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Autore: Laylath    11/05/2014    4 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 61. Egoismo.

 

La mattina successiva Roy, seduto nel muretto della scuola, guardava il sole alzarsi sempre di più, sperando che il suo piano funzionasse.
Aveva dichiarato davanti a tutti i suoi amici che i soldati sarebbero certamente andati via non appena concluse le pratiche per la vecchia miniera, ma in realtà non aveva nessuna certezza. Per tutta la notte si era rigirato nel letto, sapendo che era solo questione di ore prima che il nonno di Riza scoprisse la sua fuga.
Ma non era spaventato: avrebbe affrontato qualsiasi conseguenza, l’importante era che la ragazza restasse nascosta e al sicuro.
“Proprio non hai idea di dove siano andati, vero?” Rebecca si sedette accanto a lui.
“No – scosse il capo, voltandosi dietro la ragazza che l’aveva raggiunto – ho vietato a Jean di dirmelo: non potevamo correre dei rischi simili.”
“Non siete stati molto carini ad organizzare tutto senza di me – mise il broncio – sono la sua migliore amica del resto. Non è stato bello quando ieri sera Heymans mi ha raccontato che il mio fidanzato è in mezzo alla campagna solo con Riza. Fosse stata un’altra ragazza mi sarei davvero ingelosita.”
“Scusami tanto, ma è stata una cosa fatta molto in fretta e più discreti eravamo meglio era. – sorrise mestamente Roy – Ma sono sicuro che Jean non ti tradirebbe mai.”
“Lo so, non è questo il problema – rimase per qualche secondo in silenzio e poi domandò – Ti da fastidio?”
“Cosa?”
“Che non ci sei tu con lei.”
Roy sospirò e fissò con aria malinconica la campagna che si propagava per chilometri e chilometri verso i monti. Certo che gli dava fastidio non essere con Riza in quel momento: la sera prima si era dovuto trattenere per non seguire i due ragazzi che si allontanavano, per non afferrare la sua mano e tenerla stretta in un gesto teso a rassicurare entrambi.
Ma sapeva anche che tutto il piano si basava sulla sua capacità di resistere ed inoltre, oggettivamente, tra lui e Jean era il biondo quello in grado di trovare il nascondiglio più adeguato.
“So che posso fare di più stando qui.” ammise con una scrollata di spalle.
Lei annuì e, intuendo che l’amico voleva stare da solo, fece per allontanarsi, ma come per ripensamento gli prese la mano.
“Spero con tutto il cuore che il piano funzioni. Riza è la mia migliore amica e averla vista così distrutta è stata una delle cose peggiori che mi potessero capitare. Se hai bisogno di me, per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.”
“Grazie – sorrise, ricambiando la stretta – sapevo di poter contare sul tuo appoggio.”
Mentre la ragazza si allontanava, pensò che simili dimostrazioni di solidarietà non potevano che indicare come stesse facendo la cosa giusta. Tuttavia era difficile stare seduto ad aspettare, che cosa poi? Che i militari andassero via o che qualcuno gli venisse a dire che avevano scoperto tutto quanto e che sarebbero andati a cercare Riza e Jean? C’era una serie di incognite che non sapeva come affrontare e la cosa, con suo sommo disappunto, lo faceva sentire molto insicuro.
Rimase assorto nei suoi pensieri per diverso tempo, tanto che quando Vincent gli posò una mano sulla spalla ebbe un sussulto di sorpresa.
“Che cosa mi dici, piccola vedetta, qualche nemico all’orizzonte?”
“Molto divertente, signore – commentò sarcastico – no, niente all’orizzonte.”
“Ti volevo giusto avvisare che il tuo grande nemico tra una mezz’ora verrà nel mio ufficio per dare tutte le autorizzazioni per sigillare la vecchia miniera, è inutile che lo aspetti qui.”
“Davvero?”
“Sì, quindi stai tranquillo per adesso.”
“Cosa c’è? Ha paura che combini qualcosa di eclatante?”
“L’hai già fatto con il tuo piano – sospirò Vincent, tirandogli lievemente l’orecchio – ma ti confesso che sono estremamente fiero di te, ragazzino. Ti stai prendendo tutte le responsabilità, come quando ieri sera sei voluto andare di persona a parlare con James e a dirgli che fine aveva fatto suo figlio.”
