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Autore: ranyare    28/04/2014    2 recensioni
Aslan ha abbandonato Narnia da molti secoli e solo pochi, strenui abitanti di Narnia credono nel suo ritorno: fra loro, inaspettatamente, c'è anche il giovane condottiero che ha tradito Telmar per guidare i narniani alla rivolta.
La guerra si profila all'orizzonte ma Caspian, assieme agli Antichi Re ritornati dal passato, potrebbe non essere in grado di far fronte a questo scontro che promette di stroncare fin troppe vite.
Ma un potere antico, quasi dimenticato, è pronto a giungere in loro soccorso, col volto di quattro fanciulle nate dallo stesso sangue di Narnia.
[CORREZIONE CAPITOLI: 05/35]
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Miraz, Peter Pevensie, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Narnia's ~R~'
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34 chap

Narnia's Rebirth
50th Chapter

Calls Me Home - Shannon LaBrie

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A quella meraviglia della Kiks,

allo splendore che è Chica,

alla mia fantastica muirnín.

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Sul limite esterno del promontorio su cui sorgeva il castello di Telmar, ad un soffio dallo strapiombo che si gettava nel Grande Fiume accarezzato dal sospiro di libeccio che spirava da est, Aslan rifletteva.

La folta criniera s’intrecciava ai capricci del vento, giocoso e frizzante, ma nient’altro in lui si muoveva. Il suo sguardo, attento e profondo, seguiva con interesse le minuscole figure delle persone che, lentamente, si stavano assiepando nella piazza principale della cittadella, invisibile ai loro occhi almeno quanto l’aria fresca del mattino.

-Che cos’hai in mente, Aslan?-

La voce pacata di Mirime non turbò la profonda meditazione in cui era assorto il Grande Leone; tutt’altro. Il suo volto imperscrutabile si distese in un sorriso sereno quando si volse per accogliere l’arrivo, non del tutto inaspettato, della più antica delle sue Figlie.

Mirime aveva rinunciato in fretta all’abito di impalpabili sete argentee che era stato confezionato per lei dai sarti di corte in occasione del ballo ­– suo padre sapeva bene che lei non apprezzava affatto le occasioni mondane e l’inevitabile scomodità dei vestiti richiesti, eppure l’aveva trovata estremamente elegante in quel modello semplice, dalle maniche voluttuose e spiraleggianti quanto i venti onnipresenti che s’intrecciavano ai suoi capelli altrimenti lisci e immoti. In quel momento, infatti, l’Ancella dell’Aria era avvolta in una delle tuniche incrociate che tanto apprezzava e, stranamente, un paio di stivaletti le calzavano i piedi solitamente nudi, fasciando la calzamaglia sino alla caviglia sottile.

Aslan non le rispose subito, preferendo seguirne lo sguardo ambrato che, dopo avergli scoccato una lunga occhiata, si volse in direzione delle grandi porte del castello: erano apparsi due cavalieri sul ponte levatoio e, immediatamente, la pleiade riconobbe la scapigliata chioma fulva del più minuto fra i due.

-Li hai convocati tu.- rifletté, scorgendo Siria illuminarsi quando si voltò verso Caspian che, sereno, le cavalcava accanto.

Aslan tacque ancora, immerso in se stesso, mentre il Sole procedeva pigramente lungo il suo ciclico sentiero, tracciato in quel pallido cielo migliaia di anni prima – ed era stato proprio lui, allora, a disegnare il cammino di quell’eterno viandante.

Spazientita, la pleiade abbandonò il sostegno delle sue correnti e posò i piedi a terra, affiancando il padre su quell’altura baciata dal tepore della timida alba settembrina.

Le giornate tornavano ad accorciarsi in quel continuo mutare, e l’autunno aveva già cominciato a tingere gli alberi d’oro e di scarlatto: la foresta che si stendeva attorno alla cittadella telmarina era uno spettacolo di sfumature e d’audaci giochi di colori nel bagliore del mattino, e Mirime avvertì il sospiro che fremette nelle chiome, raccolto dai venti, quando la Custode della Terra fece capolino dall’eterna penombra del suo amato bosco.

Anche Talia era fuggita dal ballo, notò Mirime con un mezzo sorriso, distinguendo l’imponente figura di Caleb e quella minuscola di Tara apparire dal buio poco dopo la comparsa della mezz’elfa. Anche loro, come Siria e Caspian, si avviarono in direzione della piazza centrale; due alberi, intrecciati l’uno all’altro sin dalla nascita e maestosi nella loro semplicità, erano perfettamente distinguibili anche da lì, a ridosso dello strapiombo che si affacciava sul fiume.

Poco dopo, uno scintillio conosciuto attirò l’attenzione della ninfa su quelle acque perennemente tumultuose: la corte della Sovrana delle Naiadi emerse dalle correnti, assumendo gradualmente le fattezze umane a cui ormai, probabilmente, si era abituata. Shaylee – cupa in volto come Mirime non credeva di averla mai vista – fu la prima a toccare terra e a terminare la mutazione; si rassettò la semplicissima tiara – un semplice cerchio d’oro ornato da uno zaffiro centrale – sulla fronte, impugnò lo scettro e rizzò le spalle, ostentando una calma che probabilmente non possedeva.

Aysell non aveva passato la notte con le sue simili, ma questo non sorprese affatto la pleiade; la scorse inciampare sui ciottoli della salita che conduceva alla piazza e ridacchiò, incapace di trattenersi, quando la profonda irritazione della Guardiana increspò appena i suoi pensieri, tanto abituati a cogliere ogni sfumatura dell’umore della bionda.

Aysell non era contenta di essere stata svegliata presto e lo fu ancora meno quando, superata la folla che si stava lentamente assiepando, raggiunse gli alberi intrecciati e si trovò davanti i Pevensie al completo accompagnati da Cornell, Trumpkin, Tartufello e Reepecheep.

Stai buona”, le sussurrò, e vide la piccola naiade sobbalzare quando un soffio di vento le arruffò giocosamente i capelli, distraendola dal sanguinario proposito di porre fine all’esistenza di un Peter Pevensie evidentemente già tormentato abbastanza, a giudicare dalla sua espressione funerea.

Anche Aaron, il fratello di Siria, era già là. Teneva lo sguardo fisso sull’orizzonte lontano e le braccia rigidamente incrociate sul petto mentre Susan Pevensie, non meno tesa, quasi non respirava nel tentativo di mantenere l’espressione impassibile.

