Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: E m m e _    26/04/2014    3 recensioni
In un mondo dove gli Angeli hanno preso il sopravvento, costringendo il genere umano alla schiavitù, o peggio alla morte, Allison si risveglia all’interno di una delle stanze del Paradisum, unità operativa dei nuovi sovrani del Pianeta Terra, con l’unico ricordo di cadere da un edificio e una voce che la chiama.
Non conosce la sua identità ma sa che, probabilmente, è già morta, caduta vittima degli Angeli.
Ad attenderla al suo risveglio, però, Caliel, un Angelo in attesa che Aniel, la sua compagna di vita, si risvegli dal suo sonno nel corpo mortale di Allison.
Ma ciò non accade.
Lei sa di essere in pericolo, così come ogni essere umano rimasto sul Pianeta, ma non può scappare.
Il suo destino è segnato: diventare una schiava o morire.
E lei non può permetterlo.
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
4.
Ragionevoli accordi.
 
 
«Quanto tempo dovrò rimanere ancora qui dentro?», chiesi a Caliel, seduto ancora al mio fianco.
La mia voce risuonò più dura e preoccupata del dovuto e me ne pentii immediatamente; ogni minimo atteggiamento sbagliato avrebbe potuto portarmi alla mia rovina per cui dovevo stare attenta, molto attenta.
L’Angelo al mio fianco sorrise e guardò un punto nella stanza, come se aspettasse che qualcun altro rispondesse a quella domanda, poi si voltò verso di me e guardò l’orologio che portava al polso, di pelle nera e dal vetro lucido.
Ogni secondo che passava, attendendo quella risposta, sembrava infinito, ogni tic-tac scandiva lentamente i battiti del mio cuore, che provavo a controllare, quasi inutilmente.
«Tra qualche minuto dovrebbe venire una dei nostri con degli abiti per te.», accennò un nuovo sorriso, diverso come non mai dal precedente.
Dietro quelle labbra lisce e rosee, che dipingevano i suoi occhi di tenerezza.
Con la mano, grande e calda, mi sfiorò la guancia, e ne seguii ogni suoi movimento con lo sguardo; le sue dita scivolarono fino alle mie labbra, poi trai capelli, mentre il suo viso si faceva così vicino al mio da lasciarmi senza fiato.
Mi avrebbe baciato di nuovo, una nuova bugia avrebbe taciuto sulle mie labbra, ma qualcuno bussò alla porta di metallo, facendolo voltare di scatto, allontanando la sua mano dal mio viso, come un bambino che veniva scoperto dal padre a far qualcosa che non doveva.
«Scusate.», una ragazzina, che dimostrava qualche anno in meno di me, si affacciò dalla porta e Caliel le fece segno di entrare, dedicandole un sorriso rassicurante, «Ho portato i vestiti per la Neo-nata.», e si fece piccola-piccola contro il portone.
Non sapevo cosa potesse sconvolgermi di più, l’assoluta bontà che Caliel aveva dimostrato, rispetto ad altri Angeli, o l’età di quella ragazzina rispetto al suo sguardo.
Era la prima volta che vedevo una ragazzina da chissà quanto ma nei suoi occhi c’era una strana saggezza, la consapevolezza, la schiavitù.
Per un attimo provai pena per lei.
Sarebbe stato quello, quindi, ciò che mi sarebbe aspettato se non fossi precipitata dal tetto di quell’ospedale?
Sarei diventata anch’io una loro schiava, pedina dei loro giochi? O forse avrebbero preferito uccidermi, assicurandosi così la perdita di un altro nemico?
«Ti lascio con i tuoi vestiti.», Caliel mi fece una carezza, guardandomi nuovamente con i suoi occhi scuri, «Ci vediamo dopo.», e mi scoccò un sonoro bacio sulla fronte.
Lo vidi allontanarsi a passo svelto dalla stanza, sorridendo senza malizia alla ragazza davanti a me, aprendo e chiudendosi poi alle spalle la pesante porta di metallo.
La ragazzina si avvicinò a me con un sorriso di cortesia misto all’obbedienza.
Chissà cosa doveva aver passato quella poverina, rinchiusa in un covo di Angeli!
