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Autore: Snehvide    18/07/2008    12 recensioni
Capelli arruffati dal cuscino e dalle tue stramaledette dita.
Camicia sbottonata e pantaloni cadenti lungo i fianchi...
Aveva persino smesso di chiederti come facevi a camminare senza ritrovarti in mutande davanti all’intera Wammy’s House.
Questione di abitudine – sicuramente.
Questione di abitudine.
Avrebbe atteso che tu richiudessi la porta alle tue spalle, e dato che te ne saresti dimenticato, lui te lo avrebbe puntualmente ricordato.
Solo quando la serratura della porta sarebbe scattata, allora, il vostro piccolo, paradossale universo avrebbe avuto inizio.
Via con il conto alla rovescia.
Un minuto esatto alle otto.
Sessanta secondi, e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Sessanta secondi, e avrebbe potuto ricominciare ad odiarti...
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mello, Near
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forza dell’abitudine

ONE-MINUTE WORLD

 

 

Forza dell’abitudine.

Tu, come la definiresti?

Non trovi che la caratteristica principale di un evento che si perpetua quotidianamente sia proprio la nostra incapacità di riuscire a definirlo in qualche modo...?

 

Il vostro, era una sorta di rituale.

Il ‘Rituale del Mattino’.

Curioso che tu ti stia rendendo conto della sua presenza solo adesso che ha smesso di ripetersi...

 

Rituale del mattino...

Ti accorgi che non aveva mai avuto un nome prima d’ora...

E ti accorgi anche che quel suono ti riporta alla mente la luce naturale del sole attraverso le veneziane schiuse, le lancette scure dell’orologio appeso al muro, e il suo profumo...

Un penetrante odore di cioccolata onnipresente nell’aria della sua camera...

 

Fermati un attimo a riflettere: avevi mai provato a classificarlo in qualche modo?

No, eh...?

Ma non è il caso di farsene una colpa, no.

Un’abitudine non ha caratteristiche: Smette di averne nel momento in cui diventa tale.

La monotonia non sarebbe monotonia, se riuscisse a destare ancora stupore...

E quell’evento si verificava da così tanto tempo ormai che era come se lo aveste tacitamente inglobato in un silenzioso universo parallelo dove non esiste nessun vincolo ricollegabile alla ragione..

Un universo che nasce, cresce e muore nel giro di un solo minuto...

 

Lontano, lontano...

 

Eppure, avevi come l’impressione che le otto del mattino non sarebbero mai scoccate se prima non fosse accaduto;

Se prima non ti fossi recato quatto come un criceto coi calzini, sull’uscio della sua porta lasciata sapientemente socchiusa, sbirciando in controluce la persona che più ti odia al mondo intenta a coprire il suo corpo ossuto e scarno con una maglia nera...

Nulla ti avrebbe distolto dalla tua posizione.

Solo un cenno.

Il suo.

Il solito.


Finito di rivestirsi si sarebbe voltato verso la porta, avvertendo la tua presenza.

Mano sul fianco sinistro. Gambe divaricate come una A.

Il suo sguardo arcigno si sarebbe scontrato con il tuo, come al solito, completamente inespressivo.

Immobili e muti per qualche istante vi sareste squadrati.

E le otto non sarebbero scoccate...

Non ancora.

Non ancora....

 

Non si sarebbe abbassato a tanto.

Eri stato tu, ad invadere il territorio nemico, dopotutto.

Quindi...

 

“Mello.”


Sì, lo avresti fatto.

Lo avresti fatto lo sforzo di chiamare il suo nome con la tua vocina gracchiante ed infantile.

Solo in quell’occasione.

Solo perchè è abitudine.

 

Solleva un ciuffo di capelli biondi con uno sbuffo rivolto verso l’alto.


“Avanti, entra!”

 

Eccoti.

 

Aveva riso, la prima volta che ti vide conciato in quel modo...

Aveva riso insieme ai suoi amici sino a piegarsi in due dalle risate; sino alle lacrime e al respiro ansimante.

Ma ogni sorriso beffardo venne ben presto lavato via dalla forza dell’abitudine.

Persino la barzelletta più divertente, se ripetuta all’infinito, non avrebbe più fatto ridere nessuno.

 

Capelli arruffati dal cuscino e dalle tue stramaledette dita.

Camicia sbottonata e pantaloni cadenti lungo i fianchi...

Aveva persino smesso di chiederti come facevi a camminare senza ritrovarti in mutande davanti all’intera Wammy’s House.

Questione di abitudine –  sicuramente.

Questione di abitudine.

 

Avrebbe atteso che tu richiudessi la porta alle tue spalle, e dato che te ne saresti dimenticato, lui te lo avrebbe puntualmente ricordato.

Solo quando la serratura della porta sarebbe scattata, allora, il vostro piccolo, paradossale universo avrebbe avuto inizio.

 

Via con il conto alla rovescia.

Un minuto esatto alle otto.

Sessanta secondi, e tutto sarebbe tornato alla normalità.

Sessanta secondi, e avrebbe potuto ricominciare ad odiarti...


Si china di fronte a te.

Non una domanda.

Nessuna “perla di saggezza”

Nessun  «Quando imparerai a farlo da solo!?»

 

Solo uno “Stupido...” o un “Idiota...” come variante.

Detto così, tanto per fare.

Giusto per non alienarsi troppo dalla realtà.

Giusto per ricordarti che la persona che hai di fronte è il Mello che tanto ti odia.

Giusto per ricordarti che quello, è un universo di un solo minuto.

