Orgoglio e Pregiudizio
Capitolo 9 – parte II
«E poi è arrivata Denise, con quel suo sorrisino falso, chiedendogli le stesse
identiche cose che gli stava chiedendo Jennifer! L'avrei presa a schiaffi! E sì
che lo sapeva che Denise ci stava provando…»
«Uhm…»
«È l'ora che abbassi un po' i toni quella stronza, poco ci mancava che Denise
scoppiasse a piangere. È da secoli che va dietro a quel ragazzo, poi arriva lei
e… glielo porta via? Ma che ci provi soltanto…»
«Uhm…»
«Senza contare che l'altro giorno sono stata
dal ginecologo, avremo un bel maschietto!»
John storse il naso mugugnando l'ennesimo «Uhm…»
del pomeriggio, quando realizzò improvvisamente le ultime parole di Mary e fece
scattare su la testa, guardandola con un'espressione inebetita. «Che cosa?»
Mary mise il broncio e sbatté con un po' troppa
forza il libro sul tavolo. «Perché non mi stai ascoltando?
A cosa pensi di così importante?»
John si passò una mano sul volto, innervosito
dallo scherzo appena ricevuto, e sfogliò un'altra pagina del libro di storia, con
fare annoiato. «Sono rimasto in biblioteca con te perché mi hai chiesto di aiutarti
a studiare, non per sentirmi raccontare vita, morte e miracoli delle tue amiche…»
Mary gli scoccò un'occhiata truce. «Pensavo
di raccontarti qualcosa della mia vita, visto
che tu non lo fai mai!»
John sospirò, sentendo montare lentamente la
rabbia nella sua voce. Il vento si stava alzando ancora una volta, pronto a travolgerli
nella tempesta, l'ennesima discussione senza capo né coda. «Per favore, Mary, andiamo avanti, ok? Non ho voglia di
perdere tempo inutilmente.»
«Perché ovviamente è questo che fai nei tuoi pomeriggi con Sherlock, no? Studiate
e studiate senza neanche guardarvi in faccia!»
John alzò lo sguardo, stupito. «Cosa c'entra
Sherlock, ora?»
«Sherlock, Sherlock… non fai che parlare di lui! C’entra sempre. Stavi pensando
a lui prima, non è vero? Magari a quanto ti saresti divertito a casa sua invece
che stare qui ad ascoltare qualche innocente attimo di vita della tua ragazza!»
La guardò, stralunato, senza tuttavia avere
la forza di ribattere. Purtroppo, per una volta, Mary aveva ragione: stava pensando
proprio a Sherlock, al fatto che lo aveva lasciato solo con se stesso per l'ennesimo
pomeriggio di seguito. Non appena la ragazza aveva cominciato a parlare degli inutili
pettegolezzi riguardanti le sue amiche, aveva praticamente
mandato il cervello in stand by, lasciando scivolare i pensieri verso quel
ragazzo solo nel suo appartamento a Baker Street, a fare chissà quale interessante
esperimento.
«Non sono stupida, sai? Non è la prima volta che mi chiedono perché continui
a stare con te se non mi dedichi mai le tue attenzioni!»
John strinse le labbra in un muto scatto rabbioso. «È questo che sei? Gelosa di Sherlock?» chiese poco dopo, con la
voce più bassa di quanto avrebbe voluto.
Mary portò gli occhi al cielo, esibendo una
smorfia disgustata. «Ci manca poco! Ti rendi conto
di come ti comporti? In ogni cosa che facciamo c'è sempre Sherlock di mezzo: “ma io dovevo fare di qui, dovevo
fare di là”… e alla tua ragazza chi ci pensa? Uhm?»
Il biondo prese un respiro profondo, cercando
di calmare almeno in parte la rabbia. «Stai diventando ridicola…»
«Ridicola?» Esibì un sorriso sarcastico. «Come credi che mi debba sentire? Robert per lo meno si
premurava di parlarmi!»
«Parlarti? Passiamo insieme almeno otto ore al giorno tutta la settimana, se
non di più, perfino nei giorni in cui sto qualche ora da Sherlock! È il mio migliore
amico, perché diavolo non dovrei dedicargli del tempo?»
«Un amico non ti occupa i pensieri ventiquattro ore su ventiquattro! Robert era
sempre pronto a fare qualunque cosa per me! Portarmi lo zaino quando era troppo
pesante, venirmi a prendere alla fine di ogni lezione, uscire tutti i pomeriggi
a svagarsi in lunghe passeggiate romantiche…»
«E allora perché l'hai lasciato!» sbottò, alzandosi
in piedi e rischiando di buttare a terra la sedia per lo slancio improvviso.
