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Autore: HOPE87    29/04/2014    5 recensioni
Un cielo pieno di stelle... e la consapevolezza di non appartenere a nessuna di esse. Quanto luminosa può essere la strada di chi sa di dover brancolare nel buio totale?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Nuovo Personaggio, Un po' tutti, Virgo Shaka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Awakening















   - ALLONS ENFANTS DE LA PATRIE… LE JOUR DE GLOIRE, ET ARRIVE’! - .
   - Milo… - .
   - CONTRE NOUS DE LA TYRANNIE, L’ETENDARD SANGLANT EST LEVE’! - .
Camus sospira, roteando gli occhi per poi chiuderli, non potendo reagire altrimenti a causa della momentanea immobilità che lo costringe a letto. In altre circostanze mi avrebbe già tirato un pugno per aver osato “stuprare” la sua lingua madre.
   - Hai finito? – chiede speranzoso, sollevando un sopracciglio, scettico.
   - Solo perché il mio pubblico è troppo esigente! – replico, facendo il finto offeso, spingendo in avanti le ruote posteriori della sedia a rotelle su cui mi è stato consigliato di spostarmi per il momento, avvicinandomi in prossimità di un tavolo su cui sono poggiati dei bicchieri di plastica ed un succo di frutta all’ananas.
   - Vuoi bere? – gli chiedo, sollevando il tetrapack per farglielo vedere, tentando di dissimulare una fitta che mi attraversa improvvisamente lo stesso braccio.
Lui si limita a scuotere la testa, riprovando a chiudere gli occhi per riposarsi, trovandosi poi costretto a rispalancarli, infastidito, a causa del solletico che ho preso a fargli, leggermente, sotto ai piedi.
   - Ma che diavolo fai?! – sbotta, mentre io scoppio a ridere senza ritegno, andando a sbattere con lo schienale della carrozzina contro un muro posto alle mie spalle, emettendo un lamento improvviso per il dolore acuto che ho fatto inevitabilmente provare alla testa, nel farle subire la stessa sorte della carrozzina.
   - Che scemo… - pronuncia Aquarius prontamente, mettendosi a ridere, interrompendosi subito a causa delle fitte al torace, continuando però a mantenere il sorriso.
   - Che sta succedendo, qui? – esclama, ovviamente, la Dottoressa che monitora i nostri progressi, spalancando la porta e conducendo immediatamente gli occhi alla crepa creatasi nel muro, a causa mia.
   - Mi sono rotto la testa! - .
   - Si è rotto il muro. – esclamiamo rispettivamente io e Cam, all’unisono, guardandoci e scoppiando a ridere di nuovo, mentre l’Acquario tenta di seppellire la sua risata signorile dietro una mano, causandosi ancora più dolore alle cicatrici in via di guarigione.
   - Le ho già detto che il suo amico ha bisogno di riposo… - mi rimprovera lei, non dopo averci guardati in cagnesco entrambi. – E ne ha bisogno anche lei, Milo! – conclude, portandosi due ciocche di capelli biondi dietro alle orecchie e raggiungendomi sui suoi tacchi a spillo, più che decisa a sbattermi fuori di qui.
   - Oh… si preoccupa per me… potrei avere un arresto cardiaco in questo preciso istante, cara… - la provoco suadente, cercando di sedurla.
   - Per la cronaca, c‘è mancato poco che non l’avesse sotto anestesia, caro. Quindi smetta di sottovalutare la situazione e si comporti da degente disciplinato! -.
Per quanto Milady possa essere azionista all’ottanta per cento di questa struttura privata che si occupa di strapparci alla morte con ogni mezzo quando ci capita, riservandoci un’intera ala dell’ospedale, dubito che il personale sia a conoscenza del Santuario, dei cloth e del cosmo. Non abbiamo tempi di recupero equivalenti a qualsiasi altro essere umano, noi. Possiamo sì, subirne le stesse sorti. Ma recuperare nel più veloce tempo possibile.
   - Perché non viene lei a disciplinarmi nella mia camera, Dottoressa… - la provoco, sollevando la testa per osservarla in volto mentre spinge la mia carrozzina oltre la porta della stanza di Camus, vedendola assumere un cipiglio minaccioso per poi sobbalzare spaventata, come me, a causa di un tonfo sordo, rivolgendo gli occhi verso… AAAAAAAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH…
   - Ehi, ragazzi, tutto a posto? Vi siete fatti male?? – chiede un preoccupato Aldebaran ai due fisioterapisti stramazzati a terra, ai suoi lati, sotto al suo peso. Non hanno ancora capito che devono inventare ausili a parte per Taurus… sarà almeno il quinto deambulatore che distrugge!