«Allora…», cominciò distendendo al mio fianco alcune paia di vestiti, un paio di t-shirt nere e grigie, dei larghi pantaloni dello stesso colore, una tuta di tessuto nero lucido, «Questi sono i vestiti quotidiani.», e li indicò con la mano piccola e pallida. Distolse poi lo sguardo, «Questo invece…» e indicò, a contrasto con gli altri abiti, un lungo vestito da sera nero, con un voluminoso spacco all’altezza della gamba destra, «Beh, questo sarà per la serata di domani.», e lo guardò con ammirazione, come se fosse il primo abito che avesse mai visto.
Dovevo ammettere, a mio malgrado, che era davvero meraviglioso; il tessuto era liscio al tatto, e lasciava una strana sensazione sulla pelle, il color nero non appesantiva la leggerezza dell’abito, anzi, lo rendeva elegante e morbido mentre la scollatura accentuata e lo spacco lo rendevano malizioso e meravigliosamente intrigante.
Non avevo mai indossato, in tutta la mia vita, un abito del genere.
«Che cosa ci sarà domani?», chiesi, curiosa, osservandola mentre sfiorava il tessuto dell’abito con tenera accuratezza, come se un tocco sbagliato avesse potuto rovinarlo per sempre.
«Domani sera ci sarà una festa in vostro onore, signorina Aniel», il sentirla chiamarmi signorina mi fece accapponare la pelle, e per un attimo l’idea che mi avesse chiamato in quel modo perché credeva, o meglio temeva, di aver davanti a sé un Angelo, come quello che probabilmente l’aveva divisa dalla sua famiglia, mi fece venir voglia di vomitare.
«Ogni Neo-nato ne ha una qualche giorno dopo il suo Risveglio, una sorta di ritorno in società.», si lascio sfuggire un timido sorriso pieno di tristezza e fu come leggerle nel pensiero per me.
Lei non avrebbe mai avuto un “ritorno in società”.
Non c’era nessuna società a cui tornare.
«Qual è il tuo nome?», chiesi sottovoce, ma ero certa che mi avesse sentito ugualmente.
«A-Annie, signorina. Mi chiamo Annie.», e mi lanciò una tiepida occhiata, per un tempo così breve che riuscii a malapena a capire il colore dei suoi occhi.
Per un tempo che parve un’eternità, mi chiesi se anch’io, se fossi diventata una schiava, avrei avuto il coraggio di alzare gli occhi verso il mio “padrone”, di chiamarlo “signore” nonostante mi avesse tolto tutto ciò che amavo.
«Annie…», ripetei piano e lei mi guardò, uno sguardo talmente terrorizzato da farmi rimanere immobile, facendomi provare solo pena per lei, all’apparenza una ragazzina così gracile, con i suoi lunghi capelli biondi che le nascondevano il viso a cuoricino, la pelle bianca e le mani tremanti, «Posso chiederti un favore?», le chiesi in un bisbiglio e, facendo come Caliel, le dedicai un sorriso cordiale, senza alcuna malizia, o la perversione di un Angelo crudele.
Annie mi guardò e non rispose, pensando forse alla risposta migliore da dare.
Così piccola e così intelligente.
Sapeva che un “no” sarebbe potuto divenire la sua morte, e che un “sì” avrebbe potuto portarla a un destino persino peggiore della morte, e alla fine rispose «Sì», un sussurro flebile come il canto del vento tra l’erba appena tagliata.
«Potresti rispondere ad alcune domande per me?», lei annuì ancora.
«Dove sono?», chiesi e Annie si strinse nelle spalle.
«Lo chiamo il Paradisum, unità operativa di voi Angeli da quasi tre mesi ormai.», la sua voce sembrava seria e piena di astio, che mai mi sarei immaginata da una ragazzina come lei.
«Da quanto tempo sono qui?», chiesi ancora e lei nascose il suo sguardo dietro una ciocca di capelli dorati, «quasi un anno signorina.», la sua risposta mi gelò il sangue nelle vene.
Un anno.
12 mesi, 365 giorni, 525948766 minuti, 31556926 secondi.
Era impossibile per me concepire l’idea di aver “dormito” per così tanto tempo.
«E il ragazzo…», bisbigliai timidamente, «Caliel», ottenni pian piano il suo sguardo.
Annie non mi lasciò nemmeno terminare che sorrise, capendomi al volo.