 

A modo suo, ti rimette a posto i capelli con una mano aperta come un pettine.

Le sue dita inciampano in un paio di nodi, che districa via senza alcuna pietà.

Ignori il dolore.

Non te ne lamenti.

Non fiati nemmeno.

Sollevi solo una mano riportandola ad arrotolare i tuoi ciuffi bianchi e mediocremente indolenziti solo quando egli allontana le sue.

Ne senti ancora il peso.

Non sai e non vuoi descriverlo.

 

Uno sguardo alle lancette dell’orologio sul muro.

 

Meno cinquanta secondi....

 

Rimuove con un gesto veloce dei pollici i residui di dentifricio blu incrostato alle tue guance. Si lecca i polpastrelli quando si accorge che l’impresa è piu’ ardua del previsto.

Indelicato.

Piu’ che toglierlo, sembra quasi voglia spalmarlo su tutto il resto del viso.

Ma anche questo è parte del rituale...

 

Passa a stringere le stringhe dei pantaloni, riportandoli all’altezza della vita.

 

«Il sedere, Near: I pantaloni sono fatti per coprire gambe e sedere, GAMBE_E_SEDERE, diamine!»

 

Lo aveva detto la prima volta, o forse era stata la seconda...

Ma non lo aveva piu’ ripetuto. Almeno, non ad alta voce.

Riportare i pantaloni al posto giusto sarebbe rientrato anch’esso a far parte integrante del repertorio ritualistico.

 

Un’altro sguardo all’orologio...

 

Meno quaranta secondi....

 

Poi, la camicia...

La camicia rappresentava il pezzo forte.

Era l’unica variabile di quel circolo vizioso.

 

Avrebbe giovato dei cosiddetti “Tempi supplementari” se l’avessi disgraziatamente infilata alla rovescia...

Circa tre-quattro secondi in piu’ in quel mondo illogico.

Si sarebbe protratto sino allo scoccare del terzo o del quarto rintocco, a seconda dei casi.

Altrimenti, la quotidiana apocalisse era fissata per le nove in punto.

Un universo di un solo minuto.

 

L’enorme camicia ribelle che da solo non sei riuscito a domare, Mello riesce persino a fargli abbracciare, il tuo magro corpo bianco...

Le asole, come soldatini, si allineanano parallele ai bottoni, e sotto le sue mani rosa, si incastrano tra loro uno dopo l’altro con una semplicità quasi spiazzante...

 

Perchè la gente continua a considerare facile incastrare un bottone in un’asola, ma estremamente difficile incastrare tra loro i pezzi di un puzzle bianco?....

Non avevi mai trovato risposta a questo interrogativo.

 

Meno venti secondi...

Ancora tre asole da riempire, e tu saresti tornato ad essere il suo più acerrimo nemico.

 

“Che giorno è oggi?”

 

Avresti comunicato il giorno della settimana.


“Mercoledì.”

 

Gia’. Oggi è mercoledì.

Sarebbe stato il suo turno.

 

“Mercoledì scorso sei stato tu a raggiungere per primo la mensa. Oggi tocca a me.”

 

“Ok.”

 

Di certo non potevate uscire da camera insieme...

Che figura ci avreste fatto!?

Perchè Mello avrebbe dovuto aiutare il suo rivale a rivestirsi!?

Perchè Near avrebbe dovuto farsi aiutare dal suo rivale a farlo!?

Il vostro era una sorta di rituale. Il rituale del mattino.

Ed era solo vostro...

 

Meno dieci secondi...

Una sola asola ancora libera.

Quella in cima al colletto e quella in fondo alla camicia le avrebbe lasciate aperte.

 

Nessuno abbottona una camicia per intero.

Sono cose che per abitudine non si fanno.

 

Meno cinque secondi...

 

La sua testa bionda a pochi centimetri dal tuo naso.

Hai come l’impressione che persino i suoi capelli odorino di cioccolata...

Arricci il naso, inspiri timidamente cercando di non fargli notare che hai chinato il busto per avvicinare le tue narici alla sua testolina dorata.

Ma ti sei chinato troppo.

Non hai avvicinato il naso alla sua testa, ci sei proprio affondato sopra!


“He—hey, hey.... hey!!! NEAR!!!”

 

Un secondo...

Un solo secondo...

 

/DONG...DONG...DONG....DONG....

 

E altri quattro rintocchi prima del silenzio.

Le otto in punto.

 

The end..

Il rituale è finito.

Il mondo esplode;

E i cocci del vostro universo da un minuto si dissolvono nel nulla così come si eran formati sessanta secondi or sono..


Strofini il punto della tua testa in cui Mello ti ha colpito con un pugno.

Ti chiedi se ti verrà il bernoccolo più tardi...

 

“Cosa diavolo ti passa per la testa!? EH!? Stupido cotton-fiock gigante che non sei altro!!”

 

Cambia completamente colore.

Al contrario di te, Mello ha quel tipo di carnagione a cui basta una minima emozione per fargli cambiare colorito.

In momenti come quelli diventava talmente rosso che sembrava emanare luce. 

La sua vergogna servita al mondo intero su un piatto d’argento.

Quanto si odiava per ciò.

Dio, se si odiava...


Avresti fissato quel colorito come una farfalla attratta istintivamente dalla luce.

La gente non ama essere fissata. Mello ancora meno.

La cosa non aiuta.

Per niente.

 

“Beh!? C-Che hai da guardare?!”