   - Dottoressa! – chiama la donna che è alle mie spalle Aldebaran, seriamente preoccupato, facendomi venire le lacrime agli occhi, vedendo poco dopo l’invocata accorrere in soccorso dei due malcapitati, chiamando a gran voce l’intero personale infermieristico per farsi aiutare a rimettere in piedi Aldebaran, palesemente mortificato per l’accaduto.
   - IO NON CE LA FACCIO PIU’! – si sente urlare alla fine del lungo corridoio da una voce apparentemente femminile, seguita da un rimbombo assordante dovuto ad una porta sbattuta con forza, poi riapertasi e lasciata tale. Solo poco dopo si vede avvicinarsi la figura di un’infermiera dall’aria non più giovane, dall’aspetto tarchiato e robusto, espressione feroce dipinta in volto. – E i gelsomini no perché non sono di stagione, e i gigli no perché non siamo al cimitero, e le margherite no perché non siamo a pascolar le mucche… Gliele ho portate, quelle benedette rose! Gliele ho portate! - .
… Solo allora, comprendo a chi possa starsi riferendo.
   - Gialle, rosse, bianche, fucsia, nere-grigie-bordeaux! MA NON VA BENE! – esclama la stessa infermiera, andando in escandescenza in prossimità della camera di Aiolos, che la guarda stralunato - sulla sedia a rotelle anche lui, gamba destra ingessata, quattordici punti alla mano destra - scuotendo la testa, comprendendola. – NON VA BENE! – urla di nuovo, facendo incassare la testa tra le spalle a Seiya, venuto fuori dalla sua camera nel momento sbagliato, trovandosi costretto a gemere per il collo ingessato. – NON VA MAI BENE! – conclude, disintegrando tra le dita dei boccioli di quelle che presumibilmente dovevano essere rose, sparpagliandole per tutto il corridoio, il volto rosso, la giugulare in evidenza, sotto agli occhi della Dottoressa, Aldebaran e dell’intera equipe che stava tentando di cimentarsi nell’impresa di sollevarlo, fermatisi tutti a guardarla.  – IO MI LICENZIO! - .
   - MA NO! – partiamo in coro io e molti altri, vedendola scoppiare in lacrime nel bel mezzo del corridoio, venendo stretta poi tra le braccia del cavaliere di Andromeda che, conciliante, l’invita a non prendersela in quel modo.
   - Che se le inghiottisse, se non gli piacciono! – urlo, abbastanza forte affinchè il diretto interessato riesca a sentirmi, iniziando ad avanzare con la carrozzina in prossimità della donna che ha fatto scoppiare in lacrime. L’animale.
   - Guarda che ti ho sentito, Milo! – arriva infatti subito dopo dalla camera in fondo al corridoio.
   - Vedi di piantarla, Pisces! – gli urlo di rimando io, tirando su da terra qualche petalo dei fiori precedentemente martoriati e lanciandoli nel vuoto con violenza, stizzito. Qui nessuno può ancora usare il proprio cosmo come vorrebbe. Dove cazzo vuole che crescano dei fiori come quelli che ha dietro alla sua casa? Tsk! Ops
Faccio per allontanarmi velocemente dalla porta dinanzi a cui ho sostato, ma la persona che vi fuoriesce risulta essere più veloce di me… cosicchè poco dopo mi trovo seduto addosso una bella fanciulla in divisa bianca… dal volto piuttosto disgustato e spaventato…
   - Maiale! – urla in direzione della camera da cui è appena scappata via, voltandosi poi, completamente imbarazzata, verso di me. – Mi scusi! Io non intendevo… - .
   - Ma ci mancherebbe! – esclamo, cogliendo la palla al balzo. – Stia pure comoda… - proseguo, continuando a vederla fissare l’interno della camera con la stessa espressione di prima. – Cos’è successo? - .
   - Ogni volta che io o una mia collega va a fargli un prelievo… - arrossisce… dandomi perfettamente modo di capire di cosa stia parlando. – Ogni benedettissima volta! – esclama nauseata, seguita subito dopo da una delle risate sinistre di Death Mask, a cui, ovviamente, si sta riferendo.
