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Autore: writinglove    29/04/2014    3 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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BETWEEN THE HUNGRY

Numero nove .

«Ehi…come va?» chiesi al ragazzo che camminava a passo svelto,con lo sguardo dritto di fronte a sé.

L’oscurità ci accompagnava ormai da lunghi ed interminabili minuti. In quell’aria afosa e irrespirabile,il senso di essere intrappolati in una lunga e stretta gabbia di cemento non faceva altro che crescere. Forse avevamo percorso poco più di un paio di chilometri,e seppur non fosse molto che i nostri piedi si muovessero su quell’asfalto buio,sentivo già che la vista cominciava ad abituarsi all’invisibilità delle cose che si mostravano solamente grazie al tatto. Lucas ed io ci tenevamo mano nella mano. Era un modo per non perderci,ma anche un modo per rassicurarci con il semplice contatto. Noah invece camminava solitario. Dal rumore dei passi forse distava qualche metro da noi,e avrei giurato che stesse piangendo dal suono strozzato dei suoi respiri.

«Noah,» lo chiamai con la vaga speranza che si sarebbe fermato «come va?» ripetei.

Il rumore dei passi non cessò neppure un istante,né ricevetti alcuna risposta.

Strinsi la presa sulla mano di Lucas ed aumentai il passo per raggiungere il ragazzo che ci stava di fronte. Quando mi ritrovai al suo fianco,con la sua stessa andatura,gli poggiai una mano sulla spalla.

«Vuoi rispondermi?!» sbottai alterata.

Finalmente si fermò.

Non potevamo guardarci negli occhi,né studiare le nostre espressioni a vicenda. Il buio annullava anche la capacità di intuire gli stati d’animo altrui. Avevo bisogno di capire se quegli occhi verdi fossero freddi e decisi,oppure pieni di lacrime e socchiusi da un’incontenibile tristezza. Ce ne restammo lì,fermi,per una decina di secondi,ad assaporare l’odore dell’aria densa e carica di un’elettricità che sapeva di morte. Feci un grosso respiro,qualche passo verso quella figura di cui non vedevo neppure la sagoma,e poi chiusi gli occhi. Sentivo il dolore di Noah mischiarsi col mio ; lo sentivo riempirmi il cuore e venire pompato nelle vene come fosse stato il veleno micidiale del morso di un serpente. Quel dolore mordeva,divorava,e il suono del mio respiro si faceva mano a mano più sonoro. Quando riaprii gli occhi mi accorsi che stavo ansimando,e mi portai una mano sulla fronte ad asciugare una goccia di sudore.

«Tua madre è stata la donna più coraggiosa che io abbia mai conosciuto.» sussurrai mentre una lacrima percorreva lenta il mio viso «Ci ha salvati…ha salvato tutti noi. So quanto fa male,lo so bene…ma per andare avanti devi lasciare che le emozioni ti scivolino addosso. Devi…devi ignorare quel dolore,devi cancellare la sua immagine,dimenticare il suono della sua voce,perché se non lo fai…allora il dolore e la rabbia ti renderanno suo schiavo e ti distruggeranno senza che tu nemmeno te ne accorga.» altre lacrime a mischiarsi al sudore sul viso,ed un vago ricordo che lentamente si faceva spazio nella mia mente «Sei forte Noah,e questo lo sai,ma adesso devi concentrarti sull’uscita di questo tunnel. Avrai tempo per piangere tua madre,ma ora…ora dobbiamo uscire di qui,ad ogni costo».

La mano di Lucas si strinse meglio attorno alla mia,come se silenziosamente avesse voluto elogiarmi per le mie parole o avesse voluto dimostrare il suo rispetto verso la mia persona. In un attimo sentii solo i singhiozzi di Noah,e mi concentrai su questi. Forse avrebbe voluto rispondermi,magari ringraziarmi,ma tutto quel che riusciva a fare in quel momento era piangere,lasciare che quelle emozioni e quel brutto ricordo scivolassero via con quelle lacrime piene di sofferenza. Lo capivo…Dio,se lo capivo. In tre giorni pareva avessimo vissuto un’altra vita,e lentamente ogni punto di forza alla quale da sempre ci eravamo aggrappati,ci abbandonava per lasciarci soli a noi stessi. Rivolevo anch’io mia madre,la rivolevo con ogni parte del mio corpo,così come rivolevo mio padre e Josh. Rivolevo i sorrisi della prima,gli abbracci del secondo,e i baci del terzo. Li rivolevo con me perché era giusto che ci fossero,perché l’unica ingiustizia in quel nuovo mondo era quella finta vita mostruosa che ci strappava lentamente ogni briciola di umanità. Li rivolevo perché non ero mai stata pronta per dirgli addio,perché non era stato giusto il modo in cui se ne erano andati e il modo in cui mi avevano lasciata. Li rivolevo per proteggerli e li rivolevo per lasciarmi rassicurare dai loro gesti semplici nei momenti in cui avrei voluto smettere di lottare e abbandonarmi alla follia di quella nuova vita. Li rivolevo,li rivolevo ad ogni costo,eppure sapevo che non c’era più spazio per loro in quel disastro. Le loro figure buone e dolci,la loro essenza pura e ormai vana,sarebbe stata inadeguata in quel feroce sogno dai versi graffianti,simili a quei gemiti che si erano stampati nella mia mente. Li rivolevo con me così tanto

