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Autore: Mary P_Stark    28/04/2014    3 recensioni
Summer è la più focosa tra i gemelli Hamilton. ll suo carattere rispecchia appieno il suo Elemento, il Fuoco, che lei domina con sapienza e attenzione. Vulcanologa di professione, verrà inviata alle Hawaii assieme al suo collega e amico J.C. per studiare il locale vulcano e, in quell'occasione, verranno a galla non solo l'antico retaggio della Dominatrice del Fuoco, ma anche i doni dell'apparentemente innocuo John. Questo scatenerà forze a stento controllabili, ma anche la passione sopita di entrambi. Sarà in grado, Summer, di gestire tutto come suo solito, o le forze in campo, stavolta, la travolgeranno? E Nonna Shaina accetterà di perdere la partita contro i nipoti, o stavolta partirà all'attacco? TERZO RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" (riferimenti alla storia presenti anche nei racconti precedenti)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Cap. 2

 

 

 

 

Winter mosse il polso con un movimento elegante, facendo danzare il panciuto bicchiere di brandy che teneva in mano.

Nell'osservare le onde dorate del piacevole liquore, mormorò all'indirizzo della fulva gemella: “Diciamo che Brigidh non avrebbe potuto essere più vaga… ma questo non mi stupisce.”

“Non riesco mai a capire se lo fa apposta o se, semplicemente, le sue Visioni sono talmente fumose da essere incomprensibili” sbuffò Summer, le gambe distese sul divano del salone di Win e le braccia intrecciate dietro la nuca.

Il viso, rivolto verso l'alto, era teso e preoccupato, e il gemello comprese più che bene la sua ansia.

Con una nipotina non ancora nata, e uno di quasi dieci anni, non c'era da star tranquilli, senza considerare tutte le altre persone a cui lei era legata.

Chi poteva essere colui, o colei, da cui avrebbe potuto essere strappata via a forza?

Kimmy, tornando dalla camera di Malcolm dopo averlo messo a letto, si accomodò sul bracciolo della poltrona di Winter e, con naturalezza, gli passò un braccio attorno alle spalle.

Lui sorrise immediatamente e, nel baciarle il dorso di una mano, le domandò: “Si è addormentato?”

“Era stremato. Correre per così tante ore dietro a Lucky lo ha steso... ma era così contento, quando ho messo la cuccia morbida ai piedi del letto!” sorrise dolcemente Kim, ripensando al piccolo meticcio che avevano salvato solo la settimana precedente.

Scampato a un brutto incidente stradale, per pura fortuna aveva rimediato solo una gran paura e qualche abrasione.

Sicuramente incrociato con un cocker, Lucky aveva lunghe e morbide orecchie, un pelo ricciuto e nero e, cosa davvero singolare, le zampette macchiate di bianco.

Non avevano alcuna idea di quale fosse la sua provenienza ma, dopo aver visto gli occhi supplichevoli di Mal, Winter non aveva potuto che prenderlo con loro.

Certo, avevano dovuto iniziare a corrergli dietro per fargli capire dove fare i bisogni, e cosa non masticare con gli affilatissimi dentini da latte.

Vedere la gioia sul volto di Malcolm, e il modo responsabile con cui se ne prendeva cura, però, ripagava di qualsiasi problema.

E Winter non si sarebbe mai scoraggiato di fronte a un cane giocherellone, se il premio era veder sorridere il figlio.

“Quel cane è una dolcezza. Non fosse che a casa mia starebbe sempre da solo, ne prenderei uno anch'io” dichiarò Summer, sciogliendosi in un sorriso.

Kimmy le sorrise di rimando e, nello scivolare sulle gambe del compagno – che le avvolse possessivo la vita con un braccio – le confidò: “Piace anche a me, e guardarlo in quei suoi occhioni marroni è una tortura, perché gli lascerei fare qualsiasi cosa.”

“Pensavo fosse solo una mia prerogativa” ghignò Win, ammiccando all'indirizzo della fidanzata.

“Beh, ci sono cose che Lucky non può certo darmi” ammise lei, scrutandolo maliziosa.

“Oh, vi prego! Non davanti a me!” esclamò Summ, coprendosi gli occhi con aria melodrammatica. “Non voglio diventare cieca!”

