BETWEEN THE HUNGRY
Numero nove .
«Ehi…come
va?» chiesi al ragazzo che camminava a passo svelto,con lo
sguardo dritto di
fronte a sé.
L’oscurità
ci accompagnava ormai da lunghi ed interminabili minuti. In
quell’aria afosa e
irrespirabile,il senso di essere intrappolati in una lunga e stretta
gabbia di
cemento non faceva altro che crescere. Forse avevamo percorso poco
più di un paio
di chilometri,e seppur non fosse molto che i nostri piedi si muovessero
su
quell’asfalto buio,sentivo già che la vista
cominciava ad abituarsi
all’invisibilità delle cose che si mostravano
solamente grazie al tatto. Lucas
ed io ci tenevamo mano nella mano. Era un modo per non perderci,ma
anche un
modo per rassicurarci con il semplice contatto. Noah invece camminava
solitario. Dal rumore dei passi forse distava qualche metro da noi,e
avrei giurato che stesse piangendo dal suono strozzato dei suoi respiri.
«Noah,»
lo
chiamai con la vaga speranza che si sarebbe fermato «come
va?» ripetei.
Il rumore
dei passi non cessò neppure un istante,né
ricevetti alcuna risposta.
Strinsi la
presa sulla mano di Lucas ed aumentai il passo per raggiungere il
ragazzo che ci
stava di fronte. Quando mi ritrovai al suo fianco,con la sua stessa
andatura,gli poggiai una mano sulla spalla.
«Vuoi
rispondermi?!» sbottai alterata.
Finalmente
si fermò.
Non potevamo
guardarci negli occhi,né studiare le nostre espressioni a
vicenda. Il buio
annullava anche la capacità di intuire gli stati
d’animo altrui. Avevo bisogno
di capire se quegli occhi verdi fossero freddi e decisi,oppure pieni di
lacrime
e socchiusi da un’incontenibile tristezza. Ce ne restammo
lì,fermi,per una
decina di secondi,ad assaporare l’odore dell’aria
densa e carica di
un’elettricità che sapeva di morte. Feci un grosso
respiro,qualche passo verso
quella figura di cui non vedevo neppure la sagoma,e poi chiusi gli
occhi.
Sentivo il dolore di Noah mischiarsi col mio ; lo sentivo riempirmi il
cuore e
venire pompato nelle vene come fosse stato il veleno micidiale del
morso di un
serpente. Quel dolore mordeva,divorava,e il suono del mio respiro si
faceva
mano a mano più sonoro. Quando riaprii gli occhi mi accorsi
che stavo ansimando,e
mi portai una mano sulla fronte ad asciugare una goccia di sudore.
«Tua
madre è
stata la donna più coraggiosa che io abbia mai
conosciuto.» sussurrai mentre
una lacrima percorreva lenta il mio viso «Ci ha
salvati…ha salvato tutti noi.
So quanto fa male,lo so bene…ma per andare avanti devi
lasciare che le emozioni
ti scivolino addosso. Devi…devi ignorare quel dolore,devi
cancellare la sua
immagine,dimenticare il suono della sua voce,perché se non
lo fai…allora il
dolore e la rabbia ti renderanno suo schiavo e ti distruggeranno senza
che tu
nemmeno te ne accorga.» altre lacrime a mischiarsi al
sudore sul viso,ed un vago ricordo
che lentamente si faceva spazio nella mia mente «Sei forte
Noah,e questo lo
sai,ma adesso devi concentrarti sull’uscita di questo tunnel.
Avrai tempo per
piangere tua madre,ma ora…ora dobbiamo uscire di qui,ad ogni
costo».
La mano di
Lucas si strinse meglio attorno alla mia,come se silenziosamente avesse
voluto
elogiarmi per le mie parole o avesse voluto dimostrare il suo rispetto
verso la
mia persona. In un attimo sentii solo i singhiozzi di Noah,e mi
concentrai su
questi. Forse avrebbe voluto rispondermi,magari ringraziarmi,ma tutto
quel che
riusciva a fare in quel momento era piangere,lasciare che quelle
emozioni e
quel brutto ricordo scivolassero via con quelle lacrime piene di
sofferenza. Lo
capivo…Dio,se lo capivo. In tre giorni pareva avessimo
vissuto un’altra vita,e
lentamente ogni punto di forza alla quale da sempre ci eravamo
aggrappati,ci
abbandonava per lasciarci soli a noi stessi. Rivolevo anch’io
mia madre,la
rivolevo con ogni parte del mio corpo,così come rivolevo mio
padre e
Josh. Rivolevo i sorrisi della prima,gli abbracci del
secondo,e i baci del
terzo. Li rivolevo con me perché era giusto che ci
fossero,perché l’unica ingiustizia
in quel nuovo mondo era quella finta vita mostruosa che ci strappava
lentamente
ogni briciola di umanità. Li rivolevo perché non
ero mai stata pronta per
dirgli addio,perché non era stato giusto il modo in cui se
ne erano andati e il
modo in cui mi avevano lasciata. Li rivolevo per proteggerli e li
rivolevo per
lasciarmi rassicurare dai loro gesti semplici nei momenti in cui avrei
voluto
smettere di lottare e abbandonarmi alla follia di quella nuova vita. Li
rivolevo,li rivolevo ad ogni costo,eppure sapevo che non
c’era più spazio per
loro in quel disastro. Le loro figure buone e dolci,la loro essenza
pura e
ormai vana,sarebbe stata inadeguata in quel feroce sogno dai versi
graffianti,simili a quei gemiti che si erano stampati nella mia mente.