«Oh, lui è stato qui fin dal vostro arrivo, signorina.», squittì quasi.
Per un attimo non potei far a meno che sorridere, sentendomi, contemporaneamente, in colpa.
Caliel aveva aspettato per quasi un anno la sua amata ma tutto ciò che aveva trovato era me.
Ed io che, forse per un certo punto di vista, avrei dovuto sentirmi in qualche modo in debito con lui, o con quella società che mi aveva ugualmente usata come cavia sperando nell’arrivo di un nuovo alleato, fingevo per mantenere cara la vita che avevo tentato di togliermi pur di sfuggire a quel dolore che era diventato, oramai, parte integrante di me.
Quanto avrei potuto fingere con Caliel, ancora?
Fino a che punto mi sarei dovuta spingere con lui pur di non mostrargli chi, o cosa, ero in realtà?
«Devo chiederti un ultimo favore, Annie.», dissi a bassa voce, ottenendo dopo un po’ la sua attenzione.
Il suo sguardo rimase a lungo nel mio, tanto abbastanza per scorgere dell’azzurro nelle sue iridi, come due spessi anelli intorno al puntino scuro della pupilla.
«Voglio sapere di più sul corpo di questa ragazza», dissi indicandomi per qualche secondo, «Come potrei fare? Ovviamente a un prezzo ragionevole.», e notai la sua espressione diventare furba e sottile, come quella di una bambina che sapeva già di star vincendo a un gioco assai complesso.
Il suo sguardo mi fece sorridere, era così innocente, così puro, così umano.
«Ci sono degli archivi», disse sorridendomi, «ma è molto difficile arrivarci» e nel dirlo la sua espressione s’incupì.
Il silenzio invase la stanza per un lungo momento, poi Annie rizzò in piedi, con un innocente sorriso disegnato sulle labbra sottili.
«Ma sono certa di conoscere la persona che potrebbe arrivarci facilmente!», le sue iridi brillarono di luce nuova, come solo gli occhi di un bambino potevano fare.
«Appena ti vestirai dovrebbero portarti a fare un giro nel Paradisum», accennò lei, seria in viso, ma al tempo stesso divertita, era sicuramente uno dei suoi primi giochi lì dentro, «e passerete anche nella nostra ala.», pronunciò quel “nostra” quasi con durezza, un “nostra” che diceva tutto, e quel tutto poteva restringersi in una sola parola: umani.
Quindi ce n’erano altri come lei, come noi?
«Potrei portarteli allora i fogli!», e sorrise ancora.
«Perfetto.», le posi la mano e lei, dopo molto, la strinse, incerta, «Ora abbiamo un patto».
 
Lasciai che Annie uscisse dalla sua stanza, raccomandandola di non raccontare niente della nostra conversazione di fronte ad altri Angeli.
Indossai in fretta e furia una t-shirt nera e un pantalone dello stesso colore e, vagando alla ricerca di un paio di scarpe, ne trovai un paio sportivo, a pochi metri dal letto, nonostante, prima d’allora, non vi avessi mai fatto caso.
Le infilai velocemente, sentendo il materiale freddo contro la pelle nuda del piede.
Guardai la porta chiedendomi se, anche quella volta, l’avrei trovata chiusa o se, credendomi dalla loro parte, credendomi Aniel, sarei riuscita ad aprirla e ad addentrarmi nel nuovo mondo che mi aspettava.
Feci un profondo respiro e mi avvicinai al portone di metallo; con le dita ne sfiorai i contorni, sentendo il gelido materiale lanciarmi brividi, simili a scosse elettriche, lungo la schiena, lasciandomi quasi senza fiato.
La mia mano scivolò silenziosa lungo la maniglia e, sentendo il mio cuore pulsare copiosamente nel petto, come il ticchettare di un orologio, o la caduta violenta della pioggia sull’asfalto, feci pressione su di essa, sentendo i meccanismi metallici muoversi.
Con la mano libera sfiorai nuovamente la superficie gelida e la spinsi in avanti, sentendola spostarsi sotto il peso della mia mano, fino ad aprirsi del tutto.
Tirai un sospiro di sollievo e feci un primo passo avanti, e poi un secondo e un altro ancora, fino a raggiungere un largo corridoio dalle pareti bianche e nude.
