalla macchina.

«Fermo!» esclamai afferrandolo per un lembo della maglia «Ci penso io».

Lui mi guardò interdetto,sorpreso,con la fronte aggrottata e solcata da qualche ruga «sicura?»

Annuii decisa.

Presi il coltello e scesi dalla macchina con un balzo. Avevo le ossa doloranti…ero tutta dolorante. Sentivo ancora una debolezza indescrivibile,ma sapevo che era necessario avere sangue freddo ed avere quanta più esperienza nell’affrontare quelle cose,per cui era giusto che lo uccidessi io. Mi incamminai piano,aspettando quasi che si avvicinasse. Era orrendo come tutti gli altri. Impugnai il coltello saldamente e feci qualche altro passo in avanti. Lo tenevo d’occhio come una tigre pronta a saltare addosso alla sua preda. Era mio,era tutto mio. I muscoli del braccio destro si irrigidivano e poi tornavano a rilassarsi in maniera quasi ritmica. Era inquietante da dire,ma morivo dalla voglia di ammazzarlo.

«Figlio di puttana» bofonchiai tra me e me.

Lo stavo aspettando,ero pronta. I versi di quel mostro erano sempre più rumorosi e vicini.

«Avvicinati,andiamo..»

Feci un altro passo avanti e gli afferrai un lembo della camicia logora all’altezza del petto,lo guardai dritto in quegli occhi morti,e piantai il coltello nel cranio con quanta più forza avessi. Gli schizzi di quel sangue denso e disgustoso mi finirono sul viso e sulla mano. L’affamato cadde a terra privo di vita,e con tutte e due le mani tirai fuori la punta metallica dal suo cervello. Mi voltai a guardare Noah e lui mi fece un gran sorriso,mostrandomi il pollice alzato.

                                                                                                                           *

C'eravamo quasi,New York era vicina. Guidavo da ormai quattro ore buone,ed avevo fatto solamente due soste dall’inizio del viaggio. La prima era stata per un’esigenza "fisiologica",la seconda per riposare un po’ la testa e riempire lo stomaco con del pane e burro di arachidi. Noah dormiva profondamente,come tutti gli altri,e le uniche cose a riempire l’abitacolo di quella grossa e imponente macchina erano i miei pensieri ed il silenzio. Non avevamo incontrato morti durante il tragitto,né avevamo avuto problemi con la strada,ma l’angoscia,la mia angoscia,era forte e vivida come un pugno dritto in pieno viso. Il silenzio e la macchina,che faceva il suo lavoro quasi automaticamente,avevano dato uno spazio ampio ed indesiderato ai miei pensieri. Fluttuavano liberi,intrecciandosi,mischiandosi in astratti ed oscuri disegni,e rendevano l’aria irrespirabile. Cosa ne sarebbe stato di noi?Era giusto andare in una città grande come New York?Perché Noah aveva deciso di rischiare tutto per andare da un suo amico?Cos’erano quelle cose?Sarebbero arrivati dei soccorsi a staccarci dalla melma scura e appiccicosa nella quale eravamo impantanati?Pensavo ad ogni singola domanda ; la formulavo,la riformulavo,allontanavo le parole e le affiancavo nuovamente dando loro un altro senso,ma quella era l’unica cosa che potessi fare. Mi concentravo sulle domande perché non avevo risposte,e quella grossa mancanza era colmata dal vorticare delle mille parole assieme ad altrettanti punti interrogativi. Era strano,ma per la prima volta da quando quell’incubo era iniziato,sentivo un briciolo di forza tornarmi indietro,come un boomerang lanciato goffamente. Tornai a guardare la strada,pur non avendo spostando gli occhi per un secondo dall’asfalto,e mi balenò un ultimo pensiero in mente : New York = meta.

                                                                                

«Siamo vicini» avvisai Noah in un sussurro.

Lui mi guardò ancora stordito,con gli occhi socchiusi per il sonno,e poi annuì.

