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Autore: millyray    24/04/2014    1 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DIECI

Quando Connie uscì dall’ascensore, impegnata com’era a guardare il cellulare, non si accorse di star andando a sbattere contro John, che proprio in quel momento era sbucato davanti a lei, senza notarla nemmeno lui.
Finirono fianco contro fianco e per il contraccolpo rimasero qualche attimo a boccheggiare sorpresi.

“John!” esclamò la ragazza spalancando gli occhi chiari, sorpresa stranamente di trovare lì il dottore.

“Connie”, fece l’uomo restando più composto. “Che ci fai qui? E’ successo qualcosa?”

“Niente, ho solo fatto una visita”.

“Il bambino sta bene?” l’espressione allarmata dell’uomo fece piacere alla ragazza, ma lei cercò subito di rassicurarlo stampandosi sulle labbra il sorriso più allegro che le potesse venire. “Sì, stiamo bene tutti e due. Stanotte ho avuto dei leggeri crampi, ma il medico ha detto che è tutto a posto. E’ solo un po’ di stress”.

John parve subito dispiaciuto. La tirò in disparte, accanto a una pianta, perché non venissero travolti dai medici e dai pazienti che passavano. “Oh, mi spiace. C’è qualcosa che posso fare?”

Connie aprì la bocca per dire qualcosa, ma all’ultimo ci ripensò. Dopotutto, era John. A lui poteva chiederlo. “Come sta Sherlock?”

È incorreggibile, pensò il dottore. E’ incinta, non ha un lavoro né una casa ma pensa solo al fratello.  Non sapeva come gli fosse venuto quel pensiero ma lo pensava e pensava anche che fosse una cosa… meravigliosa. Perché il legame che c’era tra lei e Sherlock era qualcosa che… qualcosa che lui non era mai riuscito ad avere con sua sorella e forse nessun altro fratello. E gli faceva un po’ invidia, ma gli faceva anche piacere perché c’era qualcuno in grado di capire e di aiutare il suo amico. Perché questo era chiaro, era chiaro che Sherlock prima o poi avrebbe avuto bisogno di qualcuno che lo conoscesse meglio di quanto si conosceva lui.
Forse sarebbe stato lui, ma… sarebbe stato troppo bello. Non sperava così tanto, gli bastava soltanto sapere di avere ancora un pezzettino nel mondo di Sherlock, nel suo palazzo mentale, se lo sarebbe fatto bastare. Ma ormai sembrava star scomparendo anche quello.

“Sta… sta bene”.

La ragazza inarcò un sopracciglio guardandolo storto. Aveva notato la sua esitazione.

“E’ solo un po’ nervoso. Tutto qua”.

La verità è che mi evita. Ma questo non glielo disse. Avrebbe significato ammettere qualcosa che faceva male pure a lui. Dopo quel bacio Sherlock aveva iniziato ad evitarlo, a uscire più spesso, a chiamarlo sempre di meno ed evitava persino di guardarlo negli occhi, di parlargli se non quando era indispensabile.
Quel poco che erano riusciti a costruire si era incrinato e aveva paura, paura di perderlo totalmente. E la cosa che gli dava ancora più fastidio era che con Sherlock era difficile, se non persino impossibile, comunicare in maniera normale, guardarsi dritto in faccia e dirsi tutto. Ma forse non era soltanto colpa del detective, forse era anche sua, perché non aveva il coraggio di prendere veramente in mano la situazione. L’aveva rifuggita anche lui.

“Sicuro? Sono preoccupata”.

“Perché non torni? Secondo me non è arrabbiato con te, solo…”, rifletté, in cerca delle parole giuste. “Gli è passata. Sai com’è fatto”.