Li
rivolevo con me così tanto…
Quando Lucas
mi strattonò a sé,e tornai ad ascoltare e a
camminare,capii che il momento
delle emozioni era appena terminato. Noah aveva ricominciato a
camminare,e così
anche noi. Dovevo lasciarmi alle spalle immagini e ricordi e , senza
neppure
rendermene conto , era quel che stavo facendo. Ad ogni passo,un ricordo
vivace ed
asfissiante scivolava dietro le mie spalle senza neppure reclamare. Era
giusto
così. Non mi restava altro che camminare,camminare e
stringere più forte la mano
di mio fratello.
*
Non era
facile restare concentrati quando attorno a te non
c’è altro che l’incertezza
del buio o quando qualunque rumore ti fa sussultare e ti ferma un
respiro in
gola. I minuti passavano veloci,incontrollati e furiosi nel silenzio.
Quanto
ancora avevamo da percorrere?Quanto altro tempo saremmo rimasti
bloccati in
quel tunnel angosciante?Sentivo la tensione scorrermi nelle vene,ed i
nervi che
fino ad allora erano stati saldi,cedere lentamente per la stanchezza.
Non
sapevo quanto altro tempo avrei resistito,ma sentivo il momento della
mia resa
sempre più vicino.
«San,»
mi
chiamò mio fratello con un filo di voce «possiamo
fermarci?»
Istintivamente
i miei piedi smisero di muoversi .
«Noah?»
«Solo
un
paio di minuti» rispose lui con apparente distacco.
Aveva la
voce ferma,quasi gelida. Sembrava quella di un soldato alla quale era
stata
affidata una missione di vitale importanza e che non aveva alcuna
intenzione di
farsi trascinare al fallimento da distrazioni varie. Era
concentrato,concentrato nel modo in cui sarei dovuta essere
anch’io.
«D’accordo.
Lucas,sediamoci a terra».
L’asfalto
freddo sembrò nei primi secondi darmi una sensazione simile
al sollievo. Se
quel buio non avesse potuto nascondere dei
pericoli,l’atmosfera sarebbe potuta
essere piacevolmente rilassante. Avrei chiuso gli occhi,inspirato
profondamente,immaginando di non essere intrappolata
all’interno di delle
mura,e mi sarei concentrata sul calore che andava svanendo grazie al
cemento
che mi rinfrescava la pelle. Mi passai una mano sulla fronte ed
avvertii
qualche goccia di sudore spandersi sui miei polpastrelli. Sudavo sia
per il
caldo asfissiante,sia per tutta l’agitazione che quella
situazione aveva creato.
Stavo per chiudere gli occhi,ero tentata…ma poi una luce
fioca attirò la mia
attenzione. Da dietro la fiamma intravedevo i lineamenti di
Noah…ero
confusa…era un accendino?Teneva in mano un accendino?
Scattai da
terra in una frazione di secondo,a denti stretti. Corsi verso la fonte
della
fiamma,e mi fermai a poche centimetri da quel debole calore.
«Avevi
un
accendino con te e hai deciso di usarlo solo ora?!» sbottai
alterata.
I suoi occhi
arrossati si socchiusero.
«Pensi
che
se l’avessi acceso prima,il gas avrebbe retto per
l’intero tunnel?» rispose lui
duro,con le sopracciglia aggrottate e il viso contratto.
«Avresti
almeno potuto dirlo,no?»
«Non
necessariamente» controbatté lui secco.
Scossi la
testa contrariata e bofonchiai un “stronzo”. Mi
rendevo conto che avesse appena
perso sua madre,che fosse arrabbiato,triste,disperato e che magari non
avesse
avuto tutti i torti sul fatto dell’accendino,ma il suo
comportamento cominciava
a darmi sui nervi.
Lui si
voltò,mi diede le spalle e si allontanò diretto
verso chissà dove.
«Dove
vai?»
chiesi all’oscurità.
«Cerco
una
macchina,fareste meglio a seguirmi».
Storsi la
bocca per il disappunto,poi tirai su mio fratello con una mano,e sempre
stringendola,ci rincamminammo dietro quel bagliore fioco che si
allontanava
velocemente.
«Ma
non
potrebbe rallentare?» mi chiese mio fratello.
Scossi
semplicemente la testa. Lucas sapeva quanto fossi in disaccordo con il
modo
di fare
che Noah aveva adottato,e sapeva anche il motivo del mio silenzio. Era
meglio
seguirlo senza fare troppe domande o rimbeccargli aspetti del suo
comportamento. Quando avemmo percorso qualche centinaia di
metri,finalmente la
luce si fermò.
«Trovato
qualcosa?» chiesi,nella speranza di
una risposta positiva.
Noah non
rispose. Si sentì il rumore di uno scatto,e poi un cigolio.
La fiamma illuminò
lo sportello aperto di una vettura abbandonata,e Noah si
voltò a guardarmi.
«Forse
sì.
Vieni a darmi una mano,provo a far funzionare questa vecchia
Mercedes».
