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Autore: Megs Sully    09/05/2014    7 recensioni
Strawberry Hill è una graziosa cittadina inglese, un luogo come tanti apparentemente. Ma in esso si muovono le creature più disparate, alcune tentando di celare o reprimere la loro vera natura, altre non ancora consapevoli di chi siano in realtà e quale sia il loro ruolo nel grande disegno tracciato da qualcuno in un'epoca remota. Incontri, scontri, inganni, antichi rancori si alternano alla nascita di nuove alleanze, amicizie, amori. E nel frattempo qualcuno, nell’ombra, continua a tramare…
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3


 
Amelie Norwest, con le braccia incrociate sul petto, guardò i corpi del ragazzo e della ragazza adagiati sul pavimento del bagno. Ora il problema era come liberarsene. Oppure come nasconderli in modo tale che non venissero ritrovati immediatamente. Improvvisamente la porta si aprì. Avrebbe dovuto pensarci. Era un bagno pubblico dell’università, più che probabile che qualcuno sarebbe potuto entrare da un momento all’altro. Il nuovo arrivato ora fissava lei e i corpi ai suoi piedi con occhi sbarrati e aria sgomenta.
“Problemi?” Amelie focalizzò lo sguardo in quello di lui scrutando nella sua mente.
Il ragazzo rimase immobile, inebetito. Amelie ne approfittò per controllarlo senza che lui opponesse la benché minima resistenza. Se avesse seguito l’istinto si sarebbe nutrita anche di lui, aggiungendo il suo corpo a quello degli altri due. Ma sarebbe stato uno in più da trasportare e nascondere. In effetti ciò di cui aveva più bisogno ora era un alleato piuttosto che un misero umano di cui cibarsi. Qualcuno che non l’avrebbe tradita, perché… Un sorrisetto sadico modellò le labbra di Amelie mentre afferrava il ragazzo per il collo, immergendogli le unghie nella pelle. Il giovane trattenne un gemito di dolore, perché quello che sentì mentre lei gli mordeva con impeto la gola succhiandogli il sangue direttamente dalla carotide fu ancora più intenso.
Dopo essersi nutrita, lui sarebbe caduto a terra esattamente come i due che lo avevano preceduto. Ma Amelie lo trattenne invece per le spalle. Sospirò e si morse l’avambraccio, affondando soltanto i canini leggermente in modo tale che il sangue salisse in superficie. Poi avvicinò la ferita alle labbra del ragazzo che stava per perdere completamente i sensi.
“Da bravo, bevi!” lo incoraggiò mentre lui aveva ancora la forza di voltare la testa dall’altra parte “Ti ho detto bevi, idiota! Non offro a tutti questa delizia tanto facilmente!”
Amelie sentì che il sangue stava rientrando in circolo nel corpo del giovane che riconquistava gradualmente forza e vigore succhiando con sempre maggiore voracità e non lasciandosi più cadere tra le sue braccia. In pochi istanti non ebbe più bisogno di sorreggerlo e le sue guance pallide ripresero colore. A questo punto Amelie lo spinse via.
Il giovane abbassò lo sguardo e Amelie si accorse che fissava bramoso i due corpi sul pavimento.
“Prima lezione” Amelie afferrò il suo mento tra le dita e lo costrinse a fissarla negli occhi “il sangue dei morti non si beve, se non vuoi rischiare di raggiungerli. Comunque dubito di averne lasciata qualche goccia, mio caro. Prima li sistemiamo in un luogo sicuro, poi pensiamo a nutrirti, creaturina. A proposito, come ti chiami?”
“Io… Thomas Jones” rispose il ragazzo automaticamente, annuendo a ogni parola che usciva dalle labbra di Amelie, come ipnotizzato.
“Bene, Thomas Jones. Ora mi aiuterai a nascondere in un luogo sicuro questi due, questa notte poi penseremo a dove sistemarli definitivamente.”
“Ci… ci sarebbe il magazzino degli attrezzi, la porta accanto, non… non ci va mai nessuno… quasi mai…” borbottò Thomas leccandosi i residui di sangue intorno alle labbra.
“Perfetto creaturina. Io faccio la guardia e mi occupo di sistemare gli scocciatori nel caso ne arrivino, tu li trasporti!” sentenziò Amelie.
Thomas annuì e raccolse il corpo della ragazza. Amelie aprì la porta e gli fece cenno di attendere. Dopo pochi secondi con un altro cenno lo autorizzò a procedere. Thomas depositò la ragazza nell’angolo più buio del magazzino degli attrezzi e tornò per prendere anche il ragazzo.
Amelie annuì sistemandosi il colletto della camicetta. Del resto, prima o poi avrebbe dovuto trovarsi un amico, un alleato, un servitore. Insomma, qualcuno che obbedisse ai suoi desideri e comandi senza discuterli.
Mentre Thomas raccoglieva il corpo del ragazzo, la porta rimasta accostata si aprì e Amelie sussultò. Anche Thomas si agitò e la guardò annichilito.
Amelie tirò un sospiro di sollievo rendendosi conto che chi aveva aperto la porta era soltanto un gatto magro e smunto dal pelo bianco e rosso poco curato. Sembrava in effetti appena uscito da una battaglia.
“Stupido gattaccio, mi hai spaventata!” gli ringhiò contro Amelie.
Il gatto a sua volta le ringhiò e le si scagliò contro con l’evidente proposito di graffiarle una caviglia. Mentre Amelie si preparava a sferrargli un calcio però cambiò idea, con un balzo saltò sul ripiano e uscì dalla finestra aperta solo pochi centimetri.
“Odiosa bestiaccia!” fremette Amelie, mentre Thomas restava immobile a fissarla sostenendo il corpo del ragazzo sotto le ascelle “Svelto tu, vai a nascondere anche lui!” disse aprendo la porta e dandogli il segnale di via libera.
Thomas eseguì prontamente e tornò da lei con in mano la chiave del magazzino.
“Questa la possiamo tenere noi, per il momento” sorrise beffardo, complimentandosi tra sé per l’arguzia.
“Bene” annuì Amelie senza scomporsi, poi sorrise dolcemente comprendendo che era assolutamente necessario per lei assicurarsi la fedeltà dell’ingenuo ragazzotto. “Bravo Thomas!” gli schioccò un bacio leggero sulle labbra “Ora ti insegno a nutrirti, poi ci divertiamo un po’, sono sicura che ne avrai voglia anche tu, vero?”
Thomas Jones annuì soddisfatto e compiaciuto, proprio come un cane che ha appena riportato l’osso al padrone ricevendone una carezza sulla testa. Sempre pronto a recuperare l’osso lanciato, a ubbidire senza il minimo indugio. Amelie comprese immediatamente che non le restava altro che rilanciarlo e lui avrebbe ubbidito per poi tornare da lei, scodinzolando e aspettandosi un complimento, una carezza o un bacio. Alla fine le era sempre più chiaro che gli uomini, anche quelli trasformati, si comportavano proprio come cani.