«Come ci muoveremo in una città come quella?E’ grande,dispersiva…non stiamo parlando di Lima e dei suoi quarantamila abitanti. Penso che New York sarà un bel casino» affermai,voltandomi verso di lui.

Forse avevo parlato un po’ troppo in fretta,perché mi pareva che a malapena avesse capito quel che avevo detto. Era troppo frastornato per rispondermi,e uno sbadiglio gli sfuggì improvvisamente. Si stropicciò gli occhi come un bambino fa appena sveglio,poi sbatté qualche volta le palpebre e rimase a guardarmi. Stavo aspettando una risposta.

«Ce la caveremo,tranquilla. Sarà impossibile muoverci con la macchina,e il casino in strada ci rallenterebbe. Ci muoveremo a piedi ; saremo veloci e silenziosi».

Chissà perché quel suo discorso,intriso di una speranza quasi forzata,mi aveva tirato fuori un grosso sospiro. Troppa incertezza. Sguazzavamo nel dubbio e nella forza innaturale che un pizzico di speranza ci concedeva,ma per me non era sufficiente. Continuai a guardare la strada perché sapevo che se mi fossi concessa la libertà di parlare,sarei finita con lo scatenare un’altra lite.

Nell’ultimo tratto di strada Puckerman aveva deciso di darmi il cambio,perché si era detto che insonnolito com’era non sarebbe stato di alcun aiuto tra le strade della grande mela. Guidare avrebbe forzato la sua concentrazione e si sarebbe ripreso da quella sorta di trance che lo teneva stretto in una morsa a dir poco asfissiante. Io non avevo opposto resistenza : avevo fermato la macchina,avevo abbandonato il posto del guidatore,e mi ero seduta alla sua destra. Avrei impiegato quegli ultimi minuti ad osservare il cielo oscurarsi sopra le nostre teste,ed avrei recitato silenziosamente una qualche preghiera,pur sapendo che nessun Dio ci avrebbe mai aiutati. Il problema dell’avvicinarsi ad una città grande e caotica come New York,era che avevamo abbandonato definitivamente i boschi che ci avevano accompagnato dolcemente sino a poco prima,e avevamo cominciato a vedere all’orizzonte una fila infinita di macchine ferme. Come immaginavo,la strada era impraticabile.

«Che si fa?» domandai a Noah,che aveva rallentato sino quasi a fermarsi.

Il suo viso era contratto ed i suoi occhi studiavano quel che gli si trovava davanti. La fronte corrugata non si rilassò nemmeno per un istante,nemmeno quando i miei occhi si soffermarono per lunghi secondi sulle pieghe di pelle che rendevano il suo viso simile ad un pezzo di carta accartocciato e poi riaperto.

«Non ne ho idea» rispose debolmente,con gli occhi sgranati.

«Potremmo abbandonare la macchina qui e proseguire a piedi,ma sarebbe da incoscienti. Oppure potremmo proseguire nell’altra corsia fino a che la strada ce lo permetta».

«No,» disse scuotendo la testa «non lasceremo la macchina qui. Non se ne parla. Saranno più di dieci chilometri e impiegheremmo troppo tempo camminando. E’ troppo rischioso e mia madre non ce la farebbe».

«Parla per te!» rispose la donna tempestivamente,sentitasi offesa.

Io e Noah sorridemmo.

«Fino a che possiamo,procederemo nell’altra corsia,» continuò subito dopo «poi ci penso io. Cominciate a scaldarvi i muscoli delle gambe,ci aspetta un bel casino».

Sentii una vampata di agitazione scatenarmisi nel petto ed agitarmi lo stomaco in un vortice pieno di preoccupazione. Respirai profondamente,chiusi gli occhi,e cercai di azzittire le domande in merito a quel “ci penso io”.

                                                                                                                          *

«Vedi a che serve saper rubare una macchina,mamma?» disse il ragazzo con un mezzo sorriso,sfregando di nuovo i fili elettrici tra di loro.