“Credevo che mi ammazzasse – confessò Roy, ricordandosi la faccia per niente felice del signor Havoc – però alla fine ha detto che in fondo Jean sta seguendo i principi che gli ha insegnato. Questo mi fa ben sperare che non sarà troppo severo con lui quando tutto sarà finito.”
“Sono sicuro che non lo sarà.” sorrise il capitano, circondandogli le spalle con affetto.
Per una volta tanto non ci fu una risposta sarcastica a quella dimostrazione di spirito paterno, al contrario Roy si posò contro di lui. Avere la certezza di quella protezione, ora che la parte più difficile della missione si stava avvicinando, lo faceva sentire decisamente meglio.
“Davvero non ci possono fare niente? I soldati intendo…”
“Non sei spavaldo come ieri, eh? – lo prese in giro il capitano, ma poi scosse il capo e gli arruffò i capelli – Tranquillo furfante, siete tutti minorenni e l’unica cosa che possono fare è dire a noi genitori di darvi un buon castigo. Non c’è nessun crimine che pende sulle vostre teste dure e anche se ci fosse farei di tutto per tirarvi fuori dai guai.”
“Contro un generale di brigata dell’esercito?”
“Un capitano di polizia ti appare poca cosa, vero? Lo ammetto, sono suo subordinato, ma qui entra in gioco anche l’essere genitore. Permettimi di dare la precedenza a quest’ultima parte della mia persona.”
“Non so se sia meglio che quell’uomo dia la precedenza al suo essere soldato o al suo essere nonno.”
“Roy, ti posso chiedere l’enorme favore di lasciar gestire la cosa a me e ad Andrew? – chiese Vincent con serietà – Voi avete fatto abbastanza, ma adesso è meglio che siamo noi grandi a trattare con i soldati, va bene? Ho già chiesto a Vato ed Heymans di starsene tranquilli a casa, anche per non preoccupare le loro madri…”
“… io non ho dei genitori da far preoccupare.”
“Rosie lo sarebbe e così pure io, ti basta?”
Il ragazzo abbassò lo sguardo, ma poi lo rialzò sull’uomo quando una mano gentile si posò sulla sua guancia. In fondo gli dava enorme sollievo il fatto che qualche adulto venisse in suo soccorso.
“Va bene, signore.”
“Bravo, ragazzo mio. Dai, adesso torniamo in paese: non è bello stare nel muretto della scuola, fino a settembre questo posto non lo devi proprio frequentare.”
 
Kain sbadigliò e aprì gli occhi con fare assonnato.
Per qualche secondo rimase perplesso non riconoscendo la camera, ma poi si ricordò che lui ed i suoi genitori erano rimasti a dormire dai nonni e quella era la vecchia stanza di suo padre. Si alzò e provvide ad aprire le tende, permettendo alla luce del mattino di illuminare quell’ambiente. Aveva paura, tanta: nonostante tutte le rassicurazioni di Roy, temeva che da un momento all’altro quei soldati partissero alla caccia di Jean e Riza e li trovassero senza troppi sforzi.
Con un sospiro guardò con aria distratta la mensola sopra la scrivania, ormai vuota eccetto qualche vecchio libro di scuola.
“Kain – lo chiamò Andrew, entrando – coraggio, lavati e preparati che l’ora di colazione è già passata. Rischi di trovare tutto freddo.”
“Va bene, papà.” annuì distrattamente, senza tuttavia muoversi.
Andrew si accorse di quel disagio e si accostò al figlio, recuperando gli occhiali dal comodino e mettendoglieli con delicatezza. Solo a quel punto il bambino si girò verso di lui.
“Tu e la mamma siete molto arrabbiati per quello che abbiamo fatto?”
“Ma no – sospirò l’uomo, accarezzandogli i capelli corvini – capisco benissimo il vostro gesto. Tuttavia la situazione è molto difficile, Kain: il vostro piano, nella migliore delle ipotesi, farà guadagnare tempo.”
“E nella peggiore?”
“Suvvia, adesso non ci pensare.”
“E’ stato brutto sentire la mamma così disperata ieri notte, non è mai stata così quando ero malato. Non voglio che succeda mai più e nemmeno a te, papà.”
