Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Fannie Fiffi    11/05/2014    1 recensioni
[ Raccolta Johnlock + Arctic Monkeys ]
1. Cornerstone.
2. You're So Dark.
3. 505.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  • Note: Estremamente angst.

    Un piccolo consiglio: leggetela con la canzone di sottofondo, è tutta un'altra cosa :) 






    505



    La prima volta che John Watson era stato nella camera 505, Sherlock Holmes era ancora vivo e ancora inconsapevolmente suo.
    Era accaduto quasi per caso: il consulente investigativo un pomeriggio era tornato a Baker Street, l'aveva guardato per un attimo con uno sguardo indecifrabile e gli aveva parlato dandogli le spalle.
    « Fa i bagagli, John. » Erano state poche parole, le sole necessarie ad esprimere il concetto, eppure l'ex medico militare aveva dovuto ripetersele in testa più volte per riuscire a capirne l'effettivo significato.
    A quel punto avrebbe voluto dire qualcosa di intelligente, oppure avrebbe potuto cominciare una sequela infinita di imprecazioni e delucidazioni su quanto lui non avesse alcun diritto di manovrare la sua vita, insomma qualsiasi cosa, ma si era limitato a una scrollata di spalle e si era avviato in camera sua con un' espressione mite, una faccia che diceva: "non potrei dirti di no nemmeno con una pistola premuta in bocca".
    E poi l'aveva seguito.
    Certo, certo che l'aveva seguito. Cosa poteva fare altrimenti? Le catene invisibili con cui Sherlock lo aveva perpetuamente legato a sé l'avrebbero stretto troppo forte se si fosse allontanato da lui, e non è che a John questo fatto dispiacesse.
    John quelle catene le lucidava e accudiva come se fossero il suo tesoro più prezioso e non poteva che esserne un dolce schiavo, perciò aveva fatto i bagagli e senza una domanda gli si era parato di fianco.
    Sul treno diretto in Sussex, poi, Sherlock gli aveva spiegato che si trattava di un caso che sembrava troppo interessante per "restarsene a cialtrare con quell'ignobile di Anderson", testuali parole.
    E John aveva di nuovo annuito, e di nuovo l'aveva guardato e aveva sorriso, di quel suo sorridere che era la cosa più sciocca che potesse fare, ma comunque la più sincera di cui fosse in grado davanti a lui.


    « Mi dispiace, ma l'unica stanza rimasta è una matrimoniale. Sapete, molte delle camere le ho dovute ristrutturare, altre inv... »
    « Andrà bene. » Sherlock aveva interrotto il proprietario del piccolo motel in cui avevano intenzione di sostare alzando il palmo rivolto verso l'alto, in cui l'uomo fece ricadere la chiave della 505.
    Il dottor Watson, affranto, aveva lasciato perdere la situazione, perché ormai le voci su loro due erano arrivate a livelli esorbitanti, perciò precisare per l'ennesima volta ciò che in realtà non appariva tanto ovvio era semplicemente inutile.
    In fondo loro sapevano di non essere niente di più che colleghi, coinquilini e amici - o perlomeno queste erano le bugie che continuavano entrambi a ripetersi - quindi cosa importavano le chiacchere altrui?
    I due si erano avviati senza dire una parola verso la camera che gli era stata riservata per una sola notte, trascinandosi dietro le due piccole valigie.
    Si erano sistemati, si erano fatti una doccia, John aveva sgranocchiato qualcosa che gli aveva gentilmente preparato la Signora Hudson e poi si erano finalmente messi a letto.
    L'ex medico militare era stato da subito attento a non invadere lo spazio dell'altro, dandogli le spalle e cercando di distaccarsi il più possibile dal suo corpo.
    Aveva provato a chiaccherare del posto, del tempo, ma le lenzuola sembravano tremare per la tensione e l'aspettativa della situazione, quindi aveva lasciato cadere il discorso in un silenzio tenue.
    L'unica illuminazione erano dei piccoli fasci di luci multicolori provenienti dalla strada, ma questo non aveva impedito a Sherlock di fissare nella mente ogni minimo movimento dei muscoli e delle ossa di John, palesemente teso e nervoso al suo fianco.
    Il moro gli aveva posato una mano sulla spalla e tutto si era semplicemente aggiustato.
    Ogni cosa si era incastrata al posto giusto.
    Poi avevano fatto l'amore.