Obbedii
all’istante.
«Tieni
la
fiamma sotto il volante» mi disse,tirando fuori il coltello
dalla cinta dei
pantaloni.
Afferrai
l’accendino ed eseguii i suoi ordini. Forse era arrivato il
momento di uscire
da quell’inferno…
«Abbassalo
un pochino» mi suggerì.
Porsi
la fiamma più in basso di una decina di
centimetri.
«Perfetto»
disse,osservando i fili fuoriusciti dal cuore della vettura.
Pochi
secondi ed il rumore del motore ruppe il silenzio che si era creato.
Subito una
risata mi esplose dalla gola ed un sorriso illuminò il viso
di Noah.
«Sì!»
esclamò felice mio fratello.
«E
bravo
Puckermann!» mi complimentai,ancora sorridendo.
Il ragazzo
si sedette sul sedile del guidatore,e poi disse «Tutti a
bordo!Vediamo di
uscire da questo schifo di tunnel...non so voi,ma io mi sono stancato
di questo
buio!»
Senza
farcelo ripetere due volte,io e Lucas salimmo in macchina. Noah accese
i
fari,schiacciò sul pedale dell’acceleratore,e
finalmente quell’oscurità venne
spezzata. Non avremmo impiegato molto ad uscire da quel tunnel con la
macchina.
Ce l’avremmo fatta. New York ci stava aspettando.
*
Quando vidi
un cerchio di luce all’orizzonte lasciar penetrare qualche
debole raggio
all’interno del tunnel,mi venne da ridere. Vedere un semplice
bagliore naturale
dopo la bellezza di mezz’ora trascorsa
nell’oscurità,mi diede un sollievo mai
provato. Stavamo uscendo,stavamo uscendo! Non riuscivo quasi a
crederci. La
vettura fu inondata in breve da un calore che mi pervase fin
dentro le
ossa,lentamente. Chiusi gli occhi,inspirai l’aria che entrava
dalla fessura del
finestrino,e schiusi le labbra in un sorriso spontaneo e sincero.
Quando
riaprii gli occhi per la fretta di tornare
a vedere,rimasi per un istante accecata. I miei occhi si
erano abituati
alla tenebra e quell’improvviso bagliore mi costrinse,per i
primi secondi, a
socchiuderli controvoglia. Non importava se mi bruciassero gli occhi o
se a
stento fossi in grado di tenerli aperti in due minuscole fessure. Non
importava
nient’altro che non fosse l’uscita da quel tunnel
dell’orrore.
«Siamo
fuori!» esclamò Noah con euforia.
«Ce
l’abbiamo fatta!Qual è il prossimo
passo?»
Finalmente
tornai a vedere nitidamente. Una lacrima mi colò
dall’occhio sinistro,e la
portai via con l’indice. Sentivo una strana sensazione
pervadermi…era forse un
pizzico di felicità?Tentennavo all’ammettere a me
stessa di provare un’emozione
di entusiasmo,ma era così. Gettai lo sguardo fuori dal
finestrino,e mi lasciai
trascinare lontano da quella città che poco prima del caos
avevo sognato di
raggiungere. C’erano dei grandi e grigi palazzi,qualche
grattacielo qua e là
che solleticava l’azzurro terso e cristallino,e insegne di
ogni tipo ad
avvisare degli incredibili negozi di cui il posto aveva vanto. Era la
città dei
sogni,la città dei ricchi,dei figli di papà che
se la spassavano con le loro
paghette abbondanti nei locali più in voga del momento. Era
la città in cui
anche per andare a fare la spesa bisogna sfoggiare vestiti dai grandi
marchi,oppure fingere che un abito mediocre fosse stato pagato tanto
quanto un
affitto di mesi a Lima. Era sì la città della
superficialità,ma anche la città
dello spettacolo,o almeno era questo quel che avevo appreso dai film e
telefilm
che durante le mie serate passate in casa avevo guardato. Eppure,se
andavo
oltre quelle insegne o quei grattacieli che attiravano la mia
attenzione,tutto
quel che riuscivo a vedere erano le strade bloccate da un groviglio di
automobili,l’asfalto chiazzato qua e là da del
sangue scuro e secco,fogli
svolazzanti a terra,vetrine distrutte dalla parte anteriore di una
macchina
schiantatasi dentro il negozio,affamati senza arti che si trascinavano
gemendo
sui marciapiedi segnati di rosso,o altri che giravano nei loro vestiti
ridotti
a brandelli in cerca di cibo nella loro
città. A guardarlo meglio,il cielo non era affatto terso e
cristallino,ma di un
grigio malato,come se un vortice distruttore l’avesse
risucchiato assieme alla
luce che da sempre l’aveva illuminato.
«Raggiungere
la 5th Ave…il mio amico abita in uno di quei palazzi. Non
è molta strada,forse
sono un paio di chilometri da dove siamo ora. Possiamo
farcela» affermò poi,con
sicurezza.
Lo pensavo
anch’io. Potevamo farcela ; non tutto era perduto. Eravamo
partiti un giorno
prima da una città dell’Ohio ed avevamo percorso
la bellezza di
novecentocinquantatre chilometri in macchina,anzi,nelle macchine.
