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Autore: VandasGirls    30/04/2014    2 recensioni
«Ti ho tenuto nascoste molte cose, bambina mia», disse addolorata Lucia Marcelli, portandosi una mano al viso. «Ma ora è giusto che tu abbia una vita migliore. Questa è l’eredità di tuo padre.»
«Io sto bene qui.»
Violante guardò la chiave che sua madre le stava porgendo, senza far nulla per afferrarla. Tutto stava avvenendo troppo rapidamente, senza preavviso alcuno; si sentiva spaventata, stranita. Non voleva saperne nulla.
«Non andrò con Messer d’Alviano da nessuna parte.»

Cinque Assassini figli di Caino, cinque destini mescolati tra loro per raggiungere lo stesso obiettivo.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Volpe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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polverenera

Il destino di Qayin

Capitolo dodicesimo




Il mattino seguente, una volta riuniti per colazione nella sala comune, fu lampante come nessuno di loro avesse metabolizzato gli avvenimenti della sera precedente.
Dopo Augusto – che quella notte non aveva dormito affatto e aveva aspettato le prime luci dell’alba per lasciare il dormitorio in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti –, Corella fu il primo a sedersi al tavolo. Avvenimento che aveva dello straordinario, visto che tirare giù dal letto un ubriaco pareva impresa già abbastanza ostica, figurarsi farlo alzare di sua spontanea volontà.
Augusto lo interpretò come segno di una tempesta imminente, nel caso quella della sera precedente non fosse bastata a tirar loro le orecchie.
Arrivarono anche Lorenzetti e Pagni, prima che le ragazze si facessero vedere.
Anche tra loro, non c’era alcun segno di tranquillità.
«Buongiorno», mormorò Laura, sedendosi accanto a suo fratello con un unico pezzo di pane tra le mani.
Bengiamino la salutò con una carezza affettuosa sul capo.
«Non fai colazione?», le chiese.
Lei alzò le spalle.
«Non ho fame.»
Subito dopo, in una rigorosa e silenziosa fila, sopraggiunsero anche Violante, Chiara e Paola. Una dall’aria più affranta dell’altra.
«Niccolò non ha finito», annunciò la rossa, prendendo posto accanto ad Augusto. «L’ho visto andare nella stanza del Mentore.»
Dando un colpo di tosse per buttare giù un morso di pane secco, Spallaci ridacchiò spavaldo.
«E con questo?», chiese.
Paola storse il naso.
«Dalla sua espressione, dubito fosse una visita di cortesia.»
«Dobbiamo quindi aspettarci un’altra serie di urla?», domandò con espressione da cane bastonato Corella, appoggiandosi con il mento alla superficie del tavolo. «Io non so se posso sopportare un’altra strigliata. Non ho nemmeno fatto nulla, stavolta.»
«Punisce tutti o non punisce nessuno, questa è la filosofia di vita di Machiavelli», commentò semplicemente Paola, versandosi un poco di latte per poi lasciar cadere nella tazza anche un filo di miele.
«Fortuna che non applica questa cosa anche per le scopate, o eravamo perduti!», commentò alacremente Spallaci, strappando un sorrisetto ad Alessandro e uno sbuffo a Cristiano.
«Sarà per via della spia.»
La voce di Violante arrivò più roca del previsto, costringendola a schiarirsi la gola prima di proseguire, mentre Corella le versava una bicchiere d’acqua.
«Scommetto che vorrà vederci chiaro, ora. Non mi ha convinto il discorso di stanotte. Sembrava fin troppo accondiscendente.»
«Vedrete che ce la farà pagare, in un modo o nell’altro», l’appoggiò mogia Laura. «E stavolta i cento giri dell’Isola di corsa saranno una mano dal Cielo!»
Si accasciò sulla spalla di Bengiamino, il quale commentò l’intero discorso con un’alzata di spalle dall’aria insofferente.
Spallaci aprì al bocca per riprenderlo su quel poco interesse nei confronti di tutti loro, ma il rumore di una porta che si richiudeva cigolando gli mozzò il fiato.
Lo mozzò a tutti.
Passi leggeri si affrettarono sulle scale, ma non fu Machiavelli a comparire nella sala, bensì il Conte Cesco Ventimiglia, stretto nella sua tunica bianca e con la mano destra ancora fasciata a seguito dell’ustione.