    « Oh, Signor Watson, era un po' di tempo che non la vedevo. Sempre una notte sola? »
    « Si, Martin, grazie. » John prese le chiavi che l'uomo davanti a lui gli porgeva cordialmente e si avviò con la sicurezza di chi è talmente abituato a fare una cosa che quasi non si accorge di starla facendo.
    Quando inserì la chiave nella serratura e questa scattò, un sentimento di ritrovata malinconia si sciolse al centro del suo petto.


     

    I'm going back to 505



    Non era la prima volta che tornava in quella camera.
    Non era la prima volta da quando Sherlock Holmes non esisteva più che rimetteva piede in quelle quattro mura, ma come la prima volta un istinto di girare i tacchi e tornarsene da dove era venuto assalì il dottor Watson.
    Represse quest'impeto e con passo lento si accostò al letto, lo stesso su cui anni addietro si era abbandonato per la prima volta completamente e totalmente a qualcun altro.
    Era un'abitudine malsana, morbosa, ma comunque qualcosa che non riusciva a impedirsi di fare quasi con matematica regolarità.
    Era trascorso molto tempo da quando aveva passato la prima notte con Sherlock lì, proprio su quel letto, ma c'era tornato in così tante altre occasioni da averne ormai impressi i dettagli anche più insignificanti. Anche se ora stava per sposarsi. Anche se aveva trovato una donna - a lui non sono mai piaciuti gli uomini, lui viveva solo per Sherlock - con cui potenzialmente trascorrere il resto della sua vita e stavano per andare a vivere insieme, lui continuava a tornare lì.
    Perché lo faceva? Perché continuava a passare un'unica notte, da solo, in quella camera di motel, girandosi e rigirandosi fra le lenzuola fino all'alba con l'illusione di potervi ritrovare anche un briciolo del suo profumo?
    A questo non sapeva darsi una risposta.
    Non una razionale, perlomeno. Tutto ciò che era in grado di fare ogni volta che varcava quella soglia era chiudere gli occhi per un attimo e abbandonarsi alla fantasia.
    Si prefigurava nella mente Sherlock, nudo e fragilmente perfetto com'era stato la mattina dopo la loro prima volta, sdraiato nella sua parte di letto, pronto per lui, con le mani fra le cosce e un sorriso apparentemente innocuo, ma capace di creare nel suo cuore tormenti peggiori di quelli vissuti in guerra.


     

    In my imagination you're waiting lying on your side, with your hands between your tighs and a smile



    John Watson non si sarebbe mai immaginato che quel giorno avrebbe potuto essere diverso da qualsiasi altro.
    Stava tornando in treno dal Sussex, dalla sua abitudinaria gita dolorosa fra i ricordi, e pensava placidamente alla scusa che avrebbe raccontato a Mary; ormai era sempre la stessa.
    Prima di avere qualcuno nella sua vita, John non aveva mai dovuto fare parola di dove sparisse una volta al mese, ma quando l'aveva conosciuta le cose erano irrimediabilmente cambiate.
    Allora, d'improvviso, era spuntata fuori una lontana zia nel Sussex, da cui si recava regolarmente per visite mediche e di cortesia. Inutile dire che Mary si era offerta più volte di accompagnarlo, ma lui era sempre stato capace di destreggiarsi e trovare il modo di andare da solo.
    Il ritorno a casa era stato lo stesso di sempre, aveva camminato a lungo e, come spesso gli era accaduto da quando era rimasto da solo, aveva provato un grande desiderio di riprendere il suo bastone.
    Era come se con Sherlock fosse sparita anche ogni voglia di stare bene, quindi paradossalmente aveva ricominciato a zoppicare leggermente.
    Mary lo aspettava nel suo appartamento, gli aveva detto di volergli preparare una cenetta romantica e lui aveva accettato controvoglia, perché l'ultima cosa che voleva fare in quel momento era trascorrere del tempo con lei a Baker Street.
    La vedeva come una violazione della parte più intima di sè, come un luogo a cui nessun altro poteva avere accesso, tantomeno lei.