«Ma guarda tu che delinquente di un figlio che mi è toccato!» rispose la donna con tono ironico,osservando il figlio all’opera.

«Un delinquente che sa essere utile» ribatté il ragazzo,facendole teatralmente l’occhiolino.

Avevamo proseguito per qualche altro chilometro nell’altra corsia senza avere problemi,poi,però,eravamo rimasti bloccati in un ingorgo che chiudeva completamente la strada. Eravamo scesi,ci eravamo messi sulle spalle i tre zaini colmi di beni primari,ed avevamo impugnato le nostre armi. Avevamo abbandonato la macchina,ma non era nostra intenzione raggiungere la città con la sola forza delle nostre gambe. Avevamo seguito la fila della corsia di ritorno (l’unica che poteva esser definita praticabile),sino a che non avevamo trovato una fine a quel susseguirsi di vetture polverose,sul quale metallo si rispecchiavano i nostri riflessi luminosi. Durante quella corsa angosciante e silenziosa avevamo incontrato ben cinque mostri che gironzolavano in strada in cerca di cibo,per non parlare di tutti quelli che erano rimasti bloccati nelle auto,tenuti a freno solamente da delle cinture di sicurezza. Stupidi. Non avevano la capacità di movimento necessaria per liberarsi e se ne stavano sui sedili,lamentandosi,agitando le braccia cadaveriche,con quel pezzo di stoffa nera che li teneva lontani da noi. Giunti in capo alla fila,dopo aver percorso diverse centinaia di metri,Noah aveva adocchiato una bmw nera e luccicante,che pareva esser perfetta per noi. Lo sportello dalla parte del guidatore era spalancato e quindi non era stato necessario neppure spaccare il finestrino.

«Non è il mio genere,ma andrà più che bene» affermò Noah con un sorrisetto soddisfatto non appena partì il motore.

«Sta’ zitto,che sennò ti do un ceffone!» lo rimproverò la madre, con una finta occhiataccia e gli angoli della bocca piegati all’insù.

Era bello sapere che in quella brutta situazione c’era ancora un motivo per ridere o sorridere,ma non c’era tempo da perdere. Salimmo tutti in macchina,Puckerman al posto del guidatore ed io al suo fianco,come sempre. Non era facile guidare in quel disastro : perdevamo tempo a superare vetture lasciate in mezzo alla strada,e di tanto in tanto gli affamati spuntavano dal nulla e noi li osservavamo attraverso il vetro scuro dell’automobile. Non erano un pericolo finché la macchina era in movimento,ed era quello il vero problema : evitare che si fermasse. Percorremmo un altro chilometro,poi un altro,poi un altro ancora. Per un bel tratto di strada avemmo vita semplice,e dentro di me pregavo che quel sollievo non svanisse e non fosse rimpiazzato di nuovo dalla paura o dal panico.

«Tutto ok,Lucas?» chiesi a mio fratello,voltandomi verso di lui.

Aveva ancora la fasciatura improvvisata a sorreggergli il braccio,ma il dolore andava diminuendo con il passare del tempo. La fronte era velata dal sudore che quell’aria umida e calda creava con facilità. Gli occhi verde scuro erano seri e leggermente socchiusi,i capelli corti e ricci incorniciavano quel viso dall’espressione rigida,quasi severa. Restai per un attimo a guardarlo : Dio,in quel modo sembrava un uomo,non un ragazzo. Lui ricambiò il mio sguardo,accennò un debole sorriso e sospirò.

«Tutto ok» disse con voce ferma.

Analizzai per un istante la sua espressione,i piccoli movimenti del volto,e decisi che forse non stava mentendo. Era tutto ok,per quanto potesse esserlo…

«Ci siamo quasi,ma c’è un problema» avvisò Noah,costringendomi a voltarmi davanti.

Guardai dritto di fronte a me. Sì,c’era un problema. Dall’Holland Tunnel traboccava un groviglio di macchine che non ci avrebbe permesso di proseguire. Chiusi gli occhi ed inspirai ; quell’immagine aveva aumentato consistentemente l’angoscia che avevo provato per l’ultima parte del viaggio.