Salutò con un timido cenno del capo e si andò a sedere in fondo al tavolo, lontano da tutti.
«È sempre da solo», commentò Paola, sporgendosi per osservarlo meglio.
Cristiano assottigliò gli occhi, guardandolo intensamente mentre si passava una mano sul mento, ma non commentò.
Si limitò a bere un sorso generoso di latte, attendendo il momento in cui …
A fare gli onori di casa fu Augusto.
«Sicuramente la spia è lui.»
Il biondo alzò le sopracciglia, continuando a non commentare, mentre il romano dava il meglio di sé.
«Sta sempre solo, non parla mai … Maria è la sola persona che ha a che vedere con lui.»
«E guarda caso è lei che ha avvertito Ezio della spia», aggiunse Laura, scambiando uno sguardo con Violante. «Tutti gli indizi portano al caro Conte, quindi!»
Bengiamino si rifece presente con una scrollata di capo che gli fece schioccare tutte le ossa del collo.
«Non credo.»
«Già», convenne Chiara. «Non parla con nessuno! Dove le prenderebbe, le informazioni?»
Laura la scrollò lievemente.
«Da Maria, appunto!», le rispose.
«Maria non mi pare il tipo di persona che si lascia sfuggire quel genere di cose», commentò di nuovo Bengiamino.
«Potrebbe avergliele chieste, no? Sono sempre insieme! E poi, se lei si fida di lui …»
«Io non chiederei mai informazioni a Maria», si lasciò scappare Corella in un impeto di schiettezza. Parve pensarci un secondo, poi aggiunse: «In effetti, io non le chiederei niente di niente.»
«Se Ventimiglia scalda il suo letto, forse Maria si è lasciata coinvolgere», suggerì Cristiano, seppur con tono assai cauto. «Oppure potrebbe essere che sia lei  stessa la spia, anche se pare improbabile.»
«Perché usare Cesco, allora?» domandò senza capire Paola.
«Perché così avrà qualcuno dietro al quale pararsi nel momento in cui verrà scoperta», rispose semplicemente il ferrarese, con un cenno del capo. Incrociando le braccia sul petto, li guardò tutti seriamente. «Dopotutto, il Conte non brilla in astuzia. Maria, invece, è la dea della perfidia.»
Almeno su questo, parvero tutti d’accordo.
Dal piano superiore, arrivò di nuovo il cigolio di una porta che si apriva sul corridoio.
Nel silenzio in cui la sala parve improvvisamente piombare, si udirono alcuni bisbigli, dopodiché vi fu il sonoro richiudersi dell’uscio e il rumore di un paio di stivali prese a scendere le scale.
Accompagnato dallo stridere della suola sul marmo, Machiavelli fece il suo ingresso nella sala.
A differenza della sera prima, quando l’ira gli illuminava il viso e gli assottigliava le labbra, quella mattina si presentò emaciato, visibilmente nervoso e con le occhiaie di chi ha quasi sicuramente passato la nottata in bianco.
Nascosto dalle ampie spalle di Bengiamino, Spallaci sogghignò.
«Bel colpo, Paola», sussurrò.
La rossa rispose con una gomitata.
«Guarda che io non c’entro», sibilò. «È stato tutta la notte a confabulare con il Mentore.»
«Ancora peggio allora», ne convenne il povero Corella, prendendo un sorso di vino nonostante si fosse appena destato. Ci voleva qualcosa di forte. «Se non ha calmato i nervi in modo alcuno, ci spaccherà le gambe.»
Cristiano si mise diritto sulla sedia, sporgendosi poi verso Violante.
«Scappiamo.»
Per risposta, la castana sbuffò.
«Ci seguirebbe sino ai cancelli dell’Ade per riprenderci e portarci qui, tirandoci per le orecchie. Sentiamo che ha da dire.»
Perfettamente coordinato, l’intero gruppo si voltò verso Machiavelli, ancora fermo sulle scale con le braccia conserte dietro la schiena.
Seguì un lungo attimo fatto di sguardi preoccupati e silenzi tesi ma, alla fine, il consigliere di decise a muovere quei pochi passi che lo separavano dalla sala e a riprendere il discorso della sera prima.
«Buongiorno», esordì, senza staccare gli occhi dai ragazzi.
Non guardava nessuno in particolare, eppure Augusto si sentì come se il suo sguardo lo stesse trapassando da parte a parte.
