CAPITOLO
DIECI
Quando
Connie uscì dall’ascensore, impegnata
com’era
a guardare il cellulare, non si accorse di star andando a sbattere
contro John,
che proprio in quel momento era sbucato davanti a lei, senza notarla
nemmeno
lui.
Finirono fianco contro fianco e per il contraccolpo rimasero qualche
attimo a
boccheggiare sorpresi.
“John!”
esclamò la ragazza spalancando gli occhi
chiari, sorpresa stranamente di trovare lì il dottore.
“Connie”,
fece l’uomo restando più composto. “Che
ci
fai qui? E’ successo qualcosa?”
“Niente,
ho solo fatto una visita”.
“Il
bambino sta bene?” l’espressione allarmata
dell’uomo
fece piacere alla ragazza, ma lei cercò subito di
rassicurarlo stampandosi sulle
labbra il sorriso più allegro che le potesse venire.
“Sì, stiamo bene tutti e
due. Stanotte ho avuto dei leggeri crampi, ma il medico ha detto che
è tutto a
posto. E’ solo un po’ di stress”.
John
parve subito dispiaciuto. La tirò in disparte,
accanto a una pianta, perché non venissero travolti dai
medici e dai pazienti
che passavano. “Oh, mi spiace. C’è
qualcosa che posso fare?”
Connie
aprì la bocca per dire qualcosa, ma all’ultimo
ci ripensò. Dopotutto, era John. A lui poteva chiederlo.
“Come sta Sherlock?”
È
incorreggibile, pensò il dottore. E’ incinta, non
ha un lavoro né una casa ma pensa solo al fratello. Non sapeva come gli fosse
venuto quel pensiero
ma lo pensava e pensava anche che fosse una cosa…
meravigliosa. Perché il
legame che c’era tra lei e Sherlock era qualcosa
che… qualcosa che lui non era
mai riuscito ad avere con sua sorella e forse nessun altro fratello. E
gli
faceva un po’ invidia, ma gli faceva anche piacere
perché c’era qualcuno in
grado di capire e di aiutare il suo amico. Perché questo era
chiaro, era chiaro
che Sherlock prima o poi avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo
conoscesse
meglio di quanto si conosceva lui.
Forse sarebbe stato lui, ma… sarebbe stato troppo bello. Non
sperava così
tanto, gli bastava soltanto sapere di avere ancora un pezzettino nel
mondo di
Sherlock, nel suo palazzo mentale, se lo sarebbe fatto bastare. Ma
ormai
sembrava star scomparendo anche quello.
“Sta…
sta bene”.
La
ragazza inarcò un sopracciglio guardandolo
storto. Aveva notato la sua esitazione.
“E’
solo un po’ nervoso. Tutto qua”.
La
verità è che mi evita. Ma
questo non glielo disse. Avrebbe
significato ammettere qualcosa che faceva male pure a lui. Dopo quel
bacio
Sherlock aveva iniziato ad evitarlo, a uscire più spesso, a
chiamarlo sempre di
meno ed evitava persino di guardarlo negli occhi, di parlargli se non
quando
era indispensabile.
Quel poco che erano riusciti a costruire si era incrinato e aveva
paura, paura
di perderlo totalmente. E la cosa che gli dava ancora più
fastidio era che con
Sherlock era difficile, se non persino impossibile, comunicare in
maniera
normale, guardarsi dritto in faccia e dirsi tutto. Ma forse non era
soltanto
colpa del detective, forse era anche sua, perché non aveva
il coraggio di
prendere veramente in mano la situazione. L’aveva rifuggita
anche lui.
“Sicuro?
Sono preoccupata”.
“Perché
non torni? Secondo me non è arrabbiato con
te, solo…”, rifletté, in cerca delle
parole giuste. “Gli è passata. Sai
com’è
fatto”.
“E’
meglio di no”, rispose Connie con un debole
sorriso. “Lasciamo passare ancora un po’ di tempo.
Anzi, forse non sarei
nemmeno dovuta tornare. Aveva ragione lui, io non ho più
niente a che fare con
questo posto o con lui. Non so cosa avessi sperato di
ottenere”.