Eravamo
sfuggiti all’orda di affamati che si aggirava per i quartieri
di Lima in cerca
di cibo,eravamo sopravvissuti all’intero viaggio durato
parecchio ore,ed eravamo
scampati ad un’altra orda all’entrata
dell’Holland Tunnel. Certo,era pur vero
che avevamo affrontato tutto ciò non senza incorrere in
pericoli,o senza
perdere persone a noi care,ma ce l’avevamo fatta e percepivo
quello strambo
traguardo come un’assurda pretesa del destino. Non era ancora
il momento per
dirci addio,me lo sentivo. Trovato il ragazzo che cercava Noah,ce ne
saremmo
andati da quella città,che ormai non era altro che
l’esempio della fine del
mondo a noi familiare, e avremmo pensato a dove rifugiarci per
continuare a
sopravvivere.
«Faremmo
meglio a sbrigarci» suggerì mio fratello con la
voce smossa dalla
preoccupazione.
Smisi di
sognare e guardai dritto di fronte a me. Nel bel mezzo della strada
c’era un
incidente. Tre macchine,l’una schiacciata contro
l’altra, bloccavano la strada
e creavano un ingorgo di vetture ferme,abbandonate nella fila. Ma non
era
quello il problema peggiore,no di certo. Decine di affamati si
muovevano con
quel loro equilibrio instabile,all’inseguimento di qualcosa
che quel groviglio
di lamiere non mi permetteva di vedere.
«Cazzo»
sbottai allarmata «e adesso?»
Noah mi
guardò con quello sguardo serio e determinato,che ormai
avevo imparato a
conoscere,e con voce ferma disse un semplice «ci sposteremo a
piedi».
Aprì
lo
sportello lentamente,lo richiuse,prese dalla sua cintura il coltello
sporco
di sangue,ed agganciò saldamente il fucile con un braccio.
Noi lo seguimmo a
ruota,sempre attenti a non fare troppo rumore.
«Sembrano
attratti da qualcosa» sussurrò Puckermann
«ma da qui non riesco a capire cosa.
Forse è una persona o…o un animale. Comunque sono
distratti,cerchiamo strade
alternative e vediamo di raggiungere quel maledetto palazzo».
Io e Lucas
annuimmo.
«Statemi
dietro e non fate rumore».
Annuimmo di
nuovo.
Nel momento
stesso in cui cominciammo ad incamminarci,sentimmo delle grida in
lontanza.
«No!Per
favore!Qualcuno mi aiuti!Aiuto!»
Noah si
voltò a guardarmi,ed io incrociai i suoi occhi per un
istante. Era quella la
distrazione : un ragazzino, la voce di un ragazzino fragile ed indifeso
che
avrà avuto al massimo diciassette anni. Sarebbe potuto
essere mio fratello…mi
si strinse il cuore a quel pensiero.
«Dobbiamo
andare ad aiutarlo» dissi a Puckermann,che ancora mi guardava.
Lui scosse
immediatamente la testa «non se ne parla!Come pensi che ci
riusciremmo?Lo
stanno inseguendo almeno cinquanta affamati!»
Strinsi il
pugno «ma non possiamo lasciarlo morire
così!» obbiettai disperata.
«Preferisci
che ci sia tuo fratello a morire con lui?O me e te?Non possiamo
salvarlo,Santana!Potrebbe essere stato morso o ferito,sarebbe solo
d’intralcio…è la
nostra distrazione!Se possiamo spostarci per qualche minuto senza
doverci
guardare le spalle è solo perché lui sta
fuggendo…lo capisci?»
Lo guardai
con gli occhi pieni di lacrime,spenti,e allo stesso tempo colmi di
angoscia.
Lui se ne stava freddo a guardarmi,impassibile e intoccabile dalle
emozioni,proprio come quel soldato che mi aveva ricordato
all’interno del
tunnel. Liberai la mano dal pugno e guardai a terra,forse per paura del
suo
sguardo o perché non volevo vedere oltre nei suoi occhi.
Quel ragazzo sarebbe
morto…mio fratello avrebbe potuto trovarsi al posto suo,e
sarebbe morto.
«E’
questa
la realtà adesso. Lo so che ti sembrerò
disgustosamente cinico,ma è così che
vanno le cose. Se hai fortuna e non hai paura di
uccidere,sopravvivi,altrimenti…»
Alzai lo
sguardo,ignorando una lacrima «altrimenti vieni fatto a pezzi
e nessuno si
curerà della tua vita».
Lui scosse
la testa,sembrò voler dire qualcosa,forse una
giustificazione,ma poi
semplicemente si voltò e si rincamminò. Era
concentrato sull’obbiettivo,il
soldato aveva un solo ed unico obbiettivo.
Mentre i
nostri passi svelti e silenziosi ci portavano all’interno di
un vicolo,non
potevo fare a meno di continuare a pensare a quel ragazzo.