«Che si fa?»

Puckerman storse la bocca e mi guardò. Aveva in mente qualcosa,ma dalla sua espressione dedussi che non dovesse essere la cosa più sicura del mondo.

«Andiamo a dare un’occhiata io e te,a piedi. Lasciamo l’auto qui e vediamo se è possibile fare la stessa cosa di prima. Ci stai?» mi chiese deciso,guardandomi negli occhi.

Avevo forse scelta?

Scesi dalla vettura con il coltello in mano e la stessa cosa fece Noah ; lasciammo il fucile a sua madre. Ci incamminammo nel tunnel,ed immediatamente avvertii il panico salire dallo stomaco fino ad espandersi alle gambe,le braccia,le mani,e poi salire su fino a prendere il possesso dell’elemento più importante : la testa. Tremavo un po'. Io e Puckerman camminammo per qualche metro sull’asfalto buio,toccando con il busto le macchine per la quale ci trovavamo lì,in quel momento. Le luci della galleria erano spente e l’unico bagliore che entrava era quello all'inizio e alla fine di quella lunga costruzione di cemento.

«Se sono nei dintorni dovre…»

«Shhh!» mi azzittì Noah,portandosi un dito sulla bocca.

Tenevo il coltello saldamente,il braccio teso e pronto ad ogni tipo di scatto rapido ed improvviso,e l’immancabile adrenalina a farmi compagnia. Sangue freddo,mi ripetei cercando di scorgere nel buio che si faceva a mano a mano sempre più fitto. Sentivo il respiro affannoso di Noah davanti a me e intravedevo le sue spalle e la sua nuca che erano illuminate dal debole riflesso della luce del giorno. Era pericoloso ; non riuscivo a togliermi quella parola dalla testa. Pericoloso. Pericoloso. Pericoloso.

«Cazzo!» sbottò Noah,sussultando.

Un lamento si scatenò da sotto una delle vetture affianco alla quale era Puckerman. Il mio cuore aveva preso a battere con la stessa velocità dello sbattere delle ali di un uccellino,e il respiro si era fatto corto,se non quasi inesistente.

«Questo stronzo se ne stava in silenzio e mi ha afferrato la caviglia».

I lamenti si levavano e riempivano quel silenzio che misto al buio creava un’atmosfera a dir poco lugubre. Strinsi la presa sul coltello e mi chinai affianco alla vettura.

«Ci pensi tu?» chiese Noah,osservando le braccia che si agitavano innaturalmente.

«Sì!»

Riempii i polmoni d’aria,e lasciai che i muscoli già tesi del braccio, entrassero in funzione. Aspettavano solo quello ; erano rapidi e pronti ad eseguire un gesto che stranamente sentivo già familiare. La converse sul petto dell’affamato,poi un altro respiro,un altro ancora,trattenni il fiato ed infilai il coltello in un occhio del mostro.

«Gli ho preso un occhio…che schifo!»

Ci fu di nuovo silenzio.

«Se pensi che quell’occhio gli sarebbe servito per guardarci e farci a pezzi,forse proveresti un senso di soddisfazione maggiore,mmh?» disse sarcastico in un sussurro.

«Fa ugualmente schifo!»

Qualche altro metro e la vista divenne un senso decisamente inutile in quel buio pesto. La cosa mi spaventava davvero. E se c’erano dei mostri che non avrebbero emesso alcun lamento?Saremmo potuti essere sbranati da un momento all’altro. Continuavamo a camminare,ignorando la nostra paura,ignorando la voce della sopravvivenza che ci ordinava di tornare indietro,e mano a mano ci addentravamo sempre di più in quel tunnel infinito. Eravamo alla ricerca della macchina all’inizio della fila,ma se la fila non fosse finita lì,ma chilometri più avanti?Un altro pensiero che si presentava costantemente nella mia testa era quello di Lucas e la signora Puckerman soli in quella macchina. E se fossimo stati noi quelli al sicuro,e loro quelli in pericolo?No,quella situazione non mi piaceva.

