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Autore: elenri    26/04/2014    4 recensioni
L'Agenzia Aerospaziale NASA, sta progettando una nuova missione nello Spazio. A capo di questo progetto promuove il Comandante Isabella Swan, che con l'aiuto della storica amica e valente Scienziato Alice Brandon. deve riuscire per prima cosa a crearsi un equipaggio fatto di professionalità eccellenti. Riusciranno le due donne a creare questo gruppo così particolare, capace di sopportare le insidie e l'isolamento dello spazio cosmico?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Emmett/Rosalie
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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cap 30
Bellissime, eccomi qua. Non ve l'aspettavate vero?
Quanto tempo è passato dallo scorso capitolo... due settimane? Wow, sono sorpresa anch'io. Cosa sarà successo? Forse ho avuto un po' più di tempo, forse è perchè mi è passato, temporaneamente, il mal di testa, (che tra l'altro ho fatto venire a Rose e so cosa vuol dire!), ma sono riuscita a postare con una tempistica decente. Sarebbe bello potervi promettere di mantenere questo ritmo... vedremo. Nel capitolo ci sono un po' di cose, tra il serio e il faceto. Spero vi piaccia. Come solito ho fatto un lavorone iconografico, (oggi ho mangiato il dizionario) e manco a dirlo la vista dall'alto della città di Boston fa parte del mio bagaglio di viaggio.
L'unico che non centra con la storia è proprio il dolcissimo Muso che campeggia in copertina: ma che rientro a casa sarebbe stato se lui non avesse dato il benvenuto?
Ora vi lascio, ringrazio come sempre tutte quante,
bacioni,
Teresa.



 

 

Capitolo trentaduesimo

 

(Alice)

Hey brother- Avicii

Giuro che non volerò mai più con una compagnia di linea civile.

Lo avevo ripetuto a me stessa, per tutto il pomeriggio, nella speranza di imprimermelo bene nella memoria. Dopo la parentesi a Boston, era improcrastinabile ributtarsi  al più presto sul lavoro, e quindi l’attesa dei tempi biblici del check in dell’aeroporto Logan era stato un vero e proprio tormento.  

A complicare le cose un irritante guasto tecnico all’aereo stava posticipando la partenza bloccandoci all’imbarco altre due ore. Tutto il gruppo mostrava la mia stessa impazienza, tranne Rose, che silenziosa, trascorreva il tempo leggendo una rivista con apparente noncuranza. L’impulso di presentarmi al personale della compagnia aerea e offrirmi per risolvere il problema, era diventato irresistibile.

«Accidenti, Bella, qui stiamo facendo sera.» Avevo brontolato alla mia amica e collega guardando l’orologio.

«Già, se fossimo partiti in auto, saremmo quasi a New York.» Mi aveva risposto. «Se avevo apprezzato l’idea iniziale di viaggiare in borghese e non coi  mezzi militari, in questo momento lo rimpiango amaramente.» Aveva continuato battendo nervosamente il piede a terra.

«Sai cosa facciamo?» Le avevo propongo entusiasta. «Sbattiamo sul naso, a quei tizi laggiù, i nostri tesserini della NASA e andiamo a controllare di persona cosa c’è che non va nella pancia del bambino sulla pista.» Ero eccitata all’idea di fare qualcosa di concreto, sicurissima che la nostra competenza tecnica fosse di gran lunga maggiore di quella di qualsiasi manutentore di quel fottutissimo aeroporto. «Ti prego, Bella. Si tratta di un comune Airbus A340, è roba da esercitazione scolastica…»

Bella aveva riso ma non aveva avvallato la mia idea.

«Sarebbe fantastico, Alice, ma credo che dovremo aspettare qui, buone, che se la cavino da soli. Abbiamo portato già abbastanza scompiglio alla sonnolenta città per i miei gusti. Unisciti ai passeggeri e fingi di essere una donna qualsiasi che sa a malapena aggiungere l’acqua ai tergicristalli dell’auto.»

Il Comandante si era, quindi, appoggiata un paio di inutili occhiali scuri sul naso e, con aria annoiata, si era seduta sulla poltroncina libera tra Edward e Rose.