Mirime, turbata, si strinse le mani affusolate sulle spalle. “Quanti amanti costretti a dirsi addio…”

Come se avesse udito quel pensiero, Aslan prese un profondo respiro e socchiuse gli occhi nella luce opalescente del mattino. -Ogni avventura ha una fine, Mirime.- le ricordò, paziente, ma la pleiade scosse la testa e gli scoccò l’ennesima occhiataccia.

-Questa, però, li ha cambiati troppo perché tu possa semplicemente rispedirli indietro.- obiettò, anche se sapeva quanto quella si sarebbe rivelata l’ennesima discussione sterile ed irritante: Aslan seguiva regole che lei, seppur tanto saggia e antica, non avrebbe mai potuto comprendere né conoscere appieno – regole che non approvava e che non aveva alcun interesse a fare proprie, oltretutto.

-Non appartengono a Narnia, e tu lo sai bene.-

Bugia.

I Pevensie appartenevano a Narnia forse più di qualunque altro essere umano avesse mai messo piede in quella terra – forse persino più di Digory e Polly. I due Figli di Adamo e le due Figlie di Eva avevano combattuto più volte per quel regno, portando ai suoi abitanti pace e prosperità per quindici anni; erano tornati per Narnia, perché il loro aiuto era stato richiesto e loro, come già una volta avevano fatto, non si erano tirati indietro.

Lei c’era stata, e non avrebbe mai potuto dimenticare la gioia e la bellezza della Narnia dei Pevensie.

-Non sono d’accordo.- replicò, senza dar voce ai propri dubbi e alla propria frustrazione. Aveva parlato più volte ad Aslan, implorandolo di riportare Peter e i suoi fratelli a Narnia quando i telmarini avevano cominciato a sterminare il popolo magico e avevano costretto la magia a celarsi in se stessa pur di sopravvivere, ma ciò che aveva ottenuto in risposta a quelle suppliche erano sempre stati silenzi e frasi criptiche che, dopo tanti secoli, lei non era più disposta ad accettare.

I silenzi di suo padre avevano portato le pleiadi al sacrificio supremo.

Per proteggere la scintilla di coscienza e di magia nel cuore dei narniani sopravvissuti e per impedire che gli animali regredissero e trascinassero con sé – nell’incoscienza della loro essenza più primitiva – la speranza di una rinascita, le ninfe dei venti montani avevano rinunciato alla propria vita e avevano compiuto un atto di profondo eroismo nei confronti della terra che avevano protetto dall’alba dei tempi: Mirime non avrebbe mai potuto dimenticare il dolore che, ancora oggi, portava nel cuore nel sapere che non avrebbe mai più rivisto nessuna creatura della sua specie… perché se avesse potuto, allora, avrebbe preferito andarsene con loro piuttosto che rimanere e soffrirne la perdita per l’eternità – ma no, lei era rimasta in vita secondo il volere di Aslan: era sopravvissuta, intrappolata nella protezione di suo padre ma distante dalla vita che scorreva rapidamente dinanzi ai suoi occhi, nell’abbraccio dei suoi venti in cui l’essenza delle pleiadi si era perduta per sempre.

Amore.

Il sacrificio delle ninfe era stato un gesto d’amore… lo stesso amore che aveva intrecciato i destini delle persone che, ora, Aslan sembrava intenzionato a dividere per sempre.

Un moto di rabbia – una rabbia profonda, ancestrale, con cui Mirime aveva ormai imparato a convivere da tanto tempo – le fece stringere i pugni, vibrando nel sospiro di tramontana che tremò visibilmente attorno alla sua figura snella.

Aslan aveva chiesto ai suoi diletti più impegno, dedizione e fiducia di quanti lui ne avesse mai dimostrati in cambio; con che coraggio, adesso, voleva imporre le sue stupide leggi con quella calma innaturale che lei trovava tanto intollerabile?

Era stanca, stanca di seguire le regole di Aslan: aveva passato un’eternità in solitudine, si era ritrovata separata da tutti coloro che le erano stati cari – aveva potuto soltanto guardare da lontano il mondo che amava sgretolarsi e rivoltarsi contro se stesso, le sue sorelle rischiare la vita più e più volte, soffrire e piangere lontano da lei… ed ora lui voleva costringere anche altre persone a vivere il suo stesso tormento, la sua medesima agonia?

Se il sentimento era sincero, dettato dal cuore, chi era suo padre per porre fine ai legami che si erano creati durante quel lungo anno che i Pevensie avevano passato a Narnia?

Lei li aveva osservati durante quel periodo, più attentamente di quanto in realtà avrebbe potuto fare secondo gli ordini di Aslan – aveva anche tentato di intervenire, per quanto le fosse possibile da quella distanza immensa, quando le sue amiche si erano trovate in pericolo – e non riusciva a comprendere come quel gattaccio rognoso fosse diventato tanto cieco da non vedere quanto i destini dei suoi protetti si fossero irrimediabilmente intrecciati l’uno all’altro.

Il suo guerriero più fidato aveva trovato qualcuno da amare e che lo contraccambiava, ed Aslan sapeva quanto questo fosse un avvenimento poco lontano dall’avverarsi di un miracolo. Portare Peter via da Narnia, strapparlo alle braccia della donna che aveva sconfitto se stessa e le proprie paure pur di rimanergli accanto, le sembrava un affronto troppo spudorato nei confronti di colui che era stato il Magnifico Re dell’Età dell’Oro.

Anche i cuori acerbi di Edmund e Tara meritavano almeno la possibilità di nascere, di fiorire nell’affetto e, chissà, forse in qualcosa di più profondo e duraturo: il più Giusto dei Re aveva trascorso tanti anni a rimproverarsi gli errori compiuti da bambino e, Mirime ne era convinta, aveva diritto di trovare un poco di serenità e di spensieratezza – magari proprio con quella ragazzina che, in mezzo alle brutture e allo squallore dei bassifondi che l’avevano partorita, era riuscita a mantenere intatta la propria spensieratezza di fanciulla.