«Signori, cos'è questo baccano?» Il bibliotecario
si affacciò da dietro uno scaffale, guardandoli truce. «Vi devo ricordare in quale
luogo ci troviamo?»
«Perché pensavo fossi un ragazzo migliore…»
sibilò lei non appena fu fuori della vista dell’uomo. «E
ci ho anche creduto all'inizio. I tuoi modi gentili, la tua espressione quando mi
guardavi… ti rendi conto che non ti comporti più così?»
John chiuse gli occhi e respirò lentamente.
«O forse la tua attenzione ora è rivolta solo a quello stupido ragazzo? Devo
dare ragione ad Anderson e le sue teorie sulla coppia Watson-Holmes?»
«Perché devi dire così?» La guardò, deluso.
«Lo sai come vi chiamano? Johnlock! JOHNLOCK! Quelle sfigate di Louise e Melyssa
continuano a blaterare cose senza senso su quanto siete “teneri" insieme!»
Spalancò le labbra, stupito. Conosceva le due
ragazze, erano quelle del primo anno che si sedevano sempre insieme al tavolo opposto
a quello dei Blackheath, fissate con gli attori, film e
serie televisive, fumetti e chissà cos’altro. Erano diventate cheerleader all'inizio dell'anno e si erano subito fatte
notare per la loro eccessiva esuberanza. Con una fitta al petto soppesò attentamente
le parole della ragazza, iniziando con il pensare a quanto fosse ridicola quella
teoria e ritrovandosi a ripetere mentalmente quella strana unione di nomi, trovando che suonasse estremamente bene.
«Come dovrei sentirmi io?» piagnucolò lei,
rivolgendogli un paio di occhi colmi di tristezza.
John deglutì, scacciando per l’ennesima volta
l’immagine di Sherlock tra le sue braccia nel bagno, ed esitò, scuotendo poi la
testa debolmente. «Sherlock non ha nessuno,
ok? Nessuno che si preoccupi di starlo ad ascoltare e discutere con lui, nessuno
che gli dia retta e non si limiti a classificarlo come psicopatico e a prenderlo
in giro. Sono il suo unico amico.»
«Quel ragazzo è gay!» lo interruppe l'altra, guardandolo incredula.
Respirò a fondo e annuì. «Lo so.»
Mary spalancò ancora di più gli occhi. «È innamorato di te! Sai anche questo vero? O forse non
hai neanche notato come ti guarda?» sibilò tra i denti.
«So anche questo…» mormorò, gli occhi persi
in un punto indefinito di fronte a sé. «E allora?»
«Allora cosa?» La ragazza lo guardò con gli
occhi lucidi. «Passi del tempo con un ragazzo a cui
piaci?»
«Sì!» esclamò, tornando a guardarla con occhi
vacui. Si chinò in avanti, abbassando la voce per limitare il disturbo a chi sedeva
poco lontano. «E la sai una cosa? Lo faccio
perché lui ha veramente bisogno di me…» Con il cuore che cominciava a battergli a mille cominciò a riordinare le proprie
cose, ignorando la sua espressione stupefatta e mettendo un po’ troppa energia nei
movimenti.
«Che cosa fai?»
Deglutì, chiudendo la cerniera anteriore dello
zaino. «Vado da lui.»
Mary si alzò, fermandolo per un braccio. «Perché?»
La guardò negli occhi, mantenendo orgogliosamente
lo sguardo. «Perché è la cosa giusta da fare.»
«Non puoi farlo! Mi stai tradendo con Sherlock? Mi stai veramente facendo questo?»
Una lacrima le rigò il volto, gli occhi castani
che lo fissavano, increduli.
John la guardò per qualche secondo, ponderando
attentamente le parole, ma quando stava per parlare
avvertì il cellulare vibrare nella propria tasca. Abbassando lo sguardo lo tirò
fuori dai pantaloni e lo sbloccò, spalancando poi gli occhi di fronte al messaggio.
«Se davvero mi hai amato, una volta, guardami negli occhi e sistemiamo tutto.
Facciamo pace e vediamo di risolvere la cosa… okay?» chiese lei, con un filo di voce.
John respirò piano e tornò a rivolgerle lo
sguardo. «Devo andare, mi dispiace Mary…»
Fece per girarsi ma lei lo bloccò, prendendogli
il volto tra le mani e costringendolo a guardarla dritto negli occhi. «Ti prego…»
cominciò a tremare lievemente, altre lacrime che si aggiungevano alla prima nel
lento percorso verso il mento.
Il ragazzo alzò le mani e le poggiò sulle sue.
«Mi dispiace, non posso.» Un nodo gli si fermò in gola. «Hai ragione, non sono stato leale con te, e mi dispiace.