    Quando arrivò al 221, fece un sospiro e raddrizzò le spalle, affidandosi alla rigidità militare che gli permetteva di superare le situazioni più scomode.
    Prima di avviarsi verso il suo appartamento bussò alla Signora Hudson, la quale gli aveva spesso raccomandato di salutarla quando rientrava a casa; da quando entrambi avevano perso una persona così importante, il loro rapporto si era andato sempre più rafforzando, rendendola l'unica persona con cui John avesse ancora sincero piacere di passare del tempo assieme.
    Per la prima volta accadde qualcosa di strano però: nessuno gli aprì.
    Era qualcosa di insolito, perché in genere l'anziana lo avvisava sempre. Magari era salita nel suo appartamento, magari stava chiaccherando con Mary.
    Pensando di trovarle entrambe sedute vicino al camino a parlare del più e del meno, l'ex soldato si avviò per le scale con la solita postura ricurva e chiusa in se stessa, ingenuamente inconsapevole di quello che lo aspettava.
    Quando inserì la chiave nella serratura e aprì la porta, infatti, lo spettacolo che si ritrovò davanti lo congelò sul posto.
    La prima cosa che vide fu Mary, seduta sulla sua vecchia poltrona, che lo guardava con un'espressione pregna di pietà e dispiacere.
    Poi, la Signora Hudson, in lacrime, sulla vecchia poltrona di Sherlock.
    E infine un miracolo e una maledizione, il suo peggior incubo e il più anelato dei sogni: ricci corvini, spalle larghe, mani in tasca, una figura austera, rigida.
    Sherlock.
    Sherlock nel suo appartamento.
    Sherlock nel loro appartamento.
    Sherlock vivo e reale. Lì, in quel preciso momento. Davanti a lui.
    Le chiavi gli caddero di mano, il suono riecheggiò nel silenzio della stanza interrotto solo dai lievi singhiozzi della Signora Hudson.
    Sherlock si voltò. Prima di guardarlo negli occhi, si concentrò su un dettaglio insignificante delle sue scarpe.
    Con il viso ancora piegato verso il basso, lo guardò da sotto le ciglia e John lo rivide guardarlo in quello stesso modo mentre si inarcava contro di lui, sotto di lui.


     

    Stop and wait a sec, when you look at me like that, my darling, what did you expect?



    Sherlock fece due grandi falcate e arrivò al centro della stanza.
    Più s'avvicinava e più sembrava reale.
    Il dottor Watson compì un passo in avanti, sentiva di non aver controllo del suo corpo. Si muoveva per inerzia.
    E poi tutto successe in un momento, con la velocità dei fulmini: John si avventò su di lui e lo scaraventò per terra.
    Sherlock non si mosse.
    John lo bloccò al pavimento sedendosi su di lui e colpendolo con un pugno in pieno viso.
    Sherlock non si mosse.
    A quello seguì un altro pugno proprio sopra al suo perfetto naso.
    Un altro, lo zigomo sinistro.
    Mary si alzò di scatto e si avvicinò al suo fidanzato ebrio di rabbia e di un'ira di cui non l'avrebbe mai creduto capace.
    « John, fermati! » Gridò.
    Lui nemmeno percepiva il suo tocco su di lui, era troppo concentrato a stringere le sue mani attorno a quel collo che aveva venerato e adorato con la devozione riservata agli dèi.
    Sherlock non si mosse.


     

    I'd probably still adore you with your hands around my neck



    « Maledetto figlio di puttana! »
    Il volto spigoloso e perennemente serio dell'unico consulente investigativo al mondo fu presto ricoperto delle lacrime amare che ricadevano copiose dal volto del biondo, prima che questi abbandonasse la stretta su di lui e il suo calore scomparisse.
    Sherlock finalmente si mosse: serrò le palpebre per non permettersi di versare alcuna stilla salata. Lui non aveva il diritto di piangere, era questo che gli urlava il corpo di John. John, che si era portato i pugni agli occhi e tentava con tutte le sue energie di credere a quello che stava succedendo.
    « Tu, dannata testa di cazzo! Vattene! » Le sue urla erano degli echi nel cuore morto e risorto di Sherlock, il quale lo fissava con espressione indicibile, impossibile da descrivere.
    Come se in quel momento si volesse davvero trovare in una bara.