Persino Susan – “la Dolce dal cuore freddo” l’avevano cantata i fauni, secoli addietro – era stata in grado di aprire il proprio cuore all’amore! Lei, che da tempo immemore si presentava tanto algida e terrorizzata dall’idea di perdere il controllo delle proprie emozioni… come poteva essere tanto crudele, Aslan, dal volerla dividere da Aaron? Allontanarla da lui avrebbe significato infliggerle una ferita tale da spezzare per sempre ogni speranza e serenità nella sua anima…

Si costrinse a respirare, cercando in sé quella calma che, tuttavia, sembrava mancare all’appello.

Lei aveva trascorso secoli e secoli in quel modo indegno che Aslan voleva imporre a quei poveri ragazzi – no, era sbagliato, era dannatamente sbagliato! Con quale coraggio si proclamava giusto e amorevole, lui, per poi decidere di infliggere tanto dolore a__

Va tutto bene.”

Quasi sobbalzò, la pleiade, quando le voci di Talia, Siria ed Aysell sfiorarono la sua coscienza in tumulto.

Chiuse gli occhi, scoprendosi scossa da un tremore furibondo che non aveva avvertito strisciarle dentro con l’infida eleganza di una serpe, cercando disperatamente il contatto, a lungo negato, con quelle anime piene d’amore e d’amicizia; il calore del Sole sembrò nascerle dentro nell’istante in cui l’affetto di Siria la toccò, avvolgendola nell’abbraccio caldo e pieno d’amore che Mirime riconobbe per quello della bambina che tante volte aveva cullato per proteggerla dagli incubi.

In quel tiepido vento di fine estate, che spirava incessantemente dentro di lei, il profumo delle montagne e dei fiumi s’intrecciò delicatamente alle sue normali percezioni con tanta familiarità da farle salire le lacrime agli occhi: Aysell, più dolce di quanto potesse sembrare ad un primo sguardo, aveva nell’anima lo stesso profumo dei monti fra cui Mirime l’aveva cresciuta e fra cui avevano vissuto molti anni di serenità; udire per qualche attimo il canto dei ruscelli e delle fonti d’acqua le strappò un sorriso – tremulo, incerto, ma pur sempre un sorriso.

I petali delle stelle alpine, che mai sarebbero potute nascere in quel clima mite, le solleticarono le caviglie attraverso la stoffa sottile della calzamaglia e le s’attorcigliarono giocosamente ai polpacci snelli. Sentì il volto scaldarsi quando l’ironia e la giocosità di Talia la travolsero, spazzando via le nubi dai suoi occhi di topazio e riempiendole l’anima del profumo di quei fiori che Mirime conosceva e amava da tantissimo tempo.

Avevano capito.

La furia che la ninfa provava svaporò nello stesso attimo in cui comprese che le sue amiche avevano colto il vero motivo della sua rabbia, il significato celato dei suoi pensieri.

Con una semplicità commovente le sue sorelle le avevano trasmesso la consapevolezza che mai più sarebbe stata allontanata da loro – che condividevano la sua rabbia e la capivano come mai nessuno aveva potuto fare, che le erano accanto e che nessuna di loro sarebbe più rimasta sola.

Le sue sorelle.

Mille volte mille anni sarebbero potuti passare, ma Mirime non avrebbe mai potuto perdonare Aslan per averla tenuta lontana tanto a lungo dalle sue sorelle.

-Tu credi troppo fermamente nell’amore per permettere tutto questo, Aslan.- mormorò, dando le spalle al paesaggio mozzafiato che si stendeva ai loro piedi per fronteggiare apertamente quel padre sempre tanto criptico, sempre infinitamente silenzioso.

Aslan, difatti, tacque. Si limitò a sorridere mentre si alzava sulle zampe, scuotendo un poco la criniera nell’aria tiepida che spirava dal fiume, rivolgendole un cenno e allontanandosi prima che Mirime potesse protestare.

Lei sbuffò, spazientita: era stanca dei silenzi, dopo una vita passata a tesservi la propria esistenza solitaria, ma sapeva che il padre non sarebbe mai cambiato; si limitò quindi a massaggiarsi le tempie, esausta da quella lotta di misteri e di verità sbocconcellate, prima di decidersi a seguirlo per raggiungere la piazza e le sue sorelle.

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Caspian strinse con forza la mano sulla spalla di Siria quando, in un fruscio, sua zia Prunaprismia ed il padre sparirono, assieme al cuginetto infante, al di là del portale che Aslan aveva aperto fra i due alberi apertisi ad arco.

Un coro di esclamazioni sorprese, attutite dal timore reverenziale che il Grande Leone sembrava incutere nei telmarini, serpeggiò fra i cittadini; qualcuno, più coraggioso degli altri, alzò la voce per esprimere il dubbio che sembrava accomunare tutti quegli spettatori ignari della correttezza quasi maniacale di Aslan.

-Come facciamo a sapere che staranno bene?- domandò e, in seguito a quella richiesta, altre voci si levarono per esprimere i propri timori e la propria diffidenza.

-E se fosse solo un tranello?-

-E se fossero già morti?-

Il giovane Re avvicinò a sé la propria compagna quando, in risposta all’astio e alla paura che sentiva vibrare negli animi dei telmarini, la avvertì irrigidirsi e tentare di nascondere un brivido che lui, tuttavia, riuscì a cogliere.

Siria, grata, si accoccolò nell’incavo del suo braccio, respirando profondamente e tentando di sottrarsi all’istintivo terrore che le era nato dentro nell’udire il vociare della folla – troppe volte, nella sua vita, quell’ostilità era stata preludio di dolore e di sofferenza –; non vide, così, lo sguardo angosciato che Caspian rivolse a Peter, ma percepì il suo tocco delicato fremere appena mentre le accarezzava i capelli.

Peter, dal canto suo, sospirò e scosse la testa, stringendosi nelle spalle in un gesto che trasudava tutto il senso d’impotenza che era germogliato dentro di lui nello stesso istante in cui Aslan aveva spiegato a lui e a Susan il motivo che li avrebbe tenuti lontano da Narnia, una volta tornati a casa – ma poi, che casa sarebbe stata quella in Inghilterra, lontano da tutti coloro che avevano imparato ad amare?

Scoccò un’occhiata in tralice ad Aslan, ma il leone teneva gli occhi fissi in lontananza; lo vide però annuire impercettibilmente e seppe, all’istante, che opporsi alla sua scelta sarebbe stato completamente vano.