Lui… lui ha bisogno di me…» respirò piano, scacciando il senso di colpa. «Mi dispiace…» Allontanò le sue
mani dal proprio volto, continuando a guardarla negli occhi, poi si voltò definitivamente
e sparì verso l’uscita della biblioteca.
Qualcuno potrebbe farsi male… sul tetto. JM
~*~
Sherlock poggiò le mani sulla porta di uscita
e, dopo un ultimo momento d’esitazione, spinse il battente e la aprì.
Subito una folata di aria fresca di fine inverno
gli sferzò il volto, costringendolo a portarsi una mano alla fronte per scostare
un ciuffo ribelle di capelli, poi si guardò intorno e mosse lentamente qualche passo
in avanti. Registrò con gli occhi ogni minimo particolare di quella superficie di
cemento, dal buco di scolo in un angolo alla vernice scrostata presente su tutto
il cornicione, fino a fermarsi definitivamente sulla nera figura seduta poco più
avanti, girata verso l’esterno della terrazza, che guardava con occhi persi il paesaggio
sottostante.
«Ben ritrovato, Sherlock!» Moriarty si voltò
verso di lui, sorridendo mellifluo. «Pensavo di non vederti più!
Com’è la nuova scuola?»
Sherlock non rispose, fermandosi a pochi passi
di distanza e studiandolo attentamente, la testa leggermente inclinata di lato.
«Lo sai? Ci sei mancato… la squadra ha perso una delle sue vittime preferite.» rise l’altro. Gettò un’ultima
occhiata di sotto, poi si alzò e unì le mani dietro la schiena. «Allora… cos’è tutto questo silenzio? Hai perso la tua solita
faccia tosta?»
«Cosa vuoi?» chiese, ignorando la sua domanda.
Moriarty alzò lo sguardo, per poi coprirsi
gli occhi con una mano. «Bel pomeriggio per morire,
vero? Guarda, perfino il cielo piange tutto il loro dolore!»
Sherlock s’irrigidì, respirando piano.
Il ragazzo rise di gusto alla sua espressione
quasi stupefatta e tornò a guardarlo, cominciando a girargli intorno. «Sai cosa
succede a chi ne sa più di quanto dovrebbe…» mormorò.
Il moro deglutì e lo seguì con lo sguardo. «Perché dovresti farlo ora? Hai avuto tutto il tempo, prima…»
Rise nuovamente. «Davvero non ci arrivi da
solo?»
Le lacrime le rigavano il volto, silenziose, mentre se ne stava seduta lì, esattamente
dove John l’aveva lasciata, a fissare con occhi vuoti la parete di fronte a sé.
Era stata una stupida a non notarlo prima,
se ne rendeva conto solo in quel momento. O meglio, se n’era resa conto quando era
stato lui a dirglielo, quell’uggioso
pomeriggio dopo gli allenamenti. Era così palese, così terribilmente chiaro, che
lei stessa non riusciva a capire come avesse fatto a non accorgersene fino a quando
non era stato qualcun altro a suggerirglielo, a metterle quella pulce nell’orecchio.
John era chiaramente innamorato di quell’insulso ragazzo, quell’arrogante, insolente
e altezzoso ragazzo. Sarebbe dovuto risultarle evidente dalle occhiate che gli lanciava, da
quell’espressione completamente persa che aveva quando ne parlava, da quei continui
e insensati riferimenti ai pomeriggi che passava insieme a lui. Ma era andata avanti
per la sua strada, ignorando tutti quei segni che le si
presentavano sotto agli occhi, convinta dei sentimenti di John per lei. Lo aveva notato fin
dal suo secondo anno lì al Barts, quando si erano incrociati in un corridoio e il
ragazzo le aveva rivolto uno sguardo quasi adorante, osservandola inebetito fino
a quando non era sparita dietro l’angolo. Mary sapeva di avere questo effetto sui
ragazzi, così all’inizio non se ne era curata più di tanto. Poi però le cheerleader e i Blackheath avevano iniziato ad uscire insieme,
e piano piano avevano cominciato a conoscersi
meglio: la bionda aveva tuttavia accuratamente evitato ogni sua possibile avance,
concentrandosi invece su quelle di Robert, che era molto più affascinante e sicuramente
più popolare del giovane Watson. Si era ricreduta solo qualche mese prima, essendosi
stufata dei suoi soliti discorsi privi di senso. Al tempo non aveva quasi fatto
caso a Sherlock, fermamente convinta che John passasse del tempo con lui e stesse
dalla sua parte negli scontri con i Blackheath solo a causa del suo buon cuore.
«Ma sei proprio sicura che John provi per te
quello che tu provi per lui?» Le sue parole le rimbombarono nella mente per l’ennesima
volta nelle ultime settimane, riecheggiando con l’identico tono con le quali erano state pronunciate.