Quando Lucas mi strattonò a sé,e tornai ad ascoltare e a camminare,capii che il momento delle emozioni era appena terminato. Noah aveva ricominciato a camminare,e così anche noi. Dovevo lasciarmi alle spalle immagini e ricordi e , senza neppure rendermene conto , era quel che stavo facendo. Ad ogni passo,un ricordo vivace ed asfissiante scivolava dietro le mie spalle senza neppure reclamare. Era giusto così. Non mi restava altro che camminare,camminare e stringere più forte la mano di mio fratello.

                                                                                                                            *

Non era facile restare concentrati quando attorno a te non c’è altro che l’incertezza del buio o quando qualunque rumore ti fa sussultare e ti ferma un respiro in gola. I minuti passavano veloci,incontrollati e furiosi nel silenzio. Quanto ancora avevamo da percorrere?Quanto altro tempo saremmo rimasti bloccati in quel tunnel angosciante?Sentivo la tensione scorrermi nelle vene,ed i nervi che fino ad allora erano stati saldi,cedere lentamente per la stanchezza. Non sapevo quanto altro tempo avrei resistito,ma sentivo il momento della mia resa sempre più vicino.

«San,» mi chiamò mio fratello con un filo di voce «possiamo fermarci?»

Istintivamente i miei piedi smisero di muoversi .

«Noah?»

«Solo un paio di minuti» rispose lui con apparente distacco.

Aveva la voce ferma,quasi gelida. Sembrava quella di un soldato alla quale era stata affidata una missione di vitale importanza e che non aveva alcuna intenzione di farsi trascinare al fallimento da distrazioni varie. Era concentrato,concentrato nel modo in cui sarei dovuta essere anch’io.

«D’accordo. Lucas,sediamoci a terra».

L’asfalto freddo sembrò nei primi secondi darmi una sensazione simile al sollievo. Se quel buio non avesse potuto nascondere dei pericoli,l’atmosfera sarebbe potuta essere piacevolmente rilassante. Avrei chiuso gli occhi,inspirato profondamente,immaginando di non essere intrappolata all’interno di delle mura,e mi sarei concentrata sul calore che andava svanendo grazie al cemento che mi rinfrescava la pelle. Mi passai una mano sulla fronte ed avvertii qualche goccia di sudore spandersi sui miei polpastrelli. Sudavo sia per il caldo asfissiante,sia per tutta l’agitazione che quella situazione aveva creato. Stavo per chiudere gli occhi,ero tentata…ma poi una luce fioca attirò la mia attenzione. Da dietro la fiamma intravedevo i lineamenti di Noah…ero confusa…era un accendino?Teneva in mano un accendino?

Scattai da terra in una frazione di secondo,a denti stretti. Corsi verso la fonte della fiamma,e mi fermai a poche centimetri da quel debole calore.

«Avevi un accendino con te e hai deciso di usarlo solo ora?!» sbottai alterata.

I suoi occhi arrossati si socchiusero.

«Pensi che se l’avessi acceso prima,il gas avrebbe retto per l’intero tunnel?» rispose lui duro,con le sopracciglia aggrottate e il viso contratto.

«Avresti almeno potuto dirlo,no?»

«Non necessariamente» controbatté lui secco.

Scossi la testa contrariata e bofonchiai un “stronzo”. Mi rendevo conto che avesse appena perso sua madre,che fosse arrabbiato,triste,disperato e che magari non avesse avuto tutti i torti sul fatto dell’accendino,ma il suo comportamento cominciava a darmi sui nervi.

Lui si voltò,mi diede le spalle e si allontanò diretto verso chissà dove.

«Dove vai?» chiesi all’oscurità.

«Cerco una macchina,fareste meglio a seguirmi».

Storsi la bocca per il disappunto,poi tirai su mio fratello con una mano,e sempre stringendola,ci rincamminammo dietro quel bagliore fioco che si allontanava velocemente.

«Ma non potrebbe rallentare?» mi chiese mio fratello.

Scossi semplicemente la testa. Lucas sapeva quanto fossi in disaccordo con il modo di fare che Noah aveva adottato,e sapeva anche il motivo del mio silenzio. Era meglio seguirlo senza fare troppe domande o rimbeccargli aspetti del suo comportamento. Quando avemmo percorso qualche centinaia di metri,finalmente la luce si fermò.

«Trovato qualcosa?» chiesi,nella speranza di una risposta positiva.

Noah non rispose. Si sentì il rumore di uno scatto,e poi un cigolio. La fiamma illuminò lo sportello aperto di una vettura abbandonata,e Noah si voltò a guardarmi.

«Forse sì. Vieni a darmi una mano,provo a far funzionare questa vecchia Mercedes».

