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Autore: Lifaen    06/05/2014    0 recensioni
Salve a tutti! Come si può evincere dal titolo, la trama ruota attorno ad un gruppo di avventurieri che affrontano i demoni che infestano il loro mondo, nel tentativo di liberarlo. Spero vi divertiate a leggere questa storia come io mi diverto a scriverla! Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Keyleth risultava difficile credere che il misero omuncolo che stava di fronte a lei, appeso in catene e guardato a vista da Seldarine scelti nelle prigioni del monastero, fosse stato in grado di evocare un buleazu all’interno dei confini del tempio. La somma Mialee l’aveva mandata ad interrogarlo subito dopo la morte del mostro, in quanto era stato imprigionato dopo aver apertamente confessato di essere stato lui ad evocare quel demone, inframezzando alla confessione strane farneticazioni su una certa oscurità.
Tuttavia qualcosa a Keyleth non tornava. Se quell’uomo, che a sentire i resoconti dei sacerdoti era sempre stato un modello di virtù, avesse evocato veramente un buleazu, ciò sarebbe stato indice di una certa dimestichezza con quelle creature folli e distruttive, e probabilmente avrebbero potuto, e dovuto, accorgersi ben prima di un confratello avvolto da una forte aura demoniaca quale avrebbe dovuto essere. Ma dal povero uomo, circa sessant’anni, brizzolato, il volto rugoso distorto dalla follia, Keyleth non riusciva a percepire nulla di minaccioso; aveva solo la strana sensazione che non tutti i pezzi fossero al loro posto.
“Qual è il tuo nome?” chiese.
“Io… Io non ricordo. L’Oscurità… l’Oscurità dell’Abisso ha strappato via tutto” disse l’uomo. “Solo… solo ciò che dovevo fare è rimasto… Come l’Oscurità ha comandato.”
“Sei stato tu ad evocare il buleazu all’interno di questo tempio? Rispondi sinceramente, per favore” domandò Keyleth. Qualcosa evidentemente non andava in quell’uomo. Non aveva mai sentito nessuno ripetere in maniera così ossessiva una parola, come fosse il nome di qualche divinità irascibile.
L’uomo fu scosso da una risatina tremula.
“Sì… sì, sono stato io” disse. “Io ho evocato il demone, sono stato io. L’Oscurità richiedeva che la sacerdotessa morisse… Perché la sacerdotessa è pericolosa per l’Oscurità.”
“Continui a farneticare di questa oscurità” disse Keyleth. “Ma si è pericolosi per le persone, non per i concetti.”
Lo fissò negli occhi. Vi era indubbiamente follia in essi, ma questo già lo sapeva. Vi trovò paura, inquietudine, e… un indefinibile senso di colpa, sotto gli strati di pazzia del suo sguardo allucinato.
Sospirò. Se voleva ottenere qualche informazione, doveva evidentemente stare al suo gioco.
“D’accordo. L’oscurità ti ha detto che ero pericolosa per lei, e ti ha incaricato di uccidermi; e tu hai pensato di adempiere al tuo compito evocando un buleazu. È giusto?”.
L’uomo si affrettò ad annuire. “Sì… sì, è esattamente così. Questo è quello che l’Oscurità ha detto. La sacerdotessa… e l’albero. Dovevano morire.”
A quelle parole Keyleth si sentì quasi mancare. Non poteva essere…
“Albero? Che albero?” domandò, agitata.
“L’albero della sacerdotessa dai capelli bianchi… Lì giaceva il Cuore dell’Oscurità… L’albero doveva morire… Ed il Cuore sarebbe stato libero.”
Keyleth lasciò il vecchio alle sue folli farneticazione senza quasi accorgersene. Prima ancora di rendersene conto si stava facendo strada fra le occhiate stranite di sacerdoti e sacerdotesse senza nemmeno degnarli di uno sguardo.
Sono stata così stupida. Ho dato ascolto a delle farneticazioni senza senso ed ho perso tempo.
Non si capacitava di come non ci fosse arrivata prima. Qualcuno aveva manipolato i ricordi del vecchio portandolo alla follia, convincendolo di avere evocato il buleazu e poi a costituirsi, nonostante non avesse la benché minima aura demoniaca e non fosse minimamente potente quanto necessario per vincere i sigilli di guardia al monastero; e sempre quel qualcuno aveva inviato il buleazu ad attaccare Keyleth per distrarre l’attenzione da sé stesso, e, per essere ancora più sicuro di passare inosservato, aveva inscenato la montatura della confessione dell’anziano confratello. Così al sicuro, si era diretto verso l’albero dove la somma Mialee era solita pregare. La somma era semplice e terrificante. E Keyleth si maledisse per aver pensato di essere tanto importante: non era lei a dover morire in quanto pericolosa per quella strana oscurità di cui non comprendeva bene la natura. Era la somma Mialee.
Giunta davanti all’albero, la visione che le si prospettava era spaventosa. Una figura incappucciata da un mantello bianco stava davanti all’albero, con le braccia alzate. Ai suoi piedi, il corpo sanguinante dell’elfa dai capelli d’argento.
L’incappucciato dovette sentirla, perché si voltò verso di lei. Keyleth estrasse subito l’arco, per pura precauzione; ma l’altro si mise a ridere, mellifluo come l’ultima volta.