«Perché, tu sai dov’è la vaschetta del tergi?» Avevo ironizzato stando al suo gioco.  «Io è una vita che non alzo il cofano di un’auto… Lo faccio fare ai miei sottoposti, cara.» Le avevo risposto con tono lezioso fingendo di controllarmi le unghie delle mani.

Avevo notato con piacere che alla risata dei miei colleghi, dovuta al mio siparietto, si era aggiunta anche quella di Rose. Bene.
Quando finalmente Dio aveva voluto, eravamo riusciti a partire ed io avevo salutato con sollievo la scintillante città della mia gioventù che scorreva sotto di noi nella notte.

****

Riconsegno la tazza vuota del caffé all’instancabile assistente di volo e mi allaccio, per l’ultima volta, la cintura di sicurezza. Stiamo per atterrare a Houston dopo otto ore tra attesa e viaggio, (calcolando anche le due di recupero per il fuso orario!), quindi spengo diligentemente lo Smartphone sul quale, insieme a Bella, stavo controllando, punto per punto, il programma di lavoro che mi ha spedito Angela. La nostra giornata dovrà iniziare prestissimo, domani, per far fronte a tutti gli impegni, perciò non vedo l’ora di arrivare al residence per potermi fare una bella dormita.

«Questo viaggio è stato uno schifo.» Mi confida Jasper mentre con i nostri bagagli ci avviamo verso l’uscita dell’aeroporto: «In tutti i sensi. Sai, prima della partenza avevo progettato di portarti in un bel locale nei dintorni di Boston ma purtroppo, per  come sono andate le cose, non ci sono riuscito. Scusa.»

Guardando la sua espressione abbattuta mi chiedo con una punta di rimpianto, cos’altro avesse avuto in mente.

«Ci saranno altre occasioni, immagino.» Gli rispondo accomodante. «Ma per un po’ dovremo accontentarci dei panorami del Texas.»

Lui annuisce e torna a fissare davanti a sé pensieroso. La sua confessione mi porta a riflettere sul rapporto altalenante che intercorre tra noi e mentre procediamo fianco a fianco, mi rendo conto che se indubbiamente devo essere molto fiera della qualità del lavoro che stiamo svolgendo, non riesco ancora a dare la giusta collocazione alle sporadiche occasione di piccante intimità che ogni tanto ci capitano.

Beh, ad ogni cosa il suo tempo.

 

(Rose)

Wake me up – Avicii

Il rombo sordo dei trolley, trascinati sul pavimento di marmo del terminal, sovrasta ogni altro suono e mi perfora le orecchie. Ho un mal di testa pungente che dalle tempie si estende fino agli occhi. Sento su di me l’attenzione dei miei compagni di viaggio e suppongo che si stiano chiedendo quali pensieri stia celando dietro agli occhiali, dalle lenti scure, che ho indossato per limitare il riverbero della luce artificiale, che acceca il mio povero nervo ottico. Cerco, tra la folla in attesa, il viso di Emmett che ancora non si è mostrato. Strano. Mi aspettavo di vederlo spiccare prepotentemente davanti a tutti, e mi ero già rassegnata psicologicamente al suo assalto di domande.

«Black e Newton a ore dieci.» Comunica Edward al gruppo.

Solo loro due?  Un forte senso di delusione mi coglie immediatamente peggiorando il dolore che mi attanaglia. Avrei di gran lunga preferito potermi buttare in uno dei meravigliosi abbracci di Met piuttosto che scambiare convenevoli vuoti con Jake e Mike. Invece seguo distratta  il gruppo, alla ricerca del nostro mezzo, perso tra migliaia di altri nell’immenso parcheggio dell’aeroporto di Houston. E’ una sera mite che profuma di tigli fioriti e la differenza di temperatura con quella del New England, la fa sembrare quasi estiva. Il sole è appena tramontato e all’orizzonte: è rimasta solo una sfumatura turchese che si fonde nel cobalto della notte imminente. Tolgo gli occhiali che mi impediscono di vedere gli ostacoli del selciato e così ad una ventina di metri di distanza lo scorgo nell’ombra. E’ mestamente appoggiato al recinto esterno, a pochi passi dall’auto e sta guardando nella mia direzione. I muscoli delle gambe scattano anticipando il comando della mente e accelerano il passo verso di lui, che con lentezza, si stacca dalla rete e mi viene incontro. Ha lo sguardo cupo e la sua bocca non è piegata nel solito sorriso. In poche falcate mi raggiunge seguito dal brusio di saluto dei colleghi intorno. Finalmente sono stretta a lui, che mi abbraccia in silenzio. Sollevo sorpresa la testa anche se mi costa fatica staccare la guancia dal suo petto caldo e compatto, ma questo suo mutismo mi mette in ansia. Lo scruto nel profondo delle sue meravigliose iridi azzurre, che nelle ombre della sera, sono quasi solo una pozza nera di inquietudine.