«Ho delle nuove da comunicarvi.»
Nessuno osò fiatare.
«Come ben saprete, Ezio è costretto a letto e almeno per i prossimi giorni non gli sarà possibile fare altro se non riposare. Ciononostante, abbiamo entrambi convenuto di non aver tempo da perdere.» Fece una pausa, avvicinandosi di un passo. «Nella giornata di oggi verrete interrogati; vi sarà chiesto ogni dettaglio del vostro viaggio per Roma, sarà letta ogni missiva mandata o ricevuta nell’arco di tempo che avete passato qui. Se avete qualcosa da nascondere, vi conviene vuotare il sacco seduta stante o finirete dritti a far compagnia ai pesci del Tevere.»
Cristiano fu il primo ad alzarsi in piedi.
«Voglio porre fine a questa farsa. Devo parlare prima con voi, Niccolò?»
Il consigliere storse il naso, non nascondendo il fastidio che la voce di Pagni pareva procurargli.
«No, per carità no», disse, prima di indicare con un cenno le scale che davano al piano superiore. «Con te, parlerà Ezio. Io non voglio perdere tempo e punterò direttamente ai più sospetti.» I suoi occhi si calamitarono a quelli di Spallaci, che deglutì piano. «Fuori tutti gli altri.»
Non se lo fece ripetere nessuno.
Mentre Cristiano saliva da Ezio, le ragazze insieme a Corella e Cesco lasciarono la stanza in fila. Bengiamino, prima di andarsene, diede una piccola pacca sulla spalla del romano.
Non fu chiaro se quel gesto fosse dettato da una sana fratellanza o da puro sarcasmo.
Deglutendo di nuovo, Augusto seguì con lo sguardo i suoi compagni allontanarsi.
Attese che Machiavelli prendesse posto dinanzi a lui e poi, cauto, allontanò da sé la tazza di latte caldo che stava bevendo per colazione.
«Faccio visita a mia madre», confessò a testa bassa, ancor prima che il consigliere potesse proferire parola. «Ma è solo una volta a settimana e giuro che non parliamo d’altro che dei pidocchi sui cuscini della camerata.» Tirò su col naso, sempre più nervoso. «Ho dei testimoni, se lo riterrete necessario.»
Machiavelli assottigliò lo sguardo, mentre lo ascoltava scuro in viso. Portò le mani sotto al mento, inclinando il volto quel tanto che bastava per scrutare quello abbassato dell’altro.
Secondo Corella, il consigliere aveva una sorta di dono, un qualcosa di riconducibile solo alla stregoneria: percepiva chi mentiva a leghe di distanza, smontando così ogni minima possibilità di protrarre illazioni fasulle all’infinito.
Augusto sperò vivamente che quel famigerato intuito non decidesse di tradirlo proprio quel giorno.
«Capisco, Spallaci. La famiglia è importante, ma da oggi gradirei che nelle tue visite portassi almeno due dei tuoi compagni. Tu ricambierai il favore con loro. Ed esigo che le tue missive vengano lette prima da uno di noi e poi da te.»
Augusto arricciò il naso. Non gradiva particolarmente chi metteva il naso nelle sue faccende ma, a parte una buona dose di insulti rivolti a quegli inetti dei suoi compagni, non aveva nulla da nascondere.
«Certo», rispose, quindi, stringendosi ai polsini della camicia. «Fate ciò che ritenete giusto.»












Tre tiri, tre centri.
Bengiamino prese un’altra freccia dalla faretra, incoccandola nell’arco e mandandola di nuovo a segno.
Allenarsi lo aiutava a distrarsi dai mille pensieri che gli ottenebravano la mente; in modo particolare, lo aiutava ad allontanare quel sospetto che covava da giorni verso un paio di compagni.
Non avendo prove a sostegno delle sue teorie, preferiva starsene in disparte e condurre una vita solitaria, lontana dai pettegolezzi degli altri e dalle loro accuse reciproche.
Sapeva a cosa portavano quelle cose e non sarebbe stato nulla di divertente.
Alzò l’arco sul paglione, prendendo la mira per la quarta volta.
Tirò la corda, trattenne il respiro.
Il rumore della freccia che si conficcava nel centro del paglione gli strappò un ghigno divertito.