“A quanto pare ci rincontriamo, Keyleth Greenleaf. Spero che ti sia divertita a recitare la piccola sceneggiatura che ho pensato per te.”
Keyleth questa volta non si lasciò irretire. Credeva di capire cosa avesse provato Lifaen quando si era gettato in preda alla furia contro quel mostro, perché sentiva la stessa ira cominciare ad attecchirle dentro.
“Sei qui per l’Albero, vero?” domandò, tenendolo sempre sotto tiro.
L’altro scrollò le spalle, indifferente alla minaccia di essere un possibile bersaglio.
“Sì e no” ammise con tono annoiato. “L’albero in sé e per sé non m’interessa minimamente; ciò che conta è quello che vi è all’interno. Conosci la storia, sacerdotessa?”
Keyleth annuì. Doveva riuscire ad avvicinarsi abbastanza per prestare soccorso a Mialee. Probabilmente l’altro si dovette accorgere delle sue intenzioni, perché fece un cenno di diniego con l’indice.
“Non finché non avremo terminato la nostra conversazione. Detesto essere interrotto. Come immagino già saprai, tempo fa ho guidato un assalto contro questa città. E l’avrei anche conquistata, non fosse stato per l’interferenza della qui presente Mialee… Anche se immagino non vi resterà per molto.”
Quelle parole fecero aumentare ancora la rabbia che Keyleth sentiva di provare nei confronti dell’incappucciato. Ma si costrinse alla calma. Non era sicura di poter vincere, contro un simile avversario, e da morta non sarebbe di certo riuscita ad aiutare nessuno.
“Quella donna fece qualcosa che non avevo previsto… Ahimé, mi strappò via il cuore. Rimasi molto indebolito, ed io ed il mio esercito fummo costretti a ritirarci nell’Abisso. La Sacerdotessa Mialee rinchiuse il mio cuore all’interno di un albero, quest’albero per la precisione… per impedire che io potessi mai ritrovarlo, o anche solo raggiungerlo. Ma questa volta sono stato io a sorprenderla. Infiltrarmi è stato sorprendentemente facile. Nessuno sospetta mai che i pericoli più grandi possano indossare la forma meno appariscente” disse, levandosi il cappuccio dal capo e scoprendo il viso di una giovane ragazzina dai capelli castani.
Keyleth si sentì mancare il terreno sotto ai piedi.
Mari era l’incappucciato? No, non è possibile, me ne sarei accorta, se fosse stato così…
“Non essere così sconvolta, sacerdotessa. Sono un maestro nell’assumere altre identità, Mialee potrà confermartelo, se sarà ancora viva. Ovviamente questo non è il mio vero aspetto, ma non vedo necessità che tu scopra quale sia proprio ora.” Detto questo, le voltò le spalle e si diresse verso il gigantesco albero, scavalcando il corpo della Somma Sacerdotessa.
Keyleth non ce la fece più. Mormorando una veloce preghiera, scagliò verso quel mostro dall’aspetto umano uno dei suoi più potenti incantesimi divini, che però venne bloccato da uno scudo che le sembrò composto di veleno e pura tenebra. L’altro rise, i capelli castani che ondeggiavano mentre il viso di Mari si voltava verso di lei con un sorriso beffardo.
“Questo non è né il luogo né il momento adatto per combattere, sacerdotessa. Se non ti sbrighi, Mialee morirà…”
Aveva ragione, ovviamente. Keyleth si precipitò al fianco della Somma Sacerdotessa per prestarle le prime cure. Fortunatamente, constatò che era ancora viva. Mentre le offriva i primi soccorsi, teneva d’occhio anche il demone, che ormai era arrivato a meno di mezzo metro dall’albero e vi aveva poggiato la mano sopra.
Passarono alcuni momenti, poi Keyleth si stupì di sentire dall’essere provenire un suono sbigottito e sorpreso.
“Non è possibile…” lo sentì sussurrare, per poi voltarsi verso di loro. “Dov’è? DOV’È?” domandò, il tono sempre più minaccioso ed adirato ad ogni parola che pronunciava.
Per la prima volta, Keyleth ebbe paura. Nello sguardo che il volto di Mari le lanciò c’era una rabbia infinita: si sentiva come se potesse essere ridotta in cenere dal solo odio che percepiva le era riversato addosso.
Poi dall’esile corpo di Mialee, ancora coperto di sangue, sentì provenire un’esile risata.
“Mi… Mi dispiace, Void… Quello che cerchi non è qui… da molto… molto tempo, ormai…”
Ma che sta facendo, nobile Mialee? Lo provoca nelle condizioni in cui si ritrova? Pensò Keyleth sgomenta.
L’essere chiamato Void sollevò una mano, da cui partì un fulmine nero e violaceo, ma una rapida preghiera di Mialee fu sufficiente perché si infrangesse contro una barriera di luce divina senza che ne subissero alcun danno.
Void emise un urlo di rabbia e disse qualcosa in una lingua che Keyleth non riuscì a comprendere, poi svanì in una nuvola violacea di veleno demoniaco. Quasi simultaneamente, Mialee svenne di nuovo tra le braccia di Keyleth, che rimase immobile, stordita, prigioniera di una tempesta di eventi della quale sentiva di non comprendere appieno la portata.
  
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