Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Nat_Matryoshka    09/05/2014    7 recensioni
Dal testo;
"Fin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata, Lyanna era sempre stata una ragazza forte, una guerriera più che una lady del Nord. Vinceva tornei (sotto mentite spoglie, è vero, ma un torneo l’aveva vinto), si batteva come un ragazzo, cavalcava, tirava con l’arco… non aveva mai visto né incertezza né paura tenderle i lineamenti, anzi sembrava non esserci posto per quei sentimenti in lei, almeno quando erano insieme. Era la sua lady di Ghiaccio: forte, pura, indomabile.
Fino a quando non aveva scoperto di essere incinta del suo terzo erede."

[What if: e se la Battaglia del Tridente avesse avuto un esito completamente diverso? Se Rhaegar e Lyanna fossero sopravvissuti e avessero avuto la possibilità di incontrarsi di nuovo, insieme ad Aegon e a Jon?]
Storia completamente revisionata!
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
 

Questa volta le note dell’autore sono in fondo al capitolo, miei prodi nuovi lettori. Non vi anticipo nulla, se non che il capitolo è un po’ più lungo del primo e che la storia inizia a muoversi, per cui… buona lettura!
 
 
 
 
 

“Are you strong enough to stand
Protecting both your heart and mine?”

 
[Florence + The Machine – Heavy in Your Arms]
 
 
 
 
 
 
 

“Lo zio di vostra moglie è pronto, Vostra Grazia. Diecimila dorniani stanno risalendo la Strada del Re, presto saranno qui per unirsi alle nostre truppe, come vostro padre ha richiesto. I ribelli riceveranno un benvenuto consono.”
 
Il tono di Jaime Lannister era quello di sempre: fermo, attento, fiero di portare notizie che, secondo lui, avrebbero risollevato il morale del suo signore. Il ragazzo era entrato da poco nella Guardia Reale ma già si dimostrava un membro di tutto rispetto, nonostante la sua giovane età e lo scetticismo di alcuni membri più anziani, come Lord Selmy. Ma in tempi come quelli, chi avrebbe potuto impedire ad un ragazzo dotato di tanta buona volontà di servire il suo re e il principe ereditario?
Rhaegar aveva abbandonato tutti e se n’era andato. La giovane lupa del Nord, la figlia di Lord Rickard Stark doveva avergli gettato addosso un qualche incantesimo da selvaggi delle foreste, se era riuscita a convincerlo ad abbandonare il reame e a seguirla in quella fuga verso il Sud, così mormorava la gente. Si, doveva essere per forza così, aveva riflettuto il ragazzo tra sé e sé, mentre scortava il principe lungo le stanze del castello, verso la sala del Trono. Rhaegar Targaryen era un uomo eccezionale, un cavaliere pieno d’onore… probabilmente la ragazza si era resa conto di essersi spinta troppo in là con lui e aveva piagnucolato qualcosa sul fatto che suo padre e il suo promesso sposo non ne sarebbero stati felici, così da costringere il principe a lasciarla da qualche parte e poi tornare alla sua vita e al regno, così com’era giusto che fosse.
Non che fossero affari suoi, comunque: ciò che decideva il principe restava legge, lui non avrebbe potuto farci nulla. Le stesse parole che Lord Barristan gli aveva rivolto qualche tempo prima, quando re Aerys aveva deciso di amministrare la giustizia a modo suo.
Si morse le labbra per trattenersi dal riferire al Giovane Drago quanto era successo tempo prima nella sala del Trono. Non voleva turbarlo ulteriormente prima del tempo.
 
La situazione, comunque, stava migliorando: Lord Selmy aveva radunato le truppe, Robert Baratheon era stato sconfitto dai Tyrell e la sua baldanza sembrava cedere pian piano, per quanto le sue doti di guerriero fossero leggendarie. E ora il principe era tornato, mentre il re dava l’ordine di far passare altre truppe dal Sud e i loro alleati di Dorne si sarebbero uniti alla causa contro i ribelli di Robert. Se gli Déi erano ancora dalla loro parte, la vittoria era già stata scritta.
 
“Vostro padre vi sta aspettando. Sapeva che avreste incontrato la principessa Elia questa mattina, per cui non vi ha messo fretta… vi attenderò qui fuori, Altezza. Se doveste aver bisogno di me, sapere dove trovarmi.”
 