Guardo in quella tana malefica giusto in tempo per vederlo sorridere allusivamente all’infermiera, facendole poi un saluto con la mano, apparentemente innocente.
Mi allungo, con ancora lei in braccio, verso la porta, chiudendogliela solo dopo aver alzato il medio nella sua direzione.
   - Dove posso portarla, signorina? – le chiedo, iniziando a spingere le ruote, vedendola imbarazzarsi nuovamente, ma in modo completamente diverso da come v’era riuscito quel bastardo di Cancer, riuscendo a strapparle anche un sorriso. Lei fa per dire qualcosa in merito a quanto sia poco opportuno, ma io, scherzosamente, insisto. – Mi hanno detto di deambulare solo in presenza di personale qualificato. Lei mi sembra più che qualificata… come ha detto di chiamarsi? - .
E’ a quel punto che lei sfoggia un sorriso sornione, di quelli che lasciano intendere di aver compreso. Ma quando sto per proseguire la mia conquista, mi accorgo di essere praticamente sotto lo sguardo di tutti i cavalieri prima presenti in corridoio, escluso il personale ospedaliero.
Milady e Ganesha sono davanti a noi. L’una con l’espressione stanca, affranta. L’altro con una del tipo: “come-se-non-fosse-successo-nulla”.
Nemmeno mi accorgo che l’infermiera se la sia defilata, nel sentire con le mie orecchie le paroline magiche tanto attese da interi giorni, trascorsi tra preghiere, silenzi e brevi e banali siparietti per allentare un po’ la tensione.
Terapia intensiva.
Ci sono delle nuove.
   - Si è svegliato. – pronuncia Saori, non facendo propriamente comprendere chi dei due ce l’abbia fatta.


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Kiki sistema il vaso contenente i fiori in prossimità della finestra, dandosi così modo di ripulire il comodino dal terreno e dai petali dei fiori appassiti precedentemente, premurandosi di risistemare il primo al proprio posto, non prima di avergli cambiato l’acqua. Poi avvicina l’unica sedia della camera al letto del fratello e, sedutoci vicino, si appoggia al letto con entrambe le braccia. Sfiorandolo di tanto in tanto, parlandogli della sua giornata. Del tempo. Degli ultimi progressi fatti.
   - Gli hanno detto che può sentirlo, e lui non se l’è fatto ripetere due volte. -.
Volto la mia figura lentamente verso Shaka, in piedi, al mio fianco, scorgendolo avere gli occhi schiusi, stanchi, vuoti, rivolti alla figura del cavaliere della prima casa, disteso nel letto della camera che gli hanno destinato.
   - L’operazione è durata diverse ore… aveva perso molto sangue. Siamo arrivati in tempo. – pronuncio, lasciandomi sfuggire un lieve sospiro di sollievo, seguito da un sorriso accennato, voltandomi nuovamente verso il cavaliere della sesta, ora con gli occhi rivolti alla sacca contenente il sangue utilizzato per la trasfusione fatta a Mu.
Poi si volta, Shaka, prendendo ad avvicinarsi alle sedie d’attesa poco distanti, scegliendone una e adagiandovi, lentamente, sopra, non senza che una fitta di dolore gli attraversi il viso fasciato da un bendaggio volto ad avvolgergli il capo. Un braccio legato con un sistema simile al collo. Il costato ricoperto uguale.
L’infermiera che era andata a rilevargli i parametri ha lanciato l’allarme che si fosse risvegliato solo qualche ora fa. Ma a giudicare da come l’hanno trovato – seduto al centro del letto, nella classica posizione del loto, in piena fase meditativa – il suo risveglio dev’essere avvenuto sicuramente molto tempo prima. Inutile dire come ci sia rimasto il personale ospedaliero nel trovarlo a quel modo, dopo le pessime condizioni con cui l’avevano ricoverato.
   - Dohko, di lei non si sa niente ancora? – mi chiede improvvisamente Milo, avvicinandomisi con la sua carrozzina, seguito a breve distanza da Aioria e Shura, il primo dei quali va a prendere posto accanto a Shaka, facendo attenzione a non piegare troppo il ginocchio sinistro, come gli è stato raccomandato, il secondo osservandosi di tanto in tanto la mano erta più volte ad excalibur, completamente ingessata.