-Credo che tocchi a noi.- affermò quindi, sconsolato, costringendosi a non guardare in direzione della corte delle naiadi – in direzione di Shaylee che, con tutto il contegno di una vera lady, aveva deciso di presenziare a quell’addio in prima fila, nonostante il lacerante dolore che, lui lo sapeva, la stava dilaniando.

Dilaniando quanto aveva squarciato lui, da dentro, al pensiero di doverle dire addio.

Un silenzio attonito accolse le sue parole, sedando le proteste del popolo e strappando alle Figlie e ai suoi fratelli uno sguardo sbigottito; fu la voce di Siria, insolitamente stridula, a spezzare l’attimo una manciata di secondi più tardi.

-Cosa?- sbottò infatti la rossa, sollevando il volto dalla camicia di Caspian e rivolgendogli uno sguardo torvo e per nulla rassicurante.

-È giunto il momento che i ragazzi tornino a casa.- intervenne Aslan, forse cogliendo il turbinio di rabbia e confusione che aveva animato la Paladina del Fuoco nel sentire Peter pronunciare quella che poteva essere classificata solamente come pura follia.

-No!- replicò lei, incredula, serrando le dita sulla tunica di Caspian per impedire a se stessa di dilaniarsi i palmi con le unghie. -Aslan, ma sei impazzito? Non puoi mandarli via!- protestò, girandosi di scatto per guardare Shaylee – certa di trovare sdegno e indignazione sul volto altero della ninfa, sicura di trovarla d’accordo con lei e pronta a ribellarsi a quella decisione; la Sovrana delle Naiadi, però, socchiuse gli occhi senza ricambiare la sua occhiata, stringendosi fra le proprie braccia e scuotendo lievemente la testa con mesta rassegnazione.

Shay non avrebbe fatto niente?

Fu solo grazie al tempestivo intervento delle sue sorelle che Siria non balzò giù dal terrapieno sopraelevato per tirare un meritatissimo schiaffone alla sua amica naiade; a dire il vero, Aysell dovette piantarle le unghie nel braccio per fermarla, ma la strega era talmente arrabbiata che nemmeno si accorse delle mezzelune violacee che apparvero sulla sua pelle diafana quando la Guardiana la lasciò andare.

-Non li sto cacciando, Siria.- spiegò Aslan, pacato come sempre, accostandosi alla giovane con quella che a tutt’e quattro le sue Figlie sembrò proprio una rispettosa e prudente circospezione. -Edmund e Lucy potranno tornare.- aggiunse, piano; e Siria, comprendendo finalmente dove quel suo padre sconosciuto voleva andare a parare, raggelò lì dov’era, avvertendo la rabbia svaporare in puro sgomento.

ecco perché Shay non stava facendo niente.

-Perché?- intervenne Lucy, stupita, avvicinandosi al Grande Leone per guardarlo con quegli occhioni azzurri che non avevano ancora perso il fulgore abbacinante dell’infanzia. -Loro hanno fatto qualcosa di male?- domandò; fu Peter, però, a chinarsi e a passarle un braccio intorno alle spalle, sorridendole con quella che alla sua sorellina parve un’infinita tristezza.

-Non abbiamo fatto nulla di male, Lu. Abbiamo solo imparato tutto ciò che dovevamo imparare da Narnia, e__-

Fu lo strillo esasperato di Siria, ancora una volta, ad interromperlo. -Oh, ma fammi il piacere! Tu non hai imparato proprio niente!-

Un istante di cristallino silenzio accolse l’esplosione della strega; pochi attimi più tardi, tuttavia, la fragorosa risata di Talia e quella a stento trattenuta degli altri Pevensie riempirono l’aria, mentre Aysell si ficcava le nocche in bocca per non imitarli e Mirime, sconsolata, scuoteva la testa.

Peter, però, si concesse solamente un breve sorriso che svanì nello stesso attimo in cui la guardò: gli sarebbe mancata l’irriverenza di Siria, esattamente come gli sarebbe mancata Narnia.

-Può essere, ma è comunque giunto il momento di andarsene.- mormorò, sapendo che lei lo avrebbe comunque sentito, incapace di guardarla negli occhi. L’attimo di ilarità fu spazzato via dalle sue parole, e la consapevolezza di essere dinanzi ad un addio colpì tutti quanti con una freddezza inattesa.

Il biondo si alzò in piedi, tirandosi nervosamente indietro i capelli; Siria non si era mossa – era ancora lì, con i pugni stretti ed un’espressione ribelle in volto, che lo fissava come se non avesse voluto altro che prenderlo a pugni.

Sapere che non l’avrebbe rivista mai più era assieme un indicibile sollievo e la più odiosa delle agonie.

Abbassò appena la testa, rivolgendole l’accenno di un inchino che sarebbe per sempre rimasto incastrato lì, fra le parole che avrebbe voluto dirle e quelle che non sarebbe riuscito a pronunciare nemmeno davanti a se stesso.

Siria trasalì, ferita. Non riuscì nemmeno a parlare dinanzi agli occhi di ghiaccio di Peter che, senza nemmeno toccarla, la colpirono con la stessa stilettata silenziosa che l’indifferenza del giovane aveva immerso nelle sue carni più e più volte in quelle settimane.

Dimmi qualcosa, ti prego. Qualunque cosa.”

Chinò a sua volta il capo, dedicandogli il medesimo saluto freddo e distaccato che lui aveva riservato per lei; Peter sussultò, stringendo le labbra davanti a quella brusca replica, ma si morse un labbro ed ignorò le proteste che erano appena salite a bruciargli in gola.

Non farmi andare via senza averti detto addio.”

Fu lei a spezzare quell’istante, incapace di sopportare ancora la sua vista.

Aggrappandosi convulsamente al braccio di Caspian si volse verso Susan, muovendo qualche passo verso lei ed Aaron; non ebbe però il tempo di farne altri perché, prima che potesse anche solo capire che cosa fosse successo, la Regina l’aveva raggiunta e l’aveva stretta a sé in un abbraccio convulso, sincero – un gesto che stupì Siria più di qualunque altra cosa fosse successa in quell’anno.

-Susan…- mormorò, arrossendo, ma la bruna scosse la testa e nascose con più forza il volto nella sua spalla.

-Non permettergli di vedermi piangere.- sussurrò, piano, la Regina – e Siria la strinse all’istante quando percepì un fremito di dolore attraversarne il corpo tornito, chiudendo gli occhi e avvertendo il profumo tanto particolare di Susan in quel folti boccoli castani.

