Cap.
2
Winter mosse il polso
con un movimento elegante, facendo danzare il panciuto bicchiere di brandy che
teneva in mano.
Nell'osservare le onde
dorate del piacevole liquore, mormorò all'indirizzo della fulva gemella:
“Diciamo che Brigidh non avrebbe potuto essere più vaga… ma questo non mi
stupisce.”
“Non riesco mai a capire
se lo fa apposta o se, semplicemente, le sue Visioni sono talmente fumose da essere
incomprensibili” sbuffò Summer, le gambe distese sul divano del salone di Win e
le braccia intrecciate dietro la nuca.
Il viso, rivolto verso
l'alto, era teso e preoccupato, e il gemello comprese più che bene la sua
ansia.
Con una nipotina non
ancora nata, e uno di quasi dieci anni, non c'era da star tranquilli, senza
considerare tutte le altre persone a cui lei era legata.
Chi poteva essere colui,
o colei, da cui avrebbe potuto essere strappata via a forza?
Kimmy, tornando dalla
camera di Malcolm dopo averlo messo a letto, si accomodò sul bracciolo della
poltrona di Winter e, con naturalezza, gli passò un braccio attorno alle
spalle.
Lui sorrise
immediatamente e, nel baciarle il dorso di una mano, le domandò: “Si è
addormentato?”
“Era stremato. Correre
per così tante ore dietro a Lucky lo ha steso... ma era così contento, quando
ho messo la cuccia morbida ai piedi del letto!” sorrise dolcemente Kim,
ripensando al piccolo meticcio che avevano salvato solo la settimana precedente.
Scampato a un brutto incidente
stradale, per pura fortuna aveva rimediato solo una gran paura e qualche
abrasione.
Sicuramente incrociato
con un cocker, Lucky aveva lunghe e morbide orecchie, un pelo ricciuto e nero
e, cosa davvero singolare, le zampette macchiate di bianco.
Non avevano alcuna idea
di quale fosse la sua provenienza ma, dopo aver visto gli occhi supplichevoli
di Mal, Winter non aveva potuto che prenderlo con loro.
Certo, avevano dovuto
iniziare a corrergli dietro per fargli capire dove fare i bisogni, e cosa non masticare con gli affilatissimi
dentini da latte.
Vedere la gioia sul
volto di Malcolm, e il modo responsabile con cui se ne prendeva cura, però, ripagava
di qualsiasi problema.
E Winter non si sarebbe
mai scoraggiato di fronte a un cane giocherellone, se il premio era veder
sorridere il figlio.
“Quel cane è una
dolcezza. Non fosse che a casa mia starebbe sempre da solo, ne prenderei uno
anch'io” dichiarò Summer, sciogliendosi in un sorriso.
Kimmy le sorrise di
rimando e, nello scivolare sulle gambe del compagno – che le avvolse possessivo
la vita con un braccio – le confidò: “Piace anche a me, e guardarlo in quei
suoi occhioni marroni è una tortura, perché gli lascerei fare qualsiasi cosa.”
“Pensavo fosse solo una
mia prerogativa” ghignò Win, ammiccando all'indirizzo della fidanzata.
“Beh, ci sono cose che
Lucky non può certo darmi” ammise lei, scrutandolo maliziosa.
“Oh, vi prego! Non
davanti a me!” esclamò Summ, coprendosi gli occhi con aria melodrammatica. “Non
voglio diventare cieca!”
“Ma per favore!” rise
sommessamente il fratello. “Sai più cose di me, sul sesso, Summy, e di certo
non mi metterò ad amoreggiare con Kim di fronte a te.”
“Solo perché ho avuto
più materia prima tra le mani, non vuol dire che conosca più trucchi di te”
replicò ironica la gemella strizzando l'occhio a Kimmy, che arrossì
copiosamente.
Winter allora lanciò
lesto uno sguardo all'indirizzo della sua donna e, dubbioso, mugugnò: “Cosa vi
dite voi ragazze, mentre io non ci sono?”
Se possibile, Kim
arrossì ancora di più e Summ, sghignazzando, dichiarò: “Posso solo essere orgogliosa
che mio fratello tenga tanto al piacere della sua donna. Sai essere molto
generoso, da quel che ho saputo.”