«Allora sorridi, di tanto in tanto!»
Come la prima volta in cui l’aveva colto in fragrante ad osservare le ragazze, la voce di Ezio per poco non gli fece perdere l’equilibrio sui suoi stessi piedi.
Voltandosi di scatto verso il Mentore, Bengiamino abbassò l’arco, infilandolo a tracolla sulla spalla.
«Credevo ti avessero costretto a letto», commentò, atono. Un’occhiata dell’uomo gli fece intendere che la sua uscita pomeridiana doveva essere in via del tutto straordinaria. «Capisco.»
Ezio camminò lentamente verso di lui, zoppicando appena. Si teneva il fianco, segno che doveva in qualche modo provare dolore.
Al Covo l’avevano visto cadere, ferirsi, bruciarsi e infilzarsi con diverse cose e sempre senza battere ciglio. Lo scontro con Cesare Borgia, invece, lo aveva lasciato più menomato di quanto tutti si aspettassero.
Ciò dimostrava che Cesare non era un tipo con cui si poteva scherzare.
«Avevo bisogno di un po’ di aria fresca», gli confidò il Mentore, andando a staccare le frecce dal bersaglio. «E devo interrogare anche te, nonostante sia uno spreco di tempo bello e buono. Se qualcuno di voi è così bravo da far la spia ai Borgia senza dare nell’occhio, non saranno tre domande  a tradirlo. Ma facciamolo per il povero Niccolò.»
Bengiamino annuì, seguendolo con lo sguardo mentre tornava verso di lui per riconsegnargli le frecce. Ne raccolse una dalla mano aperta, incoccandola nell’arco che era scivolato dalla spalla per finirgli inevitabilmente in pugno.
«Chiedimi ciò che vuoi», mormorò, prendendo velocemente la mira prima di scoccare l’ennesimo centro.
Il ricordo del dardo che a Cesare Borgia non aveva fatto che un graffio gli bruciava ancora nel petto.
Se mai avesse avuto di nuovo la possibilità di puntargli addosso una freccia, non avrebbe di certo mancato il bersaglio.
Ezio ci pensò per qualche istante, prima di schiarirsi la voce.
«Sospetti per caso di qualcuno?»
Non gli aveva domandato se avesse rivelato qualcosa in un’audace missiva, o se si fosse aperto con un templare in cambio di soldi o rassicurazioni.
Aveva domandato a lui chi, secondo il suo giudizio, potesse essersi macchiato di un tale crimine.
Semplicemente perché, evidentemente, Ezio sapeva perfettamente di chi poteva o voleva fidarsi.
Il milanese ammutolì, bloccando per un istante la mano che era corsa a recuperare la seconda freccia dalle mani del Mentore.
Lo guardò negli occhi, incerto se vuotare il sacco o meno.
Non disse nulla, né di ciò che aveva visto assieme a Chiara né dei sospetti che si era fatto in quelle settimane, ma si assicurò che l’occhiata che gli lanciò fosse il più eloquente possibile.
«Non abbastanza per puntargli il dito contro», disse, infine, recuperando un’altra freccia e incoccandola.
Ezio comprese e non domandò altro. Era lampante che, in caso di prove, Bengiamino sarebbe corso da lui a parlare.
«Apprezzo il tuo silenzio, se non ne sei certo. Non mi piace chi si accusa a vicenda.»
Il Mentore fissò il paglione, mentre Bengiamino mancava di pochissimo il centro.
Il milanese lo sentì sospirare.
«Rilassa le spalle. Sai, Cristiano ha le idee molto chiare, o almeno così sembra.» Girò attorno al morettino, spingendogli le spalle verso il  basso e irrigidendosi un attimo per il male al fianco. «Mi ha detto che mentre parlavate fra voi è uscito il nome di Maria e, onestamente, la sua teoria va più diritta delle tue frecce.»
Bengiamino storse il naso.
«Ultimamente, molte cose vanno più dritte delle mie frecce», mormorò.
Tutto quel perenne nervosismo a cui lo sottoponeva l’Ordine non gli dava pace. Non era abituato a tirare senza concentrazione e, a Roma, la sua concentrazione era in perenne lotta con l’opprimente presenza dei suoi rumorosi compagni.
