Bellissime, eccomi qua. Non ve l'aspettavate vero?
Quanto tempo è passato dallo scorso capitolo... due settimane? Wow, sono sorpresa anch'io. Cosa sarà successo? Forse ho avuto un po' più di tempo, forse è perchè mi è passato, temporaneamente, il mal di testa, (che tra l'altro ho fatto venire a Rose e so cosa vuol dire!), ma sono riuscita a postare con una tempistica decente. Sarebbe bello potervi promettere di mantenere questo ritmo... vedremo. Nel capitolo ci sono un po' di cose, tra il serio e il faceto. Spero vi piaccia. Come solito ho fatto un lavorone iconografico, (oggi ho mangiato il dizionario) e manco a dirlo la vista dall'alto della città di Boston fa parte del mio bagaglio di viaggio.
L'unico che non centra con la storia è proprio il dolcissimo Muso che campeggia in copertina: ma che rientro a casa sarebbe stato se lui non avesse dato il benvenuto?
Ora vi lascio, ringrazio come sempre tutte quante,
bacioni,
Teresa.
Capitolo
trentaduesimo
(Alice)
Giuro
che
non volerò mai più con una compagnia di linea
civile.
Lo
avevo ripetuto a me stessa, per tutto il pomeriggio,
nella speranza di imprimermelo bene nella memoria. Dopo la parentesi a
Boston,
era improcrastinabile ributtarsi al
più
presto sul lavoro, e quindi l’attesa dei tempi biblici del
check in dell’aeroporto
Logan era stato un vero e proprio tormento.
A
complicare le cose un irritante guasto tecnico all’aereo
stava posticipando la partenza bloccandoci all’imbarco altre
due ore. Tutto il
gruppo mostrava la mia stessa impazienza, tranne Rose, che silenziosa,
trascorreva
il tempo leggendo una rivista con apparente noncuranza.
L’impulso di
presentarmi al personale della compagnia aerea e offrirmi per risolvere
il
problema, era diventato irresistibile.
«Accidenti,
Bella, qui stiamo facendo sera.» Avevo
brontolato alla mia amica e collega guardando l’orologio.
«Già,
se fossimo partiti in auto, saremmo quasi a New
York.» Mi aveva risposto. «Se avevo apprezzato
l’idea iniziale di viaggiare in
borghese e non coi mezzi
militari, in
questo momento lo rimpiango amaramente.» Aveva continuato
battendo nervosamente
il piede a terra.
«Sai
cosa facciamo?» Le avevo propongo entusiasta.
«Sbattiamo
sul naso, a quei tizi laggiù, i nostri tesserini della NASA
e andiamo a
controllare di persona cosa c’è che non va nella
pancia del bambino sulla pista.»
Ero eccitata all’idea di fare qualcosa di concreto,
sicurissima che la nostra
competenza tecnica fosse di gran lunga maggiore di quella di qualsiasi
manutentore
di quel fottutissimo aeroporto. «Ti prego, Bella. Si tratta
di un comune Airbus
A340, è roba da esercitazione
scolastica…»
Bella
aveva riso ma non aveva avvallato la mia idea.
«Sarebbe
fantastico, Alice, ma credo che dovremo
aspettare qui, buone, che se la cavino da soli. Abbiamo portato
già abbastanza
scompiglio alla sonnolenta città per i miei gusti. Unisciti
ai passeggeri e fingi
di essere una donna qualsiasi che sa a malapena aggiungere
l’acqua ai
tergicristalli dell’auto.»
Il
Comandante si era, quindi, appoggiata un paio di
inutili occhiali scuri sul naso e, con aria annoiata, si era seduta
sulla
poltroncina libera tra Edward e Rose.
«Perché,
tu sai dov’è la vaschetta del tergi?»
Avevo
ironizzato stando al suo gioco. «Io
è
una vita che non alzo il cofano di un’auto… Lo
faccio fare ai miei sottoposti,
cara.» Le avevo risposto con tono lezioso fingendo di
controllarmi le unghie
delle mani.
Avevo notato
con piacere che alla risata dei miei colleghi, dovuta al mio
siparietto, si era
aggiunta anche quella di Rose. Bene.
Quando finalmente Dio aveva voluto, eravamo riusciti a
partire ed io avevo salutato con sollievo la scintillante
città della mia
gioventù che scorreva sotto di noi nella notte.