“E’ meglio di no”, rispose Connie con un debole sorriso. “Lasciamo passare ancora un po’ di tempo. Anzi, forse non sarei nemmeno dovuta tornare. Aveva ragione lui, io non ho più niente a che fare con questo posto o con lui. Non so cosa avessi sperato di ottenere”.
Abbassò lo sguardo evitando anche lei lo sguardo dell’amico. Ma si vedeva che soffriva, che quello che aveva appena detto la turbava. Poteva somigliare al fratello quanto voleva, ma non era brava a nascondere le sue emozioni come lui.

“Non è vero”, la contraddisse John in tono deciso. “Ha bisogno di te solo che non lo ammetterà mai. Ti vuole bene. E’ solo complicato”.

“Sì, Sherlock è molto complicato”. La ragazza si incantò a fissare un punto in distanza, mentre il dottore rimase a tormentarsi le mani non sapendo che altro aggiungere sull’argomento. Così decise che era meglio cambiarlo. “Ti trovi bene con Greg?”

“Sì, certo. Ma se ho intenzione di rimanere qui mi dovrò cercare un lavoro”.

“Spero che tu rimanga”.

Si sorrisero entrambi, come due complici. “Sai, John, dovresti dirglielo”.

John  la guardò con espressione confusa. “Dire che cosa a chi?”

“A Sherlock che sei innamorato di lui”, gli rispose lei come fosse la cosa più ovvia del mondo. Questa volta fu il turno dell’uomo abbassare lo sguardo. Non ne era tanto convinto, avrebbe potuto rovinare le cose ancora di più. “E a quale scopo? Lui non prova lo stesso per me”.

“Sono sicura che questo non è vero. Anche lui ti ama”.

“Lui mi ama?” Non avrebbe mai pensato di sentire le parole amare e Sherlock nella stessa frase. Si sarebbe aspettato un “anche lui ci tiene a te”, o “anche lui ti vuole bene”. Ma amare era forte. E come facesse Connie ad esserne così sicura era un mistero. O forse glielo diceva perché le faceva troppa pena.

“Certo! E se facessi un po’ più di attenzione te ne accorgeresti”.

Già, forse, peccato che ora come ora era un po’ difficile. Era passata quasi una settimana e ancora non avevano parlato di quel bacio. Ma John era sicuro che per il detective non era significato niente; non era nemmeno in sé quando glielo aveva dato.
Evitò anche di dire a Connie che da un paio di giorni aveva iniziato a frequentare un’altra persona, un’infermiera che, da quando le aveva chiesto di uscire, non faceva che lanciargli occhiatine ogni volta che gli passava davanti. E a volte lo faceva apposta, a passargli davanti. Ma la cosa peggiore era che per lei non provava niente. Certo, era carina, aveva anche senso dell’umorismo, ma… non era Sherlock. Che poi, per carità, non usciva con lei solo per far ingelosire l’amico, non era mica una teenager in piena crisi ormonale, voleva solo… non sapeva nemmeno lui che cosa voleva. Sfogarsi? Autoconvincersi di qualcosa di cui nemmeno lui era più convinto? Disinnamorarsi di Sherlock? Impossibile… ma com’era successo tutto questo? E quando era iniziato? Se glielo avessero detto tempo fa ci avrebbe riso sopra per giorni. Il bello, poi, era che non era nemmeno gay. Era solo Sherlocksessuale come una volta gli aveva fatto notare Connie. Non si trattava di tutti gli uomini, si trattava solo di uno.

Ma basta, doveva scacciare tutti quei pensieri o non sarebbe più riuscito a pensare ad altro. Con la scusa di avere tanti pazienti da visitare, che poi tanto scusa non era, John salutò Connie e corse nel suo studio, sorridendo imbarazzato alla sua nuova conquista quando la vide appoggiata al bancone della caposala. Era provocante, con quei capelli biondi e quelle curve. Ma non era Sherlock.