«Troveremo un altro modo,dai. Torniamo indietro» dissi a Noah un po’ troppo ad alta voce.

«Forse è il caso».

Giusto il tempo di voltarci e poi...

«Hai sentito?» chiese Noah in un sussurro.

Persino il mio respiro si fece meno rumoroso ; mi immobilizzai e tesi le orecchie ad ascoltare. Dei lamenti improvvisi e rumorosi si scatenarono all’unisono,tutti con lo stesso tono denso e graffiante a riempire le pareti nella quale eravamo intrappolati. Socchiusi gli occhi nel tentativo di scorgere nel buio,ma non vedevo nulla. Senza che me ne fossi resa conto,ero tornata a sentire il suono del mio respiro e quello di Noah.

«Via,via!» esclamò Puckerman,cominciando a correre.

Seguivamo il sentiero immaginario che i nostri occhi creavano nell’oscurità. Il passo era veloce,simile ad una corsa che si muniva di un unico senso : il tatto. Sfioravo le macchine con i palmi delle mani e sentivo la polvere incollarsi sulla mia pelle sudata. I versi erano presenti,ma mano a mano sempre più lontani. Quando la luce tornò ad illuminarci,sentii i miei polmoni tornare a riempirsi. Non mi ero accorta che stessi trattenendo il fiato. Strizzai gli occhi per un po’ ; la luce solare mi dava fastidio. Il suono di quelle creature non era cessato e continuava ad avvicinarsi,spingendoci a correre di nuovo,in direzione della macchina.

«Dobbiamo andare via!» urlai a Noah,quando la prima di quelle teste cadaveriche spuntò fuori dal tunnel.

Prima una,poi la seconda,poi la terza,la quinta,la decima,la…persi il conto. Ce ne erano a decine e il mio sguardo si perdeva sui loro corpi in movimento,mentre il cuore cominciava a battere all’impazzata. Forse era la mia impressione,ma per un momento mi sembrò che il loro passo cominciasse ad aumentare. Forse non era la mia impressione e le loro gambe avevano preso ad accelerare perché finalmente avevano trovato qualcosa per cui valesse la pena camminare : cibo. Quando Noah aprì lo sportello e s’infilò dentro la macchina,io ancora stavo addosso al metallo freddo della bmw ad osservare la scena. Non era la prima volta che mi fermavo nella speranza che il tempo si fermasse ; era come se la mia mente ed ogni fibra del mio corpo avesse il bisogno di accertarsi che la vista non si stesse sbagliando. Non sarebbero scomparsi improvvisamente,eppure continuavo a guardarli,restando meravigliata ad ogni loro movimento del fatto che quell’incubo fosse reale.

«Muoviti,entra!» mi gridò Puckerman.

Mi distolsi da quella sorta di trance e filai dentro la vettura,spostando gli occhi da quella massa goffa e mostruosa che si faceva sempre più vicina.

«Rigiriamo ed andiamo via» suggerii al ragazzo con la voce piena di panico.

Lui scosse la testa «non c’è spazio per fare manovra. Siamo circondati».

Quando osservai attraverso i vetri scuri,capii che aveva ragione. Noah fece retromarcia velocemente e guadagnammo una decina di metri,che piano piano venivano strappati dal nostro possesso. Eravamo in trappola.

«Continua la retromarcia!» urlò mio fratello.

Il viso preoccupato di Puckerman si fece ancora più serio e rigido. L’auto indietreggio di un paio di metri,e poi il suo piede affondò sull’acceleratore. Il tonfo dei corpi sotto alla vettura mi fecero sussultare di volta in volta e allo stesso tempo tirare un sospiro di sollievo. Ma erano troppi e nel momento in cui la macchina cercò di farsi spazio sull’asfalto,quelli cominciarono a picchiare sui finestrini e sul cofano,assordendoci con i loro lamenti soffocanti. Il viso sfigurato di una creatura si incollò al vetro scuro alla mia destra,e così fecero altri tre che mi scrutavano con quel loro sguardo famelico. Forse erano venti,forse di più o anche di meno. L’unica cosa che ero in grado di vedere era la nostra fine che si presentava imminente,picchiando su una bmw rubata.