«Ma Pagni dovrebbe far lavorare meno la testa. Le sue teorie sono fin troppo macchinose.» Continuò, scoccando l’ennesimo colpo. «Maria è perennemente accanto a te. Se non è con te, è con Machiavelli. E pranza seduta tra Bartolomeo d’Alviano e Volpe.» Si fermò un istante a fissare il paglione. «Un’ottima infiltrazione in teoria; in pratica credo farebbe cilecca. Un solo passo falso e sareste in quattro a saltarle alla gola. Francamente, non mi pare una persona così cauta da potersi permettere un approccio del genere.»
Ezio sospirò, incrociando le braccia sul petto, ma continuando a far ruotare la freccia nella mano.
«Sono d’accordo, ma non voglio rifiutare nessuna pista. So che Cristiano lo fa solamente perché è preoccupato per noi. Di tutti, è forse quello che maggiormente potrebbe soffrirne: suo padre ha quasi perso la vita, a causa di una spia.» Fece una pausa, alzando gli occhi verso il cielo sopra di loro, prima di sbuffare, stanco. «Torno al mio letto, prima che Maria venga a prendermi per la gola!» Gli rese la freccia. «Mi raccomando, spalle rilassate.»
Bengiamino sospirò, imbronciandosi un poco prima di voltarsi verso il paglione con l’ultima freccia in mano.
Spalle rilassate.
Si concesse un momento per scacciare i pensieri e provò a focalizzarsi su qualcosa di piacevole.
L’immagine del cortile interno della sua casa a Milano lo accolse con serenità, circondandolo con i suoi colori tenui e l’aria che sapeva di fiori.
Mentre lui tirava al paglione, sotto ai portici Laura insegnava alle loro sorelle come ricamare un fazzoletto.
Bengiamino sorrise, puntando la freccia verso il suo bersaglio. Quasi non la sentì sfiorargli le dita per sgusciare nell’aria come il più veloce dei fulmini.
Quando si avvicinò al paglione per recuperarla, constatò soddisfatto il suo ennesimo centro.













Per riappacificare gli animi, quella sera Corella avanzò la proposta di andare tutti a bere alla solita osteria, ovviamente di nascosto da Machiavelli.
Ciò che non sapeva, ma che scoprì una volta recatosi a chiamare le ragazze nella loro camerata, era che Machiavelli aveva già lasciato il Covo, deciso a non salutare nessuno, alla volta della bella Fiorenza.
«Fortuna che doveva allenarci strenuamente o morire nel tentativo!», commentò Spallaci, mentre recuperava una cappa marrone da indossare sulla giubba color panna.
«Sicuramente ha lasciato indicazioni a qualcuno», aggiunse Cristiano, mentre Violante gli aggiustava il colletto della camicia. «Non staremo senza soffrire, in sua assenza.»
«Così eleganti per bere?», domandò ironica Paola, mascherando un certo malcontento.
Machiavelli non aveva detto nulla nemmeno a lei e, anche se non si aspettava nulla dal consigliere, era lampante come ci fosse comunque rimasta male.
«C’è da festeggiare», commentò Laura, stringendosi al braccio di suo fratello maggiore. «Machiavelli ha lasciato Roma e siamo ancora tutti vivi!»
Corella ridacchiò, alzando il calice di vino che aveva immediatamente ripreso a portarsi dietro ovunque andasse.
«E con l’assenza del nostro caro compare Niccolò, torniamo al dolce nettare degli dei!», trillò, sistemandosi il mantello sulle spalle. «Faccio strada, amici miei!», gridò, buttandosi sul corridoio e tirandosi dietro Violante e Chiara. «Di stasera non serberemo alcun ricordo!»
Non arrivarono che alle scale, interrotti dal vociare di Bartolomeo d’Alviano tutto preso a raccontare l’ultimo aneddoto sulla sua caserma di mercenari.
Diretti verso il piano delle camerate, lui a Maria camminavano fianco a fianco, entrambi avvolti nei pesanti mantelli di lana per coprirsi dal freddo.
«Questa è bella», sbottò la donna, incrociando le braccia sul petto con fare stizzito non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Corella. «Credevo che Machiavelli fosse stato chiaro, circa la libera uscita!»
«Lo era stato, ma ora lui non è qui e il Mentore ha espressamente detto che possiamo andare a rilassarci un poco», rispose pronto Alessandro, guardandola con una sfida divertita negli occhi. «Ora, se permetti, noi abbiamo da festeggiare la libertà. Ti inviteremmo, ma vogliamo divertirci!»