L’uomo aggrottò la
fronte, sinceramente dibattuto tra il rispondere per le rime alla gemella, oppure
tenersi il complimento e non aggiungere altro.
Alla fine, sospirò
esasperato e mugugnò: “E' dura quando si è soli con tante donne.”
“Quando Mal sarà più
grande, potrà darti man forte” lo consolò Kimmy, dandogli una pacca affettuosa
sulla spalla.
Tutti sapevano benissimo
che parlare a Winter di Autumn – che, in teoria, avrebbe dovuto essere con loro
– era come accendere la miccia di un candelotto di dinamite.
L'argomento, perciò, non
venne neppure toccato e Summer, cambiando lesta direzione del discorso, disse:
“L'aereo partirà dopodomani per l'isola di Hawaii. Dovremmo atterrare
all'aeroporto di Hilo nel primo pomeriggio ma, appena arriviamo, vi mando un
sms.”
“D'accordo. Non nuotare
nella lava, però, per favore... sarebbe quanto meno sconveniente” ironizzò il
gemello, ammiccando.
“Mi conterrò. Però
sarebbe divertente” ridacchiò la vulcanologa, scrollando divertita il capo.
“Un’altra cosa” aggiunse
poi Summer, rivolgendosi al fratello. “Ho provato a contattare Colin, giusto
per fargli passare ogni velleità circa il suo ruolo di Prescelto di Spring, ma
non sono riuscita a trovarlo. Ho provato anche con Mir o Sean, ma non sono
riuscita a beccare nessuno di loro. Tu ne sai niente?”
Winter si fece cauto, e
replicò: “Tenterò di contattarli io, e pregherò gentilmente Colin di non
azzardarsi a mettere piede qui, va bene?”
“Lo faresti anche con
Sean?” sorrise deliziata Summer, sfregandosi le mani con aria furba. “Ti prego,
fratelloneee…”
Kimmy rise sommessamente
di fronte all’aria falsamente angelica della donna e Win, sorridendo divertito,
annuì.
“Non temere. Baderò io a
loro. Tu e Spring non dovete temere nulla, perché vi proteggo io.”
“Se non fossi mio
fratello, ti sposerei” dichiarò la gemella, lanciandogli un bacio con lo
schiocco.
Winter lo afferrò con
fare molto melodrammatico e, dopo esserselo portato al cuore, mormorò: “Me lo
terrò buono lo stesso, questo bacio, non si sa mai. Domani potresti avercela
con me per qualcosa, così avrei questo a difendermi.”
Summer e Kimmy risero e
si tapparono al tempo stesso la bocca, cercando di non fare baccano per non
svegliare Mal.
Era così strano veder
ricomparire il vecchio, allegro Win quando meno se lo aspettavano, eppure
succedeva sempre più spesso.
E alla gemella faceva un
piacere immenso rivedere quel bagliore negli occhi del fratello, specialmente
dopo tutto quello che aveva passato.
E dopo l’oscura visione
della zia.
La profezia di Brigidh
incombeva ancora su di loro come un'ombra cupa ma, come ben sapevano, non
potevano in alcun modo prevedere cosa sarebbe successo di lì in avanti.
Quando infine Summer
decise di tornarsene a casa era già notte inoltrata e, nell'inforcare la sua Ducati,
il fratello le passò il casco mormorando: “Mi raccomando, non fare follie, in
strada.”
“Mi tratterrò” promise
lei, infilandosi il casco in testa.
Winter le poggiò una
mano sulla spalla, stringendo un poco e Summ, comprendendo bene cosa il gemello
non volesse dirle, si limitò a mormorare: “Starò attenta, sempre. Te lo giuro.”
Lui non disse nulla, si
limitò a lasciare la presa e la donna, messo in moto che ebbe, si avviò lungo
la via lasciando che il piacevole ringhio della sua Ducati le facesse vibrare
il corpo e svuotare la mente.
Le parole di Brigidh
l'avevano scombussolata più di quanto non avrebbe mai ammesso, e Winter lo
sapeva. Non c'era bisogno di parlare, tra loro.
Si comprendevano molto
bene, anche senza parole.
Summ sapeva che Win non
l'avrebbe mai messa alle strette in un caso del genere, non l'avrebbe chiusa in
casa fino a nuovo ordine, non l'avrebbe armata fino ai denti per paura di
chissà cosa.
