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Autore: Laylath    08/05/2014    3 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 60. Operazione salvataggio.

 

Kain capiva subito quando tra i suoi genitori qualcosa non andava.
In genere non si trattava di fatti importanti: magari sua madre era turbata e non ne aveva ancora parlato o viceversa, ma erano tutte questioni che venivano risolte nell’arco di una giornata. A rifletterci il bambino non aveva mai visto i suoi genitori litigare tra di loro.
Per questo, quando entrarono in camera per dargli la buonanotte, capì immediatamente che c’era qualcosa di sbagliato. Suo padre rimase accanto alla porta, la mano sull’interruttore della luce, e gli rivolse appena un sorriso in risposta al suo saluto. Sua madre gli sistemò il pigiama, assicurandosi che la lieve fasciatura alla gamba fosse in ordine, e poi gli rimboccò il lenzuolo con aria pensosa. Persino il bacio sulla fronte fu dato in maniera molto distratta.
Come la luce fu spenta e la porta chiusa, Kain rimase ad occhi aperti, abituandosi al lievissimo chiarore proveniente da sotto la porta, ed iniziò a riflettere.
Mentre i suoi genitori discutevano con quelli di Vato, Roy e gli altri gli avevano raccontato quanto era successo. Aveva immediatamente capito che la questione era molto grave e aveva altresì ritenuto che fosse necessario che ci pensassero gli adulti. Tuttavia, quando qualche ora dopo era tornato a casa con i suoi, nessuno aveva detto niente. E suo padre era stato molto elusivo nel rispondere alle domande.
“Vedrai che tutto si sistemerà, Kain.”
Ma per la prima volta la voce non gli era sembrata rassicurante e quel silenzio con sua madre la diceva lunga: era dura ammetterlo, ma gli adulti non erano infallibili, nemmeno i suoi genitori.
Ripensò con dolore a Riza: la ragazza l’aveva abbracciato, ma era così sconvolta e prosciugata;  aveva ricambiato quella stretta con tutto se stesso, cercando di darle tutto il sostegno possibile, tutta la forza di cui disponeva.
Però non basta… non è giusto. Perché la devono far piangere così?
I suoi pensieri vennero interrotti dalle voci al piano di sotto. Era strano, ma capì immediatamente di cosa si trattava: i suoi genitori stavano discutendo nello studio di suo padre proprio sotto la sua camera da letto. Tese l’orecchio ma non riuscì a capire molto e dunque, sicuro che stessero parlando di Riza, decise di fare una cosa non da bravo bambino.
Silenziosamente scese dal letto, uscì dalla stanza e, arrivato nel soggiorno, si accostò alla porta semiaperta dello studio per osservare la conversazione.
“Adesso cerca di calmarti, Ellie – disse Andrew, posato di schiena contro la libreria, le mani in tasca e l’aria profondamente stanca – sembri un animale in gabbia.”
La donna continuava a camminare avanti e indietro per la stanza, tormentandosi le mani. A quella frase del marito si fermò e gli lanciò un’occhiataccia.
“Ce la stanno portando via, lo capisci? E tu sei lì fermo a non fare niente.”
“Non dirlo nemmeno per scherzo, ma in questo momento sono con le mani legate. Domani parlo con mio padre e vedo cosa è possibile…”
“Domani? Dovevamo portarla a casa con noi già da stasera: era terrorizzata, non l’hai vista?”
“Ellie, non capisci che dobbiamo essere prudenti? – Andrew si staccò dalla libreria e la prese per le spalle – Una mossa falsa e ci giochiamo Riza: noi non abbiamo alcun diritto legale su di lei, portarla a casa sarebbe quasi un rapimento.”
“E’ già stata da noi.”
“Finché si trattava di suo padre si poteva fare, ma qui stiamo parlando di suo nonno. A lui la bambina interessa e di certo non passerebbe sopra simili iniziative… e quanto ci potrebbero costare, Ellie? Forse le poche possibilità che abbiamo di tenerla.”
“Ti odio… dannazione, Andrew, ti odio. Sto impazzendo di disperazione mentre tu riesci a stare calmo. Perché il mio destino è di restare sempre a guardare con impotenza?”
“Amore mio, ma di che impotenza parli? – Andrew la baciò in fronte – Sei una delle creature più forti e meravigliose del mondo e ne hai dato ampia prova. La mia vita non ha senso senza di te.”