“Ti ringrazio, ragazzo.” L’ombra sotto gli occhi di Rhaegar non gli piacque, ma la interpretò come un segno dell’inquietudine che provava all’idea di incontrare suo padre dopo quello che era successo con la Stark. In fondo, tutti conoscevano la tempra di re Aerys, il Re Folle.
 
“Più tardi vorrei parlare con te, se mio padre non ha altri compiti da farti svolgere lontano da qui. Posso contare sulla tua collaborazione?”
Jaime non poté trattenersi dal sorridere, anche se lo nascose subito. Non era consono alla situazione.
 
“Certamente, Vostra Grazia. Sarò qui ad aspettarvi.”
 
 

 
 

***
 
 
 
L’incontro con Elia era stato di breve durata: le sue cameriere l’avevano avvertito che la principessa non stava bene e sarebbe dovuta restare a letto, ancora provata dalla nascita dell’ultimo figlio. La donna era sempre stata di salute cagionevole, ma l’ultima gravidanza in particolare l’aveva lasciata stremata, senza forze, a detta dei Maestri e dei guaritori che Rhaegar aveva chiamato già da tempo al suo capezzale. Probabilmente non avrebbe più potuto dargli eredi, l’avevano avvisato; notizia davanti alla quale il principe aveva chinato la testa, il pensiero che tornava irrimediabilmente verso Lyanna e l’altro figlio che aspettavano entrambi. Le teste del Drago sarebbero state tre, dopotutto.
 
Quando li avevano lasciati soli, non era riuscito a far altro che prenderle una mano e guardarla riposare senza svegliarla, improvvisamente a corto di parole. Elia, però non dormiva e non aveva intenzione di rimproverarlo, né di accusarlo per quella fuga, il suo buon carattere e l’amore che provava nei confronti del marito glielo avevano impedito; si era limitata a tendere una delle mani sottili dalla carnagione scura verso il viso chiaro del principe, chiedendogli di prendere in braccio Aegon per portarglielo e assicurarsi che stesse bene.
Per quanto le cameriere e le dame di compagnia avessero insistito con lei perché prendesse una balia per allattare il figlio, la principessa aveva sempre rifiutato, preferendo nutrire al seno entrambi i bambini. Un gesto d’amore che nessuna di loro riusciva a spiegarsi, ma che Rhaegar capiva fin troppo bene: erano la sua famiglia, le uniche due creature che potesse sentire veramente sue, i figli nati dall’unione con un uomo che amava e che non la ricambiava in pieno. Con loro, non si sentiva mai sola.
Improvvisamente, mentre porgeva il piccolo Aegon VI Targaryen a sua madre, Rhaegar sentì le sue seppur esili certezze vacillare tutte insieme, come se una scalinata di pietra si sgretolasse sotto ai suoi piedi.
 
Non parlarono della sua fuga, non discussero di nulla che riguardasse il regno o la situazione del momento. Elia trascorreva le giornate tra il letto e la terrazza della sua stanza, era stata esonerata da qualunque riunione o impegno pubblico e viveva costantemente sorvegliata dalle cameriere, per timore che le sue condizioni di salute potessero improvvisamente peggiorare. Non c’era bisogno di rimarcare ulteriormente su questioni che l’avrebbero solo fatta soffrire di più… non quando lui aveva una guerra a cui pensare, delle battaglie che lo attendevano e che rendevano il loro futuro, se possibile, ancora più incerto.
Si era limitato ad assicurarsi che fosse assistita e curata e a restare per un po’ in sua compagnia, mentre ascoltava le servette delle cucine scherzare con la piccola Rhaenys, che sembrava averne combinata un’altra delle sue insieme al gattino nero che si portava sempre dietro. Elia gli aveva parlato di quanto la figlia fosse cresciuta nel poco tempo in cui non era stato con loro, di come Aegon avesse imparato, finalmente, a dormire una notte intera di filato, delle chiacchiere di palazzo, degli ultimi messaggi di suo fratello Oberyn… piccoli dettagli quasi insignificanti, ma che dimostravano quanto la donna tenesse al giudizio del marito. Alla fine si era addormentata, lasciando a Rhaegar il compito di rimettere Aegon nella culla, ricevendo una carezza sul viso da parte del marito e un pensiero rapido prima che la porta si chiudesse dietro di lui: così come voleva la sicurezza di Lyanna, non avrebbe lasciato che qualcuno facesse del male a Elia Martell di Dorne e ai loro due bambini.
 