****
Riconsegno
la tazza vuota del caffé all’instancabile
assistente
di volo e mi allaccio, per l’ultima volta, la cintura di
sicurezza. Stiamo per
atterrare a Houston dopo otto ore tra attesa e viaggio, (calcolando
anche le
due di recupero per il fuso orario!), quindi spengo diligentemente lo
Smartphone
sul quale, insieme a Bella, stavo controllando, punto per punto, il
programma
di lavoro che mi ha spedito Angela. La nostra giornata dovrà
iniziare
prestissimo, domani, per far fronte a tutti gli impegni,
perciò non vedo l’ora
di arrivare al residence per potermi fare una bella dormita.
«Questo
viaggio è stato uno schifo.» Mi confida Jasper
mentre con i nostri bagagli ci
avviamo verso l’uscita dell’aeroporto:
«In tutti i sensi. Sai, prima della
partenza avevo progettato di portarti in un bel locale nei dintorni di
Boston ma
purtroppo, per come
sono andate le cose,
non ci sono riuscito. Scusa.»
Guardando
la sua espressione abbattuta mi chiedo con
una punta di rimpianto, cos’altro avesse avuto in mente.
«Ci
saranno altre occasioni, immagino.» Gli rispondo
accomodante. «Ma per un po’ dovremo accontentarci
dei panorami del Texas.»
Lui
annuisce e torna a fissare davanti a sé
pensieroso. La sua confessione mi porta a riflettere sul rapporto
altalenante che
intercorre tra noi e mentre procediamo fianco a fianco, mi rendo conto
che se
indubbiamente devo essere molto fiera della qualità del
lavoro che stiamo
svolgendo, non riesco ancora a dare la giusta collocazione alle
sporadiche occasione
di piccante intimità che ogni tanto ci capitano.
Beh,
ad ogni
cosa il suo tempo.
(Rose)
Il
rombo sordo dei trolley, trascinati sul pavimento di
marmo del terminal, sovrasta ogni altro suono e mi perfora le orecchie.
Ho un mal
di testa pungente che dalle tempie si estende fino agli occhi. Sento su
di me
l’attenzione dei miei compagni di viaggio e suppongo che si
stiano chiedendo
quali pensieri stia celando dietro agli occhiali, dalle lenti scure,
che ho
indossato per limitare il riverbero della luce artificiale, che acceca
il mio
povero nervo ottico. Cerco, tra la folla in attesa, il viso di Emmett
che
ancora non si è mostrato. Strano. Mi aspettavo di vederlo
spiccare
prepotentemente davanti a tutti, e mi ero già rassegnata
psicologicamente al
suo assalto di domande.
«Black
e Newton a ore dieci.» Comunica Edward al
gruppo.
Solo loro due?
Un forte senso di
delusione mi
coglie immediatamente peggiorando il dolore che mi attanaglia. Avrei di
gran
lunga preferito potermi buttare in uno dei meravigliosi abbracci di Met
piuttosto
che scambiare convenevoli vuoti con Jake e Mike. Invece seguo distratta
il gruppo, alla
ricerca del nostro mezzo, perso
tra migliaia di altri nell’immenso parcheggio
dell’aeroporto di Houston. E’ una
sera mite che profuma di tigli fioriti e la differenza di temperatura
con
quella del New England, la fa sembrare quasi estiva. Il sole
è appena
tramontato e all’orizzonte: è rimasta solo una
sfumatura turchese che si fonde
nel cobalto della notte imminente. Tolgo gli occhiali che mi
impediscono di
vedere gli ostacoli del selciato e così ad una ventina di
metri di distanza lo scorgo
nell’ombra. E’ mestamente appoggiato al recinto
esterno, a pochi passi
dall’auto e sta guardando nella mia direzione. I muscoli
delle gambe scattano anticipando
il comando della mente e accelerano il passo verso di lui, che con
lentezza, si
stacca dalla rete e mi viene incontro. Ha lo sguardo cupo e la sua
bocca non è
piegata nel solito sorriso. In poche falcate mi raggiunge seguito dal
brusio di
saluto dei colleghi intorno. Finalmente sono stretta a lui, che mi
abbraccia in
silenzio. Sollevo sorpresa la testa anche se mi costa fatica staccare
la
guancia dal suo petto caldo e compatto, ma questo suo mutismo mi mette
in
ansia. Lo scruto nel profondo delle sue meravigliose iridi azzurre, che
nelle
ombre della sera, sono quasi solo una pozza nera di inquietudine.