“Andrew, te ne supplico – sospirò lei – non permettere che portino via la nostra bambina.”
“Ellie, ti giuro che farò il possibile, tenterò ogni mossa… ma non ti posso promettere niente. E non guardarmi così, meraviglia, mi sento già un mostro a non poterti dare nessuna certezza… ma sarebbe peggio se ti illudessi per poi fallire.”
“Non possono farlo – Ellie iniziò a piangere, aggrappandosi alla camicia del marito – non possono…”
“Sssh, vita mia, adesso cerca di calmarti. Sei stanca e la cosa migliore è andare a sdraiarci anche noi. Domani sarà una giornata impegnativa… e soprattutto cerchiamo di non spaventare troppo Kain, va bene?”
A quell’ultima frase il bambino abbassò la testa, vergognandosi profondamente di aver ascoltato quella conversazione. Ma subito, mentre risaliva le scale, si rese conto che la situazione era davvero grave e che Riza rischiava di essere portata via senza che i suoi genitori potessero fare qualcosa.
 
Proprio perché sentivano questa incertezza da parte degli adulti, i ragazzi decisero di fare fronte comune contro la minaccia che incombeva sull’amica. La mattina successiva si incontrarono nel cortile della scuola, ormai deserto da quasi due mesi, e fecero il punto della situazione.
“Semplice – disse Roy, mettendosi a braccia conserte – la rapiamo e la teniamo nascosta finché non se ne vanno via.”
“Cosa? – esclamò Vato, impallidendo – E’ un piano che non ha nessuna possibilità di funzionare.”
“Ne hai qualche altro in mente?”
“No, però…”
“Sentite – proseguì il moro, rivolgendosi a tutti – devono stare qui per altri due giorni, oggi compreso: il tempo necessario per risolvere le questioni della vecchia miniera. Poi dovranno andare via: il nonno di Riza è un grado elevato dell’esercito e non si potrà trattenere, i suoi doveri lo richiameranno ad East City.”
“Dici che se ne andrà?” chiese Kain speranzoso.
“Ovviamente, e quando non ci sarà più noi faremo uscire Riza dal nascondiglio ed il gioco è fatto.”
“Mi piace, ci sto!” esclamò Jean con foga.
Ovviamente anche Kain era favorevole a quell’espediente, ma Vato ed Heymans erano molto dubbiosi.
“Roy, questo mi sembra tanto un altro viaggio clandestino ad East City – sospirò il più grande – ti scopriranno e finirai nei guai, lo so.”
“E metteremo nei guai anche i nostri genitori, specie quelli di Kain – aggiunse Heymans – non hai sentito il resoconto della conversazione che hanno avuto? Una mossa sbagliata e perdono anche le poche possibilità che hanno.”
“E dunque devo aspettare che gli adulti se la sbrighino da soli? Quando sembrano rassegnati all’idea di lasciarla andare? – Roy si girò verso il rosso con aria profondamente indispettita – Ti dico una cosa, Heymans Breda, proprio come tu sei riuscito a cacciare via tuo padre, io riuscirò a cacciare via quell’uomo e a tenere Riza qui. Chi mi vuole aiutare è il benvenuto, altrimenti tanti saluti!”
“Io sono con te, Roy – Kain lo afferrò per una manica – stanne certo.”
“Non avevo mai avuto dubbi su di te, gnomo. Adesso dobbiamo pensare ad un posto dove nasconderla.”
 
Nel momento stesso in cui si progettava il suo rapimento, Riza cercava di fare colazione, ma il suo stomaco era troppo chiuso per riuscire a mandare giù qualcosa: si limitava a guardare la sua tazza di latte che, mano a mano, si raffreddava, un primo strato di panna che andava a formarsi sulla superficie.
Aveva dormito pochissimo quella notte, rigirandosi di continuo, pregando che qualcuno venisse a dirle che era solo un brutto sogno. Hayate le era andato vicino e si era lasciato abbracciare, offrendole tutto il conforto possibile, ma in quel momento lei avrebbe voluto che ci fosse Ellie a consolarla. Il giorno prima avrebbe dato chissà cosa per poter tornare a casa assieme a loro.
