Ventitrè aprile: “The first cut is the deepest.”
Il fallimento e l’angoscia e il rimorso
vengono trangugiati violentemente, bruscamente, velocemente
- quasi non s’avverte il loro retrogusto amaro sulla lingua;
le inghiotti vorace – non vuoi farle vedere queste cose -
mentre il succo traditore delle fragole zampilla
zuccherino contro il palato, spolverando
le labbra sottili di porpora forte e vivace.
Anche questo giorno è andato perso:
si genuflette per l’estrema unzione,
la giornata, prima di annegare, di perire;
ma un nuovo giorno è in procinto di nascere,
vedi il tenue rossore ai confini del cielo ceruleo?
Non tutto è perduto, via:
hai ancora le tue insicurezze e i tuoi terrori apparenti;
le tue preoccupazioni insormontabili e i tuoi desideri egoistici;
hai ancora i preziosi amici accanto,
pronti a sorreggerti sempre e comunque;
hai ancora un padre e una madre che ti osservano -
critici e delusi, certo, ma non ti voltano le spalle;
hai ancora il tuo cuore e la tua mente
affranta, ma vivida e pulsante.
Non tutto è perduto, ti dici:
l’ennesima sconfitta non degrada
come la prima volta, vero?
Perché questa volta è più semplice
accettare, metabolizzare, affrontare.
Forse.
Lasci che l’acqua bollente ti scorra addosso,
s’insinui dentro di te, tra un pensiero e l’altro;
le permetti di inglobare i tuoi singhiozzi muti;
l’acqua pulisce, purifica, depura,
toglie i residui appiccicosi delle lacrime;
non è senza effetti, questa caduta violenta e lo sai,
i sintomi ci sono, ma esiste sempre la guarigione,
una cura c’è sempre.
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