«Romperanno i vetri!» gridai con il cuore in gola.

Mi voltai verso Noah e notai qualcosa di diverso nel suo viso : si era arreso. Non aveva più quel pizzico di determinazione che non l’aveva mai abbandonato dal momento del nostro incontro,né il barlume di speranza misto alla tristezza che aveva accompagnato da sempre il suo sguardo. Scuoteva semplicemente la testa,con il piede fermo sul pedale,e stringeva i denti come se qualcuno stesse attuando una tortura interiore su di lui. Mi voltai verso Lucas e strinsi la sua mano tremolante nella mia che non trovava la forza per avvolgerla a dovere. Accarezzai il dorso di questa con il pollice,e sussurrai un «andrà tutto bene»,pur sapendo che fosse una bugia.

«Stiamo per morire,non è così?» mi chiese mio fratello mentre una lacrima scendeva giù.

Scossi la testa. Come potevo mentire,se il parabrezza della vettura si frantumava lentamente sotto i colpi di quei mostri?Come potevo mentirgli se a poco meno di un metro una creatura urlava la sua fame pretendendoci?Volevo che la sua speranza non sarebbe morta con lui,e che lui non sarebbe morto privo di speranza. Eravamo sopravvissuti tre giorni,giorni in cui avevamo pianto e convissuto con la nostra sofferenza che aveva avuto il sapore delle lacrime. Giorni che non erano bastati a colmare quella che sarebbe dovuta essere una vita intera,giorni che non potevano cancellare il rimpianto del vissuto. L’amaro sulla lingua assieme al salato,la mente persa nei ricordi e nelle immagini fatte di fantasia che alimentavano le ferite nel petto. Ma tutto quello,tutto quello non poteva finire così miseramente. Saremmo stati i tanti fatti a pezzi da quell’incubo,ma non saremmo stati fatti a pezzi senza aver desiderato di continuare a vivere. Io volevo continuare a vivere,anche se mi ero ripetuta che non c’era più vita che valesse la pena di respirare. Avevo ancora bisogno di lottare per un qualcosa,avevo bisogno di vedere mio fratello tornare a sorridere.

«Ehi,basta piangere.» sussurrai sul viso bagnato e contratto di Lucas «Me lo fai un sorriso,mmh?»

Mio fratello mi guardò sorpreso «ma come..»

«Shh» lo interruppi «fammi solo un sorriso,per favore».

Quando quelle labbra scure si schiusero a forza,le mie lacrime cominciarono a scendere ininterrottamente. Mi voltai prima che Lucas potesse vedere un’altra lacrima gocciare a terra,e prima che la mia espressione si perdesse nel dolore che provavo in quel momento.

«Mamma,il fucile» disse Noah,continuando a guardare i pugni che si infrangevano contro il vetro.

«Che vuoi fare?» chiese la donna con un filo di voce.

Noah sospirò,ma nemmeno il suo sospiro colmo di disperazione sarebbe stato in grado di sovrastare i lamenti dei mostri lì fuori.

«E’ arrivato il momento» disse semplicemente,con una finta calma.

Sgranai gli occhi. Avevo capito.

«Non se ne parla!» esclamai immediatamente.

Un altro pugno aumentò la crepa sul vetro.

Noah si girò e mi guardò con le lacrime agli occhi «non sarò divorato mentre sono ancora vivo!Non gli permetterò di torturarmi lentamente!Non lo farò!»

Un’altra lacrima mi colò lungo lo zigomo,fino a carezzarmi la mascella. Che cosa potevo fare?

«No…» biascicai disperata.