Poco dopo, mentre lasciava i suoi appartamenti per recarsi verso la sala del Trono di Spade, aveva incontrato Jaime Lannister. Era stato lui a metterlo a conoscenza di come si stesse evolvendo la situazione della guerra, staccando la sua mente da qualunque pensiero sereno avesse potuto formulare durante quel tempo trascorso con la moglie.
Avevano percorso i corridoi senza scambiarsi altre parole, ognuno occupato nei propri pensieri, ognuno con le idee che prendevano direzioni diverse. Jaime lo aveva lasciato davanti alla porta della sala del Trono, gli aveva promesso di attenderlo lì al suo ritorno, poi si era congedato, allontanandosi di qualche metro per lasciare spazio al principe. Spazio per raccogliersi, prima di affrontare il re? Chissà.
Per quanto non fosse un uomo particolarmente religioso, in quel momento Rhaegar sentiva il bisogno di rivolgere una preghiera ai Sette Déi, come gli aveva insegnato sua madre da bambino. Avrebbe chiesto al Guerriero di dargli la forza e al Padre di illuminare il cuore del suo affinché lo ascoltasse in ciò che aveva da dirgli, nonostante sapesse che non sarebbe stata un’impresa facile… per questo, avrebbe invocato anche gli Antichi Déi di cui Lyanna gli aveva parlato, sperando in un loro intervento. Sperando che lo ascoltassero.
 
Lyanna... L’aveva lasciata pochi giorni prima, eppure già gli mancava come se non la vedesse da un secolo intero. Aveva dato l’ordine a tre membri della Guardia di vegliare su di lei, ma saperla così lontana, alle prese con una gravidanza per niente semplice lo spaventava più di quanto potesse effettivamente rendersi conto. Chiuse gli occhi per un attimo e il suo primo pensiero fu per lei, per il suo sorriso, per il modo in cui l’aveva stretto a sé prima di lasciarlo andare via. Rafforzò la sua preghiera, sfiorò le sue labbra con la mente e sperò che, in qualunque modo, quel pensiero potesse arrivarle.
Quando li riaprì, davanti a lui c’era ancora la porta della sala del Trono, imponente, minacciosa.
Era solo una porta, e suo padre era solo un uomo, dopotutto.
 
Si fece coraggio e la varcò.
 
 
 

***
 
 


Aerys Targaryen, secondo del suo nome, sedeva sul Trono di Spade, il viso magro e scavato dalle rughe rivolto verso l’ingresso, gli occhi che accompagnavano il figlio in ogni suo movimento.
 
“Avete richiesto la mia presenza, padre?”
 
Il giovane principe si mosse verso il centro della sala, i muscoli fastidiosamente tesi dal nervosismo. Ogni incontro con il padre gli provocava reazioni di quel genere, da qualche anno a quella parte: la vena di pazzia che aveva caratterizzato molti dei suoi antenati sembrava essersi presentata anche in lui, nonostante la promessa di un lungo periodo di pace nei primi anni del suo regno.
Il padre che gli restituivano i suoi ricordi di bambino era un uomo risoluto ma gentile e affascinante, anche se spesso preda di accessi d’ira. Un uomo ben diverso da quello che lo stava continuando a fissare dalla cima del trono forgiato da Aegon il Conquistatore, lo sguardo acceso da una luce di sospetto, gli occhi viola nascosti da folti ciuffi di capelli bianco-argentei e dalla corona che indossava sul capo, il cimelio appartenuto ad Aegon IV.
Di quel padre, Rhaegar aveva avuto paura. Aveva temuto per la salute di sua madre, sempre più sofferente, per quella del suo fratellino Viserys, un bambino di neanche dieci anni che la donna cercava di proteggere dagli attacchi di rabbia del marito, fin troppo frequenti… ma non poteva tirarsi indietro, non ora che la sicurezza di tante persone dipendeva da lui.
 
“Sei qui per rispondere delle tue azioni, Rhaegar? Di fronte a me, piuttosto che davanti agli Stark e a Robert Baratheon?”
 
Aveva colto immediatamente il punto della situazione, senza lasciargli spazio per introdurre il discorso. Il principe chinò il ginocchio a terra in segno di rispetto e rivolse lo sguardo al genitore, tentando di mantenere il contegno tranquillo e distaccato che si era prefissato prima di entrare.
 