Faccio qualche passo anch’io, aiutandomi con le stampelle, andando a sedermi di fronte a Shaka, di cui scruto l’espressione, ma il cui volto è ritornato impassibile, l’aria mite, gli occhi chiusi.
Se non ha perso tempo appena ridestatosi, immergendosi nella meditazione nonostante le sue condizioni fossero appena migliorate di un po’, è stato senz’altro per avere informazioni su Reiko e Mu.
   - No. – mi limito a pronunciare, sospirando profondamente di nuovo, sentendo un cigolare sinistro avvicinarsi a noi.
   - Scusate! – chiede mellifluo Aldebaran, incassando la testa tra le spalle per il rumore provocato con i deambulatori avvicinandosi, prendendo, stavolta, a sollevarli entrambi, guardandosi continuamente attorno, finchè non ci raggiunge.
   - Scusa, e a che ti servono? – gli chiede bonariamente Milo, indicando col capo i due ausili sfruttati dal cavaliere della seconda casa per spostarsi.
   - Io riesco a camminare anche senza. Ma non vogliono. – gli risponde Aldebaran, continuando a guardarsi attorno, alla ricerca di qualche camice bianco che possa riprenderlo.
   - Stamattina sei caduto, però. – gli fa notare giustamente Aioria, cogliendolo visibilmente in fallo. – Non strafare, Al.- .
   - Piuttosto, dov’è la tua dolce metà? – chiede Milo ad Aioria, cambiando discorso, comprendendo l’imbarazzo provato da Aldebaran a causa dell’osservazione fatta dal cavaliere del leone.
   - Oggi ha avuto un po’ da fare, la sua dolce metà. - .
Ci giriamo tutti, eccetto Shaka, in direzione del cavaliere dell’Aquila, neo arrivata… trovandoci tutti costretti a far compiere un veloce, brusco movimento ai nostri colli a causa di un particolare che non ci aspettavamo minimamente di trovare…
   - Marin! – esclama infatti il cavaliere del Leone, dopo essersi ripreso dallo sgomento.
   - Aioria. – replica tranquillamente la guerriera, continuando ad avanzare nella nostra direzione. – Prego, signori, non temete. E’ rischiarata l’alba di un nuovo giorno, stamattina, al Santuario. La legge che obbligava le sacerdotesse guerriere ad indossare una maschera, pena il relativo obbligo nel dover donare il cuore o togliere la vita all’uomo che vi avrebbe guardato oltre, oggi è stata ufficialmente abrogata! - .
   - Che cosa?! – chiede Aioria, completamente preso alla sprovvista, mentre le mie sopracciglia scattano verso l’alto, insieme a quelle di qualcun altro, sorpreso. – Ma come… - .
   - Ecco. – pronuncia dopo un po’ Marin dell’Aquila, estraendo quello che a primo acchito sembrerebbe un foglio di carta, considerando che non posso voltarmi a guardare. – Per evitare qualsiasi cosiddetto beneficio del dubbio, qui vi è la firma apposta in calce di Lady Saori Kido. Alias Dea Athena. – pronuncia in modo più gioviale alla fine, strappandomi un sorriso.
   - Permetti, Cavaliere? – le chiedo cortesemente, allungando una mano alle mie spalle per invitarla a farmi vedere quel foglio.
   - Certo, sommo Dohko! – esclama entusiasta, passandomelo subito, dandomi così modo di appurare la veridicità dei fatti. Anche se l’unico dubbio che avevo è che davvero Milady avesse potuto acconsentire a una cosa del genere.
   - Le mie congratulazioni, Sacerdotessa guerriero – pronuncio voltandomi verso di lei, battendo le mani per sottolinearne il riconoscimento, ricevendo in risposta uno splendido sorriso di gratitudine.
   - Come puoi essere d’accordo, Dohko?! - .
   - Oh, andiamo Leo. Sappiamo tutti quanto fosse ridicola quella legge! – la butto sul ridere, ricevendo in risposta uno sguardo se possibile ancor più stralunato. – Brave. – sancisco, ritornando a rivolgermi a lei.
   - In realtà è tutto merito di Reiko… - si lascia sfuggire il cavaliere dell’Aquila, abbassando lo sguardo, trovandosi forse per la prima volta in assoluto a dover gestire il manifestarsi delle proprie emozione in volto. – Ci eravamo incontrate diverse volte io, lei e le altre sacerdotesse guerriero per trovare un modo valido per esporre le nostre richieste e motivazioni a Milady… aveva una bella inventiva. - .