La superò con due saltelli, seguito da Laura e Spallaci, mentre Cristiano a Violante si tenevano in fondo alla fila.
Quando passò la giovane, Maria la trattenne.
«Il Mentore intende parlarti ora, sempre che abbia tenuto un po’ di serietà.»
Senza attendere oltre, con passo stizzito, Maria si dileguò, seguita da un Bartolomeo molto divertito.
Viola sospirò.
«Vorrà parlarmi della spia …»
Arrivarono dinanzi alla porta di Ezio che Maria aveva già preso a bussare. Quando ottennero il permesso di entrare, scoprirono che non c’era soltanto il Mentore, ad attenderli.
Volpe era in piedi accanto alla finestra socchiusa, intento ad accendere una candela con il fuoco del caminetto in cui scoppiettava un fuoco caldo.
Ezio, seduto tra le coperte, li salutò con un cenno della mano aperta.
«Bene, ci siamo tutti», commentò, quando vide d’Alviano prendere posto sulla poltrona dinanzi al caminetto. «Sedetevi, ci vorrà un po’.»
Nello spazio ristretto della stanza, Violante e Maria sedettero sul materasso, mentre Volpe rimase con la schiena appoggiata contro il muro.  
La bolognese non capiva.
Gli altri, a quanto ne sapeva, erano stati interrogati singolarmente.
Machiavelli, Ezio e in un solo caso Volpe avevano posto qualche domanda, osservato le reazioni più che le risposte e poi avevano girato i tacchi tornandosene per i fatti loro.
Senza mostrare nervosismo o paura, Viola guardò Ezio direttamente negli occhi.
«Sono nei guai, per caso?»
La risposta non tardò ad arrivare.
«No», disse il Mentore, sfoggiando un sorriso che più che rassicurante pareva soltanto stanco. «Ma abbiamo bisogno di un quadro generale visto dall’interno. So che parlate molto tra di voi e ciò naturalmente comporta a puntare il dito contro qualcuno.» Fece una pausa, accompagnando quelle parole con un sorriso ancora meno incoraggiante del primo. «Abbiamo bisogno di sapere chi pensa cosa di chi.»
«Quindi io mi ritrovo davanti a tutta la Santa Inquisizione perché sono più affidabile?», domandò senza capire, prima di arrendersi.
Ezio operava per vie misteriose.
Appoggiò le mani in grembo.
«Io ho un’idea molto chiara della visione dell’interno, Mentore.» Guardò ognuno degli altri Assassini presenti, che parevano pendere dalle sue labbra. «La spia non è tra noi, e sono pronta anche a spiegare perché lo penso.»
Ezio si prese un istante per rispondere.
Seppur perplesso, passò lo sguardo sul viso di tutti i presenti, come a chiedere conferma di qualcosa. Solo alla fine tornò su quello di Violante, asserendo con formalità alla sua proposta.
«Siamo tutt’orecchi», disse con voce profonda, incrociando le braccia sul petto e fremendo leggermente quando il gomito gli urtò debolmente la ferita. «Va’ pure avanti.»
«Una spia deve avere dalla sua parte tre fattori: deve essere credibile, deve avere accesso alle informazioni e deve essere furba.»  Si interruppe, passando gli occhi di nuovo da uno all’altro. «Se manca anche una sola di queste tre abilità, allora è impossibile agire.»
«Tu sei sia furba che credibile», fece presente Maria, con un tono ovvio che irritò moltissimo Violante.
La bolognese, mantenne la calma.
«Certamente, ma non ho accesso ai piani che  voi escogitate in questa stanza giorno dopo giorno», la corresse, sorridendole falsamente prima di tornare seria. «Ezio non mi ha mai detto nulla, in nessuna occasione.»
«Nemmeno agli altri», commento il Mentore. «Però non sappiamo di per certo quanto sappiano i Templari. Potrebbero anche solo conoscere la corazza del nostro progetto di addestramento, non lo scheletro.»
Viola annuì.