Obbedii all’istante.

«Tieni la fiamma sotto il volante» mi disse,tirando fuori il coltello dalla cinta dei pantaloni.

Afferrai l’accendino ed eseguii i suoi ordini. Forse era arrivato il momento di uscire da quell’inferno…

«Abbassalo un pochino» mi suggerì.

 Porsi la fiamma più in basso di una decina di centimetri.

«Perfetto» disse,osservando i fili fuoriusciti dal cuore della vettura.

Pochi secondi ed il rumore del motore ruppe il silenzio che si era creato. Subito una risata mi esplose dalla gola ed un sorriso illuminò il viso di Noah.

«Sì!» esclamò felice mio fratello.

«E bravo Puckermann!» mi complimentai,ancora sorridendo.

Il ragazzo si sedette sul sedile del guidatore,e poi disse «Tutti a bordo!Vediamo di uscire da questo schifo di tunnel...non so voi,ma io mi sono stancato di questo buio!»

Senza farcelo ripetere due volte,io e Lucas salimmo in macchina. Noah accese i fari,schiacciò sul pedale dell’acceleratore,e finalmente quell’oscurità venne spezzata. Non avremmo impiegato molto ad uscire da quel tunnel con la macchina. Ce l’avremmo fatta. New York ci stava aspettando.

                                                                                                                       *

Quando vidi un cerchio di luce all’orizzonte lasciar penetrare qualche debole raggio all’interno del tunnel,mi venne da ridere. Vedere un semplice bagliore naturale dopo la bellezza di mezz’ora trascorsa nell’oscurità,mi diede un sollievo mai provato. Stavamo uscendo,stavamo uscendo! Non riuscivo quasi a crederci. La vettura fu inondata in breve da un calore che mi pervase fin dentro le ossa,lentamente. Chiusi gli occhi,inspirai l’aria che entrava dalla fessura del finestrino,e schiusi le labbra in un sorriso spontaneo e sincero. Quando riaprii gli occhi per la fretta di tornare  a vedere,rimasi per un istante accecata. I miei occhi si erano abituati alla tenebra e quell’improvviso bagliore mi costrinse,per i primi secondi, a socchiuderli controvoglia. Non importava se mi bruciassero gli occhi o se a stento fossi in grado di tenerli aperti in due minuscole fessure. Non importava nient’altro che non fosse l’uscita da quel tunnel dell’orrore.

«Siamo fuori!» esclamò Noah con euforia.

«Ce l’abbiamo fatta!Qual è il prossimo passo?»

Finalmente tornai a vedere nitidamente. Una lacrima mi colò dall’occhio sinistro,e la portai via con l’indice. Sentivo una strana sensazione pervadermi…era forse un pizzico di felicità?Tentennavo all’ammettere a me stessa di provare un’emozione di entusiasmo,ma era così. Gettai lo sguardo fuori dal finestrino,e mi lasciai trascinare lontano da quella città che poco prima del caos avevo sognato di raggiungere. C’erano dei grandi e grigi palazzi,qualche grattacielo qua e là che solleticava l’azzurro terso e cristallino,e insegne di ogni tipo ad avvisare degli incredibili negozi di cui il posto aveva vanto. Era la città dei sogni,la città dei ricchi,dei figli di papà che se la spassavano con le loro paghette abbondanti nei locali più in voga del momento. Era la città in cui anche per andare a fare la spesa bisogna sfoggiare vestiti dai grandi marchi,oppure fingere che un abito mediocre fosse stato pagato tanto quanto un affitto di mesi a Lima. Era sì la città della superficialità,ma anche la città dello spettacolo,o almeno era questo quel che avevo appreso dai film e telefilm che durante le mie serate passate in casa avevo guardato. Eppure,se andavo oltre quelle insegne o quei grattacieli che attiravano la mia attenzione,tutto quel che riuscivo a vedere erano le strade bloccate da un groviglio di automobili,l’asfalto chiazzato qua e là da del sangue scuro e secco,fogli svolazzanti a terra,vetrine distrutte dalla parte anteriore di una macchina schiantatasi dentro il negozio,affamati senza arti che si trascinavano gemendo sui marciapiedi segnati di rosso,o altri che giravano nei loro vestiti ridotti a brandelli in cerca di cibo nella loro città. A guardarlo meglio,il cielo non era affatto terso e cristallino,ma di un grigio malato,come se un vortice distruttore l’avesse risucchiato assieme alla luce che da sempre l’aveva illuminato.

«Raggiungere la 5th Ave…il mio amico abita in uno di quei palazzi. Non è molta strada,forse sono un paio di chilometri da dove siamo ora. Possiamo farcela» affermò poi,con sicurezza.

