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Autore: PrincessOfSpades    07/05/2014    1 recensioni
[Storia ispirata a un ipotetico post-Hades]
Un male ignoto sta nuovamente minacciando la Terra. Athena, la dea incaricata a combatterlo, ne viene al corrente tramite dei sogni oscuri.
Riportare in vita i suoi migliori cavalieri è il primo passo per preparare il mondo all'insorgere del male.
Ma esso si diffonde in fretta, sottoforma di anomale malattie.
Athena è costretta a chiedere aiuto al dio Asclepio, che sarebbe ben disposto a concederlo, se non fosse che la dea Giunone, intenzionata ad ostacolarli per problemi ben altro che nobili, non voglia dare loro ausilio.
Ma quando le speranze sembrano morire, ecco che l'aiuto inaspettato di un dio può risultare decisivo, e che la storia di una figlia della guerra non possa che risplendere di luce propria in tutta questa triste faccenda.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II 


Libano, Tobbaya.     1990 d.C .   12 Giugno a.m

“Ashtart!”
La bambina corse dal vecchio pastore, in mano stringeva un paniere vuoto. Il vecchio le porse un fagotto e lei lo infilò nel cesto.
“Questo è il tuo pasto e questo …” disse indicandone un altro “Questi sono formaggi, attenta che non si rovinino. Devi comprare con il ricavo queste spezie: curcuma, prendine un bel po’; con quello preparerò un ottimo curry. Ajowan, semi di papavero, paprika e del rafano. Tutto chiaro?”
“Curcuma, papavero, paprika, rafano e … ajowan” ripeté la bambina contando le spezie con le dita della mano.
“Esatto. In più questo è del latte appena munto. Lo devi vendere a Bassam. Mi sono già accordato per il prezzo, capito?” le disse infilando i formaggi e il latte nel paniere.
“Va bene”
“Ora vai, non gongolare; cerca di tornare prima dell’arrivo del vespro”
“Sì!” rispose lei coprendosi la chioma castana, acconciata in una coda, con un tessuto a motivi floreali.
La bambina uscì dalla casa di legno con un sorriso stampato in volto. Le piaceva scendere giù in città. La strada era un po’ lunga ma ne valeva la pena; per non parlare di quando aveva visto un cervo scendere dall’altro lato della collina, in lontananza, con al seguito il cucciolo e il consorte.
“Farida!” esclamò sorpresa.
“Ma che ci fai qui, non è l’ora di mangiare!” rimproverò la piccola capra sorpresa ad essersela data a gambe dal recinto, e presa per la collottola, la condusse dentro la staccionata di legno. Si voltò compiaciuta e pronta per partire, quando sentì maggiare accanto a sé. E al di fuori della recinzione, ad essere precisi.
“Oh, Hanan!” si voltò verso la capretta nera con una smorfia di supplica. Ripeté lo stesso procedimento con lei e ridacchiò salutandola con un: “Ciao Erbetta!”. Yussef le aveva dato quel nome ridicolo. Ricordò quando lui la sentì per la prima volta soprannominarla Hanan.
‘ “Hanan? Ma che razza di nome è?!” ‘
In realtà vi erano dei buoni motivi per cui l’aveva chiamata in quel modo: prima di tutto, le faceva tenerezza il fatto che fosse l’unica nera e poi il suo pelo ispido le ricordava tanto i ricci corvini di Hanan, sua sorella …
D’altro canto l’anziano Yussef si era affacciato alla finestra per accertarsi che quella perdigiorno si peritasse di partire alla svelta. La trovò a salutare la capra nera. –Con quell’assurdo nome per giunta!
“Ashtart!” la richiamò, portandosi una mano alla bocca.
“Prima dei vespri!” le ricordò con una nota di rimprovero.
“Vado subito!” sentì rispondere dalla bambina.
La vide correre giù per il sentiero quando un pensiero gli balenò in testa.
“Ashtart!” la richiamò. Ahstart si voltò facendo sballottare pericolosamente il paniere.
“Prendi anche del pane!”
La bambina annuì e Yussef chiuse un attimo gli occhi per riprendersi dallo sforzo.
La vista, pur correggendosi un pochino con l’avanzare del tempo, era vecchia pure quella, e stanca.