Rimasero lì, abbracciate, condividendo in quella stretta silenziosa più parole e più affetto di quanto se ne fossero dimostrate reciprocamente in tutto quel tempo. L’amore che entrambe provavano per Aaron le accomunava e le univa come mai nulla le aveva avvicinate sino a quel momento, e Siria – Susan lo sapeva – era l’unica persona, in quel luogo, che avrebbe potuto permetterle qualche istante di dolore senza distruggerla nel suo orgoglio di regnante ma, soprattutto, di donna.

Si scoprì a tremare, Susan, stretta al corpo caldo e solido della guerriera.

Aveva trascorso la notte con Aaron – parlando, amandosi, paventando l’alba che, inesorabile, sarebbe giunta a separarli – ma lì, dinanzi a tutti, lei non avrebbe mai potuto permettersi di lasciarsi andare al dolore lacerante che sentiva artigliarle lo sterno.

Aveva imparato ad apprezzare la sorella del suo amato, Susan: aveva imparato a rispettarla e a comprenderla, scoprendo nella rossa quegli stessi tratti di orgoglio e testardaggine che anche lei aveva coltivato con costanza dentro di sé per proteggersi dal mondo.

Siria non le avrebbe permesso di crollare.

Ed infatti la strega la strinse sino a che non avvertì i suoi singhiozzi placarsi, la Regina riguadagnare il controllo sulle proprie emozioni; solamente allora la lasciò andare, sorridendole e stringendole affettuosamente le mani fra le proprie.

-Grazie.- sussurrò Susan, prendendo un profondo respiro e trovando finalmente la forza di alzare lo sguardo verso Aaron, che si era avvicinato alle due donne e che, senza dire nulla, le accarezzò amorevolmente una guancia col dorso della mano – inseguendo una lacrima fuggita dall’autocontrollo della sua amata Regina, nascondendola al mondo dove solamente lui avrebbe potuto scorgerla e conservarne la purezza in eterno.

-T-Tara!-

Tutti e tre si voltarono di scatto, stupiti, quando una voce stridula – che solo dopo un secondo riconobbero per quella di Caleb – esclamò il nome della ragazzina… appena in tempo per vederla porre fine al bacio che aveva schioccato con decisione sulle labbra di un Edmund più sconvolto di quanto nessuno lo avesse mai visto.

Susan sgranò gli occhi, ma Siria ed Aaron sorrisero; anche Lucy, Caspian, Aysell e Mirime ridacchiarono davanti a quella scena che, in fondo, tutti si aspettavano già da molto tempo – tranne, forse, proprio Edmund…

La ragazza si ravviò i lisci capelli biondi dietro la spalla, soddisfatta, replicando all’espressione stravolta del bruno con determinazione ed assoluta tranquillità. -Vedi di tornare presto, Pevensie.- gli intimò soltanto, ammiccando appena prima di raggiungere Talia per aiutarla ad impedire che Caleb saltasse alla gola del più giovane dei Re Pevensie.

Edmund, incapace di pronunciare alcunché, si limitò ad annuire lentamente e a seguirla con lo sguardo fino a che non la vide allontanarsi insieme al fratello, parlargli piano, prenderlo in giro – “Tara…”

Prese fiato, cercando di riordinare le idee che quel rapido bacio aveva mandato all’aria; e arrossì quando, guardandosi intorno, si rese conto di essere al centro dell’attenzione di quel branco di pettegoli che, se non se ne fosse andato alla svelta, lo avrebbero di certo fatto morire d’imbarazzo.

Solamente Peter, stranamente, sembrava non essersi unito all’ilarità generale che il gesto di Tara aveva provocato.

Il più grande dei Pevensie era rimasto immobile, fissando insistentemente le naiadi che, protettive, si erano chiuse attorno alla propria Sovrana per sottrarla allo sguardo dell’uomo che amava e che, assieme al suo amore, possedeva anche tutte le armi per distruggerla – semplicemente esistendo.

-Shaylee…- sussurrò, sentendo un moto d’ira accendersi dentro di lui quando comprese che lei era lì, a pochi metri – eppure lontana ed intoccabile com’era stata tanto a lungo… come lui non poteva sopportare di vederla di nuovo.

no.

Si voltò verso il Grande Leone, rimasto seduto accanto agli alberi del portale.

-Aslan, io… no.- ripeté, incerto, ma non rimase ad attendere la risposta del felino; balzò dalla piattaforma e si diresse, determinato come non si era mai sentito prima di quel momento, verso la corte delle ninfe, scostò con ferma gentilezza le guardie personali della Sovrana e afferrò Shaylee, stupefatta, per un polso, tirandola a sé ed inginocchiandosi al suo cospetto.

-Peter…?- esalò la naiade, arrossendo furiosamente quando avvertì decine di sguardi puntarsi su di loro. -Che cosa stai facendo?- sibilò, sentendosi letteralmente andare a fuoco quando il biondo le prese una mano e ne baciò dolcemente il dorso, sorridendole e guardandola con quell’ardore che, nonostante tutto, era in grado di farle dimenticare ogni cosa.

-Resto.- rispose lui, semplicemente, ed il suo volto si rischiarò come il cielo dopo un temporale. -Vuoi sposarmi, Shaylee?-

Fu fragoroso il silenzio che seguì quella proposta, e tante furono le bocche aperte e le espressioni sorprese; persino Siria, che taceva raramente, boccheggiava davanti a quella scena surreale – “Oh, no, non di nuovo i piccioni in amore! Qualcuno mi vuole davvero male, qui!”

-…eh?- fu il commento educatamente sorpreso di Mirime, che ben esprimeva lo sconcerto della solitamente imperturbabile pleiade, spezzò la tensione venuta a crearsi e permise a tutti di prendere fiato, ancora sconcertati.

-Ma chi mai vorrebbe sposarlo quel coso, lì?- esclamò Talia prima che qualcuno potesse impedirle di parlare e fu Caspian, stavolta, a zittire Siria per impedirle di scoppiare a ridere davanti a tutti all’uscita sarcastica della sua amica.

La reazione di Aysell fu la più coerente: la naiade, infatti, si limitò a sventolare teatralmente una mano dinanzi al volto deliziosamente impallidito, allungando voluttuosamente l’altro braccio per cercare l’appoggio della spalla di Mirime.