 
                                                                      ********************
 

La vita era nel libro. Il personaggio era tutto. Tutto il resto non esisteva più. Spesso tutto il resto poteva anche smettere di esistere per ore o per giorni. Scomparire. Indipendentemente dal luogo in cui si trovasse. Indipendentemente da quanto tardi potesse essere.
Il gatto magro e smunto dal pelo bianco e rosso poco curato, approfittando dell’apertura della porta della caffetteria Strawberry Dream, entrò di soppiatto e andò a infilarsi sotto la sedia del tavolino nell’angolo occupato da Maggie Pennington. Maggie Pennington, totalmente immersa in un’altra vita, in un’altra storia, in un’altra epoca, non se ne accorse e continuò a leggere il suo libro con aria trasognata, girando una pagina dopo l’altra. Il gatto sbadigliò, si leccò i baffi e si stese sulla pancia, sotto la sedia della ragazza, trattenendo l’istinto di leccare la pelle della sua caviglia che risaltava tra il calzino bianco con i risvolti rosa e i jeans.
Percependo i passi pesanti della cameriera avvicinarsi, il gatto ritenne fosse meglio per lui spostarsi e andare a rifugiarsi sotto il pesante tendaggio appeso alla finestra al lato del tavolino.
Maggie rimase con lo sguardo focalizzato sul libro, sbattendo solo impercettibilmente le palpebre nella lettura. La cameriera si fermò accanto a lei con le mani sui fianchi.
“Allora?” chiese a Maggie con sguardo corrucciato.
“Ciao Jenevieve, buona giornata Jenevieve” Maggie non alzò la testa dal libro, ma la voltò solo leggermente con un sorriso dolce ma fugace. Corrugò la fronte quasi preoccupata tornando alle pagine che aveva davanti, come se nella storia avesse a che fare con un evento drammatico.
“Insomma, prendi qualcosa?” Jenevieve non si mosse mantenendo lo sguardo imbronciato fisso su Maggie e le mani sui fianchi “Non puoi occupare un posto senza prendere qualcosa!”
“Aspetto Bliss, grazie” Maggie si rassegnò a sollevare la testa dal libro e fissò su Jenevieve gli occhi azzurri e ingenui.
“Bliss è in ritardo, come al solito!” borbottò Jenevieve “E tu non puoi occupare…”
“Vorrei una cioccolata, ma quella speciale che sa fare Bliss…” Maggie sorrise con dolcezza e si grattò una tempia “La tua fa un po’…”
Maggie si morse le labbra, prima che la parola “schifo” uscisse dalla sua bocca senza avere più la possibilità di tornare indietro.
“È un po’… leggera ecco…” si corresse in tempo. È acqua sporca con un vago, molto vago sapore di cioccolato, pensò tra sé.
Jenevieve le voltò le spalle senza rispondere e tornò dietro al bancone, dove altri clienti aspettavano di pagare o di bere. Maggie si massaggiò una spalla, ripensando all’ultima volta che aveva ordinato una “cioccolata alla Bliss” a Jenevieve.
“Una cioccolata che sappia di cioccolata e non di acqua sporca, una cioccolata fondente, densa e cremosa, con tanta panna montata e sopra scaglie di cioccolato. E con la panna montata che sappia di panna vera, non di plastica. E magari con a parte qualche pasticcino e una bella fettina di torta al limone. Ecco, questa è la cioccolata alla Bliss!”
Il gatto magro e smunto dal pelo bianco e rosso poco curato si mosse pigramente da dietro il tendaggio e tornò a posizionarsi sotto la sedia di Maggie Pennington leccandosi i baffi. Maggie Pennington non lo vide né lo udì e tornò a immergersi nella storia narrata nel libro aperto sul tavolo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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