Perché la vita aveva
deciso di punirlo così?Perché io e Noah non
riuscivamo a trovare accordo nei
nostri modi di fare?Più lo guardavo e più mi
veniva da pensare che qualcosa lo
avesse cambiato. Era attento,pronto a qualunque cosa pur di raggiungere
il suo
scopo,ma una domanda mi sorgeva spontanea : qual era realmente il suo
scopo?Io
non avevo fatto molte domande sul suo amico di New York,né
me ne ero
interessata più di tanto. Mi era bastato andarmene da quella
città ormai
distrutta e piena di ricordi,e la validità del motivo per
cui ci eravamo messi
in viaggio non mi aveva mai preoccupata più di tanto. Era
Noah,era un bravo
ragazzo che avevo avuto modo di conoscere piuttosto bene al
liceo…poi le nostre
strade si erano separate,i nostri futuri si erano allontanati,e per
qualche
strano motivo si erano incrociati di nuovo. Ero sicura che non avesse
avuto una
vita facile dopo il diploma al McKinley ; non ne ero sicura,ne ero
certa.
Sapevo il fatto della prigione,e quella era già una
conoscenza sufficiente a
lasciarmi fare una simile considerazione,ma c’era sicuramente
altro…altro che
nei nostri giorni insieme avrei avuto modo di farmi raccontare.
«Quanto
manca?» chiesi sempre sottovoce.
«Forse
poco
meno di un chilometro,ma non ne sono sicuro…è la
mia prima visita a
New York e non sono molto pratico di queste grandi città
piene di casino».
Aggrottai la
fronte e le mie sopracciglia fecero un balzo «ma non sei
già stato da lui?»
Noah si
girò
improvvisamente preoccupato,e scosse la testa.
«So
che è
brutto sentirselo dire,ma…» sospirai
«sai che potrebbe anche essere…»
«Lo
so»
m’interruppe lui tempestivamente «ma so anche che
è un tipo forte,quindi ci
sono buone probabilità che in questo momento sia barricato
in casa».
Annuii pur
non essendone troppo convinta «devi volergli molto bene se ti
sei fatto tutta
questa strada per venire da lui».
Aspettai una
risposta,ma non ci fu.
«Sì,infatti»
disse secco una decina di secondi dopo.
Quando il
vicolo finì,sbucammo in una delle strade principali. A
tratti c’erano macchine
qua e là,e tutto sommato la strada era abbastanza pulita.
Qualche metro più
avanti,sul marciapiede sul quale stavamo,c’erano tre affamati
che si dirigevano
verso di noi. Nemmeno il tempo di pensare,che io Noah stringemmo
più saldamente
i coltelli e ci lanciammo verso il gruppo. Io colpii il primo con un
calcio al
petto,questo indietreggiò,inciampicò sui suoi
piedi e finì steso a terra. Gli
diedi un calcio alla nuca,poi mi chinai velocemente e gli piantai il
coltello
in testa. Quando mi rialzai,vidi Noah piantare il coltello nella testa
del
terzo,mentre il secondo era già privo di vita
sull’asfalto.
«Dovreste
dare un’occhiata qui intorno…»
suggerì mio fratello con la voce che tremava.
«Che
c’è?»
Dio…quella
era una brutta situazione. Ne stavano sbucando da tutte le parti,e i
loro
lamenti cominciavano lentamente ad assordirmi. Ci stavano circondando,e
ce
n’erano a dozzine.
«Correte!»
esclamò Noah,scattando rapidamente.
Nemmeno il
tempo di farcelo ripetere,che io e Lucas cominciammo a muoverci. Noah
era
davvero veloce,un fulmine,e noi stavamo poco dietro di lui,senza
rischiare di
perderlo di vista. Ad ogni metro che percorrevamo,altri affamati si
destavano
dalle loro postazioni e dal loro falso sonno,e cominciavano ad agitarsi
e ad
incamminarsi sulla nostra scia.
«Cazzo!»
esclamai,ansimando.
Puckermann
si fermò di colpo,e si girò verso di noi,con il
fiatone,la fronte velata di
sudore,e gli occhi sbarrati. Di fronte a noi altre decine di affamati
ci
bloccavano la strada,emettendo quei loro lamenti terrificanti.
«E
adesso?»
chiesi attraversata da un brivido di paura.
Noah si
passò
una mano sulla nuca rasata,indietreggiando a quella massa che si
avvicinava. Si
guardò attorno,disperato,e poi indicò un
ristorante alla nostra destra «lì
dentro!»
«Venite
a
darmi una mano!» ordinò Puckermann.
Poggiò
una
sedia di legno a terra,mise un piede sullo schienale,e con
l’altro diede un
calcio secco verso il basso ad una gamba che si staccò di
netto. Afferrò il
pezzo di legno velocemente e con altrettanta velocità lo
pose tra le maniglie
della porta d’entrata.
«Aiutatemi
a
mettere quel tavolo qui davanti».
Io afferrai un
lato,lui quello opposto e poi lo appoggiammo
davanti la porta in
vetro. Non era sufficiente,lo sapevano entrambi. La parte del
ristorante che
dava sulla strada era fatta interamente in vetro,e gli affamati
l’avrebbero
fatta a pezzi. Avevamo scelto un pessimo posto per fuggire. Dal centro
della
sala principale dell’edificio,puntai gli occhi su quelle
vetrine. Gli affamati
si stavano sparpagliando sulla superficie e cominciavano a
picchiare,lamentandosi vivacemente.
Sbuffai
sonoramente e cominciai a camminare avanti e indietro,con nervosismo.
Mi passai
una mano tra i capelli,staccai una pellicina dal dito medio,e mi
asciugai con
il polso il sudore sulla fronte. Ero agitata,quella situazione non mi
piaceva
affatto.