Ricordava bene quel momento, subito fuori dall’uscita
degli spogliatoi: quel giorno John non c’era, si era preso una brutta febbre ed era rimasto a casa per
quasi una settimana. Era stato proprio in quel momento che Moriarty si era avvicinato…
«Andiamo… non potevo ucciderti così, all’improvviso,
senza nessuna apparente ragione… e poi il divertimento
dove sarebbe stato?»
Sherlock represse un brivido. «Che cosa avresti
fatto di così divertente?»
«Oh… tante, belle cose. Sai, una volta che hai fatto partire la fiamma non ci vuole molto perché il fuoco si espanda,
soprattutto se hai ben steso prima il terreno con molte foglie secche…»
Socchiuse le palpebre, cercando di capire il
senso di quella metafora.
«Quante persone ti odiano qua dentro! Hai mai provato a contarle? Ogni ragazzo
che hai rimbeccato per la grammatica scorretta, che hai pubblicamente umiliato svelando
interessanti dettagli sulla sua vita… un po’ tutti, insomma. Cominci a capire…?»
Sherlock aprì nuovamente gli occhi, realizzando
finalmente l’intricato piano del ragazzo che gli stava di fronte. «E una volta data
la notizia della mia assenza per droga non c’è voluto
niente perché tutti ci credessero, cominciando a pensare che fossi solo un tossicodipendente…»
Jim sorrise, soddisfatto. «Vedi? E non ho fatto neanche molta fatica, hai fatto tutto tu. Quei dettagli sul passato sono soltanto
tuoi… gli errori che hai commesso anche.»
«Quindi come pensi di farla finire la storia?» chiese
infine, il cuore che cominciava ad aumentare il suo ritmo.
«Dimmi un po’ Mary, quante volte John ti ha abbandonato per il suo migliore amico?
Quante volte si è dimenticato di te perché doveva fare qualche cosa di molto interessante
con quello Sherlock Holmes?»
Il cuore cominciò a batterle velocemente. «Che
cosa vuoi dire?»
«Andiamo… non dirmi che non ci hai mai pensato. Ti sei mai chiesta che cosa facciano quei due insieme tutti quei pomeriggi? O per quale
assurdo motivo John continui a riferirsi a lui ogni santa volta?»
A quelle parole rimase interdetta, fissando
il ragazzo a bocca aperta. «Mi staresti dicendo che John è innamorato di Holmes?»
L’altro strinse le spalle. «Di questo non ne sono certo, ma forse forse darei ascolto a tutte quelle voci che li riguardano…
non credi?»
«Piantala di dire fesserie. John non è gay.»
Moriarty rise di gusto. «Solo perché non è
mai stato con un ragazzo non significa certo che non
sia gay… chi ti dice che non abbia represso la sua situazione solo per non essere
preso di mira? Non è la prima volta che un omosessuale si nasconde agli occhi di
tutti coprendosi con una ragazza… nel tuo caso, addirittura una della più popolari della scuola!»
«John non farebbe mai una cosa del genere!»
«Uhm… quanto realmente sai di lui, ragazza mia? È cresciuto in una famiglia relativamente
povera, senza un padre, con una sorella alcolizzata…»
«Smettila.»
«E poi quel bacio… fossi in te mi sarei preoccupata.»
Lo guardò, esterrefatta. «Quale bacio?»
«Come, non lo sapevi?» L’espressione sorpresa
sul suo volto era comicamente falsa. «È stata la causa del loro
litigio! Sherlock si è spinto un po’ troppo in là e ha pensato bene di baciarlo,
quella volta nel bagno… i pettegolezzi girano, lo sai?»
A quelle parole sbiancò completamente.
«E quanto si è arrabbiato John! Ma ora lo ha perdonato… proprio un
bravo ragazzo.»
Mentre ripensava al discorso, si rigirò quello
strano giochino tra le mani, con un’altrettanto
strana levetta al centro.
«Ragazzo depresso si suicida nella sua scuola! Il ragazzo che soffriva di
depressione, morto suicida dal tetto del rinomato liceo Barts!»
Sherlock respirò a fondo, inalando più aria
possibile nel tentativo di calmare l’improvvisa agitazione. «Cosa ti fa credere che riuscirai nell’intento? Potrei benissimo
aver chiesto aiuto a mio fratello, nel tragitto per venire qui…»
«Ma sappiamo entrambi che non è così, non è vero?»
sogghignò l’altro. «Devi proprio odiare tuo fratello
per non rivolgerti a lui in un momento cruciale come questo. Sai, per essere così
intelligente sei proprio un idiota…»
Rabbrividì al suono di quella parola, quell’insulto
che John gli aveva sempre rivolto scherzosamente. «E se decidessi di non farlo?