Qualcosa distolse all’improvviso il mio sguardo dagli occhi di Puckerman. Un rumore : il rumore di uno sportello aprirsi.

«Ferma!» strillò Lucas con la voce così piena di panico da non sembrare nemmeno la sua.

«Mamma!» gridò Noah con gli occhi talmente sgranati,da assomigliare a due biglie di vetro dalla forma perfettamente rotonda.

La donna era già fuori,sull’asfalto,sovrastata da quelle decine di esseri che la divoravano e le facevano esplodere le più terribili urla dalla gola.

«No!No!No!Mamma!» strillò Puckerman in lacrime,disperato,colpendo il volante ripetutamente.

Ero scioccata. Era successo tutto così velocemente,che nemmeno sembrava reale. Era tutto così assurdo,che persino i più terribili incubi fatti in vita mia,sembravano l’immagine del più dolce paradiso. La donna si era sacrificata per noi. Continuavo a ripetermelo,eppure non riuscivo a metabolizzare l’accaduto o a smuovermi da quella paralisi che presto mi avrebbe potuta portare alla morte.

«Dobbiamo uscire dalla macchina e andarcene!»

Noah non si muoveva.

«Dobbiamo andarcene!» urlai di nuovo,scuotendolo per un braccio.

«No…» biascicò lui.

«Vuoi che tua madre si sia sacrificata per niente?!Vuoi che abbia rinunciato alla sua vita per vederti morire straziato?!»

Scosse un’ultima volta la testa,tra le lacrime,poi aprì lo sportello ed io lo seguì,così come lo seguì Lucas che non proferiva più parola. Gli affamati erano tutti sul cadavere della signora Puckerman e di fronte a noi tornava ad esserci quel tunnel scuro,questa volta vuoto.

Io e Lucas,che impugnava il fucile,correvamo per immergerci nell’oscurità,ma Noah camminava con lo sguardo vuoto.

«Tieni» disse mio fratello porgendo l’arma al ragazzo.

Lui la prese silenziosamente,ed in un attimo fummo inglobati da quelle mura claustrofobiche e chissà quanto infinitamente lunghe. Mentre il buio mi si appiccicava sulla pelle con prepotenza,una domanda si fece spazio nella mia mente,acquisendo una priorità assoluta. La domanda era : fin dove possiamo spingerci per proteggere le persone che amiamo? Posi una mano sulla spalla di Lucas,e lui mi circondò con un braccio. La mia risposta era : lontano,molto lontano. Avrei fatto di tutto per proteggerlo,avrei fatto di tutto per proteggere quella che ormai era la mia nuova famiglia.


Salve gente!Ed eccoci qui con un nuovo ed intenso capitolo. Comincio innanzitutto ringraziandovi,ringraziando tutti coloro che hanno deciso di seguire la storia e di recensirla. Davvero,la vostra fiducia in me è una cosa che mi rende particolarmente entusiasta e felice. Poi,passo a commentare brevemente questo capitolo che probabilmente è il più lungo che abbia mai pubblicato sino ad ora.

Si sa che prima che il sole sorga,il cielo è avvolto dall'oscurità. Il tunnel dell'orrore , è la nostra oscurità. Quando per i nostri tre protagonisti le cose sembrano mettersi per il meglio,si scatena una catastrofe. La povera signora Puckerman ha dato la sua vita per salvare suo figlio e i fratelli Lopez,e questo le fa onore. Povera... 

Comunque vi avviso : il prossimo capitolo sarà davvero,ma davvero lungo ed impegnativo. Mi si è fuso il cervello nello scriverlo,ed è "quel capitolo". Non so se avete capito cosa intendo...beh,spero di si.

Dunque,con la speranza che abbiate gradito questa mia piccola creazione,vi aspetto nelle recensioni per rispondere a delle vostre eventuali domande,o per leggere semplicemente i vostri pareri. Ditemi tutto,non aspetto altro! 

Alla prossima,gente!E quella "prossima" sarà ricca di novità...

  
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