«Ciao» mi sussurra, «come stai?»

E’ talmente strano vederlo così dimesso, mentre di solito è un uomo pieno di vita, che dimentico la stanchezza e il dolore per concentrarmi sulla sua espressione.

«Io bene, e tu invece?» La domanda ha un ché di retorico, perché lo leggo dal suo viso che c’è qualcosa che non va.

«Adesso è tutto okay, ma ho creduto veramente di impazzire.» Mi stringe ancora di più a sé e affonda il viso tra i miei capelli. «Ti sapevo là, da sola, in pericolo… ed io da qui non potevo fare nulla. Rose sono stato un vero imbecille. L’unica volta che hai avuto veramente bisogno di me, non c’ero. Non riuscirò mai a perdonarmelo… mi avevi anche chiesto di accompagnarti!» Non sono stupita tanto dal tono delle sue parole, quanto dai suoi occhi che luccicano umidi.

No, Emmett, ti prego, non piangere qui davanti a tutti. Gli accarezzo la guancia ispida cercando di alleviare la sua sofferenza.

«Non è colpa tua! Anche se mi sarebbe piaciuto, non avresti potuto seguirmi. Sei il vice di Bella, ricordi? Se non c’è lei… ci devi essere tu. E’ la regola. Su, dai adesso andiamo che ho bisogno di una doccia.

Lo vedo rasserenarsi un attimo seguendo un pensiero misterioso: «Sì anch’io» mi dice regalandomi un sorrisetto malizioso prima di appoggiare le sue labbra sulle mie.

 

****

Questa è una mattina in cui dovrei proprio concentrarmi sul lavoro, ma non mi riesce possibile. Alice seduta di fronte alla mia scrivania comincia ad assumere un’aria irritata. Stiamo esaminando la mia idea di merchandising dedicato al progetto che ci farà coprire una bella fetta delle spese future. O così almeno spero. Si tratta di un negozio on-line che venderà prodotti a marchio NASA.

«Per ora è tutto provvisorio» mi giustifico. «Nel momento in cui  avremo concordato con i fornitori ufficiali gli articoli e le caratteristiche definiremo tutti i particolari. Cosa ne dici?» 

«Dico che se lo scimmione che ti spunta da dietro la testa  smettesse di farmi le boccacce, potremmo lavorare seriamente.»

Ehm già, sono seduta in braccio ad Emmett, che da ieri sera non mi lascia sola un minuto.

Bella entra nel mio ufficio bussando sullo stipite della porta aperta e si blocca con aria sorpresa: «Disturbo?» Dice guardandoci uno per uno.

«Tu no, ma qualcun altro qui è di troppo» si lamenta Alice. «Diglielo anche tu a questo qui che abbiamo un sacco di lavoro da svolgere e che quindi deve togliersi dai piedi…» continua.

«Ma daaaii Alicee…» brontola lui, «è venerdì, abbi un poco di cuore…»

«Su dai Alice, facciamo uno strappo alla regola, solo per una volta…» Esclama un Edward spuntato in quel momento anche lui dalla porta mentre abbraccia Bella alla vita.

«Oh ma cosa è preso a voi maschi, oggi?» Sembra che Alice non sappia se ridere o piangere. «Vado a prendermi un caffè. Vi concedo mezz’ora di pausa, non un minuto di più. Capito?»

«Sissignora!» Esclamano in contemporanea i due uomini, mentre lei esce impettita. Io e Bella ancora abbracciate dai nostri ragazzi, scoppiamo a ridere.

«Posso sapere anch’io cosa avete?» Chiede lei guardandoli entrambi.