“Si padre, ma non è la questione che mi preme di più. Lyanna Stark sta bene e mi ha seguito di sua spontanea volontà, il mio non è stato un rapimento, né mi sarei mai permesso di farle violenza. In questo momento si trova a Dorne, protetta da alcuni dei miei migliori cavalieri, ma la situazione non potrà restare così all’infinito. Ho intenzione di prenderla come mia seconda sposa, ma devo prima incontrare Lord Stark e suo figlio Brandon.”
 
Alle sue parole seguì un silenzio impenetrabile, pesante, tagliente come le spade che brillavano nella luce che filtrava dalle vetrate. Suo padre continuò a fissarlo, gli occhi viola puntati in quelli scuri del figlio, poi scoppiò in una risata fragorosa, inaspettata. Sinistra.
 
“Vuoi davvero conferire con Rickard Stark e suo figlio? Vuoi parlare loro della tua preziosa sgualdrina del Nord? Allora dovrò chiedere ai servi di chiamare le Sorelle del Silenzio e farmi portare l’urna del vecchio e il cadavere del figlio, dato che la loro esecuzione ormai è avvenuta da un bel pezzo.”
 
Rhaegar restò paralizzato per un attimo. Le parole di Aerys non davano adito ad equivoci, eppure ancora non riusciva a capacitarsi di quanto aveva appena ascoltato. Esecuzione?
 
Il re proseguì, incurante dello sguardo sconvolto sul viso del principe.
 
“Brandon Stark è venuto qui per minacciarti assieme all’erede di Arryn, mentre eri lontano. A minacciare il principe ereditario, capisci? Il loro futuro re, il prossimo che siederà sul Trono di Spade! Pensavi che avrei potuto far passare impunito un affronto del genere? No che non potevo… per questo, quando Stark mi ha chiesto giustizia tramite un duello, ho scelto il fuoco come sfidante. È stato il fuoco del drago a decretare la sua colpevolezza, mentre il figlio guardava e tentava di salvarlo. Voleva proteggere un traditore della Corona, un uomo che non avrebbe esitato ad uccidere il suo principe!”
 
Gli occhi di Aerys erano febbrili. Aveva iniziato ad accompagnare le sue parole con i gesti, le mani adunche afferravano l’aria con rabbia.
 
“Hanno avuto ciò che meritavano: nessuno può sfidare la stirpe del Drago. Avevo chiesto che anche Eddard Stark e Robert Baratheon mi venissero consegnati, ma Jon Arryn ha preferito rifiutarsi e iniziare questa stupida ribellione, che comunque non porterà a nulla. Le nostre truppe riusciranno a respingerli, ora che anche i dorniani sono dalla nostra parte la sconfitta è esclusa… e il Drago potrà continuare a regnare, come ha sempre regnato. Come ha sempre regnato.”
 
Calò di nuovo il silenzio, ancora più doloroso del precedente. Ma Rhaegar non aveva intenzione di farlo protrarre più a lungo.
Si avvicinò al padre e finalmente, dopo anni passati ad evitare lo scontro, lo fronteggiò apertamente: dimenticò per un attimo di trovarsi al cospetto del re e si alzò, guardandolo negli occhi, con tanta forza disperata da stupire se stesso.
 
“Pensavo che un re avesse l’obbligo di proteggere i propri sudditi, non di disporre delle loro vite come preferisce. Che vi è accaduto, padre? La mia mancanza poteva essere rimediata tramite un atto di diplomazia, ma ora che le cose si sono messe in questo modo, come faremo ad evitare la guerra? Gli Stark vorranno vendicare l’uccisione di due loro membri. I Baratheon chiedono la mia testa per quanto è avvenuto con Lyanna… e ora anche gli Arryn hanno un motivo per proseguire con le ostilità.”
 
Si accorse di tremare. Il loro non era più il colloquio tra un principe e il re, assomigliava piuttosto ad uno scontro tra un figlio incredulo che cerca di riportare sulla via della ragione un padre uscito di senno. Suo padre non sembrò accorgersene: gli occhi viola erano vacui, saettavano dal figlio alla porta d’ingresso alle pareti della stanza, quindi di nuovo al figlio. Non sembrò accorgersi nemmeno che Rhaegar, in un impeto di disperazione, lo aveva afferrato per le spalle, scuotendolo appena per costringerlo a farsi guardare negli occhi.
 