Nasconde il viso dietro al palmo della propria mano aperto a raggiera.

Studia tra l’indice e il medio il tuo viso enigmatico, pronto a saltarti al collo al primo cenno di soddisfazione nei tuoi occhi.

...non lo trova.

Non avrebbe mai trovato nulla del genere in te.

 

Non rispondi.

...sei il più irritante di tutti i rivali, Near...

 

Finge indifferenza, mentre ricompatta i pezzi del proprio onore che con l’inganno hai osato mettere in discussione.

Afferra dei libri a caso dalla scrivania, avanza verso la porta per poi procedere ad enunciare la classica, monotona, abitudinale frase di chiusura.

 

“Guai a te se lo racconti a qualcuno. Mi sono spiegato?”

 

“Sì...”

 

Poco convincente.

Ma gli basta.

Tu non menti.

Mai.


Del resto, perchè farlo?

Perchè condividere con un’altra persona una cosa simile?

A chi mai potrebbe interessare la storia di un piccolo, miserabile universo che si genera e si autodistrugge ogni giorno nell’intermezzo tra le 7,59 e le 8 del mattino...?

Chissa’ se sei mai arrivato a chiedertelo davvero, prima d’ora...?

...come se avesse alcuna importanza, chiederselo adesso...

 

--

 

« L è morto.»

 

E il sole si spegne.

Per sempre.

 

Non quello lì fuori.

Non quello visibile agli occhi di tutti.

 

Lo avverti.

E’ lontano da te.

Lontano fisicamente.

Lontano mentalmente.

Ma lo avverti.

Il suo gemito silenzioso.

Il suo modo di dirti addio...

 

Il ramo colmo di neve fuori dalla finestra si spezza.

Un vetro si incrina.
Qualcosa si lacera.

Irreversibilmente.

 

Il sole dell’universo che non avevi mai considerato tale, adesso non splenderà più.

Freddo.

Gelo.

Morte.

Tutto racchiuso in quella frase.

L è morto.

E’ giunta l’ora della verità.

 

“E va bene, Roger...sarà Near l’erede di L. Diversamente da me, lui riuscirà a risolvere il caso con calma e sangue freddo, come se completasse uno dei suoi puzzle. Me ne vado da questo istituto.”

 

Sessanta secondi.

E tutto finì.

 

Le probabilità di riuscire a fermarlo sarebbero state le stesse di riuscire a riaccendere con un fiammifero quel Sole ormai privo di luce...

 

« Non andare...»


Nell’universo di un minuto, gli sei corso incontro.

Nell’universo di un minuto, l’hai bloccato.

Nell’universo di un minuto, vi siete fissati per sessanta secondi, allo scadere dei quali hai  preso un lembo della sua manica e lo hai  incitato a rientrare.
Nell’universo di un minuto, lui lo avrebbe fatto.

E  insieme, avreste potuto provare a riaccenderlo, quel Sole debole del  vostro universo, che forse adesso, sarebbe durato qualcosa in più di sessanta miseri secondi...

 

Solo un’autocompensazione mal riuscita.

Una favoletta che la tua mente ti racconta, giusto per stare meglio.

Per sentire meno freddo. Per sentirti meno vuoto.

Per sentire meno graffianti quelle linee che continuano a sottolineare senza alcuna pietà il nome sbiadito di quella sgradevole sensazione che ti attanaglia il petto.

 

 

 

 ...Oggi e’ la prima volta che lo ripercorri come una pellicola cinematografica nella tua mente...

 

Sterile.

Non riesce a darti nessun’emozione di cui sei tanto assetato...

Non riesce a compensare nulla.

E’ stato utile solo ad una cosa.

Una cosa che comunque sia, ormai, non ha alcuna importanza...

 

Hai perso l’abitudine.

Passerà del tempo, prima che riuscirai a trovarne un’altra in grado di rimpiazzarla.

 

 

« Matt....dov’è Near? Non è sceso a fare colazione stamani...»

 

« ...... »

 

« Matt?...Mi hai sentito?»

 

«........»

 

«Sono preoccupato per quel ragazzino, Matt. Non è neanche in camera sua. Tu non l’hai visto?»

 

«........»

 

« Matt?....M-Matt aspetta! Dove vai!? Ti ho fatto una...»

 

« E Mello?»

 

« Eh? »

 

« Near sarà sicuramente intrufolato da qualche parte quì dentro. Ma Mello? »

 

«........»

 

« Forse faresti meglio a chiederti dove sia lui, Roger. Piuttosto che preoccuparti di dove sia finito Near. »

 

« ...... »

 

La ramanzina da un quattordicenne, Roger aveva previsto che sarebbe arrivata, prima o poi.

Stupido errore quello di abbassare la guardia proprio nei giorni meno opportuni.

Decisamente, uno stupido, grossolano errore.

 

 

 

Non lo avresti mai detto...

 

Non è un quesito degno di uno che ha appena ereditato il compito di succedere al detective piu’ forte del mondo.

Probabilmente, ti solleverebbero dall’incarico, se solo qualcuno avesse sbirciato nelle convinzioni che come erbacce, ti ritrovi ad avere radicate nella mente…

 

Ciò non toglie che, davvero, non lo avresti mai detto...

Bada: Forse faresti meglio a fare una distinzione tra ciò che non avresti detto e ciò che non avresti voluto dire.

Ad ogni modo, con lui o senza di lui, la lancetta dei minuti si era mossa in cima al quadrante, e le otto del mattino eran riecheggiate menefreghiste in tutto l’istituto da più di un ora.