Forse avrebbe potuto chiedere qualcos’altro a Connie. Peccato che anche lei avesse la tendenza a lasciare sempre le cose in sospeso, a non concludere mai i propri discorsi, come in uno di quei film in cui devi cercare di capire le cose da solo e scoprire solo al finale se hai indovinato oppure no.
Lei, Mycroft e Sherlock. Ma cosa aveva quella famiglia? Il morbo del mistero?

 

Connie finì di preparare la tavola e infine appoggiò i due cartocci colmi di cibo cinese in mezzo al tavolo. Aveva persino acceso due candele per creare un’atmosfera romantica. Non aveva l’idea esatta del perché, le andava di farlo. Sperava di distrarsi un po’ e di scacciare i brutti pensieri.

Quando Greg rientrò dal bagno rimase piuttosto sbigottito nel vedere tutto quello.

“Wow! A cosa lo devo?”

“E’ per ringraziarti dell’ospitalità e del fatto che sei mio amico nonostante sia poco tempo che ci conosciamo”.

“Figurati!” All’uomo non venne nient’altro da dire e rimase come un baccalà fermo sulla soglia. Era sorpreso, sì, ma in modo positivo.
Connie allora gli scostò la sedia e gli fece cenno di accomodarsi. Greg non se lo fece ripetere due volte. “Ci siamo scambiati i ruoli?”

“E che c’è di male?” Anche lei si accoccolò sulla sua, prendendo le bacchette e mettendo gli involtini di riso nel piatto. “Com’è andata la giornata?” gli chiese poi, come una brava mogliettina che cena col marito.
E nonostante l’intimità inaspettata, entrambi si sentivano a proprio agio.

“Bene. Niente di che”.

“Nessun omicidio su cui indagare?”

“Per fortuna no”.

“Per sfortuna di mio fratello”.

“A proposito, l’hai visto?”

Lo sguardo della ragazza si fece più cupo.  Meno male che voleva pensare ad altro “No”.

“E Mycroft? Con lui hai parlato?”

Ecco, di male in peggio. Sperava solo che Lestrade non la volesse mettere di cattivo umore. “No. Nemmeno lui mi vuole parlare”.

Greg sapeva che forse non era il caso e che non erano affari suoi, tuttavia doveva chiederlo: “Ma cos’è successo tra te e Mycroft? Perché ce l’ha tanto con te?”

Connie lasciò ciondolare le bacchette tra le dita e rimase a fissare il proprio piatto vuoto. Che cos’era successo tra lei e Mycroft? Già… era una bella domanda. Di fatto tra lei e Mycroft non era successo niente. Era quello che era successo tra lei e Sherlock.

“Tanti anni fa…”, iniziò, senza guardare l’amico. “è successo che…”. No, non era il caso. “Senti, ti dispiace se te lo racconto in un altro momento? Mi…”.

“D’accordo”, la interruppe l’uomo. “Non voglio farti pressione. Quando ne avrai voglia, se vorrai, mi puoi dire quello che vuoi”.

La ragazza gli sorrise teneramente. “Grazie”.

“Figurati”.

Aveva cominciato a rivalutare molte cose, Greg, in quei pochi giorni che aveva passato con Connie. Aveva cominciato a rivalutare il comportamento di Sherlock, persino, perché capiva, dal suo legame con la sorella, che c’era qualcosa di più, qualcosa che andava ben aldilà dell’atteggiamento distante e superbo del detective.
Forse qualcosa che lo avrebbe spaventato. O sconvolto. O chissà.

Osservò la ragazza portare alla bocca il proprio cibo, quando si accorse che si era sporcata leggermente con la salsa. La sua mano reagì prima che potesse farlo il cervello. Afferrò una salvietta e le pulì il punto in cui si era sporcata. Lei restò a guardarla confusa e sbigottita.
Poi lui le passò il pollice sul labbro morbido, molto delicatamente, come se stesse toccando un oggetto molto fragile.
Il suo cervello aveva perso ogni cognizione.

“Greg?” sussurrò lei, gli occhi azzurri in quelli dell’uomo.