Palesemente in difficoltà, riprende ad esternare la sicurezza che la contraddistingue solo dopo un po’.
   - Ha una bella inventiva. – si corregge, dondolando lievemente sulla gamba destra, in chiaro segno di voler prendere le distanze dal cavaliere della sesta, al lato opposto. – Prima sono passata a trovarla per darle la bella notizia. Ci abbiamo lavorato così tanto su, che ho subito pensato dovesse essere la prima, tra le altre, a saperlo… - .
   - E brave! – la interrompe Milo, nel momento meno adatto, iniziando a prenderla in giro. – Quando il gatto non c’è… Quale migliore momento per approfittare della debolezza della Dea? - .
   - Ma? – le chiedo prontamente, sperando non raccolga la provocazione di Milo, interrompendo il filo del discorso.
   - Ma non ho potuto farlo… - riprende infatti, per fortuna, Marin, non prima di aver guardato in cagnesco Scorpio. – Perché l’equipe addetta al suo monitoraggio non lo ha ritenuto opportuno. - .
Impercettibilmente, il volto di Shaka, rimasto completamente impassibile per tutto questo tempo, sembra subire un lieve turbamento.
   - Per quale motivo? – le chiede stavolta Aioria, esponendo le perplessità di tutti.
Solleva le spalle, Marin, chiudendosi in se stessa. Con ogni probabilità vorrebbe trovare altre parole di quelle che le vengono in mente. Ma non ne trova.
   - Il dottore ha detto che è stata agitata piuttosto frequentemente negli ultimi due giorni… - .
   - Agitata? – chiede, a ragione, Milo, ora palesemente turbato.
Reiko è stata portata qui in uno stato identico se non peggiore di quello di Mu. Hanno dichiarato coma reversibile anche per lei. Ecco perché risulta a tutti assurdo sentire che sia stata agitata… equivarrebbe a dire che, a quanto pare, stia ritornando, attraverso chissà quale strada, cosciente.
   - Mi hanno spiegato che l’elettrocardiogramma ha subito diversi picchi durante l’arco della giornata, ma non hanno saputo attribuire la tachicardia a niente in particolare… - .
   - Beh, questo è ovvio. – mi sento di risponderle io, sorridendole bonariamente. I medici trattano la scienza, non il cosmo.
D’un tratto, il cavaliere della Vergine abbandona il posto che aveva occupato, sorprendendoci tutti.
Nessuno tenta di chiedergli dove stia andando.
   - Shaka, perché non usi una di queste? – osa solamente proporgli Milo, battendo le mani sui braccioli della carrozzina su cui è seduto per indicarla, temendo probabilmente per il colorito molto più pallido del solito di Virgo, e per la sua andatura claudicante, che più di tutto, con ogni probabilità, lascia basiti tutti. Nessuno è abituato a vederlo in difficoltà.
   - Non preoccuparti della mia persona, Milo. – .
… Come lui non è abituato ad ammettere di esserlo.
E’ a quel punto che il cavaliere di Scorpio cambia espressione, sollevando i palmi delle mani a di scusa, sarcastico.
   - Non sia mai, Shaka. Scusa anche solo per aver osato pensarlo! - .
Mi volto a guardarlo in cagnesco, affinchè percepisca l’ammonimento. E’ sarcasmo gratuito, quello che gli sta offrendo. E lo sa.
   - Era fuori luogo, Milo. – pronuncia con sincerità il cavaliere della quinta casa, non appena Shaka è ben lontano da noi.
Scorpio non risponde, tenendo lo sguardo basso, con un’espressione tra il menefreghista e il colpevole stampata in volto.
   - Non puoi pretendere sia diverso da com’è… - aggiunge saggiamente Aldebaran, interpretando perfettamente i pensieri dello Scorpione. – Shaka non verrà mai a parlarti dei suoi problemi o anche semplicemente di quello che gli frulla per la testa come facciamo noi. Lo conosci, no? - .
   - Potrebbe fargli bene – replica Milo, senza abbandonare l’espressione precedente.
   - O potrebbe fargli ancora più male… - cerco di farlo ragionare io, ottenendo, stavolta, i suoi occhi alzarsi, andando ad incontrare i miei. Consapevoli.


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Sapevo che le condizioni in cui riversava non fossero delle migliori. L’ho percepito subito, appena ridestatomi, ma ho voluto ugualmente accertarmene personalmente, cercando di entrare in contatto con la sua persona… fallendo.
Il mio spirito è ancora scosso, sebbene faccia fatica ad ammetterlo. Lo urla il mio corpo, arrancante ad ogni passo. Mi risulta difficoltoso anche solo il semplice atto di respirare, accentuato dal temere che il suo possa arrestarsi.
Temere.
Fossi davvero in me, non avrei mai osato formulare un verbo così tanto estraneo, alla mia persona. Neanche lontanamente.
Presto il turbinare dei miei pensieri subisce un brusco arresto.
La camera che mi era stata indicata appartenerle… è vuota.
Faccio scorrere gli occhi in lungo e in largo, sostando a lungo sulla porta aperta e lasciata tale.
Tutti i supporti per la respirazione giacciono a terra, poco lontani dal letto, disordinati.
L’elettrocardiogramma risulta piatto, emettendo un rumore sordo.
Dall’ago lasciato sul letto, goccia dopo goccia, il sangue trasfusionale fuoriesce incontrastato, sporcando le lenzuola immacolate, allargandosi su di esse a macchia d’olio.
Possibile nessuno se ne sia accorto? Mi chiedo… intravedendo solo dopo dei piedi spuntare al di là di un paravento posto poco distante dal letto.
E’ li che scorgo un uomo in camice bianco riverso a terra, tra diversi fogli, su cui mi piego subito, con non poche difficoltà, per accertarmi del battito del suo polso.
E’ solamente svenuto, ho modo di appurare con un certo sollievo… trovandomi poi a voltarmi, avvertendo una presenza alle mie spalle.
   - Dov’è? - .
Non mi è mai apparso tanto allarmato, il dio Ganesha, ancora nel corpo dell’uomo con cui ha condotto la battaglia che ci ha visti tutti protagonisti.
   - Lo ignoro. Ma non può essere andata lontano. - .
Il dio indiano abbandona la stanza poco prima che pronunci la seconda frase, lasciando che innumerevoli dubbi mi assalgano.


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   - Cos’è tutto questo fracasso? – chiede improvvisamente Aioria, dando voce con ogni probabilità al pensiero che è balenato in mente a tutti quanti, nell’udire diverse persone urlare e diverse porte sbattere.
   - Ehi. – interviene Aldebaran, mentre siamo tutti in allerta, a sentire che succede. – Ma quella di cui stanno urlando, non è la stanza di Reiko? - .


   - MUOVITI AL! A DESTRA, A DESTRA, A DESTRA! – urlo al cavaliere del Toro, in piedi, alle mie spalle, autista improvvisato della mia carrozzina.
Quando abbiamo capito cosa stava succedendo abbiamo provato tutti a muoverci, chi in un modo, chi nell’altro, ma ultimamente gli scatti felini non sono proprio il nostro forte. Dohko stava per impalarsi sulle sue stesse stampelle, Aioria stava spezzandosi la gamba che gli era stato raccomandato caldamente di non muovere e Shura, complice l’istinto da Saint, ha provato ingenuamente a invocare il cosmo in corrispondenza della sua Excalibur, trovandosi immediatamente dopo ad urlare come chissà cosa a causa del dolore lancinante autoprocuratosi.
E’ bastato che io e Taurus ci guardassimo per capire cosa fare.
Lui ha lasciato perdere i suoi deambulatori ed io mi sono messo alla sua mercè, fungendogli da ausilio e sfruttando le sue gambe, considerando che le mie sono ko. Ora stiamo cercando di non andarci a schiantare contro i muri che incontriamo svoltando ogni angolo e, sebbene i movimenti di Al, purtroppo, sono troppo scordinati, finora siamo riusciti a non ammazzarci.
Poi, finalmente, la vedo.
Il corpo incredibilmente magro, pallido, coperto dalla sola biancheria intima, qualche fasciatura a coprirgli gli arti, quasi mimetizzatesi con la pelle, a causa del colore incredibilmente simile.
Un braccio percorso da una scia di sangue. I piedi nudi. La testa interamente rasata. Gli occhi spalancati all’inverosimile, circondati da delle occhiaie particolarmente pronunciate. L’espressione stravolta da qualcosa d’indefinibile.
Ridotti in questo stato, non possiamo usare il cosmo. Ma possiamo ugualmente percepirlo. E da lei, in questo momento, non ne proviene alcuno.
   - Al mio tre! – esclamo a Taurus, avvertendo le ruote della sedia a rotelle stridere sul pavimento all’ennesima sterzata. – TRE! – urlo dopo essermi portato sul bordo del sedile, tirando poi entrambi i freni, ancora in corsa, preparandomi a darmi lo slancio al momento opportuno, che arriva subito. Impreparato, Aldebaran si abbatte con tutta la sua stazza sulla sedia a rotelle, dandole una botta capace di farmi letteralmente volare su da essa, atterrando, fortunatamente, su Reiko, com’era da piano, sottraendola a quegli infermieri che, alle sua spalle, la stavano rincorrendo da un pezzo, calmante da cavallo alla mano.
   - Placcaggio riuscito! – urlo al mio collega, entusiasta, sovrastando la ragazza con l’intero mio peso… trovandomi poi improvvisamente sotto di lei, senza che riesca anche solo lontanamente ad immaginarmelo… - Cazzo! – impreco, trovandomi paradossalmente a dover gestire una forza fuori dal comune, completamente inaspettata, che, a causa delle mie pessime e ridicole condizioni, quasi non riesco a contrastare. – Reiko! – urlo, avvertendo le sue braccia cercare di divincolarsi dalle mie e le sue gambe fare lo stesso… facendomi un male cane, che mi porta ad urlare più volte dal dolore.
   - Tutto bene? – sento chiedere cautamente da Aldebaran poco lontano, rovinato a terra dopo aver distrutto col suo peso la carrozzina, al quale rispondo subito di non preoccuparsi.
   - Reiko! – riprovo, cercando di stabilire un contatto visivo con lei, i cui occhi sono incredibilmente sbarrati, incredibilmente vuoti… Talmente vuoti da farmi venire la pelle d’oca. Talmente vuoti da farmi compiere un gesto di cui mi pentirò per tutta la vita.
All’impatto col palmo della mia mano, il volto di Reiko subisce un brusco movimento, che la porta a girare la testa di scatto, facendola temporaneamente fermare, dandomi giusto il tempo di riafferrarle per bene le spalle, la schiena, di condurre, con un dolore lancinante, le mie gambe sulle sue, per bloccarla completamente su di me, prima che riprenda ad agitarsi, come, chiaramente, fa.
   - Sono io, Milo! – ritento, vedendola, finalmente, indugiare. – Sono io – riprendo, addolcendo il tono della voce, avvertendola distendersi un po’. – Sono io, dolcezza… calmati. -. E sembra ascoltarmi, smettendo completamente di agitarsi. Sguardo perso nel vuoto. Dita di entrambe le mani incrociate con le mie. - Sei all’ospedale… calmati adesso. Respira… - .
E, incredibilmente, reagisce.
Si distanzia quel tanto che le basta a sistemarsi meglio su di me, andando a circondare con le gambe il mio bacino, stendendosi completamente sul mio corpo, poggiando la testa sul mio torace.
Dissimulo un sospiro di sollievo perché temo che, con lei così tanto appiccicata a me, riuscirei a turbarla.
   - Non.Osare. – scandisco minacciosamente all’infermiere raggiuntoci, che stava per iniettarle del calmante. Non potrò usare il cosmo, non avrò l’armatura e nemmeno l’aspetto adatto a incutere timore. Ma fortunatamente lo sguardo mi è rimasto. E quello è bastato ad allontanarlo subito.
A questa vicinanza… non ho il coraggio di guardarla.
Non per il fatto che sia seminuda, non perché sia stesa su di me. Questi sono pensieri che oserei tranquillamente definirei incestuosi.
Quanto… il modo in cui tutto ciò che è accaduto… l’abbia completamente stravolta.
   - Non riuscirò mai a capirvi. – pronuncia improvvisamente una voce alle nostre spalle, che io riesco solo poco dopo ad identificare come quella di Ganesha, che ci sovrasta, in tutta la sua altezza. – Voi esseri umani siete… assurdi. -.
Dopo quell’espressione di infinità bontà, il dio indiano si allontana da noi, non prima di averci guardati da capo a piedi, sorriso ironico a sottolineare la nostra inferiorità.
E pensare che qui vi è quella che si è aperta il fondoschiena per il sederino della venerabile mamma.
   - Dov’è Mu? - .
Spalanco gli occhi, completamente preso alla sprovvista, cercando di calmarmi affinchè lei non senta il mio cuore battere forsennatamente.
   - Dov’è Mu? – chiede di nuovo, con una voce talmente flebile da farmi dubitare di averla udita, dandomi così il tempo di deglutire, cercando le parole giuste che in questo momento faccio fatica a trovare.
   - E’ vivo, Reiko. – dico quasi con un fil di voce, attento a scandire meticolosamente le parole. – E’ sott’osservazione – mi concedo di dirle. – Conciato un pochino maluccio. – decido di confessarle. D’altronde non è stupida. Ed io non la considero tale. – Ma è vivo. – concludo, lasciandomi andare ad un sospiro di sollievo, prendendo a carezzarle lentamente, in modo dolce, la schiena. – Vuoi vederlo? - .
Non ho idea di quanto tempo trascorra, in attesa di una risposta che no, non arriva.
Alla fine mi decido ad abbassare il viso, quel tanto che mi basta a poter osservare il suo, sentendomi un brivido attraversarmi la schiena.
Reiko non si è mossa di un solo millimetro. Espressione assente. Volto imperturbabile. Sguardo vuoto.





















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Angolo dell’autrice…

Sì, sì, sì. Lo so.
Non ditemi che faccio o 1 o 90. Lo so da me.
D’altronde le scelte erano due: o aggiornare quanto prima, pur non lasciando trascorrere che qualche ora tra un capitolo e l’altro, o aggiornare ad agosto. Dopo gli esami, il tirocinio, la fine della vita sociale.
Mi auguro che saputo questo siate più contenti
J

Passando alle cose serie, ho un annuncio importante da darvi *rullo di tamburi*: il prossimo, sarà l’ultimo capitolo di Somebody – The begin.
Siccome sarà bello tosto, avevo pensato di non inserirvi, come faccio di solito, l’angolo autrice. Ma limitarmi solamente a titolo e contenuto. Voglio che parli da solo, che siate voi a trarne o meno significato.

Proprio per questo motivo, ho deciso di ringraziarvi tutti, ma proprio tutti, adesso. Non perché sia corretto, non perché lo fanno tutti, non perché vi è dovuto. Ma perché è una cosa che sento terribilmente di voler fare e che già so non riuscirò a fare come vorrei.
Ringrazio chiunque si sia accostato a questa storia con curiosità, con noncuranza, con scetticismo, con entusiasmo. E vi sia rimasto.
Ringrazio tutti i preziosi commenti che avete lasciato ai capitoli, spettatori interattivi di una trama – lo ammetto – abbastanza difficile da portare avanti.
Il mio intento primario era – l’ho già detto e lo ribadisco – scrivere una storia sull’incredibile opera di Saint Seiya “stravolgendola” solo e unicamente nel punto di vista che di lei si possa avere. Umanizzandone i personaggi, rendendoli “reali”, più vicini a noi. Per questo mi scuso se qualcuno possa aver urlato all’OOC in certi casi. Ma i personaggi hanno subito una crescita e una trasformazione insieme alla protagonista di cui io stessa, più volte, mi sono sorpresa, a tal punto di scrivere, cancellare e riscrivere dei pezzi, convinta che fosse “troppo”, che stessi azzardando “troppo”. Ho lavorato sui personaggi, scavandoci a fondo, traendone, alla fine, una mia particolare interpretazione. Una conseguenziale interpretazione di ciò che sarebbe stata la loro “trasformazione” se
Gioia e giubilo, quando ho scoperto che molti di voi condividevano il mio stesso punto di vista.
Quindi, GRAZIE.
Grazie per aver amato questa storia quasi quanto abbia amato io scriverla, sebbene a volte mi sia vista costretta a interromperla.
E mi sto dilungando svisceralmente perché questa è la prima storia, in tutta la mia vita, che sia riuscita a portare a termine.
Ha un valore affettivo che fatico ad esprimere a parole.
Per questo la chiuderò qui, dandovi appuntamento alla prossima. Semmai ci sarà. Semmai mi riterrò in grado di poter fare di meglio. SEMPRE senza alcuna pretesa.

Un enorme abbraccio e un grazie di cuore.

HOPE87

   
 
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