 

Lo avevan fatto anche in quella stanza adesso vuota.

Adesso buia.

Adesso gelida.

 

Non vi erano grandi differenze, Near...


Era rimasto tutto esattamente come le volte precedenti...

Letto disfatto.

Lenzuola ancora accartocciate in fondo al letto.

Scartoffie sulla scrivania.

Involucri di cioccolato disseminati ovunque.

Integratori. Fosforo. Magnesio. Vitamina B. Valeriana sul comodino.

Doveva esser difficile riuscire a concentrarsi nello studio fino a tarda notte e poi riuscire a prender sonno con l’ossessionante paura di non riuscire a batterti nemmeno al compito in classe del giorno seguente....

 

Lui?

Beh, se lui lo vogliamo includere nelle differenze, allora sì...

Vi erano differenze.

Sostanziali differenze.

 

I pantaloni proprio non voglion sapere di sottostare alle tue mani e di rimanere fermi ai fianchi.

Quante volte li hai ritirati su questa mattina? Ti sei dimenticato di contarle.

Lo specchio ovale ricoperto da un leggero strato di polvere mostra la tua figura nitidamente.

Capelli arruffati dal cuscino e dalle tue stramaledette dita.

Camicia sbottonata e dentrificio appiccicato alle guance grigiastre.

Lo strofini con il retro della mano

Sporchi l’orlo della manica della camicia che questa mattina hai infilato al contrario.

Un fallimento dietro l’altro...

 

Tredici anni.

Erede di L da un giorno.

Capace di ricomporre un puzzle bianco da mille pezzi nel giro di cento secondi.

Capace di rendersi conto di qualcosa di prezioso solo quando l’ha irrimediabilmente smarrito.

Proprio come la stragrande maggioranza degli esseri umani comuni, Near.

....proprio come coloro che al mattino sono in grado di infilare da soli, i bottoni nelle rispettive asole di una camicia.

 

...Un fallimento dietro l’altro...

 

 

...avevi smesso di considerare lo scorrere del tempo.

Eppure stavi a ridosso dell’orologio.

Ma non lo avevi piu’ guardato da quando questa mattina le lancette delle otto si eran dimostrate talmente false e irrispettose del tuo universo da un minuto..

Sembrava quasi come se per tutto quel tempo non gliene fosse importato nulla del tuo rituale del mattino con Mello...

Quasi come se smettere per sessanta secondi di esser rivali fosse qualcosa di paurosamente  insignificante, per loro.

....quasi quanto lo era stato per te...

 

Vero, Near?...

Davvero, davvero insopportabile il loro atteggiamento...

 

Hai un puzzle nuovo oggi.

Un puzzle chiamato asole e bottoni.

Prova a risolverlo!

Mello era così bravo a farlo...

Non vorrai di certo arrenderti?

Ma no che non vorrai...

Sei il nuovo L, dopotutto.

Non puoi non esser in grado di fare da solo una cosa talmente banale, non è così?....

....non è così...?

 

“ Near.”

 

Ti accorgi della presenza di Roger solo quando allontana le tue mani dalle asole e dai bottoni della camicia, interrompendo quel mondo nuovo fatto di oscurità e bottoni da incastrare, in cui, ignaro, ti eri confinato.

Vuole riportarti alla realtà.

Tentativo brusco.

La luce del neon accesa d’improvviso infastidisce i tuoi sensi.

Strizzi gli occhi e schiudi la bocca senza emettere alcun suono.

Spingi la schiena il più possibile contro al muro.

 

“ Near, stai sanguinando!”

 

Non che ti importasse più di tanto.

Solo, non lo avevi realizzato...

Ma Roger non aveva mentito.

Le tue mani gonfie, ricolme di caldo liquido cremisi sono la prima cosa che si pone di fronte al tuo campo visivo, nel momento in cui decidi di riaprirli, quei tuoi occhi cerchiati…

 

Più tardi ti saresti accorto che lo avevi disseminato ovunque, il tuo sangue..

Sempre per colpa di quelle maledette dita tra i capelli...

Sempre per colpa di quella camicia dagli incastri impossibili...

Sempre per colpa di quel mondo da un solo minuto, unico oggetto (non del tutto) personale che Mello aveva deciso di portare via con se.

 

 

--

E’ più forte di te: Non ti piace.

Non ti piace assolutamente.

Non ti piace.

Non ti piace.

Non ti piace, diamine! NON TI PIACE!

E’ terribile.

E’ osceno. E’ indescrivibilmente mostruoso!

 

Sarebbe questo il mondo che gli altri vorrebbero appiopparti in sostituzione di quello che hai appena smarrito!?

Questo surrogato mal riuscito!?

No...

Assolutamente no.

 

Avresti potuto accettare l’assenza dell’orologio, dopotutto adesso quel tic-tac ti stava antipatico.

Ma era inammissibile che l’odore di cioccolata fosse stato sostituito con quello di pungente e nauseante del disinfettante.

Ti fa contorcere lo stomaco.

E lei? Questa donnina vestita da infermiera, procinta ad imitare le gesta  di Mello?

Patetica. L’avevi trovata assolutamente patetica.

No.

Non faceva assolutamente per te questo universo asettico.

 

Sporco come un macellaio.

La camicia.

I capelli.

Il viso.

Chissà da quanto tempo avevano cominciato a sanguinare le tue mani.
Non sapresti proprio dirlo.

E’ facile ignorare un lieve dolore, quando dentro di te stai perdendo la tua battaglia con una forza molto più opprimente.