“Per quanto riguarda me e la mamma non devi preoccuparti. Mi dispiace tantissimo che tu abbia sentito ieri sera. Ma non devi dubitare dell’amore che proviamo uno per l’altra. Succede, sai? A volte i genitori hanno dei momenti di crisi, ma ti assicuro che risolviamo sempre tutto.”
“Anche per Riza. Vero, papà? Me lo prometti che farai il possibile? Tu hai salvato il paese durante la piena – il piccolo si aggrappò alla sua camicia – hai aiutato Heymans e la sua famiglia contro quell’uomo cattivo, hai fatto far pace a Roy e Vato… per favore…”
Andrew lo prese in braccio, consapevole che in quel momento aveva estremo bisogno di essere rassicurato. Purtroppo, come Riza, anche lui era in completa balia degli eventi e cercava un appiglio sicuro a cui aggrapparsi: la piccola discussione che aveva avuto con Ellie la sera prima l’aveva sconvolto più di quanto faceva credere.
“Kain, piccolo mio, io non…”
“Tu puoi fare tutto – mormorò, stringendogli con forza le braccia al collo – puoi perché sei il mio papà… il mio papà.”
“Certo che sono il tuo papà e…”
Non terminò la frase e sgranò gli occhi con lieve sorpresa, il primo barlume di un’intuizione che si faceva largo in lui.
“Papà?”
“Adesso preparati, coraggio – lo incitò con un sorriso, mettendolo a terra. Ma prima di lasciarlo andare gli prese la testa tra le mani e baciò la fronte – Ti ho mai detto che per me sei un’ispirazione, piccolo mio? Assieme a tua madre sei il dono più prezioso che la vita mi ha fatto e me ne dai continue conferme.”
Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima?
 
Qualche ora dopo Ellie stava sdraiata nel letto della camera degli ospiti della casa del suocero, il viso nascosto sul cuscino.
Aveva cercato di tenere un’aria serena per buona parte della mattina, soprattutto in presenza di Kain, ma proprio non ce l’aveva fatta a sostenere una simile recita e così, alla prima occasione, si era ritirata dove non c’era nessuno.
Per una volta tanto non aveva cercato la compagnia del marito, il suo rassicurante conforto: sentiva di essere violata nella sua intima essenza di madre e che Andrew non potesse capirla. Portarle via Riza era come dirle che non aveva alcun diritto di avere altri bambini al di fuori di Kain, un nuovo e brutale ritorno alla realtà del suo corpo straziato da quel parto.
Del resto che razza di madre sono se non riesco a proteggerla? – pensò lacrimando copiosamente sul cuscino – Tutto quello che riuscivo a dirle era che sarebbe andato tutto bene. Hanno fatto di più tutti quanti, persino i ragazzi, mentre io rimanevo a guardare con passività.
Era così persa in quel circolo vizioso di dolore e autocommiserazione che non si accorse della porta che veniva aperta con discrezione. Si rese conto che qualcuno era entrato quando sentì il materasso che veniva scosso.
 “Mamma, non piangere…” sussurrò una voce.
La mano fresca e delicata di Kain le accarezzò la guancia umida, asciugando le lacrime, e subito dopo sentì le sue labbra che si posavano sulla sua testa, mentre il piccolo si accoccolava a lei.
 “Pulcino – mormorò, cercando di assumere un’aria più serena – hai bisogno di me?”
“Non è bello che piangi, mamma. Non essere triste.”
“Ma no, amore, la mamma non…”
“Sì che lo sei, non mentire.” mentre diceva quelle parole la abbracciò, offrendole tutto il suo sostegno, proteggendola proprio come avrebbe fatto il padre.
Davanti a quella dimostrazione di affetto Ellie non resse e strinse il figlio con forza, i singhiozzi ancora più forti. Non voleva spaventarlo, ma in quel momento aveva bisogno di stare a stretto contatto con la sua creatura, quella che era riuscita a strappare alla morte, colui che le dava la certezza di essere una madre.
“Sono sicuro che papà risolverà tutto quanto. E che presto Riza potrà uscire dal suo nascondiglio e tornare da noi – dichiarò Kain, con voce soffocata dall’avere il visino sulla spalla di lei – devi fidarti, mamma, ci siamo messi tutti d’impegno per farcela.”
“Oh, pulcino… mio piccolo pulcino, scusa, la mamma non dovrebbe piangere così davanti a te…”
“Ma no, mamma! – disse, baciandola sulla guancia – Stai tranquilla, non è successo niente. A volte capita.”
“Cielo, quanto sei uguale a tuo padre in questo momento – riuscì a sorridere, prendendogli il mento tra le mani – il mio tesoro più prezioso.”
Sì, Kain per molti versi era uguale ad Andrew. Aveva un’incredibile capacità di confortarla, di amarla, di proteggerla: in quelle terribili ore era l’unico che potesse veramente fare qualcosa per lei.
 
Proprio per il grande senso di protezione che aveva nei confronti della madre, Kain sentì una grande rabbia montare nel suo piccolo corpicino: non poteva tollerare di vederla in quello stato, così come non poteva sopportare che la sua famiglia, compresa Riza, stesse soffrendo così tanto.
Fu per questo motivo che, quando uscì di casa poco dopo, aveva preso un’importante decisione.
Corse verso il locale della zia di Roy e fu lieto nel vedere che il suo amico era proprio lì, seduto nei gradini.
“Ehi, gnometto – lo salutò il moro – ci sono novità?”
“No, che io sappia niente si muove. Dove sono Vato ed Heymans?”
“Ciascuno a casa loro – sospirò – Meglio così, preferisco che vengano coinvolti il meno possibile. E anche tu dovresti andare a casa e stare accanto a tua madre. Non ti preoccupare, ho deciso di andare a parlare con quel militare e…”
“Roy, pure io voglio andare a parlare con lui!” esclamò Kain, bloccandolo.
“Cosa?”
“Hai capito bene – annuì con serietà – basta con queste storie: vado a dirgli le cose come stanno.”
“Che cosa vorresti dirgli?” chiese il grande, alzandosi in piedi.
“Che ci siamo io e la mia famiglia che pensiamo a Riza e ho deciso di farlo adesso, con te o da solo. Questa storia sta facendo piangere la mia mamma e ha fatto piangere anche Riza… e pure me! Dovrà ascoltare le mie ragioni, anche se ho solo undici anni; mi accompagni?”
Rimase a guardare Roy che lo fissava con aria interdetta per dieci buoni secondi, probabilmente sorpreso di vedere quella sua versione così decisa e sicura. Ma poi il ragazzo sorrise e si alzò in piedi.
“Andiamo – lo prese per mano – è arrivato il momento di farci valere, gnometto!”
 
Mentre i due ragazzi si incamminavano verso la roccaforte nemica, Riza si dirigeva verso il paese, seguita da un dubbioso Jean.
“Dammi retta, Riza! – protestò per la centesima volta il biondo – Restiamo nascosti, è meglio!”
Ma lei scosse il capo con decisione, proseguendo con passo svelto, mentre Hayate apriva la strada.
“No, adesso basta. Sono stanca di vedere che tutti si danno da fare, mentre io rimango passiva ad accettare gli eventi. Voglio andare da mio nonno e dirgli che non voglio andare con lui.”
Ci aveva riflettuto tutta la notte mentre il suo compagno dormiva profondamente. Stare lontano dal paese le aveva fatto trovare la forza di reagire: era tutto così chiaro, del resto. Lei non aveva nessuna intenzione di andare a vivere con quello che, a conti fatti, era uno sconosciuto. La vita era stata dura con lei e finalmente aveva trovato la serenità che voleva: non avrebbe permesso che gliela portassero via così facilmente.
“Quello potrebbe non ascoltarti, capisci? – continuò Jean – E allora come faremo? Ti porterà via e noi…”
“Se voleva bene a mia madre allora deve capire le mie ragioni. Se dice di volere il mio bene allora mi deve lasciare qui. Non può essere così egoista.”
“E supponiamo che non lo faccia – scosse il capo l’altro, prendendola per un braccio e costringendola a fermarsi – come potremo difenderti se ti prende con la forza?”
“Se mi porta via allora lo odierò con tutta me stessa per i quattro anni che mi restano per diventare maggiorenne: non scapperò, ma non gli rivolgerò mai la parola. E appena avrò diciotto anni andrò via e tornerò qui… glielo dirò chiaro e tondo.”
“E pensi che cederà a questa minaccia? Non credo che…”
“No – scosse il capo lei con determinazione – io gli devo parlare. Jean, sul serio, sei stato fantastico a portarmi in quel rifugio e farò di tutto perché tu non subisca alcuna punizione. Ma ti giuro, non ho più intenzione di scappare o di subire tutto questo. Io ce l’ho una famiglia che mi vuole… e loro stanno lottando per me.”
Tornò a guardare l’amico, gli occhi castani determinati come era successo poche volte. E Jean vi riconobbe la stessa decisione che li aveva illuminati durante la piena quando, a costo di distruggersi fisicamente, lei aveva preteso di dare il suo contributo. E così capitolò.
“Femmine! Quando volete siete davvero testarde!”
 
Andrew arrivò davanti alla villetta degli Hawkeye e fece un profondo respiro, raccogliendo tutte le energie necessarie per affrontare quell’uomo. Poi oltrepassò il cancelletto e giunto alla porta entrò senza nemmeno preoccuparsi di bussare: negli ultimi giorni quella casa era stata un vero e proprio porto di mare, eppure Berthold Hawkeye non si era degnato di uscire dal suo studio nemmeno una volta.
Gli altri esseri umani ti danno proprio fastidio, eh? Ma qui c’è in gioco il destino di tua figlia, mi dovrai ascoltare volente o nolente.
La frase di Kain gli aveva dato la giusta ispirazione: era Berthold colui che aveva ogni diritto legale sulla bambina. Era lui e non il nonno la chiave di volta di tutta la situazione.
Arrivò davanti allo studio e strinse con forza i fogli che teneva in mano poi, dopo un secondo d’indecisione, entrò.
Quella stanza gli fece la medesima impressione che gli aveva fatto immediatamente dopo la piena, quando era andato a rassicurare l’uomo sulle condizioni di salute della figlia. Una bolla senza tempo, totalmente isolata dal resto del mondo, dove quell’eremita si crogiolava nei suoi studi ignorando e venendo ignorato.
“Signor Hawkeye…” iniziò portandosi davanti alla scrivania dove l’uomo stava chino su un grosso volume.
Gli occhi azzurri e febbrili si sollevarono leggermente su di lui, ma poi tornarono su quelle parole, il dito che si puntava su una parola ben precisa.
Andrew non poté fare a meno di osservare quella pagina ingiallita: era così diversa da un libro di ingegneria o architettura. Era come se quei caratteri, quelle figure, fossero febbrili e brucianti come chi le stava leggendo, sembravano un veleno pronto a penetrare nella pelle e consumare l’anima.
“Ci siamo già visti un’altra volta, dopo la piena – proseguì non ottenendo risposta – mi sono preso cura di sua figlia, assieme alla mia famiglia.”
Ancora nessun cenno di ascolto, ma una piccola parte di Andrew capì che doveva continuare a parlare.
“Signore, io non so che genere di legame avesse con la madre di Riza, né quali sono le motivazioni che hanno portato a quello che, a quanto ho capito, non è stato un matrimonio felice. Sua moglie è morta e ora resta la bambina e da quanto ne so con lei ha tutto meno che un rapporto.”
Sì, ti sto dicendo che sei un pessimo padre e se non fossi così educato ti riempirei di insulti per quello che hai fatto passare a quella povera creatura.
Ma non aveva margini d’errore per lasciarsi andare a queste indulgenze.
“Tuttavia… lei è il tutore legale di Riza: è sua figlia, sangue del suo sangue e per la legge ha tutti i diritti su di lei. So che suo nonno la vuole portare via ad East City e so che lei gli ha dato il suo consenso… le chiedo solo una cosa, mi risponda sinceramente: ha firmato qualcosa? Uno straccio di documento con cui rinuncia ai suoi diritti su Riza?”
Finalmente ebbe la soddisfazione di vedere l’uomo alzare il viso su di lui.
Faceva paura quello sguardo bruciante e, allo stesso tempo consumato dall’alchimia: Andrew pensò con pietà a quella bambina che per anni si era trovata a convivere con una simile persona.
Come hai fatto a vendere la tua anima in questo modo? Come è possibile essere malati in maniera così perversa della propria materia?
Ma lui di sentimenti perversi ne aveva già visti: Gregor con il suo malato possesso della sua famiglia ne era un chiaro esempio. Qui cambiava solo il soggetto ed il modo di esprimere questa malsana mania.
“Che vuole da me? – chiese Berthold – Avanti, lo dica.”
“Voglio la custodia legale della bambina – dichiarò Andrew puntando i suoi occhi castani su quelli azzurri, in segno di sfida – voglio che Riza venga a stare a casa mia, dove io e la mia famiglia ci prenderemo cura di lei come merita.”
“Suo nonno…”
“Suo nonno la porterà ad East City – lo bloccò – non so se se ne è mai reso conto, signore, ma sua figlia qui ha una vita, degli amici, delle persone che ama. E’ una crudeltà bella e buona mandarla in un posto che le è completamente estraneo, con una persona che non conosce nemmeno. Probabilmente suo nonno ha le intenzioni migliori, non ho motivo di dubitarne, ma Riza ne subirebbe un trauma e…”
“Perché invece non parla da egoista? Del resto tutti gli esseri umani lo sono.” quella richiesta giunse come uno schiaffo ed un lieve sogghigno apparve nel viso dell’uomo. Andrew esitò: perché parlava di egoismo? A che trappola lo stava conducendo? Ma poi scosse il capo.
“Devo parlare da egoista? Va bene lo farò: voglio che Riza diventi legalmente mia figlia… lo voglio perché traggo piacere dall’averla a casa mia, assieme alla mia famiglia. Perché sono uno sporco egoista e voglio essere io il fautore della sua felicità… le piace come risposta? Siamo tutti egoisti se rigiriamo le cose, ma se dal mio egoismo Riza ne trae giovamento, allora sono felice di essere la persona più egoista del mondo.”
“No, non ho firmato niente al nonno di Riza.”
Fu questa la risposta che gli diede, quasi una ricompensa a quella forma di sincerità a cui aveva appena assistito. Ma ad Andrew questo non importava: sentì solo che un grande peso gli veniva levato dal cuore.
“Allora firmi questi fogli – mormorò, mettendo le carte sopra la pagina del libro – se vuole li può anche leggere, ma suppongo che sia impaziente di tornare alla sua alchimia. Mio padre è notaio e questo è un documento con il quale lei, padre naturale ed ufficiale, rinuncia a qualsiasi diritto su Riza in mio favore. La bambina passa sotto la mia tutela e quella di mia moglie: non prende il mio cognome, perché so che Riza non vorrebbe mai rinunciare al suo, ma per qualsiasi altra cosa provvederò io a lei.”
“Veramente egoista…”
“Sì, è un documento veramente egoista, lo ammetto. Ed egoisticamente io le chiedo di fare il primo vero gesto da padre responsabile nei confronti di sua figlia… firmi.
Disse quell’ultima parola con estrema decisione, non gli andava di supplicare quell’uomo. Era convinto di essere nel giusto e che per un’unica volta nella sua vita Berthold Hawkeye dovesse cedere di fronte al bene di Riza.
E come la penna si mosse, mettendo la fatidica firma, Andrew si sentì l’egoista più felice del mondo.
 
Kain non aveva mai affrontato nessuno: aveva un’indole troppo pacifica per pensare a simili cose anche quando si trattava di persone che lo tormentavano, come era successo tante volte a scuola.
Ma sembrava che ci fossero delle eccezioni alla regola.
E così, si trovò a puntare i suoi timidi ma determinati occhi scuri su quell’uomo vestito con la divisa militare che stava seduto nella sua stanza della locanda e lo fissava con aria che si poteva definire divertita. A dire il vero i due ragazzi non avevano immaginato di poter avvicinare così facilmente quel personaggio, invece erano stati invitati ad accompagnarlo al piano di sopra.
Tuttavia avevano rifiutato il suo invito a sedersi: non potevano dimenticare che era il loro avversario.
In particolare Kain era deciso a portare avanti la sua causa, anche se Roy non fosse stato presente.
“E così mia nipote sarebbe tua sorella?” l’uomo lo squadrò con un sorriso.
“Sì! E non importa se non siamo davvero parenti – esclamò Kain – Lei fa parte della mia famiglia e io non voglio che la porti via!”
“Non ho mai avuto il piacere di conoscere i tuoi genitori, piccolino.”
“Se vuole glieli presento e si renderà conto che sono i genitori perfetti per me e Riza! I nonni dovrebbero essere buoni e portare gioia ai propri nipoti, ma Riza ha pianto tanto in questi giorni… lei vuole restare qui, con me e la mia famiglia.”
A quella dichiarazione, Grumman si alzò dalla sedia. Kain indietreggiò d’istinto, afferrando il braccio di Roy, ma l’uomo non aveva intenzione di andare verso di loro: si diresse invece alla finestra, le mani dietro la schiena.
“Vuole restare qui, eh?”
“L’abbiamo fatta nascondere nelle campagne – spiegò il ragazzo grande – non capisce? Riza vive qui, è qui che ha la sua famiglia…portandola via in questo modo lei dimostra solo di essere un egoista!”
“Egoista, dici? Forse anche voi siete egoisti: volete tenerla qui, eppure lei non ha mai detto niente in merito…”
“Sono sicuro che…”
“Però glielo potremmo chiedere di persona: sta per entrare nella locanda.”
A quelle parole, dette con un sorriso che aleggiava sulle labbra, Kain e Roy rimasero interdetti, ma dopo nemmeno un minuto qualcuno bussò alla porta. Obbedendo ad un cenno dell’uomo, uno dei soldati della scorta aprì e Riza fece il suo ingresso, seguita da un preoccupatissimo Jean.
“Riza? – Roy la prese tra le braccia – Ma che diamine ci fai qui?”
“Le avevo detto di restare nascosta – si scusò Jean – ma lei… ecco, Roy, forse non ha tutti i torti nel voler essere qui.”
“Nonno – Riza si divincolò dalla presa di Roy e si portò avanti, fino a pochi passi dal soldato – mi dispiace di non avertelo detto prima, ma io non posso… non posso accettare di venire con te ad East City.”
“Ah no?” chiese con gentilezza l’uomo.
“Ecco io… – la ragazzina si portò le mani al petto, quasi a proteggersi – sono sicura delle tue buone intenzioni e… e sono felice di aver saputo che tu ci sei e che tieni a me, sul serio. Ma vedi, io qui ho trovato una famiglia fantastica che mi vuole bene.”
“Sta parlando della mia famiglia! – dichiarò Kain, andandole accanto e abbracciandola – Adesso capisce perché le dicevo che è mia sorella?”
“Ti prego, nonno, se tu li volessi incontrare… sono delle persone meravigliose.”
“Generale di brigata – una voce interruppe la supplica di Riza ed Andrew entrò nella stanza – mi scusi se vengo senza preavviso, ma sono… Riza? Kain? Ragazzi, ma…”
“Papà!” il bambino corse subito verso l’uomo, aggrappandosi alla sua gamba e dopo una frazione di secondo anche Riza si attaccò a lui, le lacrime che colavano sulle guance.
“Riza! Piccola mia – Andrew si dimenticò di tutto e tutti e abbracciò sia lei che il figlio – che spavento che ci hai fatto prendere con quella fuga.”
“Perdonami! – pianse lei, passando a dargli del tu, in un nuovo automatismo che si era creato sull’onda dell’emotività – ma in quel momento non sapevo che fare ed ero così spaventata…”
“Stai tranquilla, tesoro – la baciò in fronte, arruffando contemporaneamente i capelli a Kain – va tutto bene, l’importante è che tu sia qui, sul serio.”
“E così sarebbe questo il padre con cui vuoi stare.” commentò Grumman, facendosi avanti.
“Sì, nonno, e ti prego di…”
“E perché dovrebbero avere loro la precedenza sui legami di sangue che abbiamo?” chiese con cortese curiosità, senza però alcuna minaccia.
Tuttavia a quelle parole Riza si rifugiò ancora di più nell’abbraccio di Andrew, credendo che ora suo nonno facesse valere i diritti legali che aveva su di lei.
“Perché questa bambina è come se fosse mia figlia – disse Andrew, fissandolo con sfida – e tengo a lei a tal punto che stamane sono andato da suo padre e mi sono fatto firmare un documento in cui mi viene affidata la sua custodia… senza offesa, signore, ma lei non può strappare Riza dall’ambiente dove vive da sempre. La piccola mi ha raccontato diverse cose su sua madre, vuole davvero commettere lo stesso errore per egoismo?”
A tale dichiarazione nella stanza si fece silenzio, Grumman ed Andrew che si fissavano con aria di sfida. Ma l’aria di tensione venne interrotta da Kain.
“Oh, papà! Lo sapevo che avresti trovato la soluzione!”
“Signor Fury, lei è un genio, un maledettissimo genio!” Roy si accostò all’uomo abbracciandolo a sua volta, seguito a ruota libera da Jean.
E il generale di brigata dovette nascondere un sorriso davanti a quei festeggiamenti.
La gioia incontenibile di Riza davanti a quella dichiarazione aveva eliminato qualsiasi forma di dubbio che ancora restava. Del resto, il bambino con gli occhiali non gli aveva detto che i nonni dovrebbero portare gioia ai propri nipoti?
 
Roy fissò la macchina che si allontanava dal paese, lasciando dietro di sé una scia di polvere. Solo quando si fu allontanata del tutto tirò un sospiro di sollievo: adesso era veramente sicuro che quel soldato non avrebbe portato via Riza.
Spostò quindi lo sguardo verso la famigliola felice che, finalmente libera dall’ansia, si concedeva di festeggiare. Riza era estasiata, non c’era alcun dubbio in merito: lo si vedeva dal sorriso, dalle guance rosse, dall’abbraccio con il quale stringeva la signora Fury. Sembrava che tutta quella malinconia di fondo che aveva sempre visto in lei fosse finalmente sparita, gli spettri della sua famiglia andati via una volta per tutte.
Dovette aspettare solo qualche minuto prima che la ragazza si allontanasse dal gruppetto per raggiungerlo.
“Ehilà, colombina – sorrise, mettendosi a braccia conserte – hai visto che è andato tutto bene?”
“Sì – ammise lei, ricambiando il sorriso – alla fine mio nonno si è dimostrato davvero una brava persona. Ti confesso che ogni tanto non mi dispiacerebbe che passasse a trovarmi.”
“O magari potresti andare tu ad East City, ma sempre accompagnata.”
“In viaggio clandestino o con biglietto?” ridacchiò lei, seguita immediatamente da Roy.
Rimasero qualche secondo in silenzio, prima che Riza si appoggiasse al muretto che delimitava il cortile della villetta. Hayate si accostò al cancelletto e si alzò su due zampe per farsi accarezzare.
“Appena il tempo di sistemare la stanza e portare via le mie cose e andrò a vivere con Kain ed i suoi genitori.” mormorò, arruffando il pelo dell’animale.
“Ti permettono di portare il cane?”
“Certamente, Kain sta facendo salti di gioia. Sai, a lui non l’hanno mai permesso.”
“Sarà un bene per lo gnomo averti vicina e sarà bello anche per te, ne sono sicuro.”
“Però confesso che un po’ questa casa mi mancherà.”
Guardò con malinconia i salici che stavano poco distanti, quel giardino così trascurato. La sua mente andò alla cucina e alla sua camera da letto, gli ambienti che costituivano il suo mondo entro quelle mura dove era una completa estranea.
“Ci potrai tornare quando vorrai, presumo – commentò Roy, seguendo la direzione del suo sguardo – ma scommetto che lui non ti mancherà.”
“No, su questo hai proprio ragione.”
“Riza! – Kain corse verso di loro due e la prese per mano – mamma ha detto che…”
“Non puoi ancora correre – lo rimproverò bonariamente lei – ricordati della tua fasciatura.”
“Oh, già è vero. Comunque ha detto mamma che stasera devi venire a cenare da noi, a casa dei nonni: dobbiamo assolutamente festeggiare tutti assieme il tuo ingresso in famiglia.”
E le afferrò la mano, inducendola ad andare con lui.
“Vai, colombina – sorrise Roy, strizzandole l’occhio – goditi la felicità che ti sei ampiamente guadagnata.”
La felicità che si erano guadagnati tutti quanti.


 
  
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