“Ma per favore!” rise sommessamente il fratello. “Sai più cose di me, sul sesso, Summy, e di certo non mi metterò ad amoreggiare con Kim di fronte a te.”

“Solo perché ho avuto più materia prima tra le mani, non vuol dire che conosca più trucchi di te” replicò ironica la gemella strizzando l'occhio a Kimmy, che arrossì copiosamente.

Winter allora lanciò lesto uno sguardo all'indirizzo della sua donna e, dubbioso, mugugnò: “Cosa vi dite voi ragazze, mentre io non ci sono?”

Se possibile, Kim arrossì ancora di più e Summ, sghignazzando, dichiarò: “Posso solo essere orgogliosa che mio fratello tenga tanto al piacere della sua donna. Sai essere molto generoso, da quel che ho saputo.”

L’uomo aggrottò la fronte, sinceramente dibattuto tra il rispondere per le rime alla gemella, oppure tenersi il complimento e non aggiungere altro.

Alla fine, sospirò esasperato e mugugnò: “E' dura quando si è soli con tante donne.”

“Quando Mal sarà più grande, potrà darti man forte” lo consolò Kimmy, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.

Tutti sapevano benissimo che parlare a Winter di Autumn – che, in teoria, avrebbe dovuto essere con loro – era come accendere la miccia di un candelotto di dinamite.

L'argomento, perciò, non venne neppure toccato e Summer, cambiando lesta direzione del discorso, disse: “L'aereo partirà dopodomani per l'isola di Hawaii. Dovremmo atterrare all'aeroporto di Hilo nel primo pomeriggio ma, appena arriviamo, vi mando un sms.”

“D'accordo. Non nuotare nella lava, però, per favore... sarebbe quanto meno sconveniente” ironizzò il gemello, ammiccando.

“Mi conterrò. Però sarebbe divertente” ridacchiò la vulcanologa, scrollando divertita il capo.

“Un’altra cosa” aggiunse poi Summer, rivolgendosi al fratello. “Ho provato a contattare Colin, giusto per fargli passare ogni velleità circa il suo ruolo di Prescelto di Spring, ma non sono riuscita a trovarlo. Ho provato anche con Mir o Sean, ma non sono riuscita a beccare nessuno di loro. Tu ne sai niente?”

Winter si fece cauto, e replicò: “Tenterò di contattarli io, e pregherò gentilmente Colin di non azzardarsi a mettere piede qui, va bene?”

“Lo faresti anche con Sean?” sorrise deliziata Summer, sfregandosi le mani con aria furba. “Ti prego, fratelloneee…”

Kimmy rise sommessamente di fronte all’aria falsamente angelica della donna e Win, sorridendo divertito, annuì.

“Non temere. Baderò io a loro. Tu e Spring non dovete temere nulla, perché vi proteggo io.”

“Se non fossi mio fratello, ti sposerei” dichiarò la gemella, lanciandogli un bacio con lo schiocco.

Winter lo afferrò con fare molto melodrammatico e, dopo esserselo portato al cuore, mormorò: “Me lo terrò buono lo stesso, questo bacio, non si sa mai. Domani potresti avercela con me per qualcosa, così avrei questo a difendermi.”

Summer e Kimmy risero e si tapparono al tempo stesso la bocca, cercando di non fare baccano per non svegliare Mal.

Era così strano veder ricomparire il vecchio, allegro Win quando meno se lo aspettavano, eppure succedeva sempre più spesso.

E alla gemella faceva un piacere immenso rivedere quel bagliore negli occhi del fratello, specialmente dopo tutto quello che aveva passato.

E dopo l’oscura visione della zia.

La profezia di Brigidh incombeva ancora su di loro come un'ombra cupa ma, come ben sapevano, non potevano in alcun modo prevedere cosa sarebbe successo di lì in avanti.

Quando infine Summer decise di tornarsene a casa era già notte inoltrata e, nell'inforcare la sua Ducati, il fratello le passò il casco mormorando: “Mi raccomando, non fare follie, in strada.”

“Mi tratterrò” promise lei, infilandosi il casco in testa.

Winter le poggiò una mano sulla spalla, stringendo un poco e Summ, comprendendo bene cosa il gemello non volesse dirle, si limitò a mormorare: “Starò attenta, sempre. Te lo giuro.”