“Padre… vi prego, cercate di ragionare. Possiamo ancora rimettere le cose a posto, ma dobbiamo agire in fretta… dobbiamo marciare verso il sud del Tridente e scontrarci con le truppe dei ribelli, ma abbiamo ancora la possibilità di vincere e di evitare una strage inutile. Quello che accadrà dopo… sarà la sorte a deciderlo, per ora non abbiamo potere in merito. Ma promettetemi che cercherete di proteggere la città e il nostro popolo. Siete il Protettore dei Sette Regni. Lo dovete a tutti loro.”
 
Per un attimo, gli sembrò di aver visto una minuscola scintilla di comprensione accendersi negli occhi del padre. Un istante dopo, però, l’uomo lo allontanò da sé, colpendo il viso del principe con una delle mani sottili e nodose, le lunghe unghie che tracciavano una striscia sulla sua guancia.
 
“Vuoi rimproverarmi per quanto ho fatto per te? Per te e la tua famiglia, per tua madre, per tuo fratello? Gli Stark mi hanno affrontato e io ho amministrato la giustizia, non è questo che dovrebbe fare un re? Rickard Stark ha bruciato all’interno della sua armatura, il fuoco era il mio campione e gli Déi lo hanno giudicato colpevole, punendolo. Suo figlio Brandon è morto nel tentativo di salvarlo… se fosse stato veramente innocente, avrebbe ottenuto la salvezza. Questo è stato il volere degli Déi: chi minaccia un membro della famiglia reale deve pagare. E tu, in tutto questo, osi accusarmi di essere un cattivo re?”.
 
Si era spinto in avanti di scatto e aveva continuato a muoversi in maniera scomposta, una marionetta di legno e spago che attraversava la base rialzata del Trono a grandi falcate.
 
“Osi dire che non ho a cuore le sorti del mio regno? Mi ferisci, Rhaegar. Non ho intenzione di proseguire ulteriormente la nostra discussione. Per adesso sei congedato. Và fuori, ora!”
 
Aveva gridato l’ultima frase. Rhaegar abbassò lo sguardo, non desiderava guardare in quegli occhi per un secondo di più. Si inchinò e poggiò di nuovo il ginocchio a terra senza altre parole, come avrebbe fatto un perfetto sconosciuto. Quello che sentiva di essere, in quel momento.
 
“Come desiderate, padre. Con permesso.”
 
Rhaegar Targaryen voltò le spalle all’uomo seduto sul Trono di Spade e percorse la sala con passo tranquillo, cercando di non far trasparire l’amarezza e l’inquietudine che provava. Se anche aveva pensato che ci sarebbe stata una speranza di pace e prosperità per il regno, quella minuscola possibilità era sparita una volta conclusosi il colloquio col padre. Si toccò il viso, sfiorando la pelle nel punto in cui le unghie dell’uomo lo avevano graffiato, strinse i denti. Pensò alla regina, al volto spaventato di Viserys che si nascondeva dietro la gonna della sua cameriera personale e si tappava le orecchie per non sentire le grida della madre e sospirò, la rabbia ormai svanita come un filo di fumo, trasformata in qualcosa di più solido: tristezza.
L’uomo che aveva considerato un padre duro ma giusto se n’era andato.
 
Le sue preghiere erano rimaste inascoltate. Per Aerys Targaryen, ormai, non c’era più speranza.

 
 
 
 
***
 
 

Scelse il suo studio come luogo dove incontrare Jaime. Aveva sempre provato piacere nell’avvertire la brezza marina sulla pelle, e la vista della sua arpa era riuscito a rincuorarlo almeno per un attimo.
Il ragazzo tardava, probabilmente il re lo aveva trattenuto per chissà quali questioni. Passeggiando attraverso la stanza per ingannare il tempo, Rhaegar fu quasi tentato di sedersi di fronte allo strumento e suonare qualcosa tanto per restare in esercizio, quando sentì bussare discretamente alla porta: Jaime doveva essere arrivato.
 
“Eccomi qui, Altezza, come avevate richiesto.”
 
Il giovane Lannister era sempre attento e al massimo dell’efficienza, un ragazzo consapevole di quanto la sua nomina fosse eccezionale e che, per questo, si comportava sempre in maniera ineccepibile. Gli piaceva la sua baldanza e il modo un po’ sfrontato di battersi nei tornei, a dirla tutta: era un bravo ragazzo e sarebbe rimasto un buon cavaliere, ne era certo.
Quel giorno, però, gli sembrava nervoso. Probabilmente quanto lo era lui.
 