 

Non presti la minima attenzione alle melense paroline di repertorio che l’infermiera ti vomita contro sin dal primo istante che hai messo piede lì dentro conciato in quel modo.

Ti aveva ripulito il viso con una asciugamano umida, togliendo ogni residuo di sangue e di dentifricio incrostato.

Gia’. Quelli che Mello rimuoveva inumidendosi i polpastrelli sulla lingua...

Ti aveva ripulito alla buona anche i capelli.

 

E intanto parla, parla parla...

La sua bocca non si ferma un solo istante.

 

Da quasi cinque minuti sta con il tuo polso destro stretto tra le mani.

Non ti era piaciuta la sua espressione, quando aveva rimosso il fazzoletto che Roger ti aveva fatto stringere sul momento, prima di condurti da lei.

Non l’avevi capita; e questo era sufficiente per rendertela ancora meno gradevole.

Aveva sollevato un sopracciglio nel guardare le piccole piaghe  a forma di mezzaluna sui tuoi polpastrelli sanguinolenti.

Perplessa.

Guarda le tracce di sangue presenti sui bottoni della tua camicia.

Qualcuna gocciola ancora...

 

Brutto presagio.

Ecco a cosa avevan lasciato il posto le dita di Mello…

 

Torna a guardare le tue mani.

 

“Near…ma come hai fatto a ferirti in questo modo con dei bottoni?”

 

“…..”

 

Non rispondi.

Non avevi mai dovuto rispondere ad una domanda simile, con lui.

E’ una domanda retorica.

Ti infastidisce.

Per qualche strana ragione, ti infastidisce da morire.

Chiudi la mano.

La stringi.

Che lo consideri pure uno gesto di ripicca.

Non ti importa.

 

Sospira. Chiude gli occhi. Poi si alza.

Si allontana a prendere dei fiocchi di ovatta zuppi di disinfettante e apre un paio di scaffali alla ricerca di una scatola di cerotti.

 

“Mettiamo dei cerotti. Ci vorrà giusto un attimo, ok? Vieni qui, siediti su questa sedia, …”

 

No.

Non va bene affatto.


Ti conduce ad una sedia accanto al carrello dove aveva sistemato ogni arnese, ricominciando a ripetere come un automa le sue frasette pseudo-rassicuranti.

 

“Ne-Near!!”

 

Il contatto con il disinfettante non l’avevi previsto.
Ritrai fulmineo la mano, divincolandola dalla sua presa.

Sembrava quasi come se avessi stretto tra le dita le fiamme di una candela. Non lo sopporti.
Stringi gli occhi e gemi inavvertitamente quando lei cerca di riprendere possesso del tuo polso.

Cerca di riportarti alla calma.

Ancora le sue paroline.

Ancora le sue insopportabili paroline da quattro soldi.


Sai benissimo che devi esser disinfettato altrimenti verranno dei ‘batteri cattivi-cattivi’ a farti stare male.

Sai benissimo che quello è alcool ‘per curare le ferite dei bimbi’ e che non brucia per niente.

Parla come se stesse rivolgendosi ad un moccioso di quattro anni.

Forse perché si è accorta che da solo non sei stato neanche in grado di abbottonarti correttamente la camicia, quella strana mattina?

 

Non è colpa tua se quella mattina, le lancette si erano posizionate sulle otto del mattino nonostante lui non fosse più lì

Non è colpa tua se per tutto quel tempo ti avevan fatto credere che poteva esistere un universo dove lui avrebbe dismesso quella maschera da rivale ed avrebbe smesso di maledire la tua persona, anche se per un solo minuto...

Non è colpa tua se l’estrema ripetitività di quell’evento era tale da riuscire a farti credere che nulla avrebbe potuto sottrarlo dalla tua vita in qualche modo.

 

… e non è neanche colpa tua se adesso cerchi di aggrapparti a questa menzogna con le unghie e con i denti.

 

“Near…? Hey…Near!?”

 

L’infermiera aveva appena applicato l’ultimo cerotto, quando in un raptus la senti sollevare sgarbatamente il tuo mento, volgendolo verso di sé.

 

Ma guarda…

In lacrime.

Sei in lacrime.

Erano passati anni dall’ultima volta.

Quasi non le avevi riconosciute…

 

Ecco cos’era ad appannare la tua vista.

Non era l’ennesimo universo creato dalla tua mente per farti compagnia.


“Oh cielo, Near! Ma…ma ti ho fatto così male!?”

 

Tira fuori un fazzoletto da qualche parte, mentre cerca di sopperire a quelle gocce trasparenti che invadono il tuo volto.

 

“Mi dispiace davvero, tesoro. Non pensavo ti dolessero così tanto!…”


Si chiedeva dove avesse sbagliato.

Eppure, nessuno aveva mai protestato per quel disinfettante...

 

…con che arroganza sperava di rivendicare quelle lacrime!?

Pensa davvero che tu stessi piangendo…per lei!?

 

Le emozioni si condensano.

La rabbia cede il posto alla confusione.

La sua voce logorroica ti perfora i timpani.

Le mani fanno male.

Qualcosa all’interno del tuo petto ancora di più

Gli occhi continuano ad appannarsi.

Le lacrime sgorgano.

E lei articola parole sempre più convulsive…

 

Come farle capire che quelle stramaledette dita erano l’ultimo dei tuoi pensieri!?

 

“Near…?  Near? Near!? Che cos’hai, Near!? C-c’è qualcosa che non va!? Near…!? Near!!?”