Lui non disse nulla, si limitò a lasciare la presa e la donna, messo in moto che ebbe, si avviò lungo la via lasciando che il piacevole ringhio della sua Ducati le facesse vibrare il corpo e svuotare la mente.

Le parole di Brigidh l'avevano scombussolata più di quanto non avrebbe mai ammesso, e Winter lo sapeva. Non c'era bisogno di parlare, tra loro.

Si comprendevano molto bene, anche senza parole.

Summ sapeva che Win non l'avrebbe mai messa alle strette in un caso del genere, non l'avrebbe chiusa in casa fino a nuovo ordine, non l'avrebbe armata fino ai denti per paura di chissà cosa.

Si sarebbe limitato a volerle bene e fidarsi di lei.

E lei non aveva nessunissima intenzione di deluderlo.

Il gemello aveva sopportato le bizze del Fato a sufficienza.

Di certo, non gli serviva che lei facesse la pazza, perché dimenticava spesso e volentieri quanto fosse pericoloso il mondo, anche per una Dominatrice del Fuoco.

¤¤¤

Sdraiata sul suo divano di pelle nera, il capo rivolto verso lo schermo a Led  del suo televisore, Summer continuò per un tempo indefinito a fare zapping.

Le immagini si affastellavano l'una sull'altra dinanzi a lei, tingendo il suo salone immerso nell'oscurità di un caleidoscopio di colori sempre diversi.

Erano le tre del mattino e il sonno stentava a venire.

Aveva ascoltato almeno una ventina di volte la dolce melodia del carillon di mamma, fin quasi a scoppiare in lacrime per i troppi ricordi e, alla fine, si era obbligata a metterlo via.

Il tocco della sua mano sul viso, la sua risata spontanea, i suoi rimbrotti preoccupati... le mancava tutto, di lei, come del padre.

Non avrebbe ammesso neppure sotto tortura che, ad ogni loro anniversario di matrimonio, se ne stava da sola, in camera, a piangere lacrime amare, ma tant'era.

Se solo fosse stata più grande, se fosse stata più forte, se avesse conosciuto meglio il suo potere, avrebbe potuto salvarli dal rogo in cui erano morti.

 L'incidente stradale in cui erano rimasti coinvolti non glieli avrebbe strappati a quel modo.

Quello, più di ogni altro errore commesso nel corso degli anni, le pesava maggiormente.

Il suo elemento era stato la causa ultima della morte dei genitori, e lei non si sarebbe mai perdonata per questa colpa immane.

A nulla erano valsi il conforto ottenuto dai suoi fratelli e dalla dolce Spring, né l'abbraccio consolatorio di zia Brigidh durante il loro funerale.

Tutto era andato a rotoli, e lei si era sentita persa, sola.

Poi ogni cosa era cambiata.

L'arrivo dei nonni, la condanna di Winter a seguire le orme dei loro avi, il suo matrimonio con Erin, tutto si era rivoltato contro di loro.

Solo dopo non poco tempo aveva imparato ad apprezzare e amare sua cognata, e la nascita di Malcolm l'aveva strappata ai suoi ricordi, dandole gli impulsi giusti per continuare a vivere.

Malcolm, però, non le aveva impedito di accumulare dentro di sé la rabbia non manifesta di Winter, il dolore muto di Spring e la furia cieca di Autumn.

Ogni loro sentimento negativo era ribollito in lei come una sacca magmatica, accrescendo il suo potere fino a farla divenire la più potente Pirocinetica mai conosciuta nella sua genia.

Poteva creare il fuoco, come solo pochissimi tra i Dominatori del Fuoco erano stati in grado di fare nel corso dei millenni, e sapeva muoverlo a suo piacimento.

Eppure, tutto quel potere, le si sarebbe riversato contro, il giorno dell’Apice. E l’essere così tanto più potente degli altri, l’avrebbe resa ancor più vulnerabile, e quindi alla mercé di Sean.

Rabbrividì al solo pensiero.

Se i vecchi Guardiani fossero piombati lì con le torque per loro, sarebbero stati guai seri. Kimmy e Max avrebbero rischiato ben più che di essere scacciati dalle loro vite.

Scosse il capo, allontanando quelle immagini cruente dalla sua mente, e proseguì nella ricerca di qualcosa che la facesse capitolare.