Se decidessi di non buttarmi? Cosa faresti per obbligarmi? Mi punteresti
una pistola alla testa?»
Moriarty sorrise, beffardo.
«Beh, pensaci Mary… parlargli. Magari ha solo bisogno di un aiuto esterno, magari
puoi riportarlo sulla buona strada… non pensi anche tu?»
Rimase a fissarlo, inerte.
«Nel caso le cose finissero male, ecco… potresti
voler dare una piccola lezioncina al tuo caro ragazzo…»
Era stato in quel momento che le aveva premuto
nella mano quello strano oggetto, sorridendole rassicurante.
«Ti basterà tirare quella piccola levetta al
mio segnale e John capirà il madornale errore che ha commesso…» le aveva sussurrato in un orecchio, prima di accarezzarle il volto e andarsene.
«Se non lo farai gli spogliatoi del campo da rugby
salteranno in aria, e con loro anche tutti quelli che si stanno preparando al
suo interno proprio adesso! Allora, cosa hai intenzione di fare?»
~*~
John uscì dalla biblioteca correndo, lasciano
perfino cadere lo zaino a terra senza quasi accorgersene.
Si fiondò per i corridoi, correndo più velocemente
che poteva, cercando di pensare razionalmente a cosa stesse accadendo sul tetto
della scuola.
Il suo primo pensiero dopo aver letto il messaggio
era andato a Sherlock, al fatto che sicuramente il ragazzo doveva trovarsi sul tetto:
solo in un secondo momento aveva realizzato
che il “qualcuno” che avrebbe potuto farsi male poteva essere effettivamente
lui.
Sentiva la paura crescergli lentamente dentro, facendosi strada tra tutti quei pensieri ottimisti che
non riusciva a fare a meno di formulare in situazioni di emergenza come quella.
Aveva il terrore di non arrivare in tempo, di non poter fermare qualsiasi cosa stesse
succedendo là sopra: non poteva permettersi di perdere Sherlock, non dopo tutto quello che era successo,
e neanche che qualcuno potesse fargli del male. Aveva giurato che non lo avrebbe
più abbandonato, che ci sarebbe stato quando ne avrebbe avuto bisogno.
Si fermò al secondo piano, sfinito, piegandosi
sulle ginocchia e cercando di riprendere fiato.
Perché non era rimasto con lui come prefissato,
quel pomeriggio? Perché non gli era rimasto al fianco, esattamente dove doveva stare?
Sherlock, Sherlock, Sherlock.
Riprese la sua corsa non appena ebbe recuperato
abbastanza forze e completò le ultime rampe di scale, le gambe che a stento lo reggevano
in piedi per il prolungato sforzo. Rimase sul pianerottolo per qualche secondo,
respirando piano, fissando quella porta grigia che lo separava dalla terrazza esterna
e da tutto quello che lì stava accadendo e sarebbe accaduto.
Non poteva sapere cosa lo stava aspettando,
non poteva sapere se sarebbe tornato indietro vivo o se sarebbe morto su quel tetto. In effetti non sapeva neanche se era uno scherzo, un diversivo,
o una trappola, ma in quel momento non gli importò, neanche se ciò che stava per
fare lo avrebbe portato tra le braccia della morte.
Nonostante questo, John prese un respiro profondo, poi spinse definitivamente
il maniglione antipanico ed uscì fuori, all’aperto, sotto
la pioggia scrosciante.
~*~
Irene Adler aveva vissuto a lungo sotto l’ombra
di Jim Moriarty, lo aveva seguito come un cagnolino durante i suoi anni al Barts,
sapendo di essere una delle sue favorite e una delle quali si fidava maggiormente.
Tuttavia non era di certo una stupida, né una sprovveduta, e sapeva che il ragazzo
nascondeva qualcosa dietro a quella facciata da studente modello che si era costruito
intorno. Non aveva mai osato andare oltre, cercare di capire più a fondo: non avrebbe
mai neanche potuto immaginare di prendersi gioco di lui. Moriarty era troppo intelligente,
se ne sarebbe sicuramente accorto se qualcosa non fosse andato per il verso giusto.
E Irene non aveva alcuna intenzione di cacciarsi nei guai.
O almeno non ne aveva avuta fino a quello che
sembrava un lontano giorno d’inverno, poco prima che Sherlock Holmes sparisse dalla
circolazione.
Aveva accettato, felice di potersi prendere
gioco di lui, e ora era lì, pronta all’azione già da qualche mese, in attesa che
succedesse qualcosa, qualsiasi cosa che la collegasse al
giovane ragazzo che ammirava.
Quando quel pomeriggio ricevette il messaggio di Sherlock, breve e sintetico
come suo solito, sapeva già cosa fare.