“Hmm?” mormorò lui, godendo della sua voce e delle  sue labbra che pronunciavano il suo nome.

“Sono incinta”:

“Questo lo so”.

Lo sapeva, ma questo non gli impedì di avvicinarsi a lei e di baciarla. E a lei non impedì di ricambiare, quel bacio.

 

“Sherlock, vado a fare la spesa. Ti serve qualcosa?” chiese John, avvicinandosi all’amico steso sulla poltrona. Aveva gli occhi chiusi ma era chiaro che non dormiva. Pensava, probabilmente.

“Abbiamo finito il latte”, gli rispose.

“D’accordo”.

Il dottore fece per allontanarsi, ma un mugolio dell’altro lo fece tornare sui suoi passi. “Come?”

“Come si chiama?”

John inarcò un sopracciglio. “Chi?”

“La ragazza che frequenti”.

“Come…”. Rinunciò a concludere la frase. Era Sherlock, scopriva sempre tutto. Probabilmente aveva letto i suoi messaggi.

“Hai un odore diverso. Sei stato con lei”.

Ok, forse non aveva letto i suoi messaggi. Ma avrebbe di gran lunga preferito che l’avesse scoperto così. E invece era stato il suo odore… il suo maledettissimo profumo di Chanel. E Sherlock se n’era accorto. Questo significava che Sherlock sapeva com’era il suo odore senza quello forte e quasi nauseante di lei.
Perché lo faceva impazzire così? Perché desiderava soltanto buttarglisi addosso e abbracciarlo, stringerlo forte a sé?
Gli sembrava così ferito, Sherlock. Non c’era nessuna vena derisoria nella sua voce quando gli aveva posto quella domanda, né di scherno o di disapprovazione. Solo… accettazione. Una triste e malinconica accettazione. E tanta stanchezza.

“Si chiama Cindy. E sì, sono stato con lei”. Riuscì ad abbandonare l’appartamento prima che il suo corpo facesse qualcosa di completamente stupido.

Ma avrei preferito stare con te.

 

 

MILLY’ SPACE

Wow, ho scritto questo capitolo praticamente di getto, in poco più di un’ora e spero sia venuta una cosa decente. È un po’ particolare, lo so, forse diverso dai precedenti, ma ho cercato di metterci passione. Spero sia riuscito ^^
Non pensavo nemmeno che avrei aggiornato questa sera ma le vostre recensioni mi hanno convinta a farlo.
Allora è vero che vi devo minacciare per ottenere qualche commento ^^ ahaha.
Va be’, spero commenterete anche questo.

Un bacione,
Milly.

P.S. ma cosa ne pensate della coppia Greg/Connie? Potrebbe funzionare? Io ho delle ideuzze in mente per loro, ma ditemi un po’ voi se ne vale la pena.

MONKEY_D_ALICE: eh, è bravo chi capisce Sherlock. Ma noi lo amiamo lo stesso ^^ ahaha XD eh, vediamo che succederà più avanti. Grazie della recensione, a presto. M

GINALEXY: eccoti accontentata. Ma ancora molti nodi devono venire al pettine. Continua a seguire. Un bacione, M.

AMAYAFOX91: nemmeno a me piacciono le storie raccontate da personaggi interni, quindi nelle mie non ne dovresti trovare. A meno che non faccia proprio qualche eccezione ^^ Mycroft è un personaggio che piace anche a me ed effettivamente forse sono stata un po’ cattiva e affrettata a renderlo quasi un antagonista. Ma non ti preoccupare, si rifarà. Mi dispiace per gli errori di battitura, ma ho sono pigra e non ho voglia di rileggere i capitoli ^^
P.S. spero di riuscire ad aggiornare presto anche “Human love…”, ma non prometto niente perché il lavoro è ancora in cantiere e ci sono ancora un sacco di cose da scrivere. MI fa piacere però sapere che mi segui anche qui.
Baci, M.

  
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