Il suo cervello, però, non volle saperne di lasciarla in pace, e un altro triste pensiero balenò di colpo, riportandola a ricordi tristi.

Tutto il suo potere, tutto quel concentrato di energia, che lei poteva manipolare come creta nelle mani di un artista, non era riuscito a salvare Erin dalla morte.

Ancora una volta, aveva perso qualcuno senza poter fare nulla.

Perché si crogiolava in quei ricordi? E dire che sapeva benissimo quanto la facessero soffrire!

Rivedere Winter sfiorire, come una pianta privata del suo sostentamento, la fece fremere di rabbia.

Quando finalmente Kimmy era rientrata nella sua vita, Summer aveva sprizzato gioia da tutti i pori, pur se dinanzi al gemello si era contenuta nelle smancerie.

E, quando anche Spring aveva trovato la sua anima gemella, il suo cuore aveva ballato festante.

L'unica sua vera felicità le giungeva dalla famiglia, indipendentemente da quanto credessero i più.

I suoi uomini? La sua vita sociale piena e ridente? Erano solo barriere contro il dolore che ancora provava, contro la rabbia che non riusciva a sciogliere, contro la furia che a stento tratteneva.

I Dominatori del Fuoco erano condannati a soffrire, lo sapeva fin da quando aveva parlato per la prima volta con il suo Educatore.

Loro ardevano dall'interno in perenne ricerca di qualcosa, di qualcuno che placasse quel fuoco.

E, finché non lo trovavano, erano costretti a raccogliere dentro di loro tutte le emozioni latenti che li circondavano, e che mantenevano sotto controllo,  alimentandola, la fiamma del loro potere.

Le energie negative potevano chetarla, poiché esse erano forti e dirompenti, senza freno.

Certo, avrebbe potuto attingere a forze più genuine, ma mai si sarebbe permessa di strappare agli altri l'amore, l'affetto e la benevolenza.

Ce n'era troppo bisogno, nel mondo, e lei non voleva privare nessuno di simili qualità.

Estirpare dolore e rabbia, invece, era di per sé un fatto positivo, ma erano così difficili da sopportare!

Eppure, il suo fuoco sembrava lieto di essere coccolato da simili compagni di giochi, e il suo potere così fiorente ed unico ne era la prova regina.

Chissà cosa sarebbe successo se avesse mai trovato chi la completava. Cosa sarebbe diventata?

Beh, fino a quel momento, si sarebbe accontentata di cullare il suo fuoco con la rabbia e il dolore.

E, soprattutto, si sarebbe premurata di non far conoscere mai, per nessun motivo, quel suo tremendo Fato ad alcuno dei suoi fratelli.

Non dovevano preoccuparsi per lei, o provare compassione per il suo destino.

Mai.

¤¤¤

J.C. era come sempre il primo ad arrivare, il più efficiente nel preparare le sue valigie e, ovviamente, non dimenticava mai neppure un bullone dei macchinari costosissimi di cui il NOAA li attrezzava.

Quel mattino di agosto inoltrato, nella hall immensa dell'aeroporto Dulles di Washington, J.C. stava attendendo l'arrivo dei suoi collaboratori accanto a un bar.

Quando vide giungere con il suo passo armonioso e sexy la sua collega e amica Summer Hamilton, all'uomo sfuggì un sospiro.

Era sempre così, tutte le volte che la vedeva e, lo sapeva bene, non era certo l'unico maschio tra i sei e novant'anni ad avere quella reazione.

La selvaggia chioma rosso fuoco della donna era rilasciata libera sulle spalle e, ad ogni passo cadenzato, danzava sinuosa sulle sue spalle, forgiate da anni di nuoto semi agonistico.

Alta un metro e ottanta, Summer appariva sempre in tutto il suo splendore, mai un abito fuori posto, mai un accessorio di troppo.

Anche quella mattina, era splendida.

Jeans attillati a vita bassa color carbone si abbinavano a un paio di Jimmy-Choo di pitone e a un top color smeraldo, che ne disegnava le forme armoniose e da dea greca.

Un trolley rigido la seguiva rotolando sul pavimento liscio, trattenuto dalla stretta forte della donna che, ticchettando armoniosamente sugli altissimi tacchi, lo raggiunse con un sorriso sul bel volto.

Un attimo dopo, si allungò per stampargli un sonoro bacio sulla guancia.