«Ciao»
mi sussurra, «come stai?»
E’
talmente strano vederlo così dimesso, mentre di
solito è un uomo pieno di vita, che dimentico la stanchezza
e il dolore per
concentrarmi sulla sua espressione.
«Io
bene, e tu invece?» La domanda ha un ché di
retorico, perché lo leggo dal suo viso che
c’è qualcosa che non va.
«Adesso
è tutto okay, ma ho creduto veramente di
impazzire.» Mi stringe ancora di più a
sé e affonda il viso tra i miei capelli.
«Ti sapevo là, da sola, in pericolo… ed
io da qui non potevo fare nulla. Rose
sono stato un vero imbecille. L’unica volta che hai avuto veramente bisogno di me, non
c’ero. Non riuscirò mai a perdonarmelo…
mi avevi anche chiesto di accompagnarti!» Non sono stupita
tanto dal tono delle
sue parole, quanto dai suoi occhi che luccicano umidi.
No, Emmett, ti prego, non piangere qui
davanti a tutti. Gli accarezzo la
guancia ispida cercando di alleviare la sua sofferenza.
«Non
è colpa tua! Anche se mi sarebbe piaciuto, non avresti
potuto seguirmi. Sei il vice di Bella, ricordi? Se non
c’è lei… ci devi essere
tu. E’ la regola. Su, dai adesso andiamo che ho bisogno di
una doccia.
Lo
vedo rasserenarsi un attimo seguendo un pensiero
misterioso: «Sì anch’io» mi
dice regalandomi un sorrisetto malizioso prima di
appoggiare le sue labbra sulle mie.
****
Questa
è una mattina in cui dovrei proprio
concentrarmi sul lavoro, ma non mi riesce possibile. Alice seduta di
fronte
alla mia scrivania comincia ad assumere un’aria irritata.
Stiamo esaminando la
mia idea di merchandising dedicato al progetto che ci farà
coprire una bella
fetta delle spese future. O così almeno spero. Si tratta di
un negozio on-line che
venderà prodotti a marchio
NASA.
«Per
ora è tutto provvisorio» mi giustifico.
«Nel
momento in cui avremo
concordato con i
fornitori ufficiali gli articoli e le caratteristiche definiremo tutti
i
particolari. Cosa ne dici?»
«Dico
che se lo scimmione che ti spunta da dietro la
testa smettesse di
farmi le boccacce,
potremmo lavorare seriamente.»
Ehm
già, sono seduta in braccio ad Emmett, che da ieri
sera non mi lascia sola un minuto.
Bella
entra nel mio ufficio bussando sullo stipite
della porta aperta e si blocca con aria sorpresa:
«Disturbo?» Dice guardandoci
uno per uno.
«Tu
no, ma
qualcun altro qui è di troppo» si
lamenta Alice. «Diglielo anche tu a
questo qui che abbiamo un sacco di lavoro da svolgere e che quindi deve
togliersi dai piedi…» continua.
«Ma daaaii
Alicee…» brontola lui,
«è venerdì, abbi un poco di
cuore…»
«Su
dai Alice, facciamo uno strappo alla regola, solo
per una volta…» Esclama un Edward spuntato in quel
momento anche lui dalla
porta mentre abbraccia Bella alla vita.
«Oh
ma cosa è preso a voi maschi, oggi?» Sembra che
Alice non sappia se ridere o piangere. «Vado a prendermi un
caffè. Vi concedo
mezz’ora di pausa, non un minuto di più.
Capito?»
«Sissignora!»
Esclamano in contemporanea i due uomini,
mentre lei esce impettita. Io e Bella ancora abbracciate dai nostri
ragazzi,
scoppiamo a ridere.
«Posso
sapere anch’io cosa avete?» Chiede lei
guardandoli entrambi.
«Io
sono solo contento che siate tutti qui.» Risponde
Emmett soffiandomi nell’orecchio.
«E
tu, invece?» Chiede ad Edward.