«Dobbiamo
mettere qualcos’altro qui davanti»
affermò Puckermann,guardandomi attentamente.
Mi voltai ad
osservarlo. Se ne stava accovacciato,con il viso sporco ed imperlato di
sudore,e gli occhi verdi attenti che scrutavano la mia persona. Voleva
che
dicessi qualcosa,che dessi un qualche suggerimento,ma la cosa che mi
veniva più
naturale da fare era osservare quelle mani sporche di sangue picchiare
sulla
vetrata,ed ascoltare i lamenti di quei mostri affamati.
«Non
è il
caso di perdere tempo con la vetrata. Prima o poi la romperanno. Tutti
gli
affamati in zona si stanno radunando su questo cazzo di edificio,e
siamo in
trappola» dissi fredda,come se la cosa non mi avesse
riguardata.
«E
allora
che suggerisci di fare?Restare qui ed aspettare che crepino il vetro
lentamente?»
Scossi la
testa,ma Noah continuò a guardarmi.
«Usciremo
da
una finestra che sia il più lontano possibile da questa
vetrata».
Puckermann
annuii lentamente,come se ci stesse riflettendo su,e poi disse
«ottimo piano,può
funzionare!»
La vetrata
cominciava a cedere. Avevo spostato lo sguardo per pochi secondi,e
quando lo
avevo posato di nuovo sull’ammasso di affamati,erano
notevolmente aumentati.
Sul vetro s’incominciavano ad intravedere le prime crepe,e la
gamba di legno
veniva spostata avanti e indietro,continuamente messa alla prova dalle
spinte
di quei corpi disgustosamente divorati.
«Andiamo
sul
retro alla ricerca della finestra».
Altre
spinte,altri colpi,un’altra crepa. L’agitazione si
faceva mano a mano sempre
più palpabile,mi si appiccicava addosso come melma collosa e
viscida. Corremmo
in cucina,ma nessuna finestra. Poi in un’altra sala da
pranzo,e finalmente la
vedemmo. Era grande,larga,spaziosa e rendeva la stanza luminosa.
C’erano un
paio di affamati che colpivano il vetro,ma li avremmo uccisi senza
troppa
difficoltà. Quando Noah stava per girare la maniglia,un
rumore ci fece bloccare
di colpo. Spari. Ci guardammo tutti e tre con aria interrogativa,tutti
e tre
con le stesse rughe di perplessità sulla fronte.
«Ma
che…»
Altri tre
colpi secchi,precisi,ma questa volta vicini,molto vicini ed una voce
femminile.
Un altro rumore mi fece sussultare : un bussare,qualcuno stava bussando
alla
finestra. Tutti e tre ci voltammo a guardare e restammo immediatamente
a bocca
aperta. Non c’erano più affamati,ma una ragazza
che colpiva violentemente la
superficie in vetro,facendoci segni e gridando qualcosa di
incomprensibile.
«E’
viva!»
fu quello che esclamò mio fratello dopo lunghi secondi di
silenzio e di
sorpresa.
Senza starci
tanto a pensare,mi gettai sulla maniglia che Noah aveva lasciato,ed
aprii la
finestra.
«Era
ora!Ma
che cavolo dovevo fare per farmi aprire?» disse la ragazza
con voce acuta e
movenze quasi teatrali «Forza,venite fuori!Mio fratello
è in una jeep fuori da
questo vicolo…vi aiuteremo!»
Puckermann
ed io ci guardammo per un momento,entrambi preoccupati,e poi
scavalcammo,balzando all'esterno dall'edificio. La finestra dava su un
ulteriore vicolo,e alla
fine di
questo,in lontananza,si vedeva una vettura ferma e si sentiva il rombo
di un
motore. Non appena uscimmo,notammo che le decine di affamati che fino a
poco
prima si erano attaccati come forsennati alla vetrata del ristorante,si
erano
spostati e si stavano avvicinando.
«Merda,ce
li
abbiamo dietro» borbottai tra me e me.
«Sbrigatevi!»
La
ragazza,di cui ancora non conoscevamo il nome,cominciò a
correre per
raggiungere il fratello e noi la seguimmo. Raggiunta la fine del
vicolo,ci
ritrovammo di fronte ad una Wrangler rosso
di dimensioni spropositate.
Lo guardai per una frazione di secondo,e poi salimmo tutti e quattro.
«Dove
siete
diretti?» chiese il ragazzo alla guida.
La sorella
si voltò verso di noi. Era una ragazza dal viso davvero
bello ; la pelle
chiara,limpida e perfetta. Due occhi da cerbiatta intensi e magnetici
,le
sopracciglia scure e delineate,il naso greco con un piercing metallico
ad
anello,ed una bocca carnosa dalla colorazione di un rosato
pallido,molto
delicato. Se l’avessi guardata in un giorno qualsiasi,in una
situazione di
normalità,ne sarei comunque rimasta colpita. La sua immagine
era una di quelle
che ti si stampavano nella testa e che ore dopo l’incontro
continuavano a
ritornarti in mente in momenti disparati,quasi come in un tormento. Era
una mia
coetanea,forse anche più piccola…senza il
piercing o il trucco scuro attorno
agli occhi,avrebbe avuto senz’alcun dubbio
l’aspetto di una ragazzina. I lunghi
capelli scuri e lisci le incorniciavano il viso,ed anche quelli erano
impeccabili.