~*~
La prima cosa che vide una volta fuori all’aria
aperta, nonostante il brutto tempo, fu l’inconfondibile sagoma del suo migliore
amico, in piedi sul parapetto. Il cuore perse un battito mentre lo guardava esterrefatto.
«SHERLOCK!» urlò poco dopo, tendendo una mano
in avanti come a volerlo afferrare.
Con il cuore in gola vide il ragazzo girarsi
di colpo, i capelli fradici appiattiti lungo il volto pallido ed emaciato. Il suo
fu solo un debole sussurro. «John…»
«Ma bene bene… John Watson, il principe azzurro, è arrivato.»
Il mediano strizzò gli occhi e si guardò attorno,
scorgendo subito l’alta figura di Moriarty poco distante da sé. «Jim…»
«Cominciavo a pensare che non saresti venuto… ma come avresti potuto? Sherlock,
l’unico ragazzo di cui ti saresti mai potuto
innamorare…»
Si portò una mano sulla fronte per ripararsi
dalla pioggia e, ignorando deliberatamente il compagno di squadra, si voltò verso
l’amico. «Scendi immediatamente di lì!»
L’occhiata che il moro gli rivolse era colma
di rabbia e agitazione. «Maledizione…» lo sentì mormorare tra sé e sé.
«Ora sì che le cose si fanno interessanti! M’immagino già i titoli sui giornali,
domani mattina… La tragedia omosessuale che ha sconvolto il
liceo Barts, il suicidio della coppia gay vittima del bullismo adolescenziale…»
John tornò a guardare Moriarty, ansimando.
«Che cosa vuol dire?»
«Lascialo andare.» la voce ansiosa di Sherlock
riuscì a farsi sentire sopra lo scroscio della pioggia.
«Oh Sherlock, e come potrei? Così che poi sia in grado di raccontare tutto? Ha
scelto lui di venire qui, ha abboccato all’esca.
Non mi resta altro da fare che simulare il vostro suicidio! Non è un bel finale
per una storia? E insieme andarono verso la morte, uniti per
sempre dal loro profondo amore…»
«Oh per l’amore del cielo, basta!»
«Paura John? Vedrai, sarà molto semplice…»
«Sherlock! Ti prego, scendi di lì…»
Il moro gli rivolse un’occhiata furente, toccata
comunque da una punta di dolore nel sentire riecheggiare in quelle parole il panico
dell’amico. Perché John doveva sempre complicare tutto in quel modo? Si morse un
labbro e strinse una mano a pugno, cercando di fermare un accenno di tremore. «Mi
dispiace John…»
«Mary!» Molly irruppe nella stanza, individuando
subito la ragazza seduta in fondo, occhi alla parete. Si avvicinò di slancio, rallentando il passo quando lei le rivolse
uno sguardo addolorato, gli occhi rossi per il pianto. «Mary, cosa succede?» chiese cauta.
L’altra scosse la testa. «Lasciami in pace…»
Respirò lentamente, cercando di trovare le
parole più adatte. Vide quello che reggeva in mano e per poco non si prese un colpo.
«Ti prego, Mary, ascoltami…»
Irene salì prudente gli ultimi scalini, muovendosi
con passo felpato, cercando di non farsi sentire dal ragazzo in piedi di fianco
alla porta, lo sguardo puntato all’esterno.
Solo quando gli fu vicina si azzardò a parlare, con un filo di voce.
«Ritrovo pomeridiano sul tetto, quest’oggi, Moran?»
«Se non lo facciamo, farà saltare in aria il
campo da rugby, John…»
Il biondo spostò gli occhi da uno all’altro,
incredulo. «Moriarty… fermati ti prego.
Siamo solo ragazzi dannazione! Che cosa diamine stai facendo?»
«Oh John… quanto sei ingenuo… non capisci che non ti rimane nient’altro da fare?
Saltate e finiamola qui. Stiamo solo perdendo tempo per inutili sciocchezze…»
Rabbrividì, cercando qualcosa nello sguardo
di Sherlock che gli dicesse quanto tutto quello fosse solo una messa in scena. Ma lui era impassibile.
«Mary, ascoltami,
io ti capisco… davvero. John si è comportato malissimo. Ma devi capire che…» sospirò, guardandola dritto
negli occhi. «Non sempre le cose vanno come vorremmo… no?» tentò un debole sorriso.
«Ci siamo innamorate entrambe del ragazzo sbagliato…» sussurrò.
La bionda scosse la testa. «John era perfetto…»
«No, non lo era, se siamo in questa situazione non lo era affatto. Guardami, Mary… io non
ho niente di quello che hai tu. Popolarità, bellezza, ragazzi ai miei piedi… mi
sono innamorata di Sherlock. Lo sono ancora… credo.» deglutì. «Ma non gliene faccio una
colpa. Dovresti sapere anche meglio di me che l’amore non funziona mai come dovrebbe.»