«Anch’io
sono contento di essere qui, mi piace il
clima del Texas.»
«See…,
ne riparliamo a luglio.» Lo sfotte Emmett.
«No,
in luglio saremo già in Florida da un pezzo.» Gli
risponde Bella.
«Beh,
io adoro anche il clima della Florida. Ora visto
che il maggiore Brandon ci ha concesso una pausa, vorrei
anch’io una tazza di
caffè, se non ti dispiace.» Replica con un sorriso
Edward trascinando via Bella
per mano.
«Ehi
honey, ora che siamo soli posso avere un bacio?»
Mi sussurra Emmett mentre struscia il naso sul mio collo.
Cosa
posso dire? Sono disperatamente felice. Cioè
felice perché tra le sue braccia ho ritrovato la
serenità che l’incontro con Alec
mi aveva tolto, disperata perché le stesse appendici non
smettono di stringermi
in modo possessivo impedendomi di lavorare.
«Met,
caro, potresti liberarmi, per favore? Siamo in
ufficio e mi sento in imbarazzo.»
«Devo
recuperare il tempo perso, mi sono sentito così
solo». E’ da ieri sera che non mi lascia un minuto.
Ieri sera.
Dolci ricordi mi tornano alla mente sciogliendomi il
cuore. A cominciare dalla sua mano grande che era rimasta intrecciata
alla mia
fino all’ingresso del bagno, dove, con l’altra
libera, aveva aperto il getto
dell’acqua calda.
«Ehi,
che stai facendo?»
«Mi
sembra chiaro, ci facciamo una doccia.» Aveva
risposto stupito.
«Ma,
sei completamente vestito.» Avevo obiettato.
«Anche
tu…» e mi aveva tirato verso di lui
direttamente sotto il getto tiepido.
«Ahhh,
sciocco dispettoso…» mi ero lamentata, ma poi
le sue mani avevano cominciato ad accarezzarmi la pelle ed io non avevo
potuto
far altro che rilassarmi al loro tocco.
Presto
anch’io ero completamente zuppa e il tessuto
sottile della camicia, aderendo alla pelle, pendeva trasparente. Lo
sguardo
voglioso di Met dimostrava di averlo notato.
«Mmh,
Rose sei ancora più bella di come ti ricordassi.»
Le
sue labbra erano scivolate dalle mie lungo il collo
verso il seno già completamente contratto dallo sfregamento
con il suo corpo.
Durante questo movimento il viso mi era rimasto alzato verso il getto
dell’acqua, ma io mi gustavo la pelle d’oca che mi
procuravano i suoi baci,
incurante dell’acqua che continuavo ad inghiottire.
In
quel momento annegare di passione mi sembrava un
gran bel modo di morire.
Dalla
doccia eravamo presto passati al letto e,
sinceramente, non ricordo bene il momento in cui i nostri abiti erano
spariti,
solo stamattina avevo realizzato che erano quegli stracci informi
all’interno
di pozze d’acqua sparse in giro sul pavimento.
Met
al mio risveglio mi aveva sorriso ed io, distrutta
dalle sue ripetute ed irruenti incursioni non avevo potuto far altro
che
arrendermi all’evidenza del sentimento che provavo per lui.
Lo avevo aggredito
buttandolo, supino e sbalordito, sul letto ed ero salita cavalcioni su
di lui
per placare il fuoco che sentivo ardermi dentro.
Me
l’ero gustato, pian piano con gli occhi, con le
mani e con le labbra finchè non avevo sentito che i nostri
corpi, fusi insieme,
avevano lo stesso calore. Lui mi aveva lasciato fare, ammaliato,
soggiogato,
sedotto. Il piacere finale, arrivato simultaneamente, aveva spazzato
via ogni
lordura dell’esperienza passata.
Met
era il mio sole e con lui non avevo paura di
nulla. Mi ero accasciata sfinita sul suo petto e lì ero
rimasta fino al trillo dispettoso
della sveglia. Ci siamo alzati dispiaciuti di dover lasciare il nostro
angolo di
paradiso. Ma sapevamo che era solo un arrivederci, perché
sarebbe stato un
giorno splendido.
Come
lo sarebbe stato quello dopo e quello dopo
ancora.
Non vi faccio perdere altro tempo, alla prossima,