John ricambiò con molto più contegno e, nell'ammirarla con aria serafica – non era il caso di diventare l'ennesima tacca sul calcio della pistola di Summer – commentò: “Sai, vero, che i tacchi non vanno bene per camminare sulle colate laviche disseccate?”

“Ho i miei scarponcini, tranquillo. E poi non rovinerei mai simili scarpe sulla spianata del Kilauea!” rise sommessamente lei, mettendosi al suo fianco per poi ammirarlo senza ritegno.

John era uno dei pochi uomini di sua conoscenza che, anche in presenza dei suoi micidiali tacchi, poteva ancora guardarla dall'alto al basso, e la cosa le dava una soddisfazione quasi sessuale.

Peccato che l'amico non fosse interessato a lei in quel senso, almeno stando al suo modo sempre contegnoso di comportarsi.

D'altra parte, però, le piaceva il suo atteggiamento nei suoi confronti.

Già troppi uomini la tampinavano continuamente per ottenere da lei una breve notte d'amore, o i divertimenti esotici che tanto le piacevano.

Sapere che almeno con John poteva essere se stessa senza rischiare una palpata, era un sollievo.

Certo, molte colleghe l'avevano accusata di cercarsi i problemi anche laddove non c'erano, e forse avevano ragione.

Se non si fosse comportata in modo così disinvolto con l'altro sesso, forse non si sarebbe neppure trovava con così tanti mosconi addosso.

Ma il desiderio e la passione erano altri due elementi in cui il suo fuoco si crogiolava sonnacchioso, ed erano decisamente preferibili alla rabbia e al risentimento.

E, di quelli, poteva godere senza sentirsi in colpa. Divorarli un po' per volta era piacevole, e il donatore veniva ampiamente ripagato.

Ovviamente, non avrebbe potuto andare avanti così in eterno, ma l'idea di sposarsi con il suo cugino di ventesimo grado, o giù di lì – e propinatole da Nonna Shaina– la faceva fremere d'ira.

La nonna si era sposata con il nonno in tenera età, seguendo gli antichi precetti, e così avevano fatto tutti i loro avi, prima di loro.

Lei, però, non avrebbe mai accettato di sposare un uomo solo per avere una fonte di benessere continua e, soprattutto, donata spontaneamente.

Preferiva di gran lunga estrapolare qua e là e, così facendo, eliminare un sacco di discordie sul nascere.

Non che le piacesse particolarmente divorare rabbia e ambizione, come le capitava spesso sul lavoro, ma tutto era preferibile al cedere alle lusinghe della nonna.

Se solo avesse potuto parlare con Sean! Avrebbe cercato di portarlo a più miti consigli! Ma dove diavolo era finito?!

“Amanda e Mike non sono ancora arrivati?” si lagnò Summer, passando nervosamente il peso da un piede all'altro.

“Hanno chiamato poco prima che tu arrivassi. Sono imbottigliati sulla tangenziale. Arriveranno con una mezz'ora di ritardo” le spiegò John, notando sul viso dell'amica i segni inequivocabili di una notte insonne.

Pur se mascherati dall'abile mano del fondo tinta, l'uomo sapeva riconoscere a prima vista le tracce dell'insonnia sul viso di Summer e, preoccupato, le domandò: “Cos'è che ti ha tenuta sveglia, Summ?”

Sobbalzando leggermente, la donna mascherò la sua sorpresa con il consueto sorriso scintillante e, nello scrollare le spalle, dichiarò noncurante: “Maratona Robinson. Li davano sul Canale 6, ed io non ho saputo resistere. Sono rimasta incollata alla TV fino alle quattro del mattino.”

“Cioè, hai dormito solo due ore e mezzo?” gracchiò J.C., sconvolto.

“Meno, se consideri che mi sono fatta la doccia prima di uscire, corredata da trucco e parrucco” ironizzò lei, dandogli di gomito.

“Summer...”

La donna sbuffò, sgonfiandosi come un palloncino e, reclinando le spalle in avanti, mugugnò: “Brutti pensieri, va bene? Niente che io possa risolvere al momento... e niente che tu possa risolvere.”

“Sei sicura?” ci tenne a dire John.

