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Autore: VandasGirls    13/05/2014    1 recensioni
«Ti ho tenuto nascoste molte cose, bambina mia», disse addolorata Lucia Marcelli, portandosi una mano al viso. «Ma ora è giusto che tu abbia una vita migliore. Questa è l’eredità di tuo padre.»
«Io sto bene qui.»
Violante guardò la chiave che sua madre le stava porgendo, senza far nulla per afferrarla. Tutto stava avvenendo troppo rapidamente, senza preavviso alcuno; si sentiva spaventata, stranita. Non voleva saperne nulla.
«Non andrò con Messer d’Alviano da nessuna parte.»

Cinque Assassini figli di Caino, cinque destini mescolati tra loro per raggiungere lo stesso obiettivo.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartolomeo d'Alviano, Ezio Auditore, Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Volpe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il destino di Qayin

Capitolo quattordicesimo




La stanza da bagno era calda, così come l’acqua della vasca nella quale riposavano in compagnia dopo un intero pomeriggio passato a dare la caccia a un corriere dei Borgia sui tetti del ghetto. Caccia finita male, tra l’altro, cosa che lo frustava più del fatto stesso di trovarsi a dover condividere il momento del bagno con altre tre persone.
Corella, ormai tornato al vecchio vizio di portarsi ovunque il bicchiere colmo di vino, canticchiava una canzone da osteria al fianco di Cristiano, il quale pareva assai più interessato a insaponare i suoi boccoli biondi che a fare da coro al forlivese. Spallaci, invece, se ne stava da parte e raccontava di quanto gli ci era voluto per ammazzare due arcieri particolarmente agili.
Distante da tutto quel vociare, Bengiamino sospirò.
Ci aveva pensato e ripensato per almeno due settimane, insonne tra le coperte della camerata, ed era arrivato alla conclusione che, vista la sua totale e riconosciuta ignoranza in fatto di relazioni umane, un consiglio non potesse che giovargli.
«Corella», esordì, quindi. Con una bracciata attraversò a nuoto la vasca, portandosi accanto all’amico. «Devo chiederti un parere circa una faccenda.»
«Devi essere particolarmente disperato se chiedi consiglio ad Alessandro», disse divertito Cristiano, strappando il sorriso dalla bocca del povero Corella, il quale pareva estasiato all’idea di poter essere d’aiuto. «Di che si tratta? Un discorso circa l’invecchiamento dei vini?», proseguì imperterrito il biondo, ricevendo una spruzzata d’acqua in pieno volto.
«Insaponati bene, tu, che sul biondo lo sporco risalta ancor di più», borbottò Corella, prima di voltarsi verso Lorenzetti, appoggiandogli una mano sulla spalla nuda. «Di qualsiasi cosa si tratti, io sono la persona giusta per te.»
«Sei sicuro di quello che vai cincischiando, vero?», si intromise Spallaci, grattandosi con falsa indifferenza l’interno dell’orecchio. «Questa me la voglio proprio godere: Lorenzetti che chiede aiuto a qualcuno per qualcosa!»
Bengiamino sospirò rumorosamente, lasciandosi affondare un poco nell’acqua calda della vasca.
Forse, anzi, con buona probabilità, stava commettendo l’errore più grosso della sua intera esistenza.
«C’è una … persona», disse, soppesando con minuzia ogni singola parola. «Due settimane fa, quando siamo usciti …» Si prese una pausa per pensare. «Potrei essermi esposto un po’ troppo. Non che sia stato respinto, ma non ci parliamo da allora.»
Sospirò nuovamente, scivolando sul fondo fino a che l’acqua non arrivò a bagnargli le labbra.
Non si era mai vergognato tanto in vita sua, ma il fatto che Chiara avesse accuratamente evitato di parlargli per tutto quel tempo lo stava distruggendo.
Sorprendentemente, comunque, quelle parole riscossero uno strano successo.
All’inizio vi fu solo un lungo, brutto silenzio e sei paia di occhi che lo fissavano fuori dalle orbite.
Poi iniziò la cagnara vera e propria.
Corella si alzò in piedi, cercando di correre per la vasca mentre starnazzava qualcosa riguardo alla perdita della virtù di Bengiamino.
Cristiano si portò le mani ai capelli bagnati, tirandoli appena, mentre Spallaci prendeva ad applaudire, gridando al miracolo come un profeta.
In toto, sembravano impazziti di colpo.
«Dobbiamo festeggiare! A me il vino!», urlò Corella, senza smettere di correre.
Basito, Bengiamino spalancò la bocca. Rimase a guardare il forlivese prendere il volo sul pavimento allagato del bagno, per poi cadere di faccia sulle piastrelle.
Quel poco di silenzio che il rovinoso capitombolo di Corella riuscì a riportare, Bengiamino lo utilizzò per dare le dovute delucidazioni.
«Non c’è stato niente del genere», farfugliò, riemergendo appena dalla vergogna che lo aveva trascinato sul fondo. «L’ho soltanto baciata, tutto qui.»
Piantò lo sguardo sull’acqua che aveva dinanzi, quasi nelle sue parole vi fosse davvero qualcosa per cui provare imbarazzo, e restò in attesa della reazione dei suoi compagni.  
«Di chi si parla?», domandò Spallaci, staccando Pagni dalla bottiglia di vino che si era portato dietro solo per potersi attaccare a sua volta.
«Che domanda idiota, solo dalla tua bocca poteva provenire!», lo riprese subito Alessandro, ributtandosi in