“Grazie, ragazzo. Puoi sederti, temo che ne avremo per un po’.”
 
Jaime obbedì e si accomodò di fronte a lui, esitante. Rhaegar intrecciò le dita sotto al mento e lo osservò, cercando il modo migliore per iniziare un discorso che non voleva saperne di venire fuori.
Finalmente, dopo un respiro profondo, ci riuscì.
 
“Come ho avuto modo di scoprire proprio da te, sei a conoscenza della situazione in cui ci troviamo… e immagino che tu sappia anche quanto sia successo a Rickard e Brandon Stark. Mio padre non è tipo da lasciare sotto silenzio le sue azioni, soprattutto quelle più… eclatanti.”
 
Jaime si mosse sulla sedia, a disagio: si sentiva ancora in colpa per non essere stato il primo a riferirglielo, ma chi sarebbe mai riuscito a trovare le parole giuste, in una situazione simile?
Rhaegar doveva aver intercettato il suo stato d’animo tormentato, perché un breve sorriso gli era spuntato sulle labbra, come ad incoraggiarlo.
 
“Non te ne sto facendo una colpa, stai tranquillo… non c’erano né il tempo né le condizioni per parlarne, non è stata una tua mancanza. Il problema, però, è un altro: entrambi sappiamo benissimo cosa succederà se dovessimo perdere la guerra. Robert Baratheon sta aspettando il momento in cui finalmente potrà colpirmi con la sua mazza da guerra, gli Stark vorranno vendicarsi del triplice torto che hanno subito… insomma, ho di che preoccuparmi, non credi?” sorrise di nuovo, con più amarezza.
 
“Approdo del Re verrebbe saccheggiata, mio padre probabilmente deposto e imprigionato, se non addirittura ucciso… nessuno vorrebbe sul trono un re folle. Quanto a mia moglie e ai miei figli, subirebbero la stessa sorte, ed è questo a spaventarmi: non voglio che succeda nulla di male a nessuno di loro. Sei un ragazzo molto giovane, probabilmente non riesci a capire fino in fondo ciò che sto dicendo, non avendo figli tuoi... ma mi fido di te come cavaliere ed è qui che entri in scena, o meglio è qui che richiedo il tuo intervento. Te la senti di ascoltare la mia proposta?”
 
Jaime alzò gli occhi e li posò su quelli scuri del principe. “Sono al vostro servizio, Vostra Grazia. Come sempre.”
 
“Resta vicino ad Elia, ad Aegon e a Rhaenys. Il tuo giuramento ti impone di proteggere donne e bambini e dalla tua parte hai la gioventù e la forza necessaria a mantenere fede alla parola data… caratteristica che, purtroppo, manca a parecchi cavalieri più esperti.” Si era alzato e aveva iniziato a camminare avanti e indietro per la stanza, come se il solo muovere le gambe in quei pochi passi gli rendesse più semplice il discorso. “Nella mia posizione attuale posso solo sperare che le cose non si mettano così male da impedirmi di tornare ma, purtroppo per me, non prevedo il futuro. Per questo chiedo il tuo aiuto, non solo come principe, ma come uomo. Sei in grado di promettermi che lo farai? Che metterai la salvezza dei miei figli e di mia moglie al di sopra di tutto?”
 
“Ve lo prometto, Altezza.”
 
Rhaegar lo guardò a lungo, cercando di osservarlo non con gli occhi del principe ma del padre preoccupato che era in quel momento: Jaime gli sembrava risoluto, il viso illuminato da uno sguardo che non aveva ancora visto, più adulto, più consapevole di quale fosse il suo compito. Il principe ereditario gli aveva chiesto personalmente di tenere sotto la sua custodia la propria moglie e i figli, gli dava la sua fiducia in un momento in cui gli sarebbe stato impossibile affidarsi completamente a chiunque… e il ragazzo sembrava averlo capito bene. Si era inchinato nel solito modo compito, eppure la velocità con cui si era mosso tradiva l’energia di cui era carico, l’irruenza di giovane cavaliere alle primi armi mascherata dall’eleganza e dal suo bell’aspetto.
 
“Alzati, ragazzo. Hai la mia fiducia.”
 