Sapere che erano di nuovo in paese le dava un minimo di sollievo, tuttavia iniziava a rendersi conto del divario che c’era fra loro e lei: nessun legame di sangue. A lei non importava assolutamente, ma intuiva che per decidere il suo destino era un fattore veramente importante.
Con un sospirò allontanò la tazza da sé.
Avrebbe voluto parlare con suo padre, domandargli…
Non so nemmeno io che cosa vorrei chiedergli.
Del resto, da parte di una persona praticamente estranea che cosa poteva pretendere? Probabilmente da un certo punto di vista stava facendo, per la prima volta, qualcosa per lei. Peccato che fosse qualcosa che Riza non voleva: suo nonno non gli sembrava una cattiva persona, tutt’altro, ma era un completo estraneo ed aveva il timore che andare con lui volesse dire trovarsi nella medesima prigione che aveva tenuto chiusa sua madre per tanto tempo.
Non voglio ridurmi così. Io voglio stare qui… è qui che ho la mia vita, le persone che amo.
“Non glielo permettere, per favore… per favore, mamma…”
Quella frase che aveva detto le rimbalzava nella testa: non si era resa conto di aver chiamato in quel modo la signora Fury. Il solo pensiero la faceva arrossire e vergognare: per quanto fosse chiaro che ormai fosse come una seconda figlia per quelle persone, non era mai arrivata a dirlo esplicitamente.
Hayate iniziò ad abbaiare, distogliendola dai suoi pensieri, e andò verso la porta per uscire in cortile: dalla sua agitazione si capiva che c’era qualcuno che stava arrivando. Qualsiasi visitatore sarebbe stato gradito: i volti amici la aiutavano a sentirsi più protetta e sicura.
“Signora Fury!” esclamò, andando verso la donna che attraversava il cortile.
“Ero così preoccupata – sospirò Ellie abbracciandola – piccola mia, come hai passato la notte? Sei riuscita a dormire un po’?”
“No, e quando mi addormentavo mi svegliavo quasi subito.”
“Hai mangiato qualcosa?”
“Stomaco chiuso.” scosse il capo lei, portandosi una mano alla pancia.
“Capisco. Forza, vieni, ti preparo una camomilla e poi ti metti a letto.”
“Non si deve prendere questo disturbo, sul serio.”
“Andrew è andato a parlare con suo padre – spiegò Ellie, mentre si faceva condurre in cucina – vedrà quello che si può fare per impedire di portarti via. No, decisamente questo latte non va bene, adesso ci penso io.”
Mentre la donna armeggiava ai fornelli, Riza si sedette e iniziò ad osservarla. Solo dopo qualche secondo si rese conto di un importante dettaglio.
“E’ la prima volta che una donna sta qui dopo mia madre.”
A quelle parole Ellie si girò sorridendole.
“Ti dà fastidio?”
“No. Però… ieri mi sono lasciata davvero andare e le vorrei chiedere scusa per…”
“Per quella parola?”
“Non mi dovevo permettere.” sospirò lei.
“Permettere? Perché usi una simile parola? – Ellie le si accostò e le prese il viso tra le mani – Che c’è da vergognarsi se è quello che sono per te?”
“Proprio adesso che mi porteranno via? E’ stata una prigione per mia madre, lo sarà anche per me… non voglio essere un’ammenda per un errore del passato.”
“Faremo di tutto per impedirlo, tesoro, fidati di me.”
Fidarsi, era l’unica cosa che Riza poteva fare. Anche se sapeva che, oggettivamente, c’erano poche possibilità, aveva una fiducia cieca in Ellie ed in suo marito. Quegli adulti l’avevano protetta e accudita durante l’emergenza della piena, ma anche nella vita di tutti i giorni: per un naturale istinto era arrivata a considerarli fondamentali.
Se devo fidarmi… posso farlo con voi due.
Faceva comodo pensarlo e dopo tutto lo stress accumulato fu quasi automatico obbedire docilmente a quanto le diceva Ellie. Bevette la sua camomilla e si fece condurre nella camera da letto. Come una bambina piccola si fece togliere le scarpe e sistemare sotto le coperte.
“Non riesco… – mormorò, impressionata dalla propria fragilità – non… non riesco a reagire.”
“Devi solo stare tranquilla.”
“Lei ce l’ha fatta – lo sguardo degli occhi ambrati si portò verso la foto sul comodino – ma… ma è uscita da una prigione per entrare in un’altra. Non voglio avere il suo stesso destino.”
Ellie prese la foto e la contemplò con aria pensosa per diversi minuti.
“C’è tanta malinconia nel suo sguardo –ammise – ma c’è anche tanta felicità nel tenerti in braccio, da madre posso capirlo benissimo. Non sei stata la sua prigione, Riza.”
“Voglio solo scoprire che è stato un pessimo incubo!” singhiozzò lei.
Rimase a mormorarlo fino a quando non si addormentò, le dita di Ellie che le accarezzavano i capelli in un gesto pieno di conforto. Non si accorse nemmeno di quando la donna si alzò e andò via.
Questa volta il suo sonno fu decisamente più pesante e rilassante, non si rese conto delle ore che passarono. A svegliarla fu una mano che la scuoteva con gentilezza e per qualche secondo pensò che si trattasse di Ellie.
“Ben svegliata, colombina – sorrise Roy – spero che tu abbia riposato davvero bene: sono le quattro di pomeriggio passate. Coraggio, alzati e preparati.”
“Scusa? – fece lei stropicciandosi gli occhi e non realizzando quanto stava succedendo. Vide che c’era anche Jean che armeggiava con la sua tracolla, levando i libri di scuola – ma che… Jean, che fai con la mia roba?”
“I libri non ti servono, ragazzina, mettici piuttosto qualcosa di pesante: a dormire all’aperto potresti avere freddo, anche se porteremo una coperta.”
“Dormire all’aperto? Coperta? – scosse il capo, mentre scendeva dal letto e quasi inciampava in Hayate – Ma che…?”
“Il cane viene con noi?” chiese il biondo.
“Ovviamente –  annuì Roy, poi si rivolse a Riza – ti portiamo al sicuro, colombina. Anche se sembra un rapimento, in realtà è un salvataggio.”
 
 Se Vincent avesse saputo cosa stava combinando Roy avrebbe cercato di fermare quell’ennesima follia.
Tuttavia quel pomeriggio aveva deciso di accompagnare Andrew a casa di suo padre in modo da poter considerare quello che si poteva fare per trattenere Riza in paese. Ma, come aveva presupposto, la situazione non era per niente a loro favore.
Il vecchio notaio scosse il capo con tristezza mentre posava la schiena sulla comoda poltrona del suo studio.
“Mi dispiace, Andy – sospirò – ma c’è ben poco che tu possa fare.”
“Niente?” chiese Andrew con aria incredula.
“La bambina non ha alcun legame di sangue né con te né con Ellie; non c’è nessuna tutela legale che possiate avvallare nei suoi confronti.”
“Trattarla come figlia non basta? Darle l’amore che le serve mentre suo padre nemmeno la considera non conta proprio niente?”
“Calmo, figliolo.”
“Calmo – l’uomo sorrise con amarezza – non ho fatto altro che ripeterlo a mia moglie, ieri sera. Di stare calma, ma adesso scopro che nemmeno io ci riesco… diamine, papà, siamo riusciti a liberare Laura ed i ragazzi da quella bestia di uomo, come possiamo cedere davanti a questo…”
“Andrew – Vincent gli mise una mano sul braccio – quell’uomo, hai detto bene, era una bestia. C’erano tutti i motivi per allontanarlo dal paese. Ma qui la situazione è differente: stiamo parlando del padre e del nonno della bambina… e quell’uomo parla di portarla ad East City e tenerla con sé. Non sta mettendo in pericolo la sua incolumità, lo capisci?”
“Certo, perché Riza è un pupazzo che può essere preso e portato via come meglio si crede? Dannazione, nessuno pensa a quanto ha passato quella bambina? Proprio adesso che sta finalmente godendo un’infanzia felice devono venire a portarla in un posto sconosciuto, dove si sentirà sperduta.”
“Sai bene che non sono queste le cose che la legge considera, per quanto possa apparire ingiusto e insensibile – disse il notaio, alzandosi e andando davanti al figlio – qualunque legale darebbe ragione al nonno di lei, non dimenticare che stiamo parlando di un militare, un grado elevato per giunta.”
“Mi sono informato – annuì Vincent – quell’uomo in breve diventerà molto potente. Ad East City è in piena ascesa e si dice che presto diventerà il Generale del distretto dell’Est. Capisci contro chi stai combattendo, Andrew?”
L’uomo scosse il capo con ostinazione, passandosi poi una mano tra i capelli arruffati.
“Non mi sono arreso… io ed Ellie non ci siamo arresi quando il medico ci ha detto che Kain era destinato a vivere solo poche ore. Il destino ha voluto che Ellie non potesse avere altri figli dopo quel parto disastroso e poi è arrivata Riza: non permetterò che qualcuno porti via a mia moglie la bambina… che la porti via a me!”
Batté un pugno sulla scrivania, mettendoci tutta la rabbia che aveva in corpo.
La scossa di dolore si riversò sul braccio per andare ad esplodere nel cervello.
“Andrew!” lo chiamò Vincent, cercando di calmarlo.
“Scusate – sospirò, tornando lucido – io…”
“Andrew! – Ellie entrò di corsa – Riza è sparita!”
“Sparita? Che cosa?”
“Sì – lei gli afferrò la manica della camicia – l’avevo lasciata addormentata questa mattina ed ora, come sono andata a controllare che stesse bene, non c’è più… e nella sua stanza ci sono i cassetti aperti e diverso disordine che prima non c’era. E manca anche il suo cagnolino.”
“Scappata? – Andrew scosse il capo non riuscendo a credere che la ragazzina facesse una cosa simile – Mi pare assurdo.”
“Dannazione – sbottò Vincent – questo sì che è un problema. Speriamo che suo nonno non se ne accorga.”
“Cerchiamo di ritrovarla – mormorò Andrew, prendendo tra le braccia la moglie che aveva iniziato a singhiozzare – potremmo chiedere ai ragazzi: forse loro conoscono i posti dove potrebbe essere andata e…”
Si bloccò perché vide Vincent fare una strana smorfia.
“O è molto più probabile che i ragazzi siano coinvolti in questa fuga.” dichiarò il capitano.
 
“Dove stiamo andando?” chiese Riza, girandosi a guardare il paese che si faceva sempre più piccolo: non si era mai spinta così lontano nei suoi vagabondaggi e iniziava ad avere paura. L’improvvisata di Jean e Roy non le aveva dato il tempo di obbiettare, ma ora iniziava a preoccuparsi e a capire che gli adulti si sarebbero preoccupati molto per quella fuga. La parte responsabile di lei pensò immediatamente al dispiacere che avrebbe provato la signora Fury nel non trovarla in casa e il cuore le si strinse.
“E’ un vecchio rifugio, dovremmo camminare ancora per parecchio – spiegò Jean, tenendola per mano ed incitandola a camminare – lo conosciamo solo io ed Heymans, fidati che lì non ti troveranno mai.”
“E perché Roy non è venuto con noi?”
“Perché così lo saprò solo io dove stiamo andando, capisci? Meno persone lo sanno meglio è, nemmeno Roy ha voluto che glielo dicessi, tanto chiederanno prima a lui.”
“Jean, siamo sicuri che funzionerà?”
“Insomma! – il biondo si fermò e la prese per le spalle – Vuoi davvero andare con quel vecchio?”
“No! Ma quando mai!”
“Il tuo posto è qui con noi, Riza, lo sai bene. E stiamo facendo di tutto per te, fidati: vedrai che tra qualche giorno quelli andranno via e allora potrai tornare in paese. L’importante è che tu stia nascosta in questi primi momenti: vedrai che gli impegni non tratterranno a lungo quei militari.”
“I tuoi genitori non saranno per niente contenti quando scopriranno quanto state facendo.”
“E allora?” Jean riprese a camminare con noncuranza, sistemandosi meglio la tracolla che stava trasportando.
“E allora? Finirai nei guai; se stasera non rientri a casa…”
“Oh, per un’amica questo e altro – sorrise con sfacciataggine – e non dimentichiamo che sei anche la miglior amica di Reby. E poi ho assaggiato così tante volte la cintura di papà che una in più non fa la differenza. E se è il prezzo per farti restare qui, lo pago più che volentieri.”
“Siete una banda di matti…” rispose al sorriso lei, sentendosi improvvisamente bene.
Chissà perché quel folle piano dei suoi amici la faceva sentire al sicuro.
“Non ne abbiamo mai fatto mistero. Forza, adesso dobbiamo tagliare per questi campi: ci vuole ancora una mezz’ora buona di cammino.”
 
Forse quando aveva progettato il viaggio clandestino ad East City Roy aveva lasciato molto all’improvvisazione. Ma in questo caso aveva calcolato tutte le eventualità, deciso a non correre nessun rischio per la buona riuscita del piano.
Di conseguenza, quando il capitano Falman gli venne incontro per strada e gli ordinò di seguirlo a casa sua non ne fu per niente sorpreso. Così come non fu sorpreso di trovare Vato, Kain ed Heymans seduti nel divano con aria profondamente preoccupata.
“Signori.” salutò, rivolgendosi a tutti gli adulti presenti e andando a sedersi in mezzo ai suoi amici.
“Adesso che ci sei anche tu – iniziò Vincent – e non ho dubbi che sei il promotore di questa idea malsana, vi farò la domanda una sola volta: dove avete portato Riza?”
“Non lo so.” alzò le spalle con noncuranza.
“Idem.” sospirò Vato, lanciando un’occhiata preoccupata al padre.
“Come sopra.” ammise Heymans.
“Nemmeno io lo so – spiegò Kain – non lo sa nessuno di noi.”
“Kain, questo non è un gioco – disse Andrew squadrando con severità il figlio – per favore, ragazzi, non abbiamo tempo da perdere. Dov’è Riza?”
“Non lo sappiamo – ripeté Roy – potete anche punirci, ma è la verità. Nessuno dei presenti lo sa.”
“Nessuno dei presenti… Heymans, dov’è Jean?”
“Non lo so.” il rosso distolse lo sguardo da Andrew e si mise a fissare con ostinazione il pavimento.
“Ti credevo un minimo maturo…”
“E’ il solo modo che abbiamo per difenderla, signore – mormorò il ragazzo – per quanto rischioso o sconsiderato, non ci resta altro. Non permetteremo che la portino via.”
“Ragazzi – Vincent, si mise la mano sulla testa, non riuscendo ad essere davvero arrabbiato davanti a quel disperato tentativo di aiutare la loro amica – stiamo cercando di fare il possibile. Capisco le vostre intenzioni e sono degne di lode, tuttavia…”
“Kain – Ellie interruppe il discorso, per accostarsi al bambino e prenderlo per le braccia – in nome del cielo, capisci che se scoprono che Riza è scappata sarà anche peggio?”
Il bambino abbassò lo sguardo davanti alla madre.
“Vi ho sentiti ieri sera… a te e papà intendo. Non ti ho mai sentito dire che lo odi.”
“Odiare? Oh no, tesoro, se hai sentito bene sai che non è stato detto seriamente e…”
“Non l’hai mai detto nemmeno per scherzo – la interruppe – e sei spaventata e anche lui. Non sapete se potete aiutare Riza…”
“Se non funziona col vostro modo, allora funzionerà col nostro.” dichiarò Roy, passando un braccio attorno alle esili spalle del bambino, come a fornirgli sostegno.
“Riza è con Jean – spiegò Vato – lui la proteggerà e non la lascerà sola.”
“E’ tutto qui?” chiese Rosie.
“Tutto qui.” annuì il ragazzo.
La situazione era davvero di stallo: il piano di Roy era così freddo e spietato che non lasciava alcuna possibilità di compromesso. Nessuno di loro sapeva realmente dove si fossero cacciati i due ragazzi e considerata la vastità dei nascondigli nei dintorni era davvero improbabile trovarli nell’arco di poco tempo.
“Mi complimento con te, Roy Mustang – commentò Vincent, sedendosi al tavolo e mettendosi a braccia conserte – un piano perfetto, degno di un grande stratega. No, non guardarmi con aria offesa, sono sincero: mi ha colpito questa tua intelligenza. Nessuna possibilità di confessione perché i presenti non sanno niente, tu per primo. Vi siete messi nelle mani di Jean, fidandovi ciecamente di lui. L’unica domanda che ti pongo è questa: hai reso partecipi i tuoi amici dei guai a cui potreste andare incontro?”
“Sì, lo sappiamo bene – annuì lui – e siamo disposti a pagarne le conseguenze.”
“Non parlo di me o dei genitori di Kain. Come lo spiegherai a quei militari?”
A quella dichiarazione i ragazzi si scambiarono occhiate cariche di disagio.
“Possono arrestarci?” chiese flebilmente Kain.
“No – scosse il capo con decisione Roy – non possono.”
“E allora che ci possono fare?” chiese ancor il bambino con aria spaventata.
“Non vi faranno niente, Kain – sospirò il capitano alzandosi in piedi – i vostri genitori, ossia noi, faranno in modo che nessuna colpa ricada su di voi. Strano, vero? A volte potersi fidare degli adulti non è sbagliato.”
 
Mentre calava la sera, Jean finiva di sistemare il piccolo rifugio dove lui e Riza avrebbero trascorso i prossimi giorni. La ragazza si guardò attorno: era di una piccola grotticella, profonda nemmeno cinque metri, nascosta così bene tra le colline che non l’aveva vista fino a quando l’amico non l’aveva spinta dentro.
Sedendosi all’ingresso, mentre Hayate le si accoccolava in grembo, la ragazza assaporò la brezza serale e si sentì finalmente libera da tutta l’angoscia che l’aveva logorata fino a qualche ora prima. Davanti a quel panorama, a quella quiete, era impossibile non provare un senso di sollievo.
“Niente male come posto, vero? – sorrise Jean, raggiungendola – l’ho scoperto per caso quando avevo dodici anni e mi divertivo ad esplorare assieme ad Heymans.”
“E’ fantastico – ammise lei – non credo di essere mai stata così vicino alle montagne. Guarda, lassù si vede ancora la parte di parete che si è staccata a febbraio, durante la piena del fiume.”
“Già, sembra passato un secolo, vero?”
“Se ci penso mi fanno ancora male le mani.”
“Hai trasportato almeno trenta sacchi, non te l’ho mai detto, ma stavo tenendo più o meno il conto.”
“Mi sono sembrati mille, è stata la giornata più sconvolgente della mia vita.”
“Ti ho ammirata tanto quel giorno, sai? Sembravi sempre sul punto di cedere, eppure non hai mollato fino all’ultimo. Come aveva detto, Heymans? Abbiamo le stesse mani, no?”
“Già, le stesse mani.”
Con un gesto del tutto spontaneo posò la testa sulla robusta spalla del biondo. Si era dimenticata di quanto potesse essere solida e rassicurante la sua presenza: forte eppure placida come quella campagna.
“Non credo che Rebecca ne sarà gelosa – ridacchiò Jean – ma è meglio che non lo venga a sapere.”
“Credi che si arrabbierà per il fatto che siamo solo in due?”
“Naaah! Lei vuole che stai in paese come tutti quanti, e poi io dormirò fuori dalla grotta.”
“Ma prenderai freddo – protestò lei – e dentro c’è spazio per entrambi. Jean, sul serio, stai già facendo tanto per me…”
“Io nell’angolo sinistro e tu nel destro, sia ben chiaro – arrossì lui – per quanto tu sia una specie di sorella non mi va di averti appiccicata come Janet.”
“Non potrei mai – sorrise lei. E poi dopo una decina di secondi aggiunse – Mi dispiace per i signori Fury: saranno tremendamente in pensiero.”
“Vedrai che a quest’ora sapranno che sei con me e saranno più tranquilli. E sono sicuro che nel frattempo che siamo nascosti troveranno una scappatoia.”
“Lo spero tanto.”
“Vanno benissimo per te, lo sai? E poi credo che al nanetto serva una sorella maggiore… in fondo lo eri già quando lo difendevi da me, a scuola.”
“Povero Kain – sorrise tristemente Riza – doveva essere così felice di essersi levato il tutore e di non aver più bisogno della stampella. E ora è così spaventato per me… non merita tutto questo.”
“Il nano è quello più determinato a difenderti, fidati.”
“Non vedo l’ora che tutto finisca.”
Jean annuì e rimasero per qualche minuto in silenzio
“Sarebbe voluto venire Roy – disse ancora il biondo all’improvviso – ma io conosco la campagna meglio di lui e alla fine ha scelto me.”
“Perché me lo dici?” chiese Riza, girandosi verso di lui.
“Perché credo che sia giusto che tu lo sappia – dichiarò Jean, guardando pensoso l’ombra di un albero poco distante da loro – Coraggio: adesso vediamo di arrangiarci qualcosa da mangiare. Abbiamo saccheggiato la dispensa di casa tua, mi sa.”
Riza sorrise mentre l’amico si alzava e andava a frugare nella borsa.
Sentiva che quella serata estiva era davvero meravigliosa.
  
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