«Certamente, ma passiamo allora alla furbizia e alla credibilità: Corella e Chiara non sono credibili quando mentono e Spallaci, Ventimiglia e Paola non sono furbi. Si fanno scoprire sempre e subito qualsiasi cosa facciano. Io, Laura, Bengiamino e Cristiano potremmo farla franca, certo, ma non abbiamo le informazioni necessarie. Un Templare, a sentirsi dire ogni giorno le stesse due storie, taglierebbe la gola a chiunque. Che io sappia, solo una persona conosce tutte le informazioni, è furba ed è anche credibile.»
Terminò, puntando gli occhi in quelli di Maria.
La modenese sbuffò divertita.
«Credevo che avessi detto che non pensavi fosse uno di noi.»
«Infatti», commentò Viola con pacatezza. «Noi non ti consideriamo parte del nostro gruppo.»
Maria alzò le mani in segno di resa.
«Che sfortuna», commentò, sarcastica. Si passò le mani tra i capelli scuri, scrollando le spalle. «Bambina, hai dimenticato un particolare: non tutti siamo qui perché d’Alviano è piovuto dal cielo mentre tornavamo a casa dal mercato.» Sospirò, voltandosi appena per lanciare all’uomo un’occhiata fugace. «Non combattiamo i Borgia perché ci disgusta l’idea di zappare la terra. A qualcuno, qui dentro, quel cane di Cesare ha tolto tutto.» Parve rilassarsi per un istante, sbuffando con tono leggero mentre indicava Ezio con un cenno della mano. «La mia unica difesa è che non c’è oro che possa ripagare ciò che Cesare Borgia mi ha preso in passato. E non c’è mano più fervente della mia all’idea di impalare la sua testa di fronte all’uscio di casa.»
Ezio parve crederle, ma la risatina di Violante gli impedì di parlare.
Il fatto che il Mentore pareva molto più interessato a cosa avesse da dire lei piuttosto che Maria, non faceva altro che far salire il clima di tensione.
«Hai ragione, nonnina», la schernì Violante, guardandola con uno sguardo di puro odio. «Infatti certe persone, qui, non dovrebbero esserci. Tutti temiamo Machiavelli e la sua autorità, ma portiamo rispetto e non lo odiamo. Tu invece non hai né rispetto né autorità. Ti alleni con noi, sei come noi. Non sei niente di più di una presuntuosa.»
Volpe scioccò la lingua contro il palato.
«Calma, signore.»
Ezio, però, alzò la mano.
«Violante ha il diritto di dire la sua. Mi fido ciecamente di lei, quasi più del resto delle persone che albergano questo covo. Quindi, per cortesia, rispettate ciò che pensa e tu, Maria, abbassa i toni. Non sei la delegata di Machiavelli, non detti legge.» Detto questo si sistemò sul materasso. «Ora tutti fuori, tranne Viola. Abbiamo qualcosa da dirci in privato, onde evitare problemi.»
Sospirando pesantemente, Maria si alzò dal materasso e si diresse verso l’uscita scuotendo il capo.
«Stai perdendo ogni capacità di giudizio, Ezio», commentò, amareggiata, dopodiché precedette Bartolomeo e Volpe sul corridoio, lasciando a loro l’onere di richiudere l’uscio.
«La detesto», soffiò Violante, facendo ridacchiare il Mentore.
«Non preoccuparti, non se n’è accorto ancora nessuno!»
Le fece segno di farsi più vicino e, alzandosi, Violante si premurò di sistemargli il cuscino sotto alla schiena. Lasciò scivolare gli occhi sul petto nudo di Ezio fino alle bende, alzandole appena per controllare la ferita.
«Lascia, sto bene.»
«Pare infetta», commentò lei, andando verso lo scrittoio e prendendo delle foglie mediche che il cerusico aveva lasciato la sera prima. Aiutò l’uomo a disfarsi delle bende, iniziando poi a curarlo. «Non male per una che zappa la terra, no?»
«Non ascoltarla, in questo caso ha parlato la gelosia», disse lui, storcendo il naso per il fastidio. «Maria è una brava donna, ma non sa controllarsi e risulta insopportabile ai più.»
«A tutti.»
«A tutti voi di certo.» A quelle parole, Ezio parve ricordarsi il discorso che aveva in testa quando aveva fatto uscire Maria, Bartolomeo e Volpe. «A proposito degli altri, ascolta bene ciò che ho da dirti perché sarà un segreto fra noi due.»
Viola alzò gli occhi nei suoi, annuendo poi a quelle parole.
«Non uscirà nulla da questa stanza.»
«Molto bene.»