«Perché lui? Perché lui e non me?» chiese con un filo di voce.
«Perché è andata così. Perché John si è ritrovato in Sherlock, loro sono… sono
così perfetti insieme. Insomma, li hai mai visti?»
Mary scosse la testa e si prese il viso tra
le mani. «Non posso, non posso farlo…»
«Sì che puoi! Calmati, va bene? Prendi un respiro profondo… andrà tutto bene.
Troveremo anche noi la nostra anima gemella un giorno. Uhm?»
«Io non…»
Si avvicinò, fino a inginocchiarsi di fronte
a lei. Con gesti lenti e misurati le tolse l’oggetto di mano e la strinse in un
abbraccio, sospirando sollevata quando Mary la strinse a sé in risposta, cominciando a singhiozzare sulla
sua spalla.
Con un movimento veloce del braccio lo disarmò,
approfittando della sua sorpresa, e lo colpì sulla nuca con il calcio dell’arma.
«Buonanotte Seb…» sussurrò, adagiando piano
il suo corpo a terra.
«Oh ragazzi basta! Mi sto stancando, ok? Le minacce le avete avute,
ma forse non vi sono ben chiare. Seb! Vieni avanti, forza…»
Moriarty fece il grave errore di portare gli
occhi al cielo e per questo non vide la figura della ragazza avanzare sul terrazzo,
l’arma puntata verso di lui. Quando finalmente abbassò lo sguardo, arcuò un sopracciglio,
perplesso. «Oh… oh fantastico!»
John si voltò di scatto verso la nuova arrivata,
il sollievo che lo invadeva improvvisamente mentre vedeva con la coda dell’occhio
Sherlock scendere dal cornicione con un lieve balzo.
«Mi hai sottovalutato, Moriarty…» cominciò
il moro, camminando baldanzoso verso di loro, un ghigno soddisfatto sulle labbra.
«Oh, per lo meno, non ti sei curato di tenermi continuamente sotto controllo e notare
il mio piccolo cambiamento.»
Moriarty rise, una risata priva di gioia.
«Una volta, forse, avrei fatto tutto di testa mia, ma mi sono accorto in tempo
che se avevo intenzione di batterti dovevo cedere e chiedere aiuto. Hai intessuto
un buon piano, davvero, ma sono riuscito a superarti…»
«Sherlock Holmes, una mente a dir poco geniale direi… che mi dici di Mary?»
A quelle parole John spalancò gli occhi, spostandoli
da uno all’altro.
«Completamente inoffensiva.»
«E chi ti dice che quella ragazza fosse la
mia unica arma?»
«Oh, non lo era, infatti, non è così? Un semplice diversivo. La tua arma era già al lavoro…»
«Lo è ancora, o hai fermato anche quella?»
Sherlock fece una smorfia. «Ovviamente. Non c’è stato alcun allenamento oggi, ristrutturazione
degli spalti, non lo sapevi?»
Moriarty alzò le braccia al cielo. «Complimenti. Pensavo non ti saresti abbassato a un tale
livello di stupidità. L’amore non è un vantaggio, Sherlock.»
Il ragazzo gettò una veloce occhiata a John,
il quale sentì il cuore mancargli un battito. «Ne sono consapevole e non
vi cadrò più tanto facilmente. Sbagliando s’impara…» citò, guardandolo con supponenza.
«Hai calcolato tutte le tue mosse, complimenti…
ma temo tu non abbia pensato al mio piano B.» disse, mentre armeggiava con le tasche
della felpa, per poi tirarne fuori un’altra arma. «Hai sempre creduto che non mi
sarei mai abbassato a sporcarmi le mani personalmente, non è così?» Caricò e puntò
verso Sherlock, il quale s’irrigidì sul posto.
Irene strinse con più sicurezza la sua pistola.
«Vuoi fare a chi spara per primo?»
«Oh dolcezza… non ti conviene giocare con me.»
Qualcosa dentro John scattò, scacciando il
panico improvviso. Incrociò lo sguardo dell’amico, che a sua volta lo stava osservando,
e rimase colpito dal terrore soppresso nei suoi occhi, quella muta richiesta d’aiuto,
o forse una richiesta di perdono, non lo sapeva. Seppe soltanto che in quel momento
una scarica di adrenalina lo invase, dandogli un coraggio che non avrebbe mai creduto
di possedere. In seguito, non avrebbe più avuto dubbi su che cosa l’avesse spinto al gesto estremo.
Un rumore sordo risuonò per le scale, di passi
che salivano velocemente, e in quell’esatto istante avvenne tutto, con una velocità
tale che sarebbe stato difficile ricostruire l’intera scena senza perdere qualche
particolare.