Lo pensavo anch’io. Potevamo farcela ; non tutto era perduto. Eravamo partiti un giorno prima da una città dell’Ohio ed avevamo percorso la bellezza di novecentocinquantatre chilometri in macchina,anzi,nelle macchine. Eravamo sfuggiti all’orda di affamati che si aggirava per i quartieri di Lima in cerca di cibo,eravamo sopravvissuti all’intero viaggio durato parecchio ore,ed eravamo scampati ad un’altra orda all’entrata dell’Holland Tunnel. Certo,era pur vero che avevamo affrontato tutto ciò non senza incorrere in pericoli,o senza perdere persone a noi care,ma ce l’avevamo fatta e percepivo quello strambo traguardo come un’assurda pretesa del destino. Non era ancora il momento per dirci addio,me lo sentivo. Trovato il ragazzo che cercava Noah,ce ne saremmo andati da quella città,che ormai non era altro che l’esempio della fine del mondo a noi familiare, e avremmo pensato a dove rifugiarci per continuare a sopravvivere.

«Faremmo meglio a sbrigarci» suggerì mio fratello con la voce smossa dalla preoccupazione.

Smisi di sognare e guardai dritto di fronte a me. Nel bel mezzo della strada c’era un incidente. Tre macchine,l’una schiacciata contro l’altra, bloccavano la strada e creavano un ingorgo di vetture ferme,abbandonate nella fila. Ma non era quello il problema peggiore,no di certo. Decine di affamati si muovevano con quel loro equilibrio instabile,all’inseguimento di qualcosa che quel groviglio di lamiere non mi permetteva di vedere.

«Cazzo» sbottai allarmata «e adesso?»

Noah mi guardò con quello sguardo serio e determinato,che ormai avevo imparato a conoscere,e con voce ferma disse un semplice «ci sposteremo a piedi».

Aprì lo sportello lentamente,lo richiuse,prese dalla sua cintura il coltello sporco di sangue,ed agganciò saldamente il fucile con un braccio. Noi lo seguimmo a ruota,sempre attenti a non fare troppo rumore.

«Sembrano attratti da qualcosa» sussurrò Puckermann «ma da qui non riesco a capire cosa. Forse è una persona o…o un animale. Comunque sono distratti,cerchiamo strade alternative e vediamo di raggiungere quel maledetto palazzo».

Io e Lucas annuimmo.

«Statemi dietro e non fate rumore».

Annuimmo di nuovo.

Nel momento stesso in cui cominciammo ad incamminarci,sentimmo delle grida in lontanza.

«No!Per favore!Qualcuno mi aiuti!Aiuto!»

Noah si voltò a guardarmi,ed io incrociai i suoi occhi per un istante. Era quella la distrazione : un ragazzino, la voce di un ragazzino fragile ed indifeso che avrà avuto al massimo diciassette anni. Sarebbe potuto essere mio fratello…mi si strinse il cuore a quel pensiero.

«Dobbiamo andare ad aiutarlo» dissi a Puckermann,che ancora mi guardava.

Lui scosse immediatamente la testa «non se ne parla!Come pensi che ci riusciremmo?Lo stanno inseguendo almeno cinquanta affamati!»

Strinsi il pugno «ma non possiamo lasciarlo morire così!» obbiettai disperata.

«Preferisci che ci sia tuo fratello a morire con lui?O me e te?Non possiamo salvarlo,Santana!Potrebbe essere stato morso o ferito,sarebbe solo d’intralcio…è la nostra distrazione!Se possiamo spostarci per qualche minuto senza doverci guardare le spalle è solo perché lui sta fuggendo…lo capisci?»

Lo guardai con gli occhi pieni di lacrime,spenti,e allo stesso tempo colmi di angoscia. Lui se ne stava freddo a guardarmi,impassibile e intoccabile dalle emozioni,proprio come quel soldato che mi aveva ricordato all’interno del tunnel. Liberai la mano dal pugno e guardai a terra,forse per paura del suo sguardo o perché non volevo vedere oltre nei suoi occhi. Quel ragazzo sarebbe morto…mio fratello avrebbe potuto trovarsi al posto suo,e sarebbe morto.

«E’ questa la realtà adesso. Lo so che ti sembrerò disgustosamente cinico,ma è così che vanno le cose. Se hai fortuna e non hai paura di uccidere,sopravvivi,altrimenti…»

Alzai lo sguardo,ignorando una lacrima «altrimenti vieni fatto a pezzi e nessuno si curerà della tua vita».

Lui scosse la testa,sembrò voler dire qualcosa,forse una giustificazione,ma poi semplicemente si voltò e si rincamminò. Era concentrato sull’obbiettivo,il soldato aveva un solo ed unico obbiettivo.