Lei lo guardò per un minuto buono negli occhi scuri e morbidi color cioccolato, ne studiò il viso perfetto, le labbra carnose e piegate leggermente all'ingiù, le sopracciglia diritte e sottili.

Alla fine, sospirò scrollando il capo. “No, non puoi fare nulla. Ma mi passerà.”

“Non mi dire che c'entra ancora Autumn” brontolò John, intrecciando le robuste braccia sul torace voluminoso.

J.C. era stato campione studentesco di boxe e, nel corso degli anni, aveva mantenuto la passione per quello sport, conservando un fisico potente e muscoloso.

Ben pochi avrebbero detto che l'uomo aveva quasi quarant’anni, visto che ne dimostrava molti meno.

Summer sbuffò, negando recisamente e John, con un grugnito, dichiarò: “Una di queste volte, scendo fino a Tulsa e lo gonfio di pugni.”

La donna ridacchiò alla sola idea, anche perché più di una volta era venuta la stessa idea anche a lei.

Un attimo dopo, il cellulare squillò e Summ, ben sapendo chi fosse, afferrò il suo iPhone e disse ironica: “Caro! Stavamo giusto parlando di te! Che tempismo perfetto!”

“Di' al tuo amico di non fare tanto lo spiritoso perché, pugile o meno, lo stendo” brontolò Autumn, senza nemmeno salutare.

La gemella allora si fece di ghiaccio e, lapidaria, dichiarò: “Il giorno in cui toccherai J.C. con un dito, sarà il giorno della tua morte, Autumn. Non si toccano i miei amici, è chiaro? Oltretutto, abbiamo tutti un mondo di ragioni per avercela con te, visto che non sei neppure venuto alla cerimonia di fidanzamento di Spring e Max, per non parlare di quella di Kimmy e Winter. Potevi almeno degnarti di schiodare il culo da lì per venire a conoscere il tuo futuro cognato e rivedere Kim, no?!”

“Non posso venire, punto” replicò roco Autumn, cambiando radicalmente atteggiamento.

La gemella sospirò esasperata e, adeguandosi al cambiamento di tono, mormorò: “Senti, mo chrói, se non ti apri con qualcuno di noi, non ne verremo mai a capo. Torna in famiglia, fatti aiutare. Sono sicura che con Winter potreste risolvere benissimo, se solo ci provaste.”

“Non c'è nulla da risolvere. Lo odio. Punto e basta” sentenziò il gemello, con la morte nella voce.

Non c'era rabbia, in lui, solo... disperazione.

Ma perché? Se solo avesse avuto il dono di Mal, l'avrebbe saputo e...

A quel punto, una luce le illuminò l'orizzonte cupo e, aggrottando la fronte, gli domandò: “Cosa nascondi di così tremendo?”

Autumn non parlò e Summer, esasperata, ringhiò: “Sentimi bene, stronzo che non sei altro. Non riesci a perdonare Win per chissà quale motivo? Fatti vostri. Ma almeno pensa a Spring! Lei ti adora! Non pensi che, almeno per lei, potresti venire qui per farle visita?”

“Se fosse semplice, l'avrei già abbracciata e baciata mille volte, e avrei stretto orgoglioso la mano a Max, perché penso che potrà renderla veramente felice, ma non posso venire lì. Ci sono troppe cose che non posso … non voglio mostrare a Mal, e queste cose le percepirebbe subito. Non voglio vederlo soffrire. Mai!”

Il tono di Autumn si fece disperato, quasi spezzato in due da un dolore senza fine e Summer, da furiosa che era, si calmò immediatamente, sospirando afflitta.

John detestava vederla così abbattuta, e sempre a causa di Autumn.

Non aveva idea di cosa fosse successo tra i due fratelli Hamilton, ma doveva essere stata una lite davvero furibonda e che, a distanza di anni, non aveva ancora trovato una soluzione di causa.

Ormai cinque anni erano passati da quella separazione tumultuosa, e nulla sembrava essersi risolto.

John sapeva perfettamente quanto la donna tenesse ad entrambi i fratelli.  

E, se poteva affermare che Winter appariva altrettanto preoccupato per il benessere delle gemelle, lo stesso non poteva dire di Autumn che, puntualmente, le feriva o le faceva infuriare.