Abbassò lo sguardo evitando anche lei lo sguardo
dell’amico. Ma si vedeva che
soffriva, che quello che aveva appena detto la turbava. Poteva
somigliare al
fratello quanto voleva, ma non era brava a nascondere le sue emozioni
come lui.
“Non
è vero”, la contraddisse John in tono deciso.
“Ha
bisogno di te solo che non lo ammetterà mai. Ti vuole bene.
E’ solo complicato”.
“Sì,
Sherlock è molto complicato”. La ragazza si
incantò a fissare un punto in distanza, mentre il dottore
rimase a tormentarsi
le mani non sapendo che altro aggiungere sull’argomento.
Così decise che era
meglio cambiarlo. “Ti trovi bene con Greg?”
“Sì,
certo. Ma se ho intenzione di rimanere qui mi
dovrò cercare un lavoro”.
“Spero
che tu rimanga”.
Si
sorrisero entrambi, come due complici. “Sai,
John, dovresti dirglielo”.
John la
guardò con espressione confusa. “Dire che cosa a
chi?”
“A
Sherlock che sei innamorato di lui”, gli rispose
lei come fosse la cosa più ovvia del mondo. Questa volta fu
il turno dell’uomo
abbassare lo sguardo. Non ne era tanto convinto, avrebbe potuto
rovinare le
cose ancora di più. “E a quale scopo? Lui non
prova lo stesso per me”.
“Sono
sicura che questo non è vero. Anche lui ti ama”.
“Lui
mi ama?” Non avrebbe mai pensato di sentire le
parole amare e Sherlock
nella stessa frase. Si sarebbe aspettato un “anche lui ci
tiene a te”, o “anche lui ti vuole bene”.
Ma amare era forte. E come facesse
Connie ad esserne così sicura era un mistero. O forse glielo
diceva perché le
faceva troppa pena.
“Certo!
E se facessi un po’ più di attenzione te ne
accorgeresti”.
Già,
forse, peccato che ora come ora era un po’
difficile. Era passata quasi una settimana e ancora non avevano parlato
di quel
bacio. Ma John era sicuro che per il detective non era significato
niente; non
era nemmeno in sé quando glielo aveva dato.
Evitò anche di dire a Connie che da un paio di giorni aveva
iniziato a
frequentare un’altra persona, un’infermiera che, da
quando le aveva chiesto di
uscire, non faceva che lanciargli occhiatine ogni volta che gli passava
davanti. E a volte lo faceva apposta, a passargli davanti. Ma la cosa
peggiore
era che per lei non provava niente. Certo, era carina, aveva anche
senso dell’umorismo,
ma… non era Sherlock. Che poi, per carità, non
usciva con lei solo per far
ingelosire l’amico, non era mica una teenager in piena crisi
ormonale, voleva
solo… non sapeva nemmeno lui che cosa voleva. Sfogarsi?
Autoconvincersi di
qualcosa di cui nemmeno lui era più convinto? Disinnamorarsi
di Sherlock? Impossibile…
ma com’era successo tutto questo? E quando era iniziato? Se
glielo avessero
detto tempo fa ci avrebbe riso sopra per giorni. Il bello, poi, era che
non era
nemmeno gay. Era solo Sherlocksessuale come
una volta gli aveva fatto notare Connie. Non si trattava di tutti gli
uomini,
si trattava solo di uno.
Ma
basta, doveva scacciare tutti quei pensieri o non
sarebbe più riuscito a pensare ad altro. Con la scusa di
avere tanti pazienti
da visitare, che poi tanto scusa non era, John salutò Connie
e corse nel suo
studio, sorridendo imbarazzato alla sua nuova conquista quando la vide
appoggiata al bancone della caposala. Era provocante, con quei capelli
biondi e
quelle curve. Ma non era Sherlock.
Forse
avrebbe potuto chiedere qualcos’altro a
Connie. Peccato che anche lei avesse la tendenza a lasciare sempre le
cose in
sospeso, a non concludere mai i propri discorsi, come in uno di quei
film in
cui devi cercare di capire le cose da solo e scoprire solo al finale se
hai
indovinato oppure no.