     

    But I crumble completely when you cry



    Senza dire una parola, mentre l'altro piangeva silenzioso in un angolo e gli dava le spalle, il minore degli Holmes si alzò da terra, si lisciò le pieghe del completo Spencer Hart e se ne andò.


    Giorni e settimane erano trascorsi nel più serrato e chiuso dei silenzi.
    John aveva smesso di andare in ambulatorio, di dormire, di mangiare. Non era più tornato a Baker Street, viveva con Mary, il cui amore e supporto però non erano abbastanza.
    Non erano sufficienti da quando il motivo della sua esistenza era tornato dal mondo dei morti e da quando lui aveva voluto con vergogna ricacciarlo indietro.
    O forse non lo erano mai stati.
    John era dilaniato dal desiderio di strangolare il suo migliore amico e al tempo stesso dalla mancanza viscerale e insostenibile che sentiva ogni volta che si permetteva di pensare a lui.
    Aveva sperato con ogni fibra del suo essere di vederlo tornare, di saperlo ancora vivo e meravigliosamente lui, e ora che i suoi sogni si erano realizzati non riusciva a perdonarlo, anche se aveva bisogno di lui come dell'aria.
    Sherlock, dal canto suo, ogni giorno che passava era sempre più sull'orlo di cedere a ogni sua ferrea imposizione e farsi una dose, perché l'assenza lacerante di John era troppo per lui.
    Perché l'aveva osservato da lontano per due anni nello struggente desiderio di poter tornare al più presto da lui, e ora che l'aveva fatto aveva distrutto tutto.
    Quello che avevano costruito insieme con l'inconsapevolezza delle prime volte, del primo vero amore.
    Quello che da subito era stato un legame indissolubile e indistruttibile, tanto da rivelarsi anche più forte della morte.
    Poi, un giorno come tanti, il suono di un SMS sembrava avergli ridato l'energia vitale, e in quel momento il suo cuore pareva aver ripreso a battere.
    Chiunque altro non avrebbe compreso il senso del testo, ma a lui fu chiaro e non potè fare a meno di lasciarsi andare a una risata limpida.
    505, diceva.



    Era nervoso come poche volte lo era stato, il grande Sherlock Holmes, mentre apriva la porta di quella stanza di motel tanto insignificante per gli altri quanto essenziale e segreta per loro due.
    John era seduto sul letto, gli dava le spalle, la testa e la schiena chine. Non si era voltato.
    Il minore degli Holmes si fece scivolare il Belstaff di dosso e lo abbandonò su una sedia vicina.
    Il modo in cui si avvicinava era molto simile a quello di un predatore, attento e concentrato, pronto ed estasiato per l'adrenalina della caccia.
    Ma lui sapeva che John gli apparteneva già.
    Quando salì con le ginocchia sul letto, il materasso si piegò leggermente sotto il suo peso, e così fece il dottor Watson.
    Sherlock gattonò in silenzio alle sue spalle finché non gli fu tanto vicino da sentire il suo respiro accelerato.
    Si sporse oltre la sua schiena e gli posò un bacio innocente e fugace sulla guancia, mentre lo vide chiudere gli occhi e rilassarsi impercettibilmente sotto il suo tocco.
    « Perdonami. » Sussurrò finalmente, appoggiando il petto contro la sua schiena e intrufolando una mano fra il suo braccio destro e il fianco, andando così a sfiorargli la coscia tesa.
    « Perdonami. » Ripetè di nuovo, baciandogli questa volta il collo, proprio sulla carotide, solleticandogli il volto con i suoi ricci.
    John non era ancora in grado di parlare, era semplicemente immobile, in balìa del suo profumo e della sua voce calda. Fu non senza sorpresa che si voltò di scatto e, non attendendo oltre, si tuffò contro la sua bocca; non c'era dolcezza, tenerezza o altro. C'era solamente bisogno e desiderio di punirlo, come a dire: "ecco a cosa hai rinunciato".
    Quando John si staccò da lui e lo spinse malamente sul letto, Sherlock sorrise adorante e finalmente in pace con se stesso, umettandosi le labbra al pensiero di averlo finalmente vicino, sopra, intorno, dentro.
    John Watson era ovunque.