A fatica, Ezio si tirò sui gomiti.
«Ora che Machiavelli è tornato a Firenze, sei l’unica di cui posso fidarmi, qui dentro.» Il suo tono uscì grave, pesante come mai prima d’ora. Tanto tagliente da far accapponare la pelle. «Sei la sola a essere nata al di fuori di quest’Ordine, la sola a cui i Borgia non hanno mai torto un capello. Loro non hanno interesse in te come tu non ce l’hai in loro, mi capisci?» Attese che la bolognese annuisse per proseguire. «Per questo sei l’unica che mi sento di escludere completamente dai miei sospetti. Ogni persona presente questa sera, per quanto mi sia amica e cara, potrebbe potenzialmente averci traditi. Da oggi in poi avrai un compito: sarai le mie orecchie tra i tuoi compagni. Annoterai ogni comportamento sospetto, ogni frase che si sbilancerà dalla neutralità. Nessuna eccezione, sono stato chiaro?»
Viola annuì lentamente, sorridendo amara.
«Quindi, infine, sono una spia?»
Ezio le prese il meno tra pollice e indice, sorridendole.
«La mia spia; lo fai solo a fin di bene. In mezzo a noi c’è un traditore che mette in pericolo tutti. Devi impegnarti a tenere al sicuro chi è intelligente.»
«Va bene», rispose lei, molto più risoluta. «Sarà fatto.»
«Bravissima. Ora ti conviene andare, o perderai la festa dell’Oste Corella!»
Viola finì di applicare le foglie sulla ferita di Ezio, prendendo poi delle bende lavate e appoggiando in un catino quelle appena rimosse. Tornò verso di lui, sistemandogli la fasciatura per bene.
«Non ho molta voglia, in realtà. Potrei tenerti compagnia qualche ora, così da capire appieno questa mia nuova mansione.»
«E Cristiano?»
«Cristiano non saprà nemmeno come si chiama, tra poco.»
Si scambiarono un sorrisetto, poi calò fra loro calò un leggero silenzio.
Da quel bacio sul Colosseo, Violante non era più tornata a scaldare le lenzuola di Ezio, il quale non aveva mosso alcuna obiezione o posto domande impertinenti.
Tra loro, però, non era mai venuta a mancare la sincerità.
«Posso farti una domanda?», chiese la bolognese, e lui asserì. «Cosa intendeva prima Maria? Cosa le ha portato via Borgia?»
L’espressione di Ezio mutò improvvisamente.
Se prima c’era un sorriso caldo a illuminargli il volto, di colpo una smorfia incupita gli aveva tolto ogni calore.
Abbassò lo sguardo sulla ferita un paio di volte, prima di rispondere.
Una volta schiuse le labbra, rimase comunque un istante a ponderare le parole.
«Non mettere troppo accanimento, nella tua crociata contro Maria», rispose, sforzandosi di tornare a sorridere per apparire divertito. Non ci riuscì molto, poiché i lineamenti duri del viso lo tradirono in un’espressione assai tirata. «A suo modo, vuole bene a ciascuno di voi. Cercate di convivere, quantomeno per mantenere la pace comune. Avete tante cose da imparare, l’una dall’altra.»
Violante sospirò, convinta che non avrebbe ricevuto una risposta. Si lasciò cadere all’indietro, stendendosi sulle gambe di Ezio e appoggiandovi la schiena.
Con gli occhi fissi contro il soffitto, la sua mente prese a vagare da sola.
Quando ritornò in sé, non sapeva nemmeno se si fosse assopita o meno.
Ezio sembrava preso dalla lettura di una lettera, che appoggiò accanto a sé quando notò che lei lo guardava.
«Cosa ti turba?»
«Tu dici sempre che tutto si risolverà e che tutto andrà bene», disse sottovoce la bolognese, mentre il Mentore prendeva una sua ciocca castana fra le dita. «Ma se non dovessimo capire chi è la spia? Se rivelasse una parola di troppo? Se ci assaltassero domani?»
Ezio, solitamente abituato a dispensare sorrisi di incoraggiamento e parole ricche di positività, non disse nulla di vagamente simile. Rimase in silenzio per istanti infiniti poi, con il cuore in mano e tutta la sincerità di cui disponeva, sussurrò piano tre semplici parole.
«Non lo so.»









   
 
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