Mi guardai intorno, trovandolo completamente vuoto.
Sarebbe stato un ottimo momento per fuggire ma qualcosa dentro di me mi fermava, e per un attimo il pensiero che Aniel fosse veramente dentro di me mi fece sentire come se stessi affogando.
Un suono robotico attirò la mia attenzione, costringendomi a voltarmi verso un angolo sul soffitto.
Un esserino nero grande quanto il mio dito indice mi osservava attraverso una spessa lente scura, che sembrava troppo pesante da mantenere per un oggetto tanto piccolo.
Una telecamera.
Se scappi, capiranno chi sei, disse una voce nella mia mente, la mia coscienza, ti prenderanno e ti uccideranno, ed io non potevo permetterlo, non dopo essere stata quasi un anno lì dentro, crogiolandomi nell’oscurità di quel salto che mi aveva portato lì.
Distolsi in fretta lo sguardo dalla telecamera.
E se fosse stato un test?
Se l’Angelo che fino a poco tempo prima era stato al mio fianco, sin dal mio risveglio, avesse capito tutto? Se stessero semplicemente aspettando un mio passo falso per punirmi?
Ma perché non lì? Perché non in quel momento?
Se sapevano tutto, perché aspettare?
«Caliel?», lo chiamai a gran voce, fingendomi disorientata, e guardandomi intorno alla ricerca della sua immagine, «Caliel?».
Il suono di passi mi fece rizzare ogni capello sulla nuca, sembravano così tanti da poter possedere a un esercito ma, alla fine, solo una figura, piccina in fondo al corridoio, si mosse correndo verso di me, divenendo sempre più grande fino a diventare l’immagine tanto attesa di Caliel, dai suoi capelli corti, agli occhi così scuri da non poter distinguere la pupilla dall’iride, dal suo sorriso cordiale, all’apparenza così sincero.
«Ehi!», esclamò quando mi ebbe raggiunto.
Nei suoi occhi riuscivo a leggere solo felicità.
Doveva averla amata molto, quell’Aniel, se ogni volta che il suo sguardo incontrava il mio, pensando che fosse il suo, le sue labbra si schiudevano, come boccioli di rosa al sole, in un sorriso.
Nella sua espressione, però, qualcosa non andava.
Ogni muscolo del suo corpo era contratto, come se stesse combattendo, e la sua espressione sembrava quasi stanca, nonostante tentasse di nasconderla dietro quel suo sorriso.
«È successo qualcosa?», gli chiesi notando i profondi respiri scivolare silenziosi dalle sue labbra. 
«No», disse tutto d'un fiato, «Soltanto un gruppetto di Ribelli.», e mi abbracciò piano, un saluto un po’ più appropriato che un semplice "Ehi". Nell'istante stesso in cui i suoi fianchi sfiorarono i miei, però, qualcosa attirò la mia attenzione. 
Mi liberai dall'abbraccio e strinsi, tra due dita, un pezzo del tessuto bagnato della sua t-shirt nera. 
Portai la mano davanti al viso, notando i polpastrelli tinti di un rosso sgargiante.
«Sei ferito?», la mia voce tradì un lieve tremore che non mi sarei mai aspettata e subito feci un passo indietro. 
Lo guardai in pieno viso ma Caliel non disse niente, la sua espressione parlò al suo posto.
Un conato di vomito salì al posto delle parole e per un attimo il mondo vorticò intorno a me; la mia mano, la sua maglietta, la sua coscienza, tutti macchiati dal sangue d'innocenti, della mia gente. 
Sangue che sarebbe potuto essere benissimo il mio.
«Forse dovremmo andare.», bisbigliò fiancheggiandomi.
La sua mano si strinse intorno al mio braccio e per un attimo potei giurare che il suo sguardo si fosse puntato sull'occhio vigile della telecamera...


 
Ringraziamenti:
Grazie a Drachen e a MockinGleek_ per avermi lasciato un vostro parere :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di avere qualche altro vostro parere anche qui :D

Grazie anche a tutti quelli che hanno seguito o che cominceranno a seguire Submission, la mia creaturina, sperando che anche loro, come gli altri, decideranno, prima o poi, di lasciarmi un vostro parere personale, così che possa crescere e migliorarmi :D

-Miri
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: E m m e _