 

Zitta.

Zitta.

Zitta.

Zitta.

ZITTA!!

 

Mani incerottate pressate con forza contro le orecchie.

Occhi bagnati, serrati come non mai
Ginocchia contro il petto .

I tuoi piedi spingono contro la superficie della sedia, sperando vanamente che quell’universo infernale possa sparire anch’esso nel giro di sessanta secondi.

Spingi ancora con i tuoi piedi.

Spingi, spingi, spingi.

Diventi quasi un tutt’uno con lo schienale.

Fai male i conti.

La sedia non regge; perde l’equilibrio e si sfracella al suolo, portando con se il tuo minuscolo corpo.


“NEAR!!”

 

L’intensità della sua voce aumenta.

Il rumore s’ingigantisce.

Hai sbagliato tutto.

Ancora una volta, hai sbagliato tutto.

E’ tua nuova abitudine.

Te ne dovrai fare una ragione.

 

Rimani sul pavimento, raggomitolato in te stesso come un lombrico che finge la morte apparente.

Senti le mani di lei strattonarti un paio di volte, mentre continua imperterrita a chiamare il tuo nome: una, due, tre, quattro volte.

Pesante.

Il tuo corpo diventa spaventosamente pesante.

 

Impotente, la donna abbandona di corsa la stanza. La senti scaraventarsi fuori di essa come un prigioniero che, per un inaspettato colpo di fortuna, ha appena trovato la porta della sua cella inaspettatamente aperta.


«Mi serve aiuto in infermeria!! Chiamate il Signor Roger!! Chiamate il Signor Roger!!! » 

 

Tiri un breve sospiro di sollievo quando ti accorgi che la distanza è riuscita ad attenuare quasi del tutto la sua voce isterica.

 

E tutto finisce…

Un altro universo che nasce, cresce e muore nel giro di pochi minuti…

Puoi dedurlo anche questa volta dall’incombere del silenzio che, come un blando gas soporifero, ha messo fine ad ogni cosa....

Esso, unito alla frescura delle piastrelle del pavimento contro le tue guance e al lieve ronzio del neon appeso sul soffitto, senti che era proprio quello di cui avevi più bisogno…

 

Non durerà molto.

Presto sarà di ritorno insieme a Roger ed altre persone ad infestare quella stanza con altre voci, urla e movimenti bruschi…

E da  lì ricomincerà un nuovo insignificante universo…

 

Schiudi lentamente gli occhi, strozzando i singhiozzi sempre meno ravvicinati l’uno dall’altro.

Un mondo è appena morto. Un altro nascerà tra qualche minuto dalle sue ceneri...

Ma come tutti gli altri che si susseguirono da allora, sarà un mondo completamente opposto alle tue aspettative.

 

Riesci a vedere le tue lacrime correre come topolini trasparenti lungo le curve del tuo viso, per poi scivolare felici sulle piastrelle…

Scorgi un riflesso all’interno di quelle goccioline. Un riflesso moltiplicato in ognuna di essa.

E’ il tuo, ma la tua vista è talmente falsata ormai che lo confondi con qualcos’altro…

 

Per un attimo, hai l’impressione di vederlo lì, riflesso in essa…

Scruti il suo volto imbronciato.
Scruti i suoi occhi. Hanno qualcosa di strano.

Anche lui lo sta facendo?...

Anche Mello…sta piangendo?..

 

No…

 

Chiudi gli occhi quando ti accorgi di esserti sbagliato…

 

 

--

 

“Va già molto meglio adesso, non è vero Near?...”

 

Sì.

E’ vero.

Gli spasmi e i tremori si sono placati.

Così come le lacrime, i singhiozzi, e persino quell’opprimente sensazione al petto, adesso, ti appare molto più sopportabile.

 

Ti sei sentito subito molto meglio dopo che Roger e l’infermiera ti hanno fatto bere quel bicchiere d’acqua.

Probabilmente vi avevano miscelato qualcosa di strano al suo interno; avverti la tua bocca inquinata da uno strano retrogusto dal sapore vagamente sintetico.

 

“Non c’è niente di cui tu debba preoccuparti. Stiamo attraversando momenti difficili recentemente, sono successe tante cose e…siamo tutti un po’ stanchi e nervosi, ecco tutto. Ma adesso è passato…”

 

Lo guardi con malcelato disinteresse, mentre ti rimbocca amorevolmente le coperte e ti parla come un bravo nonnino premuroso. Ti porge persino l’orso di peluche che giaceva ai piedi dal letto.

Lo stringi automaticamente tra le braccia, quasi come non stessi aspettando altro.

 

Fingi di non notare la schiera di gente ferma in piedi sull’uscio della porta, intenta a guardare con sguardo severo l’insolito teatrino di cui tu, per una volta, sei stato protagonista indiscusso.

 

“Tra poco ti farò portare qualcosa di buono da mangiare, sei stato a digiuno tutto il giorno e non va affatto bene. Nel frattempo però, cerca di riposare. Vedrai che dopo una bella dormita, domani ti sentirai meglio.“

 

Attende forse un cenno di assenso da parte tua, ecco perché ti fissa preoccupato dietro i suoi occhiali.

 

…povero illuso.

 

Non sa che da parte tua, non riceverà mai alcuna risposta.

Rispondere a lui sarebbe stata l’ultima cosa che avresti voluto fare in quel momento…

Sospira, realizzando l’immancabile sconfitta.