Jaime gli posò gli occhi addosso, incerto, ma a Rhaegar non servivano altre prove. Tutto ciò di cui aveva bisogno era di ricevere ascolto e di capire se il ragazzo fosse pronto, e in quello era stato accontentato.
Un venticello sottile gli spettinò i capelli argentei e accarezzò anche quelli dorati del giovane Lannister, ancora in piedi davanti a lui in attesa di ricevere ordini. Era poco più giovane di lui ed entrambi erano già in prima linea, a sorreggere le sorti di una guerra che prometteva di cambiarli completamente.
 
Basta che resti sempre qualcosa di quelli che eravamo. Di ciò che siamo ora.
 
“Domani partiremo all’alba. L’esercito di Robert Baratheon si schiererà al Tridente, terremo lì la prossima battaglia… se gli Déi ci sorrideranno ancora, tu ed io avremo di nuovo occasione di chiacchierare piacevolmente come abbiamo fatto oggi.” Sorrise, ma senza allegria. “Tieni gli occhi aperti ragazzo, e abbi giudizio: sono gli unici auguri che mi sento di farti.”
“Senz’altro. Vostra Grazia, io…” Jaime si interruppe, come se non sapesse bene cosa dire. Il principe lo osservò, interrogativo.
“Continua, ragazzo.”
 
Jaime aprì la bocca ma la richiuse immediatamente, improvvisamente a corto di parole. Come avrebbe potuto dire al principe che aveva giurato di servire e proteggere che avrebbe preferito seguirlo nella battaglia e combattere al suo fianco? Che, in quanto membro della Guardia Reale, il suo posto era in campo, non in città insieme alle donne e ai bambini? Eppure, l’uomo che aveva di fronte gli aveva appena affidato quanto di più caro avesse in quel momento. La sola idea di deluderlo, di chiedere qualcosa in più come un bambino capriccioso che non si accontenta di ciò che ha, lo metteva tremendamente a disagio.
Per quanto il suo spirito guerriero non ne volesse sapere di riposare, si rendeva conto che il compito di un cavaliere era anche quello di obbedire e accettare gli ordini.
 
“… volevo ringraziarvi, e augurarvi buona fortuna.”
Si inchinò rigidamente, ancora, come era abituato a fare di fronte ai suoi superiori. Rivolse un ultimo sguardo al principe e di nuovo, si riempì gli occhi della sua malinconia, così sottile eppure pressante. Forte.
 
Jaime Lannister uscì dalla stanza, chiudendo appena la porta alle spalle.
 
All’interno del suo studio, Rhaegar Targaryen aveva posato la testa tra le mani e liberato i suoi pensieri, lasciandoli andare dove preferivano e svuotando temporaneamente la mente. Si sentiva vuoto, stanco, come se avesse camminato a piedi da Dorne ad Approdo del Re per un anno intero senza fermarsi, combattendo lungo la strada, stancandosi, scalando montagne intere.
 
I passi svanivano nel corridoio e già Rhaegar rifletteva sulla battaglia, e se e quando avrebbe potuto ringraziare il ragazzo per la promessa mantenuta.
 
 

 
 
 
 
 
 



Noticine post-storia
Dato che non mi capitava da tempo di avere lettori tanto affezionati e di trovarmi avanti di qualche capitolo, ho intenzione di viziarvi un po’ per qualche settimana e postare con più frequenza. Non so se riuscirò a mantenere il ritmo di due capitoli a settimana a lungo, ma nel frattempo… spero che stiate seguendo la storia con piacere!
La caratterizzazione di Aerys è stata la parte che più mi ha messo in difficoltà, insieme all’analisi del Jaime ragazzo: sono due personaggi affascinanti ma che trovo parecchio difficili da mantenere IC e che ho dovuto “studiare” bene prima di scrivere su di loro. Spero di aver mantenuto IC anche Rhaegar, è un altro di quei personaggi di cui si sa poco ma che amo, e di cui amo scrivere <3
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni e per aver inserito la mia storia tra le preferite o le seguite: mi avete commosso, sul serio! Siete tantissimi, non avrei mai immaginato che una mia storia nata un po’ per caso un po’ per puro divertimento avesse questo seguito e venisse tanto apprezzata. Siete fantastici e spero davvero che vi interessi sempre di più capitolo dopo capitolo, come io ho amo scriverla :3
 
Alla prossima allora!
Nat
 
   
 
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