‘ “Come ti chiami?” le aveva chiesto. Sembrava molto triste e questo lo fece sentire come il cattivo della situazione.
“ Da oggi ti chiamerò Ashtart, come la dea antica. Il tuo nome me l’ha ricordato e io le sono molto devoto. D’accordo, Ashtart?”
“ Va bene, signore” ‘
Scosse la testa: stava invecchiando proprio male; si era rammollito come del burro al sole di Primavera. Tuttavia quella bambina aveva portato una ventata di freschezza e gioventù, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
‘ Sahar … che razza di nome è Sahar?”
 
Sahar rincorse l’ombra di un volatile planare giù per la collina.
Si fermò dopo poco e si parò con una mano dal riverbero del sole, in modo da poter guardare l’ombra sfuggente sorpassarla in un battibaleno. Sahar avrebbe voluto avere delle ali come quelle; per potersi librare nel cielo sopra i suoi boschi di Cedri e sopra le montagne rocciose, e poi migrare per altri luoghi dalle splendide cascate e foreste traboccanti di nebbia, impervi sentieri e vasti deserti. Si chiese cosa l’avrebbe riservato il destino; se avrebbe abbandonato le capre di Tobbaya o se sarebbe diventata la moglie di un pastore. Sahar se lo chiese, prima di ricapitolare ciò che doveva comperare. E senza che se ne accorgesse arrivò alle porte di Saida.
Le vie della città brulicavano di un vivace via-vai di persone e le grida dei venditori spaventavano il bestiame che si aggirava, agitato, per la città a fianco del proprio padrone.
Senza perdere tempo Sahar vendette i formaggi a buon prezzo e prese le spezie, comprò il pane e cercò il banco di Bassam. Questi, appena la vide, le regalò un sorriso che tanto lo contraddistinguevano.
“Piccola Rim, anche oggi di corsa?”
“Buongiorno, signor Bassam. No … oggi no” rispose imbarazzata la bambina. Quando Bassam l’aveva vista correre trafelata al suo banco, una mattina, le prime volte che veniva a portargli il latte, aveva pensato a una gazzella. Una gazzella dalla pelle estremamente chiara per il sole vivido del Libano, perciò l’aveva soprannominata “Rim”, da quel momento.
“Sono poche,  però la prossima volta, quando le mucche rimarranno incinte, ne porterò una dozzina col carretto” lo informò la bambina porgendogli delle bottiglie.
“Sei sicura di poterle portare sin giù da Tobbaya?” le chiese in un mezzo sorriso, prendendo in consegna il latte.
Sahar  torse le braccia all’indietro ed esitò un attimo prima di rispondere.
“Il pastore Yussef non è stato molto bene in questo periodo”
“Capisco. Vedi di non farti del male. Ecco; questi dalle a Yussef e porta queste” si raccomandò dandole delle monete nel palmo della manina e porgendole poi una cassetta di bottiglie di vetro vuote.
“Grazie”
“Tieni piccoletta, ma non dirlo a Yussef” aggiunse l’uomo dandole una pagnotta di pane sfornato quella mattina.
Sahar le rivolse uno sguardo avido ma non rispose.
“Forza, prendila. E adesso sparisci”
La piccola la cacciò nel paniere ormai pieno e gli sorrise felicemente.
“Grazie signor Bassam”
“Porta i miei saluti a Yussef!” la salutò quest’ ultimo.
Sahar annuì e si accinse a ritornare a casa. Nel cielo, il sole resisteva -ed avrebbe resistito ancora per molto, prima di scomparire dietro le colline alle spalle della città; e tornando a casa Sahar avrebbe potuto godere di un bellissimo tramonto.
Si fermò vicino a un vicolo a pochi passi dal banchetto di Bassam e si sedette su una vecchia cassa di legno. Era l’ora di punta al mercato e prima di affrontare il viaggio di ritorno decise di concedersi un pasto per recuperare le energie.
Yussef le aveva dato del pane e del formaggio e Sahar lo addentò a piccoli morsi.
‘Il signor Bassam è stato tanto gentile!’ pensava mentre lanciava occhiate alla pagnotta fresca, assaporando in anticipo la sua crosta in un tramonto lucente su un prato, attorniata dai suoi animali.