Si sarebbe limitato a
volerle bene e fidarsi di lei.
E lei non aveva
nessunissima intenzione di deluderlo.
Il gemello aveva
sopportato le bizze del Fato a sufficienza.
Di certo, non gli
serviva che lei facesse la pazza, perché dimenticava spesso e volentieri quanto
fosse pericoloso il mondo, anche per una Dominatrice del Fuoco.
¤¤¤
Sdraiata sul suo divano
di pelle nera, il capo rivolto verso lo schermo a Led del suo televisore, Summer continuò per un
tempo indefinito a fare zapping.
Le immagini si
affastellavano l'una sull'altra dinanzi a lei, tingendo il suo salone immerso
nell'oscurità di un caleidoscopio di colori sempre diversi.
Erano le tre del mattino
e il sonno stentava a venire.
Aveva ascoltato almeno
una ventina di volte la dolce melodia del carillon di mamma, fin quasi a
scoppiare in lacrime per i troppi ricordi e, alla fine, si era obbligata a
metterlo via.
Il tocco della sua mano
sul viso, la sua risata spontanea, i suoi rimbrotti preoccupati... le mancava
tutto, di lei, come del padre.
Non avrebbe ammesso
neppure sotto tortura che, ad ogni loro anniversario di matrimonio, se ne stava
da sola, in camera, a piangere lacrime amare, ma tant'era.
Se solo fosse stata più
grande, se fosse stata più forte, se avesse conosciuto meglio il suo potere,
avrebbe potuto salvarli dal rogo in cui erano morti.
L'incidente stradale in cui erano rimasti
coinvolti non glieli avrebbe strappati a quel modo.
Quello, più di ogni
altro errore commesso nel corso degli anni, le pesava maggiormente.
Il suo elemento era
stato la causa ultima della morte dei genitori, e lei non si sarebbe mai
perdonata per questa colpa immane.
A nulla erano valsi il
conforto ottenuto dai suoi fratelli e dalla dolce Spring, né l'abbraccio
consolatorio di zia Brigidh durante il loro funerale.
Tutto era andato a
rotoli, e lei si era sentita persa, sola.
Poi ogni cosa era
cambiata.
L'arrivo dei nonni, la
condanna di Winter a seguire le orme dei loro avi, il suo matrimonio con Erin,
tutto si era rivoltato contro di loro.
Solo dopo non poco tempo
aveva imparato ad apprezzare e amare sua cognata, e la nascita di Malcolm
l'aveva strappata ai suoi ricordi, dandole gli impulsi giusti per continuare a
vivere.
Malcolm, però, non le
aveva impedito di accumulare dentro di sé la rabbia non manifesta di Winter, il
dolore muto di Spring e la furia cieca di Autumn.
Ogni loro sentimento
negativo era ribollito in lei come una sacca magmatica, accrescendo il suo
potere fino a farla divenire la più potente Pirocinetica mai conosciuta nella
sua genia.
Poteva creare il fuoco, come solo pochissimi
tra i Dominatori del Fuoco erano stati in grado di fare nel corso dei millenni,
e sapeva muoverlo a suo piacimento.
Eppure, tutto quel
potere, le si sarebbe riversato contro, il giorno dell’Apice. E l’essere così
tanto più potente degli altri,
l’avrebbe resa ancor più vulnerabile, e quindi alla mercé di Sean.
Rabbrividì al solo
pensiero.
Se i vecchi Guardiani
fossero piombati lì con le torque per
loro, sarebbero stati guai seri. Kimmy e Max avrebbero rischiato ben più che di
essere scacciati dalle loro vite.
Scosse il capo, allontanando
quelle immagini cruente dalla sua mente, e proseguì nella ricerca di qualcosa
che la facesse capitolare.
Il suo cervello, però,
non volle saperne di lasciarla in pace, e un altro triste pensiero balenò di
colpo, riportandola a ricordi tristi.
Tutto il suo potere,
tutto quel concentrato di energia, che lei poteva manipolare come creta nelle
mani di un artista, non era riuscito a salvare Erin dalla morte.
Ancora una volta, aveva
perso qualcuno senza poter fare nulla.
Perché si crogiolava in
quei ricordi? E dire che sapeva benissimo quanto la facessero soffrire!