-…sto per svenire.- declamò, profondamente turbata, guadagnandosi un’occhiata piena di rispetto e di ammirazione da parte delle sorelle, di Caspian e di almeno tre quarti della popolazione.

Qualcuno la fermi prima che dica di sì!” la sentirono strillare le altre Figlie e fu arduo, per loro, continuare a respirare senza permettere all’ilarità di prendere il sopravvento.

Shaylee, tuttavia, per una volta riuscì ad ignorare il palese disprezzo che sua sorella non mancava mai di reiterare nei confronti di quell’uomo meraviglioso che le stava innanzi – Peter, il suo amato Peter… che la stava chiedendo in sposa.

-Shay, non o__mmph!-

Ancora una volta, il commento di Aysell – prontamente soffocato dagli infallibili riflessi di Mirime – non fu in grado di strapparla a quei due splendidi, cristallini occhi celesti colmi d’amore e di speranza.

Con delicata grazia, si abbandonò al peso dell’emozione che il suo corpo non era in grado di sostenere, scivolando in ginocchio dinanzi a lui. Piangeva: stille di incommensurabile gioia si raccolsero fra le dita di Peter quando il giovane vi racchiuse il volto di Shaylee – e lei vi s’aggrappò con dolce impeto, mentre un sorriso estatico le sbocciava sulle labbra.

-Sì.-

Un’ovazione di gridolini eccitati ed esultanti coprì il rumoroso pensiero di Aysell – “Ecco! Il danno è fatto!” – quando, di slancio, Peter Pevensie trasse a sé la sua amata e la baciò con passione e trasporto.

Un sospiro generale, invece, fu l’unica reazione che si permisero le Figlie di Aslan: Talia, comprensiva, si avvicinò alla bionda per consolarla dopo quella proposta strappalacrime che Aysell proprio non aveva gradito; Mirime, come le era ormai di abitudine, rivolse ad Aslan un’occhiata storta, mentre Siria ridacchiava un po’ istericamente a causa delle emozioni discordanti che le attraversavano la mente.

I restanti Pevensie e Caspian scesero per congratularsi con la coppia, sebbene tutti quanti fossero dolorosamente consapevoli di quanto quella gioia non sarebbe potuta durare a lungo. Fu Lucy, incapace di credere che non potesse esistere un modo per far trionfare l’amore, a voltarsi verso Aslan con lo sguardo lucido.

-Aslan… Peter deve restare!- implorò, accorata – e Siria, accanto al leone, sentì il cuore incrinarsi quando cominciò a comprendere quale, fin dall’inizio, fosse il piano che Aslan aveva pazientemente ordito.

Il mastodontico felino annuì, muovendo qualche passo per accostarsi alla piccola.

-Sono d’accordo con te, mia diletta, ma la Grande Magia non lo permette.- le fece notare dolcemente, prima di dirigere la propria attenzione verso Aaron e Siria. -In quattro sono giunti ed in quattro dovranno tornare.-

Un gelo innaturale parve emanare dalle parole pacate del Signore di Narnia: Aaron lo avvertì ghermirgli le vene, serpeggiandogli nel sangue nell’istante in cui anche lui capì.

La Grande Magia non permetteva eccezioni.

Zaira, che lo aveva cresciuto ed amato come la madre che lui non aveva mai conosciuto, aveva spesso spiegato a lui e a Siria l’importanza di quell’immenso dogma che regolava lo scorrere della vita a Narnia e in tutti i mondi toccati dalla magia.

Se qualcosa veniva donato, qualcos’altro doveva essere sottratto.

Lanciò un’occhiata angosciata a sua sorella, accorgendosi immediatamente di quanto fosse impallidita alle parole di Aslan: anche lei aveva scorto il collegamento… anche lei aveva capito.

La ragazza scosse la testa, costringendosi a non ricambiare lo sguardo tormentato di Aaron.

-E quattro saranno.- sussurrò, tanto piano da non riuscire quasi ad udire le proprie parole.

Aslan, però, la sentì.

La strega prese fiato, ignorando l’espressione sbigottita comparsa sul viso di Aysell e facendosi coraggio – fosse stato facile… -Aaron può… può prendere il posto di Peter, se è permesso.- pigolò, serrando convulsamente le mani sulle proprie braccia – perché il dolore, lo sapeva, sarebbe presto arrivato.

Tutti, stavolta, colsero distintamente la sua voce… eppure tacquero, chi sorpreso, chi sconvolto, chi dilaniato dalla sofferta consapevolezza di dover scegliere tra un amore ed un altro.

-Lo è.- annuì, grave, il Signore di Narnia.

Susan e Peter, a quella risposta, sussultarono. Esisteva davvero una possibilità, una strada alternativa da percorrere, un sentiero che non li avrebbe divisi da coloro che amavano – ma dalla loro famiglia.

Il volto di Aaron, di solito sempre attento a non lasciar trapelare alcuna emozione, ora parve a Siria dilaniato da un’angoscia e da un’incertezza che lei non vi aveva mai colto prima d’allora. Suo fratello fece un passo verso di lei ma, prima che potesse raggiungerla, la rossa si sottrasse al suo tocco – rinunciando inconsciamente a quel conforto che, lo sapeva, non avrebbe avuto più.

Distinse qualcosa spezzarsi in lui, nei suoi occhi, nella sua espressione; nello stesso attimo una coscienza profonda e rassicurante sfiorò il suo animo dolente, riscaldandola là dove il gelo dell’abbandono già accarezzava i suoi pensieri.

Ne sei certa, mia cara?” le domandò la voce pacata di Aslan.

Lei annuì, ricacciando indietro il pianto che sentiva già pungerle il viso. “Voglio solo che mio fratello sia felice.”

La strega chiuse gli occhi, costringendosi ad allontanare da sé la presenza del padre – non voleva sentire, non voleva vedere, sapeva che cosa sarebbe successo e non era certa di avere la forza di assistervi.

-Aaron, Peter.- sentì chiamare, i passi dei due allinearsi per rispondere all’appello. -Desiderate davvero tutto questo? Il prezzo da pagare per questa scelta è molto alto.-

, concordò Siria fra sé: il prezzo era un fratello…

-Sue…- udì boccheggiare Peter e, detestandosi, provò un immediato trasporto nei confronti della stupida acciuga bionda – come amava definirlo Aysell –: quella scelta, per lui come per lei, implicava un sacrificio non indifferente.