                                                                                     

Mentre i nostri passi svelti e silenziosi ci portavano all’interno di un vicolo,non potevo fare a meno di continuare a pensare a quel ragazzo. Perché la vita aveva deciso di punirlo così?Perché io e Noah non riuscivamo a trovare accordo nei nostri modi di fare?Più lo guardavo e più mi veniva da pensare che qualcosa lo avesse cambiato. Era attento,pronto a qualunque cosa pur di raggiungere il suo scopo,ma una domanda mi sorgeva spontanea : qual era realmente il suo scopo?Io non avevo fatto molte domande sul suo amico di New York,né me ne ero interessata più di tanto. Mi era bastato andarmene da quella città ormai distrutta e piena di ricordi,e la validità del motivo per cui ci eravamo messi in viaggio non mi aveva mai preoccupata più di tanto. Era Noah,era un bravo ragazzo che avevo avuto modo di conoscere piuttosto bene al liceo…poi le nostre strade si erano separate,i nostri futuri si erano allontanati,e per qualche strano motivo si erano incrociati di nuovo. Ero sicura che non avesse avuto una vita facile dopo il diploma al McKinley ; non ne ero sicura,ne ero certa. Sapevo il fatto della prigione,e quella era già una conoscenza sufficiente a lasciarmi fare una simile considerazione,ma c’era sicuramente altro…altro che nei nostri giorni insieme avrei avuto modo di farmi raccontare.

«Quanto manca?» chiesi sempre sottovoce.

«Forse poco meno di un chilometro,ma non ne sono sicuro…è la mia prima visita a New York e non sono molto pratico di queste grandi città piene di casino».

Aggrottai la fronte e le mie sopracciglia fecero un balzo «ma non sei già stato da lui?»

Noah si girò improvvisamente preoccupato,e scosse la testa.

«So che è brutto sentirselo dire,ma…» sospirai «sai che potrebbe anche essere…»

«Lo so» m’interruppe lui tempestivamente «ma so anche che è un tipo forte,quindi ci sono buone probabilità che in questo momento sia barricato in casa».

Annuii pur non essendone troppo convinta «devi volergli molto bene se ti sei fatto tutta questa strada per venire da lui».

Aspettai una risposta,ma non ci fu.

«Sì,infatti» disse secco una decina di secondi dopo.

Quando il vicolo finì,sbucammo in una delle strade principali. A tratti c’erano macchine qua e là,e tutto sommato la strada era abbastanza pulita. Qualche metro più avanti,sul marciapiede sul quale stavamo,c’erano tre affamati che si dirigevano verso di noi. Nemmeno il tempo di pensare,che io Noah stringemmo più saldamente i coltelli e ci lanciammo verso il gruppo. Io colpii il primo con un calcio al petto,questo indietreggiò,inciampicò sui suoi piedi e finì steso a terra. Gli diedi un calcio alla nuca,poi mi chinai velocemente e gli piantai il coltello in testa. Quando mi rialzai,vidi Noah piantare il coltello nella testa del terzo,mentre il secondo era già privo di vita sull’asfalto.

«Dovreste dare un’occhiata qui intorno…» suggerì mio fratello con la voce che tremava.

«Che c’è?»

Dio…quella era una brutta situazione. Ne stavano sbucando da tutte le parti,e i loro lamenti cominciavano lentamente ad assordirmi. Ci stavano circondando,e ce n’erano a dozzine.

«Correte!» esclamò Noah,scattando rapidamente.

Nemmeno il tempo di farcelo ripetere,che io e Lucas cominciammo a muoverci. Noah era davvero veloce,un fulmine,e noi stavamo poco dietro di lui,senza rischiare di perderlo di vista. Ad ogni metro che percorrevamo,altri affamati si destavano dalle loro postazioni e dal loro falso sonno,e cominciavano ad agitarsi e ad incamminarsi sulla nostra scia.

«Cazzo!» esclamai,ansimando.

Puckermann si fermò di colpo,e si girò verso di noi,con il fiatone,la fronte velata di sudore,e gli occhi sbarrati. Di fronte a noi altre decine di affamati ci bloccavano la strada,emettendo quei loro lamenti terrificanti.

«E adesso?» chiesi attraversata da un brivido di paura.

Noah si passò una mano sulla nuca rasata,indietreggiando a quella massa che si avvicinava. Si guardò attorno,disperato,e poi indicò un ristorante alla nostra destra «lì dentro!»

                                                                                                                             

«Venite a darmi una mano!» ordinò Puckermann.

Poggiò una sedia di legno a terra,mise un piede sullo schienale,e con l’altro diede un calcio secco verso il basso ad una gamba che si staccò di netto. Afferrò il pezzo di legno velocemente e con altrettanta velocità lo pose tra le maniglie della porta d’entrata.

«Aiutatemi a mettere quel tavolo qui davanti».

Io afferrai un lato,lui quello opposto e poi lo appoggiammo davanti la porta in vetro. Non era sufficiente,lo sapevano entrambi. La parte del ristorante che dava sulla strada era fatta interamente in vetro,e gli affamati l’avrebbero fatta a pezzi. Avevamo scelto un pessimo posto per fuggire. Dal centro della sala principale dell’edificio,puntai gli occhi su quelle vetrine. Gli affamati si stavano sparpagliando sulla superficie e cominciavano a picchiare,lamentandosi vivacemente.

Sbuffai sonoramente e cominciai a camminare avanti e indietro,con nervosismo. Mi passai una mano tra i capelli,staccai una pellicina dal dito medio,e mi asciugai con il polso il sudore sulla fronte. Ero agitata,quella situazione non mi piaceva affatto.