Lei, Mycroft e Sherlock. Ma cosa aveva quella famiglia? Il morbo del
mistero?
Connie
finì di preparare la tavola e infine appoggiò
i due cartocci colmi di cibo cinese in mezzo al tavolo. Aveva persino
acceso
due candele per creare un’atmosfera romantica. Non aveva
l’idea esatta del
perché, le andava di farlo. Sperava di distrarsi un
po’ e di scacciare i brutti
pensieri.
Quando
Greg rientrò dal bagno rimase piuttosto
sbigottito nel vedere tutto quello.
“Wow!
A cosa lo devo?”
“E’
per ringraziarti dell’ospitalità e del fatto che
sei mio amico nonostante sia poco tempo che ci conosciamo”.
“Figurati!”
All’uomo non venne nient’altro da dire e
rimase come un baccalà fermo sulla soglia. Era sorpreso,
sì, ma in modo
positivo.
Connie allora gli scostò la sedia e gli fece cenno di
accomodarsi. Greg non se
lo fece ripetere due volte. “Ci siamo scambiati i
ruoli?”
“E
che c’è di male?” Anche lei si
accoccolò sulla sua,
prendendo le bacchette e mettendo gli involtini di riso nel piatto.
“Com’è
andata la giornata?” gli chiese poi, come una brava
mogliettina che cena col
marito.
E nonostante l’intimità inaspettata, entrambi si
sentivano a proprio agio.
“Bene.
Niente di che”.
“Nessun
omicidio su cui indagare?”
“Per
fortuna no”.
“Per
sfortuna di mio fratello”.
“A
proposito, l’hai visto?”
Lo
sguardo della ragazza si fece più cupo. Meno
male che voleva pensare ad altro “No”.
“E
Mycroft? Con lui hai parlato?”
Ecco,
di male in peggio. Sperava solo che Lestrade
non la volesse mettere di cattivo umore. “No. Nemmeno lui mi
vuole parlare”.
Greg
sapeva che forse non era il caso e che non
erano affari suoi, tuttavia doveva chiederlo: “Ma
cos’è successo tra te e
Mycroft? Perché ce l’ha tanto con te?”
Connie
lasciò ciondolare le bacchette tra le dita e
rimase a fissare il proprio piatto vuoto. Che cos’era
successo tra lei e
Mycroft? Già… era una bella domanda. Di fatto tra
lei e Mycroft non era
successo niente. Era quello che era successo tra lei e Sherlock.
“Tanti
anni fa…”, iniziò, senza guardare
l’amico. “è
successo che…”. No, non era il caso.
“Senti, ti dispiace se te lo racconto in
un altro momento? Mi…”.
“D’accordo”,
la interruppe l’uomo. “Non voglio farti
pressione. Quando ne avrai voglia, se vorrai, mi puoi dire quello che
vuoi”.
La
ragazza gli sorrise teneramente. “Grazie”.
“Figurati”.
Aveva
cominciato a rivalutare molte cose, Greg, in
quei pochi giorni che aveva passato con Connie. Aveva cominciato a
rivalutare
il comportamento di Sherlock, persino, perché capiva, dal
suo legame con la
sorella, che c’era qualcosa di più, qualcosa che
andava ben aldilà dell’atteggiamento
distante e superbo del detective.
Forse qualcosa che lo avrebbe spaventato. O sconvolto. O
chissà.
Osservò
la ragazza portare alla bocca il proprio
cibo, quando si accorse che si era sporcata leggermente con la salsa.
La sua
mano reagì prima che potesse farlo il cervello.
Afferrò una salvietta e le pulì
il punto in cui si era sporcata. Lei restò a guardarla
confusa e sbigottita.
Poi lui le passò il pollice sul labbro morbido, molto
delicatamente, come se
stesse toccando un oggetto molto fragile.
Il suo cervello aveva perso ogni cognizione.
“Greg?”
sussurrò lei, gli occhi azzurri in quelli
dell’uomo.