“Senti, mo chrói, almeno telefonale qualche volta. Non aspettare che sia lei. Puoi ...” Summer si bloccò sul nascere, ricordandosi all'ultimo secondo di chi vi fosse vicino a lei e, svicolando abilmente, continuò dicendo: “Puoi ben sorbirti qualche domanda scomoda da parte di Max, se ti capitasse di beccarlo, no?”

“Lo farò. Le condizioni in quota sono ottime, non avrete problemi col volo” le disse infine lui, con tono pacato e vagamente ironico.

“Ci contavo, lo ammetto” sogghignò Summer.

Slan agus beannacht, deirfiúr...1” mormorò Autumn, interrompendo la chiamata.

Summer scosse il capo nel rimettere al suo posto il telefonino e J.C., con un ringhio infastidito, commentò caustico: “Non merita tutta la tua gentilezza, e dovresti saperlo. Ti fa sempre infuriare.”

“Autumn ha sempre avuto un carattere complesso, è ancor più irlandese di tutti noi gemelli messi assieme” ironizzò lei, ripensando alle parole accorate del fratello. Cosa voleva nascondere di così tremendo a Malcolm?

“Ad ogni modo, bisognerebbe dargli una ripassata” brontolò John, torvo in viso.

Summ gli diede una pacca amichevole sul braccio, celiando: “Saresti un cavaliere con l'armatura scintillante davvero eccellente, J.C.”

“Spiritosa” sbuffò lui, cercando di non far caso al tocco delicato delle dita della donna sul suo braccio nudo. Gli facevano sempre uno strano effetto.

Tutta quanta lei gli faceva uno strano effetto, ed era un'autentica faticaccia fare finta di niente, limitarsi ad esserle amico per paura di rovinare quello speciale legame che li univa.

Ma, per lei, avrebbe fatto questo ed altro.

Teneva troppo all’amica, e si accontentava di essere suo confidente, anche se vederla uscire con uomini sempre diversi lo uccideva poco alla volta.

“A volte, penso che dovrei stordire sia Autumn che Winter e rinchiuderli nelle segrete del castello di nonna perché si spieghino una volta per tutte, ma ho il terrore di quello che potrebbe succedere” mugugnò lei, poggiando pensosa le mani sui fianchi morbidi.

“Potrebbero ammazzarsi di botte?” ironizzò John, per stemperare l'ansia dell'amica.

“Distruggere ogni cosa, piuttosto” brontolò la donna, scrutandolo in viso con estrema serietà. “Ammazzarsi e basta sarebbe troppo semplice, troppo riduttivo.”

“Summer... ma cosa è successo tra quei due?” volle sapere a quel punto John, perdendo del tutto la voglia di ridere.

“Se solo lo sapessi!” sospirò afflitta la donna, poggiando la fronte contro la spalla dell'uomo, l'aria stranamente smarrita e vulnerabile.

Sapeva che si sarebbe fatto solo del male, ne era più che consapevole, ma non poteva lasciarla a se stessa e al suo dolore.

Avvoltala con un braccio, se la strinse al fianco e, nel poggiare una guancia contro quei soffici riccioli fulvi, le sussurrò: “Sono grandi abbastanza per risolvere i loro problemi da soli, Summ. Non sobbarcarti ogni volta di tutti i  drammi del mondo.”

“Quello è Win” ironizzò fiacca Summer, socchiudendo gli occhi nel concedersi il lusso di quell'abbraccio familiare e caloroso.

Avvertiva sempre affetto e protezione, quando era accanto a John, ma per nessun motivo al mondo si sarebbe permessa di abbeverarsi a quella piacevole fonte.

Non voleva approfittare a quel modo della sua amicizia, per quanto apprezzasse i sentimenti che percepiva provenire da lui.

“Winter lo fa solo in maniera più evidente, ma anche tu sei una bella testona senza speranza, lasciatelo dire” ironizzò J.C., dandole un buffetto su una guancia prima di lasciarla andare.

“E se me lo dici tu, che sei la persona che mi conosce meglio dopo i miei fratelli...” celiò Summer, sorridendogli più serena. “Grazie, John, davvero. Sei un amico impagabile.”

Già, penso lui con triste ironia, un amico.

 

 

 

 

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1 Slan agus beannacht, deirfiúr (gaelico irlandese): significa, a grandi linee, 'Arrivederci e porta con te la mia benedizione'.

  
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