«Sto
cercando un mio amico che ha un appartamento sulla 5th Ave,ma non sono
di
queste parti e in questo momento non saprei orientarmi molto
bene…» rispose
Noah, torturandosi un labbro.
«Non
preoccuparti,» disse il ragazzo con tono gentile
«io ed Alex siamo di queste
parti. Sappiamo muoverci in queste strade».
La ragazza
sorrise ed annuì,sempre voltata verso di noi.
«Grazie
per
averci aiutati!Ci state dando una grande mano…non potete
nemmeno capire
quanto siate utili in questa situazione!» dissi,accennando un
lieve sorriso sincero.
Neppure mi
rendevo conto di quanta gratitudine provassi verso quelle due figure
sbucate
misteriosamente. Ma non si trattava neppure di
semplice
gratitudine per quel soccorso,era qualcosa che andava
oltre…non c’avrei
giurato,ma vedere dei volti nuovi e vivi dopo quattro giorni in cui i
nostri
occhi avevano scorto solo morte,dava un’emozione
incontenibile e
sorprendentemente piacevole.
«Sì,davvero!E’
bello vedere facce di altri sopravvissuti. Ultimamente non abbiamo
visto altro
che affamati divorare persone o impazzire per la voglia di
masticarci» ammise
Noah con un pizzico di ironia.
«Affamati?»
chiese la ragazza dallo sguardo magnetico.
«Sì,quei
mostri…» spiegò Lucas subito dopo.
Lei
ridacchio un po’ «è un nome fico!Gli affamati…»
ripeté poco dopo,portandosi un dito sulla bocca
«mi piace come li avete
chiamati!Io e Steve non li abbiamo mai nominati…a volte li
chiamavamo "cose" o…o
"mostri",ma penso che da oggi sia ufficiale : quei cosi saranno gli
"affamati"!» affermò in tono compiaciuto,annuendo.
Noah
forzò
un sorriso,ed io sollevai un sopracciglio assieme agli angoli della
bocca. Sapevo
esattamente cosa stava pensando Puckermann in quel momento : ma chi
cavolo è
questa pazza?
«A
proposito
di nomi,» cominciò mio fratello serio
«io sono Lucas,suo fratello» ammise
accennando a me con la testa,e stringendo la mano alla ragazza.
«Piacere
di
conoscervi,io sono Santana» continuai,accennando un debole
sorriso.
«Noah.
Noah
Puckermann».
La ragazza
sfoderò
un bel sorriso luminoso e disse «io sono Alex Monroe e questo
è mio fratello
Steven».
«Il
piacere
è tutto nostro» concluse il fratello,continuando a
tenere gli occhi sulla
strada.
Anche il
ragazzo pareva avere un aspetto discreto,ma la sorella era di gran
lunga più
attraente. Da seduta non avrei potuto esserne certa,ma sembrava un
“ragazzone”.
Era muscoloso e forse sfiorava il metro e novanta,ed i bicipiti in
bella mostra
facevano paura. I lineamenti erano marcati,decisi,per non dire severi.
Gli
occhi erano più grandi e rotondi di quelli della ragazza,ma
della stessa
colorazione. Il naso piccolo e un po’
all’insù,e la bocca sottile e rosea. Il
pizzetto gli conferiva un’aria seriosa e matura,ed i capelli,
fissati sulla
nuca in un codino,lasciavano scoperta la rasatura che altrimenti non si
sarebbe
notata. Avrebbe potuto avere venticinque anni,forse ventisette,ma non
di più.
«Ci
siamo
quasi» avvisò Noah dopo pochi minuti
«dovrebbe essere quello lì
giù».
«D’accordo»
rispose Steven,rallentando «io ed Alex vi accompagneremo sino
a dentro,in caso
avreste problemi di qualche tipo,e poi ci allontaneremo dalla
città».
«Grazie»
dissi assieme a Puckermann.
Quando la
vettura si fermò,scendemmo molto rapidamente e sempre ben
armati. Non mi ero
sbagliata sul conto del ragazzo : era enorme,sembrava un sollevatore di
pesi.
Aveva con sé una pistola,la stessa che impugnava anche la
sorella,ma la cosa che
mi stupì davvero fu il mondo in cui la tipa impugnava
l’arma : la ragazza sapeva
sparare,e c’avrei scommesso che non fosse proprio una
novellina. Due newyorkesi addestrati,pensai,questa sì che è bella.
Non appena
Steven aprì la porta di ingresso e lo seguimmo,subito
balzarono agli occhi i
due affamati che si trascinavano sotto le scale
dell’edificio. Il primo
sembrava essere senza occhi,con la pelle che sembrava ricoperta da una
patina
grigiastra,spenta come la morte. Il secondo invece era una femmina,con
indosso
una gonna che forse era appartenuta ad una donna d’affari,ed
una camicetta
sporca di sangue a ricoprire le braccia marce e rigonfie,dalla pelle
bianca e
maleodorante. Si avvicinavano lamentandosi,ma in un istante Steven li
fermò. Fu
un razzo ; neppure capii se me lo fossi immaginato,o se fosse successo
veramente. Si tirò fuori dall’anfibio nero un
coltello da cacciatore,e nella
stessa frazione di secondo lo piantò dritto
nell’occhio della donna con un
gesto rapidissimo,deciso,e sì,era strano a dirlo,ma quasi
elegante. Al
secondo,ridotto quasi uno scheletro,sfondò il cranio da
sopra,con lo stesso
coltello. Fu come vedere un bambino giocare con delle macchinine o
costruire un
puzzle. Tutto quello era stato un gioco da ragazzi per lui,una vera e
propria
passeggiata,come se l’avesse fatto da sempre.