«Dobbiamo mettere qualcos’altro qui davanti» affermò Puckermann,guardandomi attentamente.

Mi voltai ad osservarlo. Se ne stava accovacciato,con il viso sporco ed imperlato di sudore,e gli occhi verdi attenti che scrutavano la mia persona. Voleva che dicessi qualcosa,che dessi un qualche suggerimento,ma la cosa che mi veniva più naturale da fare era osservare quelle mani sporche di sangue picchiare sulla vetrata,ed ascoltare i lamenti di quei mostri affamati.

«Non è il caso di perdere tempo con la vetrata. Prima o poi la romperanno. Tutti gli affamati in zona si stanno radunando su questo cazzo di edificio,e siamo in trappola» dissi fredda,come se la cosa non mi avesse riguardata.

«E allora che suggerisci di fare?Restare qui ed aspettare che crepino il vetro lentamente?»

Scossi la testa,ma Noah continuò a guardarmi.

«Usciremo da una finestra che sia il più lontano possibile da questa vetrata».

Puckermann annuii lentamente,come se ci stesse riflettendo su,e poi disse «ottimo piano,può funzionare!»

La vetrata cominciava a cedere. Avevo spostato lo sguardo per pochi secondi,e quando lo avevo posato di nuovo sull’ammasso di affamati,erano notevolmente aumentati. Sul vetro s’incominciavano ad intravedere le prime crepe,e la gamba di legno veniva spostata avanti e indietro,continuamente messa alla prova dalle spinte di quei corpi disgustosamente divorati.

«Andiamo sul retro alla ricerca della finestra».

Altre spinte,altri colpi,un’altra crepa. L’agitazione si faceva mano a mano sempre più palpabile,mi si appiccicava addosso come melma collosa e viscida. Corremmo in cucina,ma nessuna finestra. Poi in un’altra sala da pranzo,e finalmente la vedemmo. Era grande,larga,spaziosa e rendeva la stanza luminosa. C’erano un paio di affamati che colpivano il vetro,ma li avremmo uccisi senza troppa difficoltà. Quando Noah stava per girare la maniglia,un rumore ci fece bloccare di colpo. Spari. Ci guardammo tutti e tre con aria interrogativa,tutti e tre con le stesse rughe di perplessità sulla fronte.

«Ma che…»

Altri tre colpi secchi,precisi,ma questa volta vicini,molto vicini ed una voce femminile. Un altro rumore mi fece sussultare : un bussare,qualcuno stava bussando alla finestra. Tutti e tre ci voltammo a guardare e restammo immediatamente a bocca aperta. Non c’erano più affamati,ma una ragazza che colpiva violentemente la superficie in vetro,facendoci segni e gridando qualcosa di incomprensibile.

«E’ viva!» fu quello che esclamò mio fratello dopo lunghi secondi di silenzio e di sorpresa.

Senza starci tanto a pensare,mi gettai sulla maniglia che Noah aveva lasciato,ed aprii la finestra.

«Era ora!Ma che cavolo dovevo fare per farmi aprire?» disse la ragazza con voce acuta e movenze quasi teatrali «Forza,venite fuori!Mio fratello è in una jeep fuori da questo vicolo…vi aiuteremo!»

Puckermann ed io ci guardammo per un momento,entrambi preoccupati,e poi scavalcammo,balzando all'esterno dall'edificio. La finestra dava su un ulteriore vicolo,e alla fine di questo,in lontananza,si vedeva una vettura ferma e si sentiva il rombo di un motore. Non appena uscimmo,notammo che le decine di affamati che fino a poco prima si erano attaccati come forsennati alla vetrata del ristorante,si erano spostati e si stavano avvicinando.

«Merda,ce li abbiamo dietro» borbottai tra me e me.

«Sbrigatevi!»

La ragazza,di cui ancora non conoscevamo il nome,cominciò a correre per raggiungere il fratello e noi la seguimmo. Raggiunta la fine del vicolo,ci ritrovammo di fronte ad una Wrangler  rosso di dimensioni spropositate. Lo guardai per una frazione di secondo,e poi salimmo tutti e quattro.

«Dove siete diretti?» chiese il ragazzo alla guida.

La sorella si voltò verso di noi. Era una ragazza dal viso davvero bello ; la pelle chiara,limpida e perfetta. Due occhi da cerbiatta intensi e magnetici ,le sopracciglia scure e delineate,il naso greco con un piercing metallico ad anello,ed una bocca carnosa dalla colorazione di un rosato pallido,molto delicato. Se l’avessi guardata in un giorno qualsiasi,in una situazione di normalità,ne sarei comunque rimasta colpita. La sua immagine era una di quelle che ti si stampavano nella testa e che ore dopo l’incontro continuavano a ritornarti in mente in momenti disparati,quasi come in un tormento. Era una mia coetanea,forse anche più piccola…senza il piercing o il trucco scuro attorno agli occhi,avrebbe avuto senz’alcun dubbio l’aspetto di una ragazzina. I lunghi capelli scuri e lisci le incorniciavano il viso,ed anche quelli erano impeccabili.