Rivedere Winter sfiorire,
come una pianta privata del suo sostentamento, la fece fremere di rabbia.
Quando finalmente Kimmy
era rientrata nella sua vita, Summer aveva sprizzato gioia da tutti i pori, pur
se dinanzi al gemello si era contenuta nelle smancerie.
E, quando anche Spring
aveva trovato la sua anima gemella, il suo cuore aveva ballato festante.
L'unica sua vera
felicità le giungeva dalla famiglia, indipendentemente da quanto credessero i
più.
I suoi uomini? La sua
vita sociale piena e ridente? Erano solo barriere contro il dolore che ancora
provava, contro la rabbia che non riusciva a sciogliere, contro la furia che a
stento tratteneva.
I Dominatori del Fuoco
erano condannati a soffrire, lo sapeva fin da quando aveva parlato per la prima
volta con il suo Educatore.
Loro ardevano
dall'interno in perenne ricerca di qualcosa, di qualcuno che placasse quel
fuoco.
E, finché non lo
trovavano, erano costretti a raccogliere dentro di loro tutte le emozioni latenti
che li circondavano, e che mantenevano sotto controllo, alimentandola, la fiamma del loro potere.
Le energie negative
potevano chetarla, poiché esse erano forti e dirompenti, senza freno.
Certo, avrebbe potuto
attingere a forze più genuine, ma mai si sarebbe permessa di strappare agli
altri l'amore, l'affetto e la benevolenza.
Ce n'era troppo bisogno,
nel mondo, e lei non voleva privare nessuno di simili qualità.
Estirpare dolore e
rabbia, invece, era di per sé un fatto positivo, ma erano così difficili da
sopportare!
Eppure, il suo fuoco
sembrava lieto di essere coccolato da simili compagni di giochi, e il suo
potere così fiorente ed unico ne era la prova regina.
Chissà cosa sarebbe
successo se avesse mai trovato chi la completava. Cosa sarebbe diventata?
Beh, fino a quel
momento, si sarebbe accontentata di cullare il suo fuoco con la rabbia e il
dolore.
E, soprattutto, si
sarebbe premurata di non far conoscere mai, per nessun motivo, quel suo
tremendo Fato ad alcuno dei suoi fratelli.
Non dovevano
preoccuparsi per lei, o provare compassione per il suo destino.
Mai.
¤¤¤
J.C. era come sempre il
primo ad arrivare, il più efficiente nel preparare le sue valigie e, ovviamente,
non dimenticava mai neppure un bullone dei macchinari costosissimi di cui il
NOAA li attrezzava.
Quel mattino di agosto
inoltrato, nella hall immensa dell'aeroporto Dulles di Washington, J.C. stava
attendendo l'arrivo dei suoi collaboratori accanto a un bar.
Quando vide giungere con
il suo passo armonioso e sexy la sua collega e amica Summer Hamilton, all'uomo
sfuggì un sospiro.
Era sempre così, tutte
le volte che la vedeva e, lo sapeva bene, non era certo l'unico maschio tra i
sei e novant'anni ad avere quella reazione.
La selvaggia chioma
rosso fuoco della donna era rilasciata libera sulle spalle e, ad ogni passo
cadenzato, danzava sinuosa sulle sue spalle, forgiate da anni di nuoto semi
agonistico.
Alta un metro e ottanta,
Summer appariva sempre in tutto il suo splendore, mai un abito fuori posto, mai
un accessorio di troppo.
Anche quella mattina,
era splendida.
Jeans attillati a vita
bassa color carbone si abbinavano a un paio di Jimmy-Choo di pitone e a un top
color smeraldo, che ne disegnava le forme armoniose e da dea greca.
Un trolley rigido la
seguiva rotolando sul pavimento liscio, trattenuto dalla stretta forte della
donna che, ticchettando armoniosamente sugli altissimi tacchi, lo raggiunse con
un sorriso sul bel volto.
Un attimo dopo, si
allungò per stampargli un sonoro bacio sulla guancia.
John ricambiò con molto
più contegno e, nell'ammirarla con aria serafica – non era il caso di diventare
l'ennesima tacca sul calcio della pistola di Summer – commentò: “Sai, vero, che
i tacchi non vanno bene per camminare sulle colate laviche disseccate?”