 

Si solleva dal bordo del tuo letto dove si era accomodato, dirigendosi verso la porta invasa dalla banda di curiosi.

All’inizio cerca di ignorare come la sua presenza non li avesse minimamente turbati;

Poi però, quando si rende conto che loro avevan addirittura creato un varco giusto per non ostacolare il suo passaggio, capisce che forse tutto ciò è un po’ troppo per la sua autorità! Dopotutto, è il direttore!

 

“Tornate a fare ciò che stavate facendo, avanti! Non c’è niente da guardare!”

 

Poco convincente il suo richiamo.

Ma aveva comunque raggiunto il suo scopo.

…o quasi.

 

«E’ colpa sua.»

 

Matt…

 

«Piantala, Matt. »

 

«E’ inutile. Non posso fare a meno di pensarlo, Roger. E’ colpa sua. »

 

«Non lo è, invece. »

 

«Sì che lo è, Roger! Lo pensano tutti qua dentro! Ed anche se tu non lo ammetterai mai, sai benissimo anche tu che è così! »

 

«Addossare a Near tutte le responsabilità della fuga di Mello forse potrà farci sentire meno colpevoli, Matt. Ma la realtà è che solo Mello sa qual è il vero motivo per cui ha deciso di  abbandonare la Wammy’s House.  Lui non è uno stupido. Del resto, più che diventare l’erede di L, a lui interessava solo dimostrare a se stesso ed agli altri di essere il Migliore. »

 

«E non è la stessa cosa forse!? »

 

«Assolutamente no.»

 

La risposta ricevuta non lo soddisfa.

Non lo soddisfa affatto.

Eppure non riesce a replicare…

 

Come un timido micetto a cui è appena stato rubato il cibo da un grasso gattone spietato, si rende conto che non può fare altro che girar le suole ed abbandonare l’arena di battaglia, onde evitare di continuare quell’inutile quanto masochista battibecco…

 

“Near…?”

 

Asfissiante.

 

Avevi chiuso gli occhi, convinto che fosse andato via.

E invece Roger era ancora sullo stipite della porta.

Non hai voglia di sentire ancora la sua voce.

Non hai voglia di sentire la voce di nessuno.

Continuerai a tenere gli occhi chiusi, fingendo di star dormendo sino a quando non sarà andato via.

 

La messinscena regge.

O forse vuol farti credere sia così.

 

Avanza di nuovo nel buio pesto della tua stanza, fermandosi di fronte a te.

Non hai idea del motivo per cui possa starsene lì, in piedi ed immobile come un palo arrugginito.

Sembra quasi fossilizzato.

 

“Probabilmente non smetteranno facilmente di credere a quell’amara menzogna. La gente è così; E’ pronta a tutto, pur di sentire meno possibile il peso della colpa su di sé quando viene il momento di fare i conti con le proprie responsabilità….”

 

“………”


“Ad ogni modo, la loro opinione non è così importante. Per te, penso basti sapere che lui starà dalla tua parte in ogni caso…”

 

Senti l’aria intorno a lui spostarsi.

Si è mosso.

Apri piano piano un occhio, sbirciando quanto più ti è possibile i suoi movimenti.

Lo vedi chino verso il comodino accanto al tuo letto.

Poggia qualcosa.

Chiudi di scatto l’occhio aperto prima che possa accorgersi della tua farsa.

 

“Mi ha incaricato di consegnartela quando lui sarebbe stato già lontano. Ha detto che vuole fare in modo che tu non dimentichi mai il volto del tuo ‘eterno rivale’ . Quel ragazzino è davvero incredibile…”

 

Gli scappa risatina dal suono agrodolce.

 


Non capisci.

Ti penti immediatamente di aver finto di star dormendo.

Vorresti capire di cosa stia parlando subito.

Avanti.

Avanti va via.

Va via, va via, va via, Roger.

 

Il tuo condizionamento psicologico pare funzionare…

Senti i suoi passi lenti volgersi verso la porta.

 

“Oh, dimenticavo: mi ha anche raccomandato di far sostituire tutti i bottoni delle tue camice con dei bottoni automatici a pressione. Poi dovrai spiegarmi cosa significa, lui non ha voluto farlo.”

 

Non aggiunge nient’altro.

Raggiunge finalmente quella benedetta porta e la richiude alle sue spalle.

Avresti trattenuto la tua curiosità per un’altra manciata di secondi, ma questo è uno dei rari casi in cui il tuo istinto  ha prevalso sulla ragione.

Ti allunghi verso il comodino.

Accendi l’abat-jour.

I tuoi occhi si sgranano.

 

Mello.

 

Per qualche istante hai creduto di averlo avuto davvero lì davanti ai tuoi occhi a sorriderti con il suo solito sorriso forzatamente scorbutico.

E invece era solo una fotografia…

 

L’universo più breve in cui eri mai incappato, quello…

 

Raccogli la fotografia tra le mani.

Conosci quella foto.

Ricordi anche il momento in cui era stata scattata.

Eri arrivato al Wammy’s House giusto da un mese.

Una foto di gruppo e una foto individuale per ogni bambino.

Così aveva deciso Roger quel giorno…

Fu la prima volta.

La prima volta che l’universo da un solo minuto si era materializzato, prima di divenire un’abitudine quotidiana…

 

Ti aveva bloccato nel bel mezzo del corridoio proprio mentre passavi davanti la sua stanza.

 

«Hey…»

 

«…....»

 

«Hai intenzione di farti prendere in giro dall’intero istituto anche oggi?»