«Sto cercando un mio amico che ha un appartamento sulla 5th Ave,ma non sono di queste parti e in questo momento non saprei orientarmi molto bene…» rispose Noah, torturandosi un labbro.

«Non preoccuparti,» disse il ragazzo con tono gentile «io ed Alex siamo di queste parti. Sappiamo muoverci in queste strade».

La ragazza sorrise ed annuì,sempre voltata verso di noi.

«Grazie per averci aiutati!Ci state dando una grande mano…non potete nemmeno capire quanto siate utili in questa situazione!» dissi,accennando un lieve sorriso sincero.

Neppure mi rendevo conto di quanta gratitudine provassi verso quelle due figure sbucate misteriosamente. Ma non si trattava neppure di semplice gratitudine per quel soccorso,era qualcosa che andava oltre…non c’avrei giurato,ma vedere dei volti nuovi e vivi dopo quattro giorni in cui i nostri occhi avevano scorto solo morte,dava un’emozione incontenibile e sorprendentemente piacevole.

«Sì,davvero!E’ bello vedere facce di altri sopravvissuti. Ultimamente non abbiamo visto altro che affamati divorare persone o impazzire per la voglia di masticarci» ammise Noah con un pizzico di ironia.

«Affamati?» chiese la ragazza dallo sguardo magnetico.

«Sì,quei mostri…» spiegò Lucas subito dopo.

Lei ridacchio un po’ «è un nome fico!Gli affamati…» ripeté poco dopo,portandosi un dito sulla bocca «mi piace come li avete chiamati!Io e Steve non li abbiamo mai nominati…a volte li chiamavamo "cose" o…o "mostri",ma penso che da oggi sia ufficiale : quei cosi saranno gli "affamati"!» affermò in tono compiaciuto,annuendo.

Noah forzò un sorriso,ed io sollevai un sopracciglio assieme agli angoli della bocca. Sapevo esattamente cosa stava pensando Puckermann in quel momento : ma chi cavolo è questa pazza?

«A proposito di nomi,» cominciò mio fratello serio «io sono Lucas,suo fratello» ammise accennando a me con la testa,e stringendo la mano alla ragazza.

«Piacere di conoscervi,io sono Santana» continuai,accennando un debole sorriso.

«Noah. Noah Puckermann».

La ragazza sfoderò un bel sorriso luminoso e disse «io sono Alex Monroe e questo è mio fratello Steven».

«Il piacere è tutto nostro» concluse il fratello,continuando a tenere gli occhi sulla strada.

Anche il ragazzo pareva avere un aspetto discreto,ma la sorella era di gran lunga più attraente. Da seduta non avrei potuto esserne certa,ma sembrava un “ragazzone”. Era muscoloso e forse sfiorava il metro e novanta,ed i bicipiti in bella mostra facevano paura. I lineamenti erano marcati,decisi,per non dire severi. Gli occhi erano più grandi e rotondi di quelli della ragazza,ma della stessa colorazione. Il naso piccolo e un po’ all’insù,e la bocca sottile e rosea. Il pizzetto gli conferiva un’aria seriosa e matura,ed i capelli, fissati sulla nuca in un codino,lasciavano scoperta la rasatura che altrimenti non si sarebbe notata. Avrebbe potuto avere venticinque anni,forse ventisette,ma non di più.

«Ci siamo quasi» avvisò Noah dopo pochi minuti «dovrebbe essere quello lì giù».

«D’accordo» rispose Steven,rallentando «io ed Alex vi accompagneremo sino a dentro,in caso avreste problemi di qualche tipo,e poi ci allontaneremo dalla città».

«Grazie» dissi assieme a Puckermann.

Quando la vettura si fermò,scendemmo molto rapidamente e sempre ben armati. Non mi ero sbagliata sul conto del ragazzo : era enorme,sembrava un sollevatore di pesi. Aveva con sé una pistola,la stessa che impugnava anche la sorella,ma la cosa che mi stupì davvero fu il mondo in cui la tipa impugnava l’arma : la ragazza sapeva sparare,e c’avrei scommesso che non fosse proprio una novellina. Due newyorkesi addestrati,pensai,questa sì che è bella.

Non appena Steven aprì la porta di ingresso e lo seguimmo,subito balzarono agli occhi i due affamati che si trascinavano sotto le scale dell’edificio. Il primo sembrava essere senza occhi,con la pelle che sembrava ricoperta da una patina grigiastra,spenta come la morte. Il secondo invece era una femmina,con indosso una gonna che forse era appartenuta ad una donna d’affari,ed una camicetta sporca di sangue a ricoprire le braccia marce e rigonfie,dalla pelle bianca e maleodorante. Si avvicinavano lamentandosi,ma in un istante Steven li fermò. Fu un razzo ; neppure capii se me lo fossi immaginato,o se fosse successo veramente. Si tirò fuori dall’anfibio nero un coltello da cacciatore,e nella stessa frazione di secondo lo piantò dritto nell’occhio della donna con un gesto rapidissimo,deciso,e sì,era strano a dirlo,ma quasi elegante. Al secondo,ridotto quasi uno scheletro,sfondò il cranio da sopra,con lo stesso coltello. Fu come vedere un bambino giocare con delle macchinine o costruire un puzzle. Tutto quello era stato un gioco da ragazzi per lui,una vera e propria passeggiata,come se l’avesse fatto da sempre.