Un lungo silenzio parve dilatarsi in quel ventoso pomeriggio di fine estate. Poi dei passi, uno schiocco secco e, in un qualche modo, definitivo; Siria sbirciò, ansiosa, in tempo per vedere Peter ed Aaron scambiarsi una stretta di mano.

-Se puoi rendere felice mia sorella, allora non posso che darti la mia benedizione.- declamò il biondo, sorridendo con quello che a tutti sembrò uno sforzo titanico – e lo era, diamine se lo era!

Rivolse un cenno ad Aaron prima di separarsi da lui, avvicinandosi al resto della sua famiglia: Edmund stava lottando contro se stesso per non permettere al sorriso forzato che aveva in volto di sbiadire mentre Lucy, emotiva come sempre, piangeva.

S’inginocchiò, accarezzando i capelli soffici della piccola. -Lucy… questo non è un addio, sorellina.- le ricordò, scostandole un ciuffo dalla fronte.

-Lo so ma…- la ragazzina tirò su col naso, guardandolo con gli occhioni pieni di lacrime. -Sono felice per te, davvero, ma…-

Il fratello annuì, capendo. -Non sarai sola, Lu.-

Edmund, alle spalle della sorella minore, annuì con fare solenne. Lucy, cogliendo il gesto e il muto scambio di promesse fra i due uomini della sua vita, si morse il labbro nel tentativo di trattenersi… e fallendo miseramente, gettandosi al collo di Peter e scoppiando in un pianto a dirotto.

Peter, per nulla sorpreso, la cullò fra le braccia che tante volte l’avevano protetta dagli incubi e dal suono incessante delle sirene d’emergenza e degli aerei tedeschi, accarezzandole la folta chioma rossiccia.

-Mi mancherai tanto…- singhiozzò la bambina e lui, toccato, non poté far altro che affondare il viso nell’incavo della sua spalla sottile, riempiendosi i polmoni e la memoria del profumo familiare dei capelli di Lucy.

-Anche tu, piccoletta.- mormorò soltanto, perché un doloroso nodo di commozione gli impedì di aggiungere altro.

Rimase stretto a Lucy per quella che gli parve un’eternità, ma fu comunque con dispiacere che si sciolse dall’abbraccio per alzarsi in piedi e rivolgersi a Edmund.

-Toccherà a te fare l’uomo di casa, adesso.- gli ricordò, accostandoglisi e stringendogli brevemente una spalla – se solo, qualche anno addietro, gli avessero detto che Edmund sarebbe cambiato così tanto… -Fatti onore, pivello.- aggiunse, strappando una risata incerta al fratello prima di tirarselo addosso in un ruvido abbraccio che Edmund, impacciato almeno quanto lui, ricambiò con sincero trasporto.

Dopo qualche attimo un tocco delicato gli sfiorò la spalla; girando lo sguardo, con gli occhi gonfi di commozione, trovò Susan che, separatasi da Aaron, reclamava l’addio del suo fratello maggiore.

Non avevano mai avuto bisogno di troppe parole per capirsi, loro due – né per detestarsi, ovviamente –, e nemmeno in quell’occasione si smentirono. Bastò uno sguardo, un mezzo sorriso, per dirsi tutto ciò che non si erano mai detti, prima che il biondo attirasse lei e Lucy nell’abbraccio.

 .

Aveva perso Peter. Avrebbe perso lui.

Siria sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando Aaron, insicuro, le si avvicinò, ma le ricacciò indietro e contrasse il volto in un sorriso tirato – celando lo sguardo con un gesto secco della mano e ringraziando, fra sé, il fastidio che le provocava la luce vivida e intensa di quel Sole pomeridiano.

Aveva perso Peter. Avrebbe perso lui.

-Siria, non…- cominciò il fratello, ma lei scosse la testa.

Aaron non avrebbe voluto andarsene, non voleva lasciarla sola… ma amava Susan e lei ne era così felice, e sapeva che la cosa giusta da fare era incoraggiarlo a seguirla – non sarebbe mai stato felice senza di lei, così come lei non avrebbe mai potuto trovare pace lontana da Caspian.

-Vai.- con uno sforzo terribile – uno sforzo che solamente Caspian, al suo fianco, comprese appieno – Siria alzò gli occhi sul fratello e gli sorrise: era un sorriso che trasudava lacrime, un sorriso umido ma terribilmente sincero.

Siria rabbrividì quando, con una delicatezza fin troppo misurata, abbracciò suo fratello. Tutto quello che non gli aveva mai detto, tutto ciò che lui significava per lei, lo avvertì bruciare in quella stretta forte ed un poco disperata.

Padre, confidente, amico: Aaron era stato la sua famiglia quando il mondo stesso l'aveva rifiutata, era stato tutto… ed ora se ne sarebbe andato – era la cosa più giusta per tutti quanti, ma questo non lo avrebbe mai reso meno doloroso…

Aaron avrebbe seguito la donna che amava. Aaron sarebbe stato felice.

Continuare a ripeterselo era un buon modo per impedirsi di piangere.

Sapeva di aver fatto la scelta giusta, Siria, così come sapeva che Aaron la stava stringendo così forte perché non voleva lasciarla lì, lontana dal proprio sguardo di fratello, dove lui non avrebbe più potuto proteggerla.

Pareva non volerla lasciare. Pareva non volersene andare.

Le sue braccia erano forti intorno a lei. La stringeva con forse anche troppa irruenza, come se volesse strapparle via il dolore dell’addio, come se avesse voluto dividersi in due per restare con entrambe le donne che amava.

Ma Siria sapeva: sapeva di dovergli permettere di andare.

Poteva godere ancora un po’ di quell’abbraccio, però; poteva affondare per l'ultima volta il viso nel collo di lui e inspirare il profumo di selvatico che lei stessa portava sulla pelle, che li avrebbe sempre accomunati: loro erano i figli di quell’impenetrabile foresta che aveva fatto loro da casa per tanti anni, e niente – nemmeno un universo di mezzo – avrebbe potuto cambiare quella realtà.

Rimasero stretti a lungo mentre i rumori intorno a loro si riducevano ad un brusio indistinto, insignificante.

-Ti voglio bene.- sussurrò Siria, sulla gola di lui, strusciando appena il viso per meglio nascondersi in quell'incavo – lo aveva sempre fatto, fin da piccolissima...