Le dita del ragazzo premettero leggermente
di più sul grilletto, pronte a lasciare andare il colpo, quando John scattò in avanti,
con la forza e la rabbia dovuta ad anni e anni
di allenamento nel ruolo di mediano d’apertura della sua squadra, e si gettò
verso di lui, deciso a deviare la traiettoria di un eventuale sparo.
Insieme con John anche Sherlock si buttò in avanti, un
solo millesimo di secondo di ritardo, e urtò la spalla di Moriarty, il quale si
era voltato verso il compagno di squadra e aveva premuto definitivamente il grilletto.
Il suono dello sparo risuonò nell’aria, nel
momento esatto in cui una serie di uomini in nero si riversava sulla terrazza, accerchiando
i ragazzi.
Moriarty si scrollò di dosso il moro e buttò
via l’arma, portando le mani in alto.
Sherlock, invece, si lasciò spingere via e
guardò come al rallentatore il suo migliore amico portarsi una mano alla coscia,
un’espressione puramente sorpresa sul volto, e scivolare sul pavimento bagnato su
un ginocchio, vacillando pericolosamente.
Il terrore lo invase da capo a piedi, una scarica
elettrica percorse ogni centimetro del suo corpo, irrigidendo gli arti, mandando
in frantumi per un momento ogni stanza del suo palazzo mentale. Gli parve di sentire
il proprio cuore perdere più di un battito, e, quasi senza neanche rendersene conto,
si gettò in avanti, raggiungendolo.
Non l’arteria femorale, non l’arteria femorale, non l’arteria femorale.
Si buttò in ginocchio al suo fianco e lo accolse
tra le proprie braccia, adagiandolo a terra in modo che la gamba ferita rimanesse
a riposo. Si sedette sui talloni, un braccio dietro la testa di John e l’altro che
artigliava inconsciamente il suo maglione, e osservò attentamente la ferita, cercando
invano di localizzare il punto esatto in cui il proiettile era penetrato.
John, John, John, John…
Lo tenne seduto, accostandoselo al petto, stringendo
un po’ più del necessario. «Ti prego, John, resisti…»
Il ragazzo rantolò, alzando gli occhi su di
lui, e le sue labbra si aprirono in un accenno di sorriso. «Sherlock…» Uno smorfia
di dolore e chiuse gli occhi, respirando con forza per inalare più aria possibile.
Sherlock si avvicinò sempre più pericolosamente
al suo viso, andando quasi a sfiorare il suo naso con il proprio. «Ti prego, John…»
«A-andrà tutto bene.» mormorò piano l’altro, le forze
che, sentiva, lo stavano lentamente abbandonando.
«Andrà tutto bene…» ripeté, socchiudendo gli occhi.
Le loro fronti si toccarono e Sherlock strinse
gli occhi, spingendo un poco per poter approfondire quel piccolo
contatto, cercando conforto in quelle parole, aggrappandosi al ragazzo come se fosse
la sua unica ancora di salvezza in un mare in tempesta. Riaprì le palpebre solo
quando sentì la mano dell’amico aggrapparsi a sua volta al colletto della sua giacca.
«Tieni gli occhi fissi su di me…»
Sherlock obbedì, respirando piano e a fatica.
L’ultima cosa che John vide, prima di chiudere
gli occhi, furono le lacrime che solcavano il volto del suo migliore amico, per
la prima volta senza controllo; l’ultima cosa che avvertì fu il calore del suo corpo,
del suo abbraccio, del suo volto a pochi centimetri dal suo; l’ultima cosa che sentì,
il singhiozzo silenzioso del suo pianto.
Ti prego Dio, fammi vivere.
E tutto fu buio.
Continua…
Ok, ammetto che questa cosa comincia a sfiorare
il ridicolo.
Vi giuro, in tutte le lingue del mondo e
sulla testa di Moffat, che questa doveva essere
la seconda e ultima parte del capitolo nove.
Ma, e c’è un ma, sono una grande [inserire insulto qui] e siccome devo sempre
stravolgere tutti i programmi, siccome le scene che mi scrivo capitolo per capitolo
prima di iniziare a scrivere una storia non sono mai abbastanza, siccome a quanto
pare questi due piccoli idioti devono farci patire le pene dell’inferno…
C’è una parte III.
Mi dispiace, mi rendo conto che la cosa sta
andando un po’ per le lunghe e vi chiedo umilmente scusa.
Per quanto riguarda il prossimo capitolo
sto facendo tutto il possibile per finire di correggerlo, ma la vita reale si è
messa in mezzo… Spero veramente di non dovervi fare attendere troppo <3
Gage.