«Cavolo…sei
veloce» affermò mio fratello.
Il ragazzo
si girò,fece spallucce,e si ripulì il coltello
con un lembo della maglietta.
Subito si incamminò sulle scale,sempre con la stessa
decisione,alla guida del gruppo. Se Noah poco
prima mi era parso un soldato,quello era niente al
confronto…metteva quasi
paura.
«Che
numero?»
«E’
al nono
appartamento. Primo piano».
I nostri
passi si fecero più svelti,ma sempre silenziosi. Poi,senza
neppure rendercene
conto,ci ritrovammo di fronte la porta giusta. Ci guardammo a
vicenda,per un
istante. Noah mi fissò per qualche secondo,e capii subito
che ci fosse qualcosa di
strano nella sua espressione. Non era felice come quando si spera di
rivedere
un amico,non era felice affatto. Aveva stampato in viso una strana
preoccupazione mista all’indecisione ; sudava,ma non credo
per il caldo
soffocante.
«Siamo
ancora in tempo per andarcene,Puckermann» dissi,tenendo gli
occhi fissi sui
suoi.
Sì,c’era
qualcosa di strano.
«Certo,come
no…» rispose lui scuotendo la testa « e
aver fatto tutta questa strada per
niente?No,non se ne parla».
Mise la mano
per bussare,ma poi si fermò. Prese un grosso respiro,si
passò l’avambraccio ad
asciugare il sudore,e infine colpì con poca decisione la
superficie in legno
con sopra scritto 9. Tornammo subito a guardarci a vicenda ;
c’era una tensione
palpabile,e non l’avvertivo solo io. Steve se ne stava
guardingo,fermo con
quella sua aria sospettosa ed attenta,pronto al necessario,Alex
fissava la
porta,mordendosi un labbro,ed ogni tanto sospirava, e mio fratello
invece se
ne stava in silenzio,toccandosi i capelli nervosamente ed ascoltando le
centinaia di pensieri che lo assorbivano di tanto in
tanto,estraniandolo dalla
realtà. C’eravamo tutti,ed eravamo tutti pronti a
scoprire chi si nascondesse
dietro quella porta. Io restavo ferma nella mia convinzione : in tutto
ciò,qualcosa non quadrava.
Si sentirono
prima dei passi,poi il rumore della sicura della porta togliersi,e
poi,infine,con una lentezza quasi straziante,un cigolio.
«Cercate
qualcuno?» chiese una ragazza bionda con voce sommessa.
Rimasi di
sasso,ma il bello doveva ancora venire.
«Jake
Puckermann…s-sono suo fr-fratello Noah»
balbettò l’altro insicuro.
La ragazza
sussultò per lo stupore e si portò una mano alla
bocca,con gli occhi sgranati
che non smettevano di saltare di viso in viso.
«Entrate,lì
fuori è pericoloso. A proposito»
cominciò poi,sforzandosi di sollevare gli
angoli della bocca per mascherare l’imminente tristezza
«mi chiamo
Brittany,Brittany Pierce».
Avrei dovuto
dire qualcosa,forse il mio nome,ma non ero più sicura di
quale fosse. C’era
qualcosa di…di strano in quell’appartamento,ma non
era legato alle mura o alla
situazione,no…era qualcosa di diverso e di incredibilmente
indefinibile. Una
sensazione,un’emozione che oltre alla sorpresa si faceva
spazio al mio
interno,lottando,radicandosi fin dentro le ossa. Guardai quella ragazza
con il
viso stanco ed i capelli arruffati,e lei mi guardò
aspettandosi che
pronunciassi il mio nome. Ma quel nome non era necessario che venisse
pronunciato
; eravamo la stessa cosa : spaventate,confuse e tristi.
«Sono
Santana Lopez,piacere di conoscerti» biascicai,incrociando i
suoi occhi color
cielo.
E allora,le nostre mani si strinsero.
Carissimi lettori,ed eccoci qui!E' giunto finalmente il momento che tanto avete aspettato e che avevo promesso. I nostri protagonisti hanno patito le pene dell'inferno per raggiungere quell'appartamento,e ad aprirgli la porta è una biondina dall'aria spaventata e sopresa. Diciamo che in questo capitolo si chiariscono diversi dubbi e si vanno a creare delle situazioni nuove,che lentamente ci porteranno ad un'evoluzione della storia. Beh,senza dilungarmi più di tanto,adesso lascio a voi la parola. Questo capitolo è il vero inizio della storia ; adesso ha inizio" BETWEEN THE HUNGRY " . Forza gente,vi aspetto in tanti nelle recensioni per leggere i vostri pareri e farmi un'idea di quel che pensate su questa folle fanfiction.
Con la speranza che il capitolo vi sia piaciuto e che i nuovi personaggi abbiano acceso in voi un pizzico di curiosità,vi dico : "alla prossima" !