“Ho i miei scarponcini,
tranquillo. E poi non rovinerei mai simili scarpe sulla spianata del Kilauea!”
rise sommessamente lei, mettendosi al suo fianco per poi ammirarlo senza
ritegno.
John era uno dei pochi
uomini di sua conoscenza che, anche in presenza dei suoi micidiali tacchi,
poteva ancora guardarla dall'alto al basso, e la cosa le dava una soddisfazione
quasi sessuale.
Peccato che l'amico non
fosse interessato a lei in quel senso, almeno stando al suo modo sempre
contegnoso di comportarsi.
D'altra parte, però, le
piaceva il suo atteggiamento nei suoi confronti.
Già troppi uomini la
tampinavano continuamente per ottenere da lei una breve notte d'amore, o i
divertimenti esotici che tanto le piacevano.
Sapere che almeno con
John poteva essere se stessa senza rischiare una palpata, era un sollievo.
Certo, molte colleghe
l'avevano accusata di cercarsi i problemi anche laddove non c'erano, e forse
avevano ragione.
Se non si fosse
comportata in modo così disinvolto con l'altro sesso, forse non si sarebbe
neppure trovava con così tanti mosconi addosso.
Ma il desiderio e la
passione erano altri due elementi in cui il suo fuoco si crogiolava
sonnacchioso, ed erano decisamente preferibili alla rabbia e al risentimento.
E, di quelli, poteva
godere senza sentirsi in colpa. Divorarli un po' per volta era piacevole, e il
donatore veniva ampiamente ripagato.
Ovviamente, non avrebbe
potuto andare avanti così in eterno, ma l'idea di sposarsi con il suo cugino di
ventesimo grado, o giù di lì – e propinatole da Nonna Shaina– la faceva fremere
d'ira.
La nonna si era sposata
con il nonno in tenera età, seguendo gli antichi precetti, e così avevano fatto
tutti i loro avi, prima di loro.
Lei, però, non avrebbe
mai accettato di sposare un uomo solo per avere una fonte di benessere continua
e, soprattutto, donata spontaneamente.
Preferiva di gran lunga
estrapolare qua e là e, così facendo, eliminare un sacco di discordie sul
nascere.
Non che le piacesse
particolarmente divorare rabbia e ambizione, come le capitava spesso sul
lavoro, ma tutto era preferibile al cedere alle lusinghe della nonna.
Se solo avesse potuto
parlare con Sean! Avrebbe cercato di portarlo a più miti consigli! Ma dove
diavolo era finito?!
“Amanda e Mike non sono
ancora arrivati?” si lagnò Summer, passando nervosamente il peso da un piede
all'altro.
“Hanno chiamato poco
prima che tu arrivassi. Sono imbottigliati sulla tangenziale. Arriveranno con
una mezz'ora di ritardo” le spiegò John, notando sul viso dell'amica i segni
inequivocabili di una notte insonne.
Pur se mascherati
dall'abile mano del fondo tinta, l'uomo sapeva riconoscere a prima vista le
tracce dell'insonnia sul viso di Summer e, preoccupato, le domandò: “Cos'è che
ti ha tenuta sveglia, Summ?”
Sobbalzando leggermente,
la donna mascherò la sua sorpresa con il consueto sorriso scintillante e, nello
scrollare le spalle, dichiarò noncurante: “Maratona Robinson. Li davano
sul Canale 6, ed io non ho saputo resistere. Sono rimasta incollata alla TV fino
alle quattro del mattino.”
“Cioè, hai dormito solo
due ore e mezzo?” gracchiò J.C., sconvolto.
“Meno, se consideri che
mi sono fatta la doccia prima di uscire, corredata da trucco e parrucco”
ironizzò lei, dandogli di gomito.
“Summer...”
La donna sbuffò,
sgonfiandosi come un palloncino e, reclinando le spalle in avanti, mugugnò:
“Brutti pensieri, va bene? Niente che io possa risolvere al momento... e niente
che tu possa risolvere.”
“Sei sicura?” ci tenne a
dire John.
Lei lo guardò per un
minuto buono negli occhi scuri e morbidi color cioccolato, ne studiò il viso
perfetto, le labbra carnose e piegate leggermente all'ingiù, le sopracciglia
diritte e sottili.
Alla fine, sospirò
scrollando il capo. “No, non puoi fare nulla. Ma mi passerà.”