 

 

«…....»

 

 

«Diamine, Roger si è dimenticato di far mettere uno specchio in camera tua!?»

 

«No. Ho uno specchio molto grande in camera.»

 

«E allora dovresti usarlo, non trovi? Guarda come sei conciato! Non voglio un rivale con un aspetto così trasandato! Sembri un barbone!”

 

«Mi dispiace. »

 

«……..»

 

«……..»

 

Sbuffa.

 

«Vorrà dire che dovrò fare tutto da solo! Vieni dentro! Oggi Roger ha avuto persino la splendida idea di chiamare un fotografo! Gli si brucerebbe il rullino se ti fotografasse conciato così! »

 

Ma lo aveva sottolineato.

Lo aveva ripetuto tutte le volte il suo :“Bada: fanne parola con qualcuno e ti faccio andare a lezione senza denti! Ti aiuto solo perché non voglio avere un rivale con l’aspetto di un idiota!”

 

E tu non ti eri neanche posto il punto se crederci o meno.

Quell’universo era un’abitudine.

Un’abitudine dove Mello accarezzava la tua pelle fredda con le mani vissute di un ragazzino da cortile.

Un mondo dove Mello sorrideva tra un ghigno crudele e una frasetta pungente e scorbutica che dentro di te avevan il potere di tramutarsi per qualche strano motivo nel loro esatto contrario…

 

E adesso la sua foto…

La sua foto che ti rievoca l’inizio di ogni cosa.

L’inizio di un mondo di cui solo adesso riesci a formulare giudizio…

Sì.

Adesso te ne rendi davvero conto…

 

Niente.

Quel mondo da un minuto non valeva proprio niente.

E’ questa la tua conclusione.

Non valeva niente di niente.


Non ti mancano quei momenti.

Quelle lancette. Quella luce attraverso la veneziana. Quei gesti ripetitivi.

 

Ti manca una sola cosa; Non un mondo intero, ma un solo un elemento di esso.

La sua presenza sarebbe stato tutto.

La sua presenza sarebbe stato il vero universo da cui non saresti mai voluto andare via.

Con lui, persino l’universo più vuoto ed angusto ti sarebbe apparso assolutamente insostituibile…

 

Saresti disposto a sentire il suo odio in eterno.

Se solo avessi modo di riaverlo lì accanto a te, allora qualsiasi universo sarebbe andato bene.

Uno di avversione. Uno di silenzi. Uno di inganni e tradimenti

.Uno qualsiasi, diamine! Uno qualsiasi!

 

Ma devi accontentarti.

Il mondo che ti hanno adesso riservato, è un mondo di seconda scelta.

Uno scarto, già. Proprio come si era sentito lui per tutto quel tempo…

 

Hai solo una fotografia,

i tuoi ricordi,

….e la consapevolezza che per lui sei stato in qualche modo importante…

Tre elementi che combinati tra loro posson dare origine ad un solo tipo di mondo.

Un solo, indiscutibile mondo di cui tu stesso ignori la durata, ma qualcosa nell’aria sembra volerti suggerire che non sarà affatto breve…

 

Benvenuto nell’universo della assenza, Near.

Fa come se fossi a casa tua.

 

FINE

 

 

 

Sessione d’esami di fine luglio + Mente da vecchia fangirl bacata = One-Minute World ^///^;

Avevo detto mentre (fingevo) di studiare: Ooh! Che idea carina mi è venuta in mente! Sta sera scriverò una drabble! Sì ! 100 parole esatte! Non di piu’! Giurin giurello!

….

….…

Beh…

Questo è il risultato ^-^;;;

Le mie fan fiction sono ripetitive, lo so. Sicuramente chi ha letto le mie storie precedenti, potrà aver trovato delle similitudini con Irish Zebra e Lethe in quanto ad ambientazioni e tutto il resto. La monotonia è una mia prerogativa! -___-; 

La mente di Near mi affascina. SEMPRE E COMUNQUE.

Penso sia una delle cose più interessanti di questo personaggio così detestato dal fandom italiano. (ma osannato da quello giapponese e americano, povero tesoro! T_T )

La cosa divertente è che a volte mi sveglio al mattino e decido di considerarlo autistico (Sindrome di Asperger) ; a volte invece penso non lo sia…
Beh, comunque sia, autistico o meno, la sua mente mi affascina da morire. *__*

Per quanto riguarda i pairing, per coloro che me lo chiedevano, io supporto sia la Mello x Near che la Matt x Mello ^__^

(e se vogliamo dirla tutta, supporto anche la Matt x Mello x Near…perché i bambini del Wammy’s House non devono rimanere più soli! T__T Sarebbe troppo triste!)

 

La fan fiction è quella che vedete, purtroppo XD

Non ho altro da dire se non ringraziare tutti coloro che sono arrivati a leggere il finale e non hanno chiuso la schermata dopo le prime tre righe di trip mentale! GRAZIE!^_^

Commenti, critiche costruttive e tutto il resto sono sempre sempre sempre benvenutissimi!^____^

Per qualsiasi chiarimento, contattatemi pure su MSN all’indirizzo: rgegeew(chiocciola)hotmail.com


PS: Dimenticavo di dirvi che questa fan fiction non è stata betata dai miei fedeli pre-readers per mancanza di tempo, quindi se qualcuno di voi avesse trovato degli errori e vorrebbe segnalarmeli, vi rimando al mio indirizzo MSN.

Grazie!!


Rei-chan

 

 

 

   
 
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