«Cavolo…sei veloce» affermò mio fratello.

Il ragazzo si girò,fece spallucce,e si ripulì il coltello con un lembo della maglietta. Subito si incamminò sulle scale,sempre con la stessa decisione,alla guida del gruppo. Se Noah poco prima mi era parso un soldato,quello era niente al confronto…metteva quasi paura.

«Che numero?»

«E’ al nono appartamento. Primo piano».

I nostri passi si fecero più svelti,ma sempre silenziosi. Poi,senza neppure rendercene conto,ci ritrovammo di fronte la porta giusta. Ci guardammo a vicenda,per un istante. Noah mi fissò per qualche secondo,e capii subito che ci fosse qualcosa di strano nella sua espressione. Non era felice come quando si spera di rivedere un amico,non era felice affatto. Aveva stampato in viso una strana preoccupazione mista all’indecisione ; sudava,ma non credo per il caldo soffocante.

«Siamo ancora in tempo per andarcene,Puckermann» dissi,tenendo gli occhi fissi sui suoi.

Sì,c’era qualcosa di strano.

«Certo,come no…» rispose lui scuotendo la testa « e aver fatto tutta questa strada per niente?No,non se ne parla».

Mise la mano per bussare,ma poi si fermò. Prese un grosso respiro,si passò l’avambraccio ad asciugare il sudore,e infine colpì con poca decisione la superficie in legno con sopra scritto 9. Tornammo subito a guardarci a vicenda ; c’era una tensione palpabile,e non l’avvertivo solo io. Steve se ne stava guardingo,fermo con quella sua aria sospettosa ed attenta,pronto al necessario,Alex fissava la porta,mordendosi un labbro,ed ogni tanto sospirava, e mio fratello invece se ne stava in silenzio,toccandosi i capelli nervosamente ed ascoltando le centinaia di pensieri che lo assorbivano di tanto in tanto,estraniandolo dalla realtà. C’eravamo tutti,ed eravamo tutti pronti a scoprire chi si nascondesse dietro quella porta. Io restavo ferma nella mia convinzione : in tutto ciò,qualcosa non quadrava.

Si sentirono prima dei passi,poi il rumore della sicura della porta togliersi,e poi,infine,con una lentezza quasi straziante,un cigolio.

«Cercate qualcuno?» chiese una ragazza bionda con voce sommessa.

Rimasi di sasso,ma il bello doveva ancora venire.

«Jake Puckermann…s-sono suo fr-fratello Noah» balbettò l’altro insicuro.

La ragazza sussultò per lo stupore e si portò una mano alla bocca,con gli occhi sgranati che non smettevano di saltare di viso in viso.

«Entrate,lì fuori è pericoloso. A proposito» cominciò poi,sforzandosi di sollevare gli angoli della bocca per mascherare l’imminente tristezza «mi chiamo Brittany,Brittany Pierce».

Avrei dovuto dire qualcosa,forse il mio nome,ma non ero più sicura di quale fosse. C’era qualcosa di…di strano in quell’appartamento,ma non era legato alle mura o alla situazione,no…era qualcosa di diverso e di incredibilmente indefinibile. Una sensazione,un’emozione che oltre alla sorpresa si faceva spazio al mio interno,lottando,radicandosi fin dentro le ossa. Guardai quella ragazza con il viso stanco ed i capelli arruffati,e lei mi guardò aspettandosi che pronunciassi il mio nome. Ma quel nome non era necessario che venisse pronunciato ; eravamo la stessa cosa : spaventate,confuse e tristi.

«Sono Santana Lopez,piacere di conoscerti» biascicai,incrociando i suoi occhi color cielo.

E allora,le nostre mani si strinsero.


Carissimi lettori,ed eccoci qui!E' giunto finalmente il momento che tanto avete aspettato e che avevo promesso. I nostri protagonisti hanno patito le pene dell'inferno per raggiungere quell'appartamento,e ad aprirgli la porta è una biondina dall'aria spaventata e sopresa. Diciamo che in questo capitolo si chiariscono diversi dubbi e si vanno a creare delle situazioni nuove,che lentamente ci porteranno ad un'evoluzione della storia. Beh,senza dilungarmi più di tanto,adesso lascio a voi la parola. Questo capitolo è il vero inizio della storia ; adesso ha inizio" BETWEEN THE HUNGRY " . Forza gente,vi aspetto in tanti nelle recensioni per leggere i vostri pareri e farmi un'idea di quel che pensate su questa folle fanfiction.

Con la speranza che il capitolo vi sia piaciuto e che i nuovi personaggi abbiano acceso in voi un pizzico di curiosità,vi dico : "alla prossima" ! 

  
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