All’improvviso, una folta chioma corvina attirò il suo sguardo. Le passò accanto e Sahar drizzò il capo.
Poteva essere che …
“Hanan?” chiamò con un nodo in gola.
La ragazza si girò e assottigliò lo sguardo.
“Sahar?!” esclamò sgranando gli occhi e sistemandosi in fretta il vestito all’altezza della scollatura.
“Hanan!” ripeté la bambina alzandosi con un balzo e allacciando le braccia alla vita della sorella. Affondò il viso nelle pieghe del vestito. Era profumo di Hanan, profumo di casa.
Hanan accarezzò con cautela le ciocche di capelli che sfuggivano al fazzoletto della sorella, poi la scostò bruscamente.
“Sono stupita anche io di vederti, ma adesso staccati” le intimò, girando attorno lo sguardo in maniera furtiva.
“Che fine hai fatto?” le chiese poi incrociando le braccia.
“Lavoro per il pastore Yussef”
“Ti ha venduto a un pastore,ah! E Sanaa?”
“Non lo so” le rispose, offesa in qualche modo da quelle parole. Non le piaceva il modo con cui si riferiva a sua madre.
La sorella maggiore sollevò le sopracciglia con sufficienza, poi si lasciò cadere sulla cassa di legno e si passò una mano fra i riccioli.
“Beh, cos’è che stavi mangiando?” indagò studiando il contenuto del paniere.
“Pane e formaggio”
Hanan  lo prese in mano e cominciò a mandare giù i bocconi sotto lo sguardo di Sahar.
“Ce n’hai ancora?” le chiese dopo che ebbe finito.
Sahar tirò fuori la pagnotta che Bassam le aveva regalato, la osservò triste mentre vide portarsela via in fretta dalle mani ambrate della sorella.
“Hanan, perché … perché non porti il velo?” le chiese mentre quest’ingurgitava il pane, staccando rudemente i pezzi di mollica.
“Non te l’ha insegnato il tuo pastore che i cristiani non portano questo genere di indumenti?” le rispose alzando gli occhi minacciosamente.
C’era qualcosa di strano in Hanan, una sorta di animale inferocito si agitava in lei, e Sahar non sapeva come definirlo.
“Papà e mamma dicevano che non è prudente mostrarsi senza velo per i cristiani, di questi tempi …”
“Mamma e papà non ci sono più ora, e comunque sono sciocchezze”
Sahar si tastò istintivamente il tessuto che le copriva la testa.
“E’ stato un piacere rivederti” disse Hanan leccando le ultime briciole rimaste sulle dita.
“Ora devo andare”
“Hanan!”
“Se torni da queste parti a quest’ora, potremmo incontrarci”
Sahar annuì con forza. “Qui, all’ora di punta” ribadì; come se volesse ricordare un sogno evanescente, sul punto di essere dimenticato.
“Qui all’ora di punta” ripeté Hanan pulendosi la gonna dalle briciole.
Sahar raccolse il paniere quando Hanan si girò.
Sentiva il petto cedere sotto i battiti del cuore. Hanan … la sua sorella adorata.
“Stammi bene. Ah, prima che me ne dimentichi; portami ancora qualcosa la prossima volta”
“Mi sei mancata”. Il volto di Hanan si contrasse per un secondo in uno sguardo intenerito.
 
Così, i giorni passarono.
Sahar e Hanan s’incontravano spesso sotto i raggi caldi del mezzodì. Talvolta la sorella minore si chiedeva se avesse potuto rincontrare le altre sorelle, in una promessa celata sotto i tetti di legno marcio del vicolo vicino al banco di Bassam, come per Hanan.
Successe, tuttavia, che il vecchio Yussef lasciò questo mondo, una sera di Luglio; una sera fresca e illuminata da uno splendido cielo pieno di astri. Morì nel sonno, all’improvviso.
‘ “Ashtart, vieni qui” . Il vecchio era appoggiato alla finestra della sua camera.
A Sahar era venuto un accidente quando si era recata lì guidata dal richiamo.
“Dovete stare a letto!”
“Sono vecchio, sciocchezze! Adesso avvicinati, che devo dirti una cosa importante”
“Ma …” tentò di protestare lei.
“Avanti, smetti di fare storie e avvicinati!”
Sahar non voleva farlo arrabbiare, sarebbe stato ancora più male. Così ubbidì.
