Il destino di Qayin
Il
mattino seguente, una volta riuniti per colazione nella sala comune, fu
lampante come nessuno di loro avesse metabolizzato gli avvenimenti
della sera precedente.
Dopo Augusto – che quella notte non aveva dormito affatto e aveva
aspettato le prime luci dell’alba per lasciare il dormitorio in
cerca di qualcosa da mettere sotto i denti –, Corella fu il primo
a sedersi al tavolo. Avvenimento che aveva dello straordinario, visto
che tirare giù dal letto un ubriaco pareva impresa già
abbastanza ostica, figurarsi farlo alzare di sua spontanea
volontà.
Augusto lo interpretò come segno di una tempesta imminente, nel
caso quella della sera precedente non fosse bastata a tirar loro le
orecchie.
Arrivarono anche Lorenzetti e Pagni, prima che le ragazze si facessero vedere.
Anche tra loro, non c’era alcun segno di tranquillità.
«Buongiorno», mormorò Laura, sedendosi accanto a suo fratello con un unico pezzo di pane tra le mani.
Bengiamino la salutò con una carezza affettuosa sul capo.
«Non fai colazione?», le chiese.
Lei alzò le spalle.
«Non ho fame.»
Subito dopo, in una rigorosa e silenziosa fila, sopraggiunsero anche
Violante, Chiara e Paola. Una dall’aria più affranta
dell’altra.
«Niccolò non ha finito», annunciò la rossa,
prendendo posto accanto ad Augusto. «L’ho visto andare
nella stanza del Mentore.»
Dando un colpo di tosse per buttare giù un morso di pane secco, Spallaci ridacchiò spavaldo.
«E con questo?», chiese.
Paola storse il naso.
«Dalla sua espressione, dubito fosse una visita di cortesia.»
«Dobbiamo quindi aspettarci un’altra serie di urla?»,
domandò con espressione da cane bastonato Corella, appoggiandosi
con il mento alla superficie del tavolo. «Io non so se posso
sopportare un’altra strigliata. Non ho nemmeno fatto nulla,
stavolta.»
«Punisce tutti o non punisce nessuno, questa è la
filosofia di vita di Machiavelli», commentò semplicemente
Paola, versandosi un poco di latte per poi lasciar cadere nella tazza
anche un filo di miele.
«Fortuna che non applica questa cosa anche per le scopate, o
eravamo perduti!», commentò alacremente Spallaci,
strappando un sorrisetto ad Alessandro e uno sbuffo a Cristiano.
«Sarà per via della spia.»
La voce di Violante arrivò più roca del previsto,
costringendola a schiarirsi la gola prima di proseguire, mentre Corella
le versava una bicchiere d’acqua.
«Scommetto che vorrà vederci chiaro, ora. Non mi ha
convinto il discorso di stanotte. Sembrava fin troppo
accondiscendente.»
«Vedrete che ce la farà pagare, in un modo o
nell’altro», l’appoggiò mogia Laura. «E
stavolta i cento giri dell’Isola di corsa saranno una mano dal
Cielo!»
Si accasciò sulla spalla di Bengiamino, il quale commentò
l’intero discorso con un’alzata di spalle dall’aria
insofferente.
Spallaci aprì al bocca per riprenderlo su quel poco interesse
nei confronti di tutti loro, ma il rumore di una porta che si
richiudeva cigolando gli mozzò il fiato.
Lo mozzò a tutti.
Passi leggeri si affrettarono sulle scale, ma non fu Machiavelli a
comparire nella sala, bensì il Conte Cesco Ventimiglia, stretto
nella sua tunica bianca e con la mano destra ancora fasciata a seguito
dell’ustione.
Salutò con un timido cenno del capo e si andò a sedere in fondo al tavolo, lontano da tutti.
«È sempre da solo», commentò Paola, sporgendosi per osservarlo meglio.
Cristiano assottigliò gli occhi, guardandolo intensamente mentre si passava una mano sul mento, ma non commentò.
Si limitò a bere un sorso generoso di latte, attendendo il momento in cui …
A fare gli onori di casa fu Augusto.
«Sicuramente la spia è lui.»
Il biondo alzò le sopracciglia, continuando a non commentare, mentre il romano dava il meglio di sé.
«Sta sempre solo, non parla mai … Maria è la sola persona che ha a che vedere con lui.»
«E guarda caso è lei che ha avvertito Ezio della
spia», aggiunse Laura, scambiando uno sguardo con Violante.
«Tutti gli indizi portano al caro Conte, quindi!»
Bengiamino si rifece presente con una scrollata di capo che gli fece schioccare tutte le ossa del collo.
«Non credo.»
«Già», convenne Chiara. «Non parla con nessuno! Dove le prenderebbe, le informazioni?»
Laura la scrollò lievemente.
«Da Maria, appunto!», le rispose.
«Maria non mi pare il tipo di persona che si lascia sfuggire quel
genere di cose», commentò di nuovo Bengiamino.
«Potrebbe avergliele chieste, no? Sono sempre insieme! E poi, se lei si fida di lui …»
«Io non chiederei mai informazioni a Maria», si
lasciò scappare Corella in un impeto di schiettezza. Parve
pensarci un secondo, poi aggiunse: «In effetti, io non le
chiederei niente di niente.»
«Se Ventimiglia scalda il suo letto, forse Maria si è
lasciata coinvolgere», suggerì Cristiano, seppur con tono
assai cauto. «Oppure potrebbe essere che sia lei stessa la
spia, anche se pare improbabile.»
«Perché usare Cesco, allora?» domandò senza capire Paola.
«Perché così avrà qualcuno dietro al quale
pararsi nel momento in cui verrà scoperta», rispose
semplicemente il ferrarese, con un cenno del capo. Incrociando le
braccia sul petto, li guardò tutti seriamente. «Dopotutto,
il Conte non brilla in astuzia. Maria, invece, è la dea della
perfidia.»
Almeno su questo, parvero tutti d’accordo.
Dal piano superiore, arrivò di nuovo il cigolio di una porta che si apriva sul corridoio.
Nel silenzio in cui la sala parve improvvisamente piombare, si udirono
alcuni bisbigli, dopodiché vi fu il sonoro richiudersi
dell’uscio e il rumore di un paio di stivali prese a scendere le
scale.
Accompagnato dallo stridere della suola sul marmo, Machiavelli fece il suo ingresso nella sala.
A differenza della sera prima, quando l’ira gli illuminava il
viso e gli assottigliava le labbra, quella mattina si presentò
emaciato, visibilmente nervoso e con le occhiaie di chi ha quasi
sicuramente passato la nottata in bianco.
Nascosto dalle ampie spalle di Bengiamino, Spallaci sogghignò.
«Bel colpo, Paola», sussurrò.
La rossa rispose con una gomitata.
«Guarda che io non c’entro», sibilò.
«È stato tutta la notte a confabulare con il
Mentore.»
«Ancora peggio allora», ne convenne il povero Corella,
prendendo un sorso di vino nonostante si fosse appena destato. Ci
voleva qualcosa di forte. «Se non ha calmato i nervi in modo
alcuno, ci spaccherà le gambe.»
Cristiano si mise diritto sulla sedia, sporgendosi poi verso Violante.
«Scappiamo.»
Per risposta, la castana sbuffò.
«Ci seguirebbe sino ai cancelli dell’Ade per riprenderci e
portarci qui, tirandoci per le orecchie. Sentiamo che ha da dire.»
Perfettamente coordinato, l’intero gruppo si voltò verso
Machiavelli, ancora fermo sulle scale con le braccia conserte dietro la
schiena.
Seguì un lungo attimo fatto di sguardi preoccupati e silenzi
tesi ma, alla fine, il consigliere di decise a muovere quei pochi passi
che lo separavano dalla sala e a riprendere il discorso della sera
prima.
«Buongiorno», esordì, senza staccare gli occhi dai ragazzi.
Non guardava nessuno in particolare, eppure Augusto si sentì
come se il suo sguardo lo stesse trapassando da parte a parte.
«Ho delle nuove da comunicarvi.»
Nessuno osò fiatare.
«Come ben saprete, Ezio è costretto a letto e almeno per i
prossimi giorni non gli sarà possibile fare altro se non
riposare. Ciononostante, abbiamo entrambi convenuto di non aver tempo
da perdere.» Fece una pausa, avvicinandosi di un passo.
«Nella giornata di oggi verrete interrogati; vi sarà
chiesto ogni dettaglio del vostro viaggio per Roma, sarà letta
ogni missiva mandata o ricevuta nell’arco di tempo che avete
passato qui. Se avete qualcosa da nascondere, vi conviene vuotare il
sacco seduta stante o finirete dritti a far compagnia ai pesci del
Tevere.»
Cristiano fu il primo ad alzarsi in piedi.
«Voglio porre fine a questa farsa. Devo parlare prima con voi, Niccolò?»
Il consigliere storse il naso, non nascondendo il fastidio che la voce di Pagni pareva procurargli.
«No, per carità no», disse, prima di indicare con un
cenno le scale che davano al piano superiore. «Con te,
parlerà Ezio. Io non voglio perdere tempo e punterò
direttamente ai più sospetti.» I suoi occhi si
calamitarono a quelli di Spallaci, che deglutì piano.
«Fuori tutti gli altri.»
Non se lo fece ripetere nessuno.
Mentre Cristiano saliva da Ezio, le ragazze insieme a Corella e Cesco
lasciarono la stanza in fila. Bengiamino, prima di andarsene, diede una
piccola pacca sulla spalla del romano.
Non fu chiaro se quel gesto fosse dettato da una sana fratellanza o da puro sarcasmo.
Deglutendo di nuovo, Augusto seguì con lo sguardo i suoi compagni allontanarsi.
Attese che Machiavelli prendesse posto dinanzi a lui e poi, cauto,
allontanò da sé la tazza di latte caldo che stava bevendo
per colazione.
«Faccio visita a mia madre», confessò a testa bassa,
ancor prima che il consigliere potesse proferire parola. «Ma
è solo una volta a settimana e giuro che non parliamo
d’altro che dei pidocchi sui cuscini della camerata.»
Tirò su col naso, sempre più nervoso. «Ho dei
testimoni, se lo riterrete necessario.»
Machiavelli assottigliò lo sguardo, mentre lo ascoltava scuro in
viso. Portò le mani sotto al mento, inclinando il volto quel
tanto che bastava per scrutare quello abbassato dell’altro.
Secondo Corella, il consigliere aveva una sorta di dono, un qualcosa di
riconducibile solo alla stregoneria: percepiva chi mentiva a leghe di
distanza, smontando così ogni minima possibilità di
protrarre illazioni fasulle all’infinito.
Augusto sperò vivamente che quel famigerato intuito non decidesse di tradirlo proprio quel giorno.
«Capisco, Spallaci. La famiglia è importante, ma da oggi
gradirei che nelle tue visite portassi almeno due dei tuoi compagni. Tu
ricambierai il favore con loro. Ed esigo che le tue missive vengano
lette prima da uno di noi e poi da te.»
Augusto arricciò il naso. Non gradiva particolarmente chi
metteva il naso nelle sue faccende ma, a parte una buona dose di
insulti rivolti a quegli inetti dei suoi compagni, non aveva nulla da
nascondere.
«Certo», rispose, quindi, stringendosi ai polsini della camicia. «Fate ciò che ritenete giusto.»
Tre tiri, tre centri.
Bengiamino prese un’altra freccia dalla faretra, incoccandola nell’arco e mandandola di nuovo a segno.
Allenarsi lo aiutava a distrarsi dai mille pensieri che gli
ottenebravano la mente; in modo particolare, lo aiutava ad allontanare
quel sospetto che covava da giorni verso un paio di compagni.
Non avendo prove a sostegno delle sue teorie, preferiva starsene in
disparte e condurre una vita solitaria, lontana dai pettegolezzi degli
altri e dalle loro accuse reciproche.
Sapeva a cosa portavano quelle cose e non sarebbe stato nulla di divertente.
Alzò l’arco sul paglione, prendendo la mira per la quarta volta.
Tirò la corda, trattenne il respiro.
Il rumore della freccia che si conficcava nel centro del paglione gli strappò un ghigno divertito.
«Allora sorridi, di tanto in tanto!»
Come la prima volta in cui l’aveva colto in fragrante ad
osservare le ragazze, la voce di Ezio per poco non gli fece perdere
l’equilibrio sui suoi stessi piedi.
Voltandosi di scatto verso il Mentore, Bengiamino abbassò l’arco, infilandolo a tracolla sulla spalla.
«Credevo ti avessero costretto a letto», commentò,
atono. Un’occhiata dell’uomo gli fece intendere che la sua
uscita pomeridiana doveva essere in via del tutto straordinaria.
«Capisco.»
Ezio camminò lentamente verso di lui, zoppicando appena. Si
teneva il fianco, segno che doveva in qualche modo provare dolore.
Al Covo l’avevano visto cadere, ferirsi, bruciarsi e infilzarsi
con diverse cose e sempre senza battere ciglio. Lo scontro con Cesare
Borgia, invece, lo aveva lasciato più menomato di quanto tutti
si aspettassero.
Ciò dimostrava che Cesare non era un tipo con cui si poteva scherzare.
«Avevo bisogno di un po’ di aria fresca», gli
confidò il Mentore, andando a staccare le frecce dal bersaglio.
«E devo interrogare anche te, nonostante sia uno spreco di tempo
bello e buono. Se qualcuno di voi è così bravo da far la
spia ai Borgia senza dare nell’occhio, non saranno tre
domande a tradirlo. Ma facciamolo per il povero
Niccolò.»
Bengiamino annuì, seguendolo con lo sguardo mentre tornava verso
di lui per riconsegnargli le frecce. Ne raccolse una dalla mano aperta,
incoccandola nell’arco che era scivolato dalla spalla per
finirgli inevitabilmente in pugno.
«Chiedimi ciò che vuoi», mormorò, prendendo
velocemente la mira prima di scoccare l’ennesimo centro.
Il ricordo del dardo che a Cesare Borgia non aveva fatto che un graffio gli bruciava ancora nel petto.
Se mai avesse avuto di nuovo la possibilità di puntargli addosso una freccia, non avrebbe di certo mancato il bersaglio.
Ezio ci pensò per qualche istante, prima di schiarirsi la voce.
«Sospetti per caso di qualcuno?»
Non gli aveva domandato se avesse rivelato qualcosa in un’audace
missiva, o se si fosse aperto con un templare in cambio di soldi o
rassicurazioni.
Aveva domandato a lui chi, secondo il suo giudizio, potesse essersi macchiato di un tale crimine.
Semplicemente perché, evidentemente, Ezio sapeva perfettamente di chi poteva o voleva fidarsi.
Il milanese ammutolì, bloccando per un istante la mano che era
corsa a recuperare la seconda freccia dalle mani del Mentore.
Lo guardò negli occhi, incerto se vuotare il sacco o meno.
Non disse nulla, né di ciò che aveva visto assieme a
Chiara né dei sospetti che si era fatto in quelle settimane, ma
si assicurò che l’occhiata che gli lanciò fosse il
più eloquente possibile.
«Non abbastanza per puntargli il dito contro», disse, infine, recuperando un’altra freccia e incoccandola.
Ezio comprese e non domandò altro. Era lampante che, in caso di prove, Bengiamino sarebbe corso da lui a parlare.
«Apprezzo il tuo silenzio, se non ne sei certo. Non mi piace chi si accusa a vicenda.»
Il Mentore fissò il paglione, mentre Bengiamino mancava di pochissimo il centro.
Il milanese lo sentì sospirare.
«Rilassa le spalle. Sai, Cristiano ha le idee molto chiare, o
almeno così sembra.» Girò attorno al morettino,
spingendogli le spalle verso il basso e irrigidendosi un attimo
per il male al fianco. «Mi ha detto che mentre parlavate fra voi
è uscito il nome di Maria e, onestamente, la sua teoria va
più diritta delle tue frecce.»
Bengiamino storse il naso.
«Ultimamente, molte cose vanno più dritte delle mie frecce», mormorò.
Tutto quel perenne nervosismo a cui lo sottoponeva l’Ordine non
gli dava pace. Non era abituato a tirare senza concentrazione e, a
Roma, la sua concentrazione era in perenne lotta con l’opprimente
presenza dei suoi rumorosi compagni.
«Ma Pagni dovrebbe far lavorare meno la testa. Le sue teorie sono
fin troppo macchinose.» Continuò, scoccando
l’ennesimo colpo. «Maria è perennemente accanto a
te. Se non è con te, è con Machiavelli. E pranza seduta
tra Bartolomeo d’Alviano e Volpe.» Si fermò un
istante a fissare il paglione. «Un’ottima infiltrazione in
teoria; in pratica credo farebbe cilecca. Un solo passo falso e sareste
in quattro a saltarle alla gola. Francamente, non mi pare una persona
così cauta da potersi permettere un approccio del genere.»
Ezio sospirò, incrociando le braccia sul petto, ma continuando a far ruotare la freccia nella mano.
«Sono d’accordo, ma non voglio rifiutare nessuna pista. So
che Cristiano lo fa solamente perché è preoccupato per
noi. Di tutti, è forse quello che maggiormente potrebbe
soffrirne: suo padre ha quasi perso la vita, a causa di una
spia.» Fece una pausa, alzando gli occhi verso il cielo sopra di
loro, prima di sbuffare, stanco. «Torno al mio letto, prima che
Maria venga a prendermi per la gola!» Gli rese la freccia.
«Mi raccomando, spalle rilassate.»
Bengiamino sospirò, imbronciandosi un poco prima di voltarsi verso il paglione con l’ultima freccia in mano.
Spalle rilassate.
Si concesse un momento per scacciare i pensieri e provò a focalizzarsi su qualcosa di piacevole.
L’immagine del cortile interno della sua casa a Milano lo accolse
con serenità, circondandolo con i suoi colori tenui e
l’aria che sapeva di fiori.
Mentre lui tirava al paglione, sotto ai portici Laura insegnava alle loro sorelle come ricamare un fazzoletto.
Bengiamino sorrise, puntando la freccia verso il suo bersaglio. Quasi
non la sentì sfiorargli le dita per sgusciare nell’aria
come il più veloce dei fulmini.
Quando si avvicinò al paglione per recuperarla, constatò soddisfatto il suo ennesimo centro.
Per
riappacificare gli animi, quella sera Corella avanzò la proposta
di andare tutti a bere alla solita osteria, ovviamente di nascosto da
Machiavelli.
Ciò che non sapeva, ma che scoprì una volta recatosi a
chiamare le ragazze nella loro camerata, era che Machiavelli aveva
già lasciato il Covo, deciso a non salutare nessuno, alla volta
della bella Fiorenza.
«Fortuna che doveva allenarci strenuamente o morire nel
tentativo!», commentò Spallaci, mentre recuperava una
cappa marrone da indossare sulla giubba color panna.
«Sicuramente ha lasciato indicazioni a qualcuno», aggiunse
Cristiano, mentre Violante gli aggiustava il colletto della camicia.
«Non staremo senza soffrire, in sua assenza.»
«Così eleganti per bere?», domandò ironica Paola, mascherando un certo malcontento.
Machiavelli non aveva detto nulla nemmeno a lei e, anche se non si
aspettava nulla dal consigliere, era lampante come ci fosse comunque
rimasta male.
«C’è da festeggiare», commentò Laura,
stringendosi al braccio di suo fratello maggiore. «Machiavelli ha
lasciato Roma e siamo ancora tutti vivi!»
Corella ridacchiò, alzando il calice di vino che aveva immediatamente ripreso a portarsi dietro ovunque andasse.
«E con l’assenza del nostro caro compare Niccolò,
torniamo al dolce nettare degli dei!», trillò,
sistemandosi il mantello sulle spalle. «Faccio strada, amici
miei!», gridò, buttandosi sul corridoio e tirandosi dietro
Violante e Chiara. «Di stasera non serberemo alcun ricordo!»
Non arrivarono che alle scale, interrotti dal vociare di Bartolomeo
d’Alviano tutto preso a raccontare l’ultimo aneddoto sulla
sua caserma di mercenari.
Diretti verso il piano delle camerate, lui a Maria camminavano fianco a
fianco, entrambi avvolti nei pesanti mantelli di lana per coprirsi dal
freddo.
«Questa è bella», sbottò la donna,
incrociando le braccia sul petto con fare stizzito non appena i suoi
occhi incontrarono quelli di Corella. «Credevo che Machiavelli
fosse stato chiaro, circa la libera uscita!»
«Lo era stato, ma ora lui non è qui e il Mentore ha
espressamente detto che possiamo andare a rilassarci un poco»,
rispose pronto Alessandro, guardandola con una sfida divertita negli
occhi. «Ora, se permetti, noi abbiamo da festeggiare la
libertà. Ti inviteremmo, ma vogliamo divertirci!»
La superò con due saltelli, seguito da Laura e Spallaci, mentre Cristiano a Violante si tenevano in fondo alla fila.
Quando passò la giovane, Maria la trattenne.
«Il Mentore intende parlarti ora, sempre che abbia tenuto un po’ di serietà.»
Senza attendere oltre, con passo stizzito, Maria si dileguò, seguita da un Bartolomeo molto divertito.
Viola sospirò.
«Vorrà parlarmi della spia …»
Arrivarono dinanzi alla porta di Ezio che Maria aveva già preso
a bussare. Quando ottennero il permesso di entrare, scoprirono che non
c’era soltanto il Mentore, ad attenderli.
Volpe era in piedi accanto alla finestra socchiusa, intento ad
accendere una candela con il fuoco del caminetto in cui scoppiettava un
fuoco caldo.
Ezio, seduto tra le coperte, li salutò con un cenno della mano aperta.
«Bene, ci siamo tutti», commentò, quando vide
d’Alviano prendere posto sulla poltrona dinanzi al caminetto.
«Sedetevi, ci vorrà un po’.»
Nello spazio ristretto della stanza, Violante e Maria sedettero sul
materasso, mentre Volpe rimase con la schiena appoggiata contro il
muro.
La bolognese non capiva.
Gli altri, a quanto ne sapeva, erano stati interrogati singolarmente.
Machiavelli, Ezio e in un solo caso Volpe avevano posto qualche
domanda, osservato le reazioni più che le risposte e poi avevano
girato i tacchi tornandosene per i fatti loro.
Senza mostrare nervosismo o paura, Viola guardò Ezio direttamente negli occhi.
«Sono nei guai, per caso?»
La risposta non tardò ad arrivare.
«No», disse il Mentore, sfoggiando un sorriso che
più che rassicurante pareva soltanto stanco. «Ma abbiamo
bisogno di un quadro generale visto dall’interno. So che parlate
molto tra di voi e ciò naturalmente comporta a puntare il dito
contro qualcuno.» Fece una pausa, accompagnando quelle parole con
un sorriso ancora meno incoraggiante del primo. «Abbiamo bisogno
di sapere chi pensa cosa di chi.»
«Quindi io mi ritrovo davanti a tutta la Santa Inquisizione
perché sono più affidabile?», domandò senza
capire, prima di arrendersi.
Ezio operava per vie misteriose.
Appoggiò le mani in grembo.
«Io ho un’idea molto chiara della visione
dell’interno, Mentore.» Guardò ognuno degli altri
Assassini presenti, che parevano pendere dalle sue labbra. «La
spia non è tra noi, e sono pronta anche a spiegare perché
lo penso.»
Ezio si prese un istante per rispondere.
Seppur perplesso, passò lo sguardo sul viso di tutti i presenti,
come a chiedere conferma di qualcosa. Solo alla fine tornò su
quello di Violante, asserendo con formalità alla sua proposta.
«Siamo tutt’orecchi», disse con voce profonda,
incrociando le braccia sul petto e fremendo leggermente quando il
gomito gli urtò debolmente la ferita. «Va’ pure
avanti.»
«Una spia deve avere dalla sua parte tre fattori: deve essere
credibile, deve avere accesso alle informazioni e deve essere
furba.» Si interruppe, passando gli occhi di nuovo da uno
all’altro. «Se manca anche una sola di queste tre
abilità, allora è impossibile agire.»
«Tu sei sia furba che credibile», fece presente Maria, con un tono ovvio che irritò moltissimo Violante.
La bolognese, mantenne la calma.
«Certamente, ma non ho accesso ai piani che voi escogitate
in questa stanza giorno dopo giorno», la corresse, sorridendole
falsamente prima di tornare seria. «Ezio non mi ha mai detto
nulla, in nessuna occasione.»
«Nemmeno agli altri», commento il Mentore.
«Però non sappiamo di per certo quanto sappiano i
Templari. Potrebbero anche solo conoscere la corazza del nostro
progetto di addestramento, non lo scheletro.»
Viola annuì.
«Certamente, ma passiamo allora alla furbizia e alla
credibilità: Corella e Chiara non sono credibili quando mentono
e Spallaci, Ventimiglia e Paola non sono furbi. Si fanno scoprire
sempre e subito qualsiasi cosa facciano. Io, Laura, Bengiamino e
Cristiano potremmo farla franca, certo, ma non abbiamo le informazioni
necessarie. Un Templare, a sentirsi dire ogni giorno le stesse due
storie, taglierebbe la gola a chiunque. Che io sappia, solo una persona
conosce tutte le informazioni, è furba ed è anche
credibile.»
Terminò, puntando gli occhi in quelli di Maria.
La modenese sbuffò divertita.
«Credevo che avessi detto che non pensavi fosse uno di noi.»
«Infatti», commentò Viola con pacatezza. «Noi non ti consideriamo parte del nostro gruppo.»
Maria alzò le mani in segno di resa.
«Che sfortuna», commentò, sarcastica. Si
passò le mani tra i capelli scuri, scrollando le spalle. «Bambina,
hai dimenticato un particolare: non tutti siamo qui perché
d’Alviano è piovuto dal cielo mentre tornavamo a casa dal
mercato.» Sospirò, voltandosi appena per lanciare
all’uomo un’occhiata fugace. «Non combattiamo i
Borgia perché ci disgusta l’idea di zappare la terra. A
qualcuno, qui dentro, quel cane di Cesare ha tolto tutto.» Parve
rilassarsi per un istante, sbuffando con tono leggero mentre indicava
Ezio con un cenno della mano. «La mia unica difesa è che
non c’è oro che possa ripagare ciò che Cesare
Borgia mi ha preso in passato. E non c’è mano più
fervente della mia all’idea di impalare la sua testa di fronte
all’uscio di casa.»
Ezio parve crederle, ma la risatina di Violante gli impedì di parlare.
Il fatto che il Mentore pareva molto più interessato a cosa
avesse da dire lei piuttosto che Maria, non faceva altro che far salire
il clima di tensione.
«Hai ragione, nonnina»,
la schernì Violante, guardandola con uno sguardo di puro odio.
«Infatti certe persone, qui, non dovrebbero esserci. Tutti
temiamo Machiavelli e la sua autorità, ma portiamo rispetto e
non lo odiamo. Tu invece non hai né rispetto né
autorità. Ti alleni con noi, sei come noi. Non sei niente di
più di una presuntuosa.»
Volpe scioccò la lingua contro il palato.
«Calma, signore.»
Ezio, però, alzò la mano.
«Violante ha il diritto di dire la sua. Mi fido ciecamente di
lei, quasi più del resto delle persone che albergano questo
covo. Quindi, per cortesia, rispettate ciò che pensa e tu,
Maria, abbassa i toni. Non sei la delegata di Machiavelli, non detti
legge.» Detto questo si sistemò sul materasso. «Ora
tutti fuori, tranne Viola. Abbiamo qualcosa da dirci in privato, onde
evitare problemi.»
Sospirando pesantemente, Maria si alzò dal materasso e si diresse verso l’uscita scuotendo il capo.
«Stai perdendo ogni capacità di giudizio, Ezio»,
commentò, amareggiata, dopodiché precedette Bartolomeo e
Volpe sul corridoio, lasciando a loro l’onere di richiudere
l’uscio.
«La detesto», soffiò Violante, facendo ridacchiare il Mentore.
«Non preoccuparti, non se n’è accorto ancora nessuno!»
Le fece segno di farsi più vicino e, alzandosi, Violante si
premurò di sistemargli il cuscino sotto alla schiena.
Lasciò scivolare gli occhi sul petto nudo di Ezio fino alle
bende, alzandole appena per controllare la ferita.
«Lascia, sto bene.»
«Pare infetta», commentò lei, andando verso lo
scrittoio e prendendo delle foglie mediche che il cerusico aveva
lasciato la sera prima. Aiutò l’uomo a disfarsi delle
bende, iniziando poi a curarlo. «Non male per una che zappa la
terra, no?»
«Non ascoltarla, in questo caso ha parlato la gelosia»,
disse lui, storcendo il naso per il fastidio. «Maria è una
brava donna, ma non sa controllarsi e risulta insopportabile ai
più.»
«A tutti.»
«A tutti voi di certo.» A quelle parole, Ezio parve
ricordarsi il discorso che aveva in testa quando aveva fatto uscire
Maria, Bartolomeo e Volpe. «A proposito degli altri, ascolta bene
ciò che ho da dirti perché sarà un segreto fra noi
due.»
Viola alzò gli occhi nei suoi, annuendo poi a quelle parole.
«Non uscirà nulla da questa stanza.»
«Molto bene.»
A fatica, Ezio si tirò sui gomiti.
«Ora che Machiavelli è tornato a Firenze, sei
l’unica di cui posso fidarmi, qui dentro.» Il suo tono
uscì grave, pesante come mai prima d’ora. Tanto tagliente
da far accapponare la pelle. «Sei la sola a essere nata al di
fuori di quest’Ordine, la sola a cui i Borgia non hanno mai torto
un capello. Loro non hanno interesse in te come tu non ce l’hai
in loro, mi capisci?» Attese che la bolognese annuisse per
proseguire. «Per questo sei l’unica che mi sento di
escludere completamente dai miei sospetti. Ogni persona presente questa
sera, per quanto mi sia amica e cara, potrebbe potenzialmente averci
traditi. Da oggi in poi avrai un compito: sarai le mie orecchie tra i
tuoi compagni. Annoterai ogni comportamento sospetto, ogni frase che si
sbilancerà dalla neutralità. Nessuna eccezione, sono
stato chiaro?»
Viola annuì lentamente, sorridendo amara.
«Quindi, infine, sono una spia?»
Ezio le prese il meno tra pollice e indice, sorridendole.
«La mia spia; lo fai solo a fin di bene. In mezzo a noi
c’è un traditore che mette in pericolo tutti. Devi
impegnarti a tenere al sicuro chi è intelligente.»
«Va bene», rispose lei, molto più risoluta. «Sarà fatto.»
«Bravissima. Ora ti conviene andare, o perderai la festa dell’Oste Corella!»
Viola finì di applicare le foglie sulla ferita di Ezio,
prendendo poi delle bende lavate e appoggiando in un catino quelle
appena rimosse. Tornò verso di lui, sistemandogli la fasciatura
per bene.
«Non ho molta voglia, in realtà. Potrei tenerti compagnia
qualche ora, così da capire appieno questa mia nuova
mansione.»
«E Cristiano?»
«Cristiano non saprà nemmeno come si chiama, tra poco.»
Si scambiarono un sorrisetto, poi calò fra loro calò un leggero silenzio.
Da quel bacio sul Colosseo, Violante non era più tornata a
scaldare le lenzuola di Ezio, il quale non aveva mosso alcuna obiezione
o posto domande impertinenti.
Tra loro, però, non era mai venuta a mancare la sincerità.
«Posso farti una domanda?», chiese la bolognese, e lui
asserì. «Cosa intendeva prima Maria? Cosa le ha portato
via Borgia?»
L’espressione di Ezio mutò improvvisamente.
Se prima c’era un sorriso caldo a illuminargli il volto, di colpo una smorfia incupita gli aveva tolto ogni calore.
Abbassò lo sguardo sulla ferita un paio di volte, prima di rispondere.
Una volta schiuse le labbra, rimase comunque un istante a ponderare le parole.
«Non mettere troppo accanimento, nella tua crociata contro
Maria», rispose, sforzandosi di tornare a sorridere per apparire
divertito. Non ci riuscì molto, poiché i lineamenti duri
del viso lo tradirono in un’espressione assai tirata. «A
suo modo, vuole bene a ciascuno di voi. Cercate di convivere,
quantomeno per mantenere la pace comune. Avete tante cose da imparare,
l’una dall’altra.»
Violante sospirò, convinta che non avrebbe ricevuto una
risposta. Si lasciò cadere all’indietro, stendendosi sulle
gambe di Ezio e appoggiandovi la schiena.
Con gli occhi fissi contro il soffitto, la sua mente prese a vagare da sola.
Quando ritornò in sé, non sapeva nemmeno se si fosse assopita o meno.
Ezio sembrava preso dalla lettura di una lettera, che appoggiò
accanto a sé quando notò che lei lo guardava.
«Cosa ti turba?»
«Tu dici sempre che tutto si risolverà e che tutto
andrà bene», disse sottovoce la bolognese, mentre il
Mentore prendeva una sua ciocca castana fra le dita. «Ma se non
dovessimo capire chi è la spia? Se rivelasse una parola di
troppo? Se ci assaltassero domani?»
Ezio, solitamente abituato a dispensare sorrisi di incoraggiamento e
parole ricche di positività, non disse nulla di vagamente
simile. Rimase in silenzio per istanti infiniti poi, con il cuore in
mano e tutta la sincerità di cui disponeva, sussurrò
piano tre semplici parole.
«Non lo so.»