“Hmm?”
mormorò lui, godendo della sua voce e
delle sue labbra
che pronunciavano il
suo nome.
“Sono
incinta”:
“Questo
lo so”.
Lo
sapeva, ma questo non gli impedì di avvicinarsi a
lei e di baciarla. E a lei non impedì di ricambiare, quel
bacio.
“Sherlock,
vado a fare la spesa. Ti serve qualcosa?”
chiese John, avvicinandosi all’amico steso sulla poltrona.
Aveva gli occhi
chiusi ma era chiaro che non dormiva. Pensava, probabilmente.
“Abbiamo
finito il latte”, gli rispose.
“D’accordo”.
Il
dottore fece per allontanarsi, ma un mugolio dell’altro
lo fece tornare sui suoi passi. “Come?”
“Come
si chiama?”
John
inarcò un sopracciglio. “Chi?”
“La
ragazza che frequenti”.
“Come…”.
Rinunciò a concludere la frase. Era Sherlock,
scopriva sempre tutto. Probabilmente aveva letto i suoi messaggi.
“Hai
un odore diverso. Sei stato con lei”.
Ok,
forse non aveva letto i suoi messaggi. Ma avrebbe
di gran lunga preferito che l’avesse scoperto
così. E invece era stato il suo
odore… il suo maledettissimo profumo di Chanel. E Sherlock
se n’era accorto. Questo
significava che Sherlock sapeva com’era il suo odore senza
quello forte e quasi
nauseante di lei.
Perché lo faceva impazzire così?
Perché desiderava soltanto buttarglisi addosso
e abbracciarlo, stringerlo forte a sé?
Gli sembrava così ferito, Sherlock. Non c’era
nessuna vena derisoria nella sua
voce quando gli aveva posto quella domanda, né di scherno o
di disapprovazione.
Solo… accettazione. Una triste e malinconica accettazione. E
tanta stanchezza.
“Si
chiama Cindy. E sì, sono stato con lei”.
Riuscì ad
abbandonare l’appartamento prima che il suo corpo facesse
qualcosa di
completamente stupido.
Ma
avrei preferito stare con te.
MILLY’
SPACE
Wow,
ho scritto questo capitolo praticamente di getto, in
poco più di un’ora e spero sia venuta una cosa
decente. È un po’ particolare,
lo so, forse diverso dai precedenti, ma ho cercato di metterci
passione. Spero
sia riuscito ^^
Non pensavo nemmeno che avrei aggiornato questa sera ma le vostre
recensioni mi
hanno convinta a farlo.
Allora è vero che vi devo minacciare per ottenere qualche
commento ^^ ahaha.
Va be’, spero commenterete anche questo.
Un
bacione,
Milly.
P.S.
ma cosa ne pensate della coppia Greg/Connie?
Potrebbe funzionare? Io ho delle ideuzze in mente per loro, ma ditemi
un po’
voi se ne vale la pena.
MONKEY_D_ALICE:
eh, è bravo chi capisce Sherlock. Ma noi lo amiamo lo stesso
^^ ahaha XD eh, vediamo
che succederà più avanti. Grazie della
recensione, a presto. M
GINALEXY:
eccoti accontentata. Ma ancora molti nodi devono venire al pettine.
Continua a
seguire. Un bacione, M.
AMAYAFOX91:
nemmeno a me piacciono le storie raccontate da personaggi interni,
quindi nelle
mie non ne dovresti trovare. A meno che non faccia proprio qualche
eccezione ^^
Mycroft è un personaggio che piace anche a me ed
effettivamente forse sono stata
un po’ cattiva e affrettata a renderlo quasi un antagonista.
Ma non ti
preoccupare, si rifarà. Mi dispiace per gli errori di
battitura, ma ho sono
pigra e non ho voglia di rileggere i capitoli ^^
P.S. spero di riuscire ad aggiornare presto anche “Human
love…”, ma non
prometto niente perché il lavoro è ancora in
cantiere e ci sono ancora un sacco
di cose da scrivere. MI fa piacere però sapere che mi segui
anche qui.
Baci, M.