“Questo cielo mi accompagna da tutta la vita, Ashtart”
La bambina seguì lo sguardo del vecchio fino alle stelle.
“A me il cielo pare sempre lo stesso” sussurrò lei.
Yussef, a quelle parole, aggrottò le sopracciglia.
“Hai ragione; è sempre lo stesso. Eppure questa notte le stelle paiono più luminose, non trovi?”
Sahar guardò le stelle. Erano le stelle, e se ne stavano al loro posto di sempre.
Notò gli occhi lucidi del vecchio. Forse, le vedeva più luminose dalla vista sfuocata.
“Sì, sono più luminose” aveva però risposto, per far felice Yussef.
“Anche i tuoi occhi, bambina, mi ricordano le stelle”
“Sono scuri, non brillano i miei” obbiettò Sahar mortificata, ripensando al suo riflesso sui piatti di rame.
Il vecchio non rispose, sembrava assorto da lontani ricordi.
Egli chiuse gli occhi, abbozzando un sorriso.’
Poche ore dopo, sotto  quello stesso cielo, Yussef morì.
Successe anche che le sue caprette, Hanan, Farida e tutto il bestiame, finirono nelle mani di un uomo dalle spalle forti e le mani anchilosate, invecchiate precocemente dal lavoro. Pianse molto, quel giorno.
In poco tempo, Ashtart lasciò il casolare.
Fu affidata ad un contadino che abitava lì vicino. Era rimasto vedovo da poco e non aveva esitato nel prendere altra forza lavoro a gratis.
E dalle belle colline Di Tobbaya, scese nelle campagne sottostanti con un carretto e dei caci freschi; all’interno un vestito di cotone grezzo, color pesca e dei fazzoletti colorati.
Fu sistemata su un giaciglio di paglia, nella cantina; umida e fredda.
Vi era molto lavoro da sbrigare, ma Ashtart lo compiva senza lamentarsi. Il suo unico punto di riferimento era diventata la sorella Hanan. Ma da quando le era stato proibito di incontrarla era difficile imbatter visi, a volte si salutavano con la mano, fugacemente.
Quando successe, la bambina era stata accompagnata da Walid, uno dei figli dispotici di Hassam, il contadino, poiché quest’ultimo aveva notato che la bambina tornava a volte con qualcosa in meno del dovuto nel paniere di vimini sfilacciato.
‘ “Sciagurata, sei un’ingorda, ti porteranno via i diavoli per la tua gola insaziabile, miserabile!” l’aveva picchiata col bastone, ma non era servito a niente; perciò aveva mandato Walid.
“E muoviti!” le aveva ringhiato spintonandola nel traffico mattutino del mercato.
Ashtart aveva stretto forte i ogni e serrato gli occhi, per non rispondergli. L’ultima volta che l’aveva fatto l’aveva picchiata. Così cercò d’intrufolarsi meglio fra la gente, mentre Walid imprecava.
“E’ tutta colpa tua, brutta mocciosa” sbuffava in continuazione.
Il fato volle che fosse lasciato indietro da questa; siccome era molto più grande e imponente, non riuscì a seguire la bambina farsi largo tra la folla.
Quando lei se ne accorse, era ormai molto più avanti.
Forse fu per dispetto, e giacché in ogni caso l’avrebbe sgridata ferocemente al ritorno, pensò di portare del formaggio a Hanan.
Era l’ora di punta e la sorella maggiore aspettava impazientemente seduta sulla cassa di legno.
Quando la vide arrivare si alzò velocemente.
“Cominciavo ad aver fame, eccoti, Sahar!” lei era l’unica che la chiamava col suo nome, adesso.
“Oggi devo fare in fretta, tieni, prendilo tutto!”
“Ma sei sicura? Non ti riproveranno?” chiese Hanan, assalita da un lieve senso di colpa.
“Non ti preoccupare” la rassicurò l’altra con una smorfia.
“Vedrai che quando guadagnerò abbastanza soldi ti porterò via da lì”
Era quella la speranza della bambina. Le sorrise grata.
Ma all’improvviso sgranò gli occhi con terrore. Come era possibile che l’avesse trovata in così poco tempo?
“Ecco dove ti nascondi, sciocca bambina; a nutrire i topo di questa città!”
Walid le era venuto incontro minacciosamente.
“La piccola Rim? L’ho vista correre a perdifiato da quella parte” mimò con disprezzo.
Sahar non voleva crederci. Bassam, il gentile Bassam, l’aveva inconsapevolmente condannata alla cattiveria di quella serpe.
“Scappa finché puoi allora, ‘Piccola Rim’” la minacciò.
Prima che potesse pensare di solo tentare, il ragazzone le strattonò il braccio pesantemente.
Hanan si oppose a tanta violenza gratuita.
“Ehi, lasciala stare, le fai male, non vedi?!”
Walid non si era certo risparmiato e l’aveva spinta con malagrazia.
“Stai zitta tu, sgualdrina”
All’inizio Sahar non aveva compreso del tutto il significato di quella parola, ma lo capì successivamente, quando ritorno alla fattoria e Walid rivelò a suo padre che condivideva il cibo con una prostituta dei bassifondi, apostrofandola con termini volgari.
Sahar era stata picchiata, tanto, molto più delle altre volte. Le avevano dato della sporca ingrata e a nulla era servito rivelarli la loro parentela, anzi; ciò li mandò ancora più in bestia.
Non aveva osato per un bel pezzo  incontrarla, e il contadino a mandarla giù in paese, sostituendola con il figlio più piccolo. Ma quando quest’ultimo accusò una spossatezza che culminò in una febbre molto alta, il padre, dopo averlo infamato per la sua sciagurata gracilità, fu costretto a mandare Sahar.
La bambina, aveva acquistato un viso a dir poco ceruleo e stanco alla notizia, ma si era promessa di parlare alla sorella per delle spiegazioni. Non riusciva a credere alle parole del contadino e di Walid.
Riuscì ad imbattersi in lei. Non la stava aspettando nel solito posto, stava attraversando il vicolo e la colse mentre questa ebbe un conato di vomito.
“Hanan”
La sorella si alzò da terra. I riccioli erano impiastrati e scomposti, le occhiaie molto evidenti. Si teneva la schiena. Sahar capì.
“Hanan, tu hai un bambino in pancia”
“Non posso tenerlo” era stata la sua risposta. “Tranquilla, so come cavarmela”
Sahar apprese che non era la prima volta che accadeva, e che Hanan abortiva ogni volta. Così, era riuscita a dare una spiegazione al malessere della sorella, al seno fin troppo sviluppato, al vomito …
Aveva cercato di persuaderla, inutilmente.
Un giorno, verso la fine di Agosto le aveva portato più cibo del solito. Ad Hanan si era risollevato il morale e aveva consumato tutto con gusto. Si era offerta di farle una treccia.
“Fammi vedere i tuoi capelli, Sahar, sono curiosa”
Le aveva fatto una treccia -la bellissima treccia, che le aveva promesso.
Sahar aveva pensato che potesse essere un’ottima madre, con quell’abilità nell’acconciare i capelli.
“Come lo vorresti chiamare?” le aveva domandato.
“Cosa?”
“Il bambino”
“Non lo chiamo”
“Ma se dovessi farlo?”
Hanan ci pensò un attimo, un velo di tristezza negli occhi.
“Mi piacerebbe una bambina. Rana, forse”.
“E’ un bellissimo nome” disse Sahar sognando la bambina più bella del mondo; dai boccoli neri e le guancette rosee.
E poi, Luglio era passato, così come adesso Agosto, preannunciando Settembre.
Sahar si trovava al mercato; era una giornata calda, una degli ultimi sprazzi dell’Estate,
Era vicino al banco di Bassam, davanti a un emporio.
Si fermò pochi secondi. C’era qualcosa di strano nell’aria cittadina quella mattina, eppure, tutt’intorno vi era il solito vociare e il belare e muggire del bestiame; le ruote sulle lastre di pietra, lo scampanellio delle vesti …
“Al riparo, tutti al riparo!” gridò all’improvviso un uomo fra la folla.
Sahar fece in tempo a vedere a chi appartenesse quella voce che l’uomo cadde a terra in una pozza di sangue, un pallottola dritta nel petto.
Urlò. E non solo lei, ma tutto il mondo sembrò urlare.
Grida e grida si sovrapposero fino a confondersi in un battito di ciglia. Sahar corse, corse verso il vicolo dove si sarebbe di lì a poco incontrata con Hanan, verso il suo unico punto di riferimento.
Quando il paniere s’impigliò durante la corsa si decise a mollarlo. Una voce imprecò,e  udì due colpi di pistola. Sentii un uomo accanto a lei accasciarsi a terra, morto.
Corse più veloce, senza voltarsi.
“Cacciamo gli infedeli, cacciamo i cristiani!”
Sahar sussultò; lei era cristiana, lo era” Però portava il velo, forse non l’avrebbero presa si mira.
‘Hanan, Hanan’ lei non lo portava!
Mentre svoltava l’angolo che la separava da lei, sentii delle grida. Quelle di sua sorella.
“Puttana!” sentì ringhiare da una voce mentre una mano l’afferrava per la gola al muro.
Un colpo, e tutto vacillò.
La bambina si resse alla parete, davanti a lei Hanan si riversò a terra; i ricci si bagnarono di sangue, gli occhi sbarrati, fissavano un punto lontano. Un particolare si ripercosse per mille volte nella sua mente: Hanan che subiva il colpo, che portava una mano più in basso, sulla pancia e  poi che cadeva giù.
 
Dohko, aveva erroneamente creduto che sarebbe ritornato al Santuario prima del previsto.
Si sbagliava.
Era passato dal Libano, per monitorare la situazione, e proprio mentre si trovava a Saida era rimasto coinvolto in un attacco da parte di una fazione estremista contro i Cristiani.
Aveva trovato corpi morti, sangue, pezzi di stoffa, verdure … e poi, aveva avvertito una presenza. Aveva seguito la traccia fino a trovare una bambina stretta alle proprie ginocchia, che si dondolava singhiozzando sommessamente. L’ennesima vittima della guerra.
“Piccola, sei da sola?” le chiese, anche se quello che avrebbe voluto chiedere era: ‘Ti è rimasto qualcuno?’
La bambina non aveva riposto; era scoppiata a piangere.
Dohko sentì una forte fitta al cuore, e senza pensarci due volte le tese una mano.
“Afferra la mia mano piccola, ti porterò da qualcuno in grado di farti stare al sicuro, qui vicino.” C’era una persona che gli doveva un favore, ora che gli era venuto in mente.
La piccola l’afferrò senza speranza, come un’ancora di salvezza gettata a un disperato. Chi non ha più speranze, si aggrappa a tutto pur di non rimanere nel suo stato; non ha più nulla da perdere.
“Ecco, bravissima” le disse, aiutandola a tirarsi su.
“Come ti chiami, bambina?”
“Ashtart” sussurrò questa, dopo un attimo di esitazione.
 
A proposito del capitolo II
Molto probabilmente starete odiando questi cambi di nomi, aggiunti a carrellate di altri che non vi ricorderete certo più. Non posso darvi torto ma devo ammettere di avere una vera e propria mania coi nomi. E ho dato il meglio di me in questa storia ... comunque sia, ho da fare una precisazione riguardo il capitolo:
- Il contesto, e quindi la guerra civile in corso, è stata una scelta dettata dal volere un personaggio di quelle terre (di cui ho una grande passione), nel momento opportuno. La storia è storia e io mi sono dovuta adattare. In quegli anni si è verificata veramente una guerra civile, mi sono documentata. Se in qualche maniera vi è potuto sembrare offensivo, specifico subito che è stato per esigenze di trama: non ho nulla contro nessuna religione: sono convinta del fatto che la guerra è guerra, ed è brutta SEMPRE. Se ho scelto la religione del protagonista come cristiana è solo per comodità e per mia ignoranza, perché la conosco meglio; e comunque mi interesso poco di religione, quindi quel poco che sarà descritto sarà solo e soltanto per necessità stretta.
Prendete questa storia solo come vuole essere, ossia a livello narrativo. Non cercate significati nascosti, non ne troverete.
Ah, io ci metto tutto l'impegno possibile nel riguardare il capitolo ed eventuali errori di battitura, tuttavia non posso promettervi che non me ne scappi qualcuno ... in tal caso mi scuso in anticipo e v'invito a segnalarmeli :)
Alla prossima,
PrincessOfSpades



 
  
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