«Io sono solo contento che siate tutti qui.» Risponde Emmett soffiandomi nell’orecchio.

«E tu, invece?» Chiede ad Edward.

«Anch’io sono contento di essere qui, mi piace il clima del Texas.»

«See…, ne riparliamo a luglio.» Lo sfotte Emmett.

«No, in luglio saremo già in Florida da un pezzo.» Gli risponde Bella.

«Beh, io adoro anche il clima della Florida. Ora visto che il maggiore Brandon ci ha concesso una pausa, vorrei anch’io una tazza di caffè, se non ti dispiace.» Replica con un sorriso Edward trascinando via Bella per mano.

«Ehi honey, ora che siamo soli posso avere un bacio?» Mi sussurra Emmett mentre struscia il naso sul mio collo.  

Cosa posso dire? Sono disperatamente felice. Cioè felice perché tra le sue braccia ho ritrovato la serenità che l’incontro con Alec mi aveva tolto, disperata perché le stesse appendici non smettono di stringermi in modo possessivo impedendomi di lavorare.

«Met, caro, potresti liberarmi, per favore? Siamo in ufficio e mi sento in imbarazzo.»

«Devo recuperare il tempo perso, mi sono sentito così solo». E’ da ieri sera che non mi lascia un minuto.

Burn – Ellie Goulding

Ieri sera. 
Dolci ricordi mi tornano alla mente sciogliendomi il cuore. A cominciare dalla sua mano grande che era rimasta intrecciata alla mia fino all’ingresso del bagno, dove, con l’altra libera, aveva aperto il getto dell’acqua calda.

«Ehi, che stai facendo?»

«Mi sembra chiaro, ci facciamo una doccia.» Aveva risposto stupito.

«Ma, sei completamente vestito.» Avevo obiettato.

«Anche tu…» e mi aveva tirato verso di lui direttamente sotto il getto tiepido.

«Ahhh, sciocco dispettoso…» mi ero lamentata, ma poi le sue mani avevano cominciato ad accarezzarmi la pelle ed io non avevo potuto far altro che rilassarmi al loro tocco.

Presto anch’io ero completamente zuppa e il tessuto sottile della camicia, aderendo alla pelle, pendeva trasparente. Lo sguardo voglioso di Met dimostrava di averlo notato.

«Mmh, Rose sei ancora più bella di come ti ricordassi.»

Le sue labbra erano scivolate dalle mie lungo il collo verso il seno già completamente contratto dallo sfregamento con il suo corpo. Durante questo movimento il viso mi era rimasto alzato verso il getto dell’acqua, ma io mi gustavo la pelle d’oca che mi procuravano i suoi baci, incurante dell’acqua che continuavo ad inghiottire.

In quel momento annegare di passione mi sembrava un gran bel modo di morire.

Dalla doccia eravamo presto passati al letto e, sinceramente, non ricordo bene il momento in cui i nostri abiti erano spariti, solo stamattina avevo realizzato che erano quegli stracci informi all’interno di pozze d’acqua sparse in giro sul pavimento.

Met al mio risveglio mi aveva sorriso ed io, distrutta dalle sue ripetute ed irruenti incursioni non avevo potuto far altro che arrendermi all’evidenza del sentimento che provavo per lui. Lo avevo aggredito buttandolo, supino e sbalordito, sul letto ed ero salita cavalcioni su di lui per placare il fuoco che sentivo ardermi dentro.

Me l’ero gustato, pian piano con gli occhi, con le mani e con le labbra finchè non avevo sentito che i nostri corpi, fusi insieme, avevano lo stesso calore. Lui mi aveva lasciato fare, ammaliato, soggiogato, sedotto. Il piacere finale, arrivato simultaneamente, aveva spazzato via ogni lordura dell’esperienza passata.

Met era il mio sole e con lui non avevo paura di nulla. Mi ero accasciata sfinita sul suo petto e lì ero rimasta fino al trillo dispettoso della sveglia. Ci siamo alzati dispiaciuti di dover lasciare il nostro angolo di paradiso. Ma sapevamo che era solo un arrivederci, perché sarebbe stato un giorno splendido.

Come lo sarebbe stato quello dopo e quello dopo ancora.






Non vi faccio perdere altro tempo, alla prossima,

T

 

 

 


  
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