“Non mi dire che c'entra
ancora Autumn” brontolò John, intrecciando le robuste braccia sul torace
voluminoso.
J.C. era stato campione
studentesco di boxe e, nel corso degli anni, aveva mantenuto la passione per
quello sport, conservando un fisico potente e muscoloso.
Ben pochi avrebbero
detto che l'uomo aveva quasi quarant’anni, visto che ne dimostrava molti meno.
Summer sbuffò, negando
recisamente e John, con un grugnito, dichiarò: “Una di queste volte, scendo
fino a Tulsa e lo gonfio di pugni.”
La donna ridacchiò alla
sola idea, anche perché più di una volta era venuta la stessa idea anche a lei.
Un attimo dopo, il
cellulare squillò e Summ, ben sapendo chi fosse, afferrò il suo iPhone e disse
ironica: “Caro! Stavamo giusto parlando di te! Che tempismo perfetto!”
“Di' al tuo amico di non
fare tanto lo spiritoso perché, pugile o meno, lo stendo” brontolò Autumn,
senza nemmeno salutare.
La gemella allora si
fece di ghiaccio e, lapidaria, dichiarò: “Il giorno in cui toccherai J.C. con
un dito, sarà il giorno della tua morte, Autumn. Non si toccano i miei amici, è
chiaro? Oltretutto, abbiamo tutti un mondo di ragioni per avercela con te,
visto che non sei neppure venuto alla cerimonia di fidanzamento di Spring e Max,
per non parlare di quella di Kimmy e Winter. Potevi almeno degnarti di
schiodare il culo da lì per venire a conoscere il tuo futuro cognato e rivedere
Kim, no?!”
“Non posso venire,
punto” replicò roco Autumn, cambiando radicalmente atteggiamento.
La gemella sospirò
esasperata e, adeguandosi al cambiamento di tono, mormorò: “Senti, mo chrói,
se non ti apri con qualcuno di noi, non ne verremo mai a capo. Torna in
famiglia, fatti aiutare. Sono sicura che con Winter potreste risolvere
benissimo, se solo ci provaste.”
“Non c'è nulla da
risolvere. Lo odio. Punto e basta” sentenziò il gemello, con la morte nella
voce.
Non c'era rabbia, in
lui, solo... disperazione.
Ma perché? Se solo
avesse avuto il dono di Mal, l'avrebbe saputo e...
A quel punto, una luce
le illuminò l'orizzonte cupo e, aggrottando la fronte, gli domandò: “Cosa
nascondi di così tremendo?”
Autumn non parlò e
Summer, esasperata, ringhiò: “Sentimi bene, stronzo che non sei altro. Non
riesci a perdonare Win per chissà quale motivo? Fatti vostri. Ma almeno pensa a
Spring! Lei ti adora! Non pensi che, almeno per lei, potresti venire qui per
farle visita?”
“Se fosse semplice,
l'avrei già abbracciata e baciata mille volte, e avrei stretto orgoglioso la
mano a Max, perché penso che potrà renderla veramente felice, ma non posso
venire lì. Ci sono troppe cose che non posso … non voglio mostrare a
Mal, e queste cose le percepirebbe subito. Non voglio vederlo soffrire. Mai!”
Il tono di Autumn si
fece disperato, quasi spezzato in due da un dolore senza fine e Summer, da
furiosa che era, si calmò immediatamente, sospirando afflitta.
John detestava vederla
così abbattuta, e sempre a causa di Autumn.
Non aveva idea di cosa
fosse successo tra i due fratelli Hamilton, ma doveva essere stata una lite
davvero furibonda e che, a distanza di anni, non aveva ancora trovato una
soluzione di causa.
Ormai cinque anni erano
passati da quella separazione tumultuosa, e nulla sembrava essersi risolto.
John sapeva
perfettamente quanto la donna tenesse ad entrambi i fratelli.
E, se poteva affermare
che Winter appariva altrettanto preoccupato per il benessere delle gemelle, lo
stesso non poteva dire di Autumn che, puntualmente, le feriva o le faceva
infuriare.
“Senti, mo chrói,
almeno telefonale qualche volta. Non aspettare che sia lei. Puoi ...” Summer si
bloccò sul nascere, ricordandosi all'ultimo secondo di chi vi fosse vicino a
lei e, svicolando abilmente, continuò dicendo: “Puoi ben sorbirti qualche
domanda scomoda da parte di Max, se ti capitasse di beccarlo, no?”
“Lo farò. Le condizioni
in quota sono ottime, non avrete problemi col volo” le disse infine lui, con
tono pacato e vagamente ironico.
“Ci contavo, lo ammetto”
sogghignò Summer.
“Slan agus beannacht,
deirfiúr...1” mormorò Autumn, interrompendo la chiamata.
Summer scosse il capo
nel rimettere al suo posto il telefonino e J.C., con un ringhio infastidito,
commentò caustico: “Non merita tutta la tua gentilezza, e dovresti saperlo. Ti
fa sempre infuriare.”
“Autumn ha sempre avuto
un carattere complesso, è ancor più irlandese di tutti noi gemelli messi
assieme” ironizzò lei, ripensando alle parole accorate del fratello. Cosa
voleva nascondere di così tremendo a Malcolm?
“Ad ogni modo,
bisognerebbe dargli una ripassata” brontolò John, torvo in viso.
Summ gli diede una pacca
amichevole sul braccio, celiando: “Saresti un cavaliere con l'armatura
scintillante davvero eccellente, J.C.”
“Spiritosa” sbuffò lui,
cercando di non far caso al tocco delicato delle dita della donna sul suo
braccio nudo. Gli facevano sempre uno strano effetto.
Tutta quanta lei gli
faceva uno strano effetto, ed era un'autentica faticaccia fare finta di niente,
limitarsi ad esserle amico per paura di rovinare quello speciale legame che li
univa.
Ma, per lei, avrebbe
fatto questo ed altro.
Teneva troppo all’amica,
e si accontentava di essere suo confidente, anche se vederla uscire con uomini
sempre diversi lo uccideva poco alla volta.
“A volte, penso che
dovrei stordire sia Autumn che Winter e rinchiuderli nelle segrete del castello
di nonna perché si spieghino una volta per tutte, ma ho il terrore di quello
che potrebbe succedere” mugugnò lei, poggiando pensosa le mani sui fianchi
morbidi.
“Potrebbero ammazzarsi
di botte?” ironizzò John, per stemperare l'ansia dell'amica.
“Distruggere ogni cosa,
piuttosto” brontolò la donna, scrutandolo in viso con estrema serietà. “Ammazzarsi
e basta sarebbe troppo semplice, troppo riduttivo.”
“Summer... ma cosa è
successo tra quei due?” volle sapere a quel punto John, perdendo del tutto la
voglia di ridere.
“Se solo lo sapessi!”
sospirò afflitta la donna, poggiando la fronte contro la spalla dell'uomo,
l'aria stranamente smarrita e vulnerabile.
Sapeva che si sarebbe
fatto solo del male, ne era più che consapevole, ma non poteva lasciarla a se
stessa e al suo dolore.
Avvoltala con un
braccio, se la strinse al fianco e, nel poggiare una guancia contro quei
soffici riccioli fulvi, le sussurrò: “Sono grandi abbastanza per risolvere i
loro problemi da soli, Summ. Non sobbarcarti ogni volta di tutti i drammi del mondo.”
“Quello è Win” ironizzò
fiacca Summer, socchiudendo gli occhi nel concedersi il lusso di
quell'abbraccio familiare e caloroso.
Avvertiva sempre affetto
e protezione, quando era accanto a John, ma per nessun motivo al mondo si
sarebbe permessa di abbeverarsi a quella piacevole fonte.
Non voleva approfittare
a quel modo della sua amicizia, per quanto apprezzasse i sentimenti che
percepiva provenire da lui.
“Winter lo fa solo in
maniera più evidente, ma anche tu sei una bella testona senza speranza,
lasciatelo dire” ironizzò J.C., dandole un buffetto su una guancia prima di
lasciarla andare.
“E se me lo dici tu, che
sei la persona che mi conosce meglio dopo i miei fratelli...” celiò Summer,
sorridendogli più serena. “Grazie, John, davvero. Sei un amico impagabile.”
Già, penso lui con triste
ironia, un amico.
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1 Slan agus beannacht, deirfiúr (gaelico irlandese): significa, a grandi
linee, 'Arrivederci e porta con te la mia benedizione'.