Una miriade di dettagli, di particolari di lei, improvvisamente invasero la mente di Aaron.

Il piccolo vezzo di tormentarsi le mani quando era agitata; la dolcissima vanità con cui sistemava i suoi lunghi capelli in una treccia; il sorriso birbante di quando era bambina e combinava una marachella; la sua passione per il cioccolato, la gioia nel vederla sgranare gli occhi quando – con diversi sacrifici – riusciva a procurarle quel dolce tanto costoso.

Ricordò quando da bambini loro due e Gwaine giocavano con dei bastoni, immaginandoli spade e fingendo di essere i grandi guerrieri del passato; ricordò i pomeriggi passati a pescare, le notti a contare le stelle. Ricordò la prima volta che la aveva portata con sé a cavallo, l'emozione della sua sorellina con quelle due trecce rosse e quegli occhioni pieni di vita.

Ricordò il tormento che non le aveva dato pace dalla morte della madre. Ricordò di aver temuto per la sua incolumità, che quel qualcosa che la Strega Bianca aveva impiantato nel suo cuore riuscisse a distruggerla, a portargliela via. Ricordò con quanto sollievo l'aveva vista ricomparire dalla foresta, con Talia al suo fianco e un'ombra negli occhi, specchio di quelle cicatrici candide sui polsi.

E ricordò di quando era arrivato quel principe. Ricordò di averlo visto distruggerla, spezzarla... e di averla vista rinascere da quella devastazione, ricordò che l'amore di quel ragazzo era riuscito a farle trovare se stessa – in lui.

-Ti voglio bene anch'io. Sempre.- sussurrò, stringendosi più forte a quel corpo di donna che, per lui, sarebbe per sempre rimasto quello di una bambina – della sua bambina, della ragazzina allegra che si arrampicava sugli alberi.

Fu Siria a sciogliere quell'abbraccio.

Fu Siria a sorridere, di nuovo, con quelle lacrime negli occhi che brillavano alla luce del Sole.

Fu Siria a guardare Susan solo per un istante, ricevendo in cambio un sorriso e un deciso cenno di assenso.

Restagli accanto, Susan. Resta con lui. Rendilo felice.

Gli alberi gemelli sospirarono nel vento lieve che, silente, sfiorò le chiome di coloro che si accingevano a partire: il tributo della pleiade fu quell’ultimo sospiro denso dei profumi di Narnia, che li avrebbe per sempre accompagnati anche a universi di distanza.

I saluti erano stati fatti e più nulla poteva trattenerli ancora in quel luogo. Fu senza guardarsi indietro che, insieme, i Pevensie ed Aaron valicarono quella soglia misteriosa, sparendo là dove nessuno di loro avrebbe potuto seguirli.

Siria tremò, avvertendo una fitta rassegnazione avvolgerla in un bizzarro senso di straniamento.

Era successo davvero? Aaron era davvero andato via?

Per un istante fu sicura di aver sognato. Aveva trascorso l’intera vita sapendo che Aaron sarebbe stato un porto sicuro a cui tornare, una certezza incrollabile che non l’avrebbe mai abbandonata… che adesso, tuttavia, non c’era più.

Che non sarebbe tornata.

Il peso schiacciante di quel pensiero le diede, per un attimo, la sensazione di barcollare: non sapeva che cosa le avrebbe riservato il domani, ma capire che Aaron non ci sarebbe stato fu un colpo durissimo e difficile da accettare.

ma non sarebbe stata sola.

Come mai prima d’allora – mai con quella chiarezza luminosa, abbacinante – la presenza delle sue sorelle le sbocciò nel petto, dandole la forza di alzare una mano per cancellare le lacrime che le avevano rigato le guance.

Aaron sarebbe stato felice, ne era certa; ma sapeva anche, con la certezza indissolubile che solamente l’affetto delle sue compagne poteva darle, che ciò non avrebbe significato la sua solitudine e la sua sofferenza.

Talia, Mirime, Aysell: loro erano lì e ci sarebbero sempre state.

Erano la sua famiglia.

Il tocco di Caspian, la sua mano nella propria, le strappò un sorriso. Lo sguardo che le rivolse fu una promessa che, ne era sicura, lui non avrebbe mai mancato di mantenere.

C’erano tante cose da fare e mille altre da progettare: il castello di Cair Paravel da ricostruire, il regno da consolidare, l’esercito narniano da amalgamare a quello umano – una vita intera, per loro, in quella nuova Narnia che sarebbe diventata più bella e forte di quanto si sarebbe mai potuto immaginare.

Una vita insieme.

Caspian era lì, con lei… e, adesso, il futuro non la spaventava più.

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My Space:

Aysell: ...ci eravamo vicine tanto così! E invece NO, nemmeno stavolta siamo riuscite a liberarci di Peter! Non è possibile! *tic nervoso*

Peter: ma... ma!

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E così, anche stavolta, ho terminato ciò che avevo iniziato.

È servito più tempo di quello che avevo immaginato, e sono cambiate mille e mille cose nel frattempo: qualcuno se n'è andato, qualcuno è tornato, qualcuno è arrivato a cambiare per sempre la mia vita. Assieme a me è cresciuta, maturata, anche Rebirth, come tutte le creature che si creano e si crescono con amore, dedizione e pazienza.

Questa storia era nata per gioco, ma è diventata molto di più. Dopotutto, succede sempre così, no?

Vorrei ringraziare le tantissime persone che hanno sempre seguito questa storia, i lettori anonimi e chi ha voluto lasciare una traccia di sé nel corso di questi anni che hanno portato Rebirth alla sua ultimazione. Tutti, dal primo all'ultimo, siete stati una forza che mi ha spronata a migliorare la mia scrittura e tutto ciò che ne consegue... e, di conseguenza, anche me stessa.

Le peripezie di questo branco di matti narniani non sono finite: sto già lavorando da tempo al secondo capitolo di questa saga, "Narnia's Redial", e anche "Narnia's Memories" non è finita nel dimenticatoio! Inoltre ho alcuni altri progetti molto simpatici relativamente a questi personaggi... quindi non disperate (?), non vi libererete delle mie ragazze, di Caspian e di Peter!

Aysell: che gioia!! -.-

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E... niente, sono pessima nei saluti. Ma, dopotutto, questo non è un addio ma soltanto un arrivederci, no? :)

Quindi... a presto!

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Sempre vostra,

B.

   
 
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