     

    The middle of adventure, such a perfect place to start



    E il moro capì: la loro avventura non era iniziata, non era finita con la sua morte, era semplicemente nel mezzo.
    Da un lato era positivo, dall'altro significava che poteva precipitare da un momento all'altro. Ma a questo poteva pensarci in un altro momento, perché lì, proprio ora, aveva finalmente la possibilità di confluire nella sua pace personale.




    Un brivido accarezzò la pelle nuda di John, ancora sudata e accaldata, quindi si affrettò a ricoprirsi il fianco con il lenzuolo.
    Dopo aver fatto l'amore più volte, lui e Sherlock erano rimasti a fissarsi per tutta la notte, senza parlare.
    Perché avrebbero dovuto farlo? Non c'erano parole che avrebbero potuto descrivere come si erano sentiti, come si sentivano, quello che volevano.
    E poi c'era così tanta paura: per John, di dire ad alta voce quello che era arrivato a comprendere da qualche tempo; per Sherlock, di sentirselo dire.
    Inutile affermare che l'aveva capito, che niente per lui era un mistero, anche e soprattutto quando si parlava del suo Dottore, ma faceva comunque male. Dannatamente e schifosamente male.
    Era per questo che non avevano parlato, volevano godersi ancora per un po' il calore e la tranquillità di quell'esatto momento.
    La realtà però era giunta a incombere sulle loro teste quando il sole era sorto, ed era arrivato il momento di affrontarla.
    « Sherlock... »
    « Lo so. »
    « So che lo sai, ma devo dirlo. Ad alta voce. »
    Lui annuì.
    « È finita. Avevo bisogno di sentirti e averti mio per un' ultima volta. Vorrei poterti punire e poi perdonare e fare finta che non sia mai accaduto niente, fingere che questo sia solo l'ennesimo giorno in cui ci siamo svegliati qui, nel nostro posto perfetto, ma non posso. Tu sei morto per due anni e questo non potrà mai essere cancellato. »
    Sherlock non parlò.
    Cosa poteva dire? Che lo amava? Certo che lo amava, non era forse la cosa più ovvia che avesse mai fatto in vita sua? La più ovvia, la più giusta, e quella che ora lo stava distruggendo.
    Cos'altro poteva fare? Implorarlo? L'avrebbe fatto se avesse avuto la certezza che sarebbe bastato.
    Ma non poteva esserne certo, perché vedeva nei suoi occhi la dolorosa risolutezza di una decisione già presa.
    Nelle sue iridi leggeva tutto quello che aveva dovuto affrontare, la solitudine, la profonda e antica sofferenza di aver perso la sua unica verità.
    Vedeva tante cose, ma nessuna di queste era ciò che Sherlock voleva.
    Non c'era più nulla per cui combattere, nulla per cui restare. Due anni fa aveva fatto una scelta: aveva scelto di abbandonarlo per salvargli la vita e per salvare Londra, e ora John aveva fatto la sua.
    Fu per questo motivo che il minore degli Holmes annuì, gli pose una mano dietro la nuca per avvicinarlo a sé e gli baciò la fronte.
    Entrambi chiusero gli occhi colmi di lacrime e di tutto quello che sarebbero potuti essere se le cose fossero andate in modo diverso, e poi velocemente si staccarono, voltandosi ognuno dal lato opposto.
    John Watson fu il primo ad alzarsi: non si fece nemmeno la doccia, si limitò a rivestirsi velocemente e a raccogliere le sue poche cose, mentre Sherlock non riusciva a fare niente se non osservarlo da quel letto su cui s'erano amati per la prima volta e su cui ora si erano detti addio, questa volta per sempre.
    Non ci sarebbe stato nessun altro posto in cui avrebbero potuto farlo se non quello.


     

    It seems like once again you've had to greet me with goodbye


    Quando l'ex medico militare ebbe finito, si avviò alla porta senza voltarsi nemmeno una volta; afferrò la maniglia, ma prima di aprirla e uscire si fermò.
    « Ti amo. » Non si voltò verso di lui, non poteva sostenere di guardarlo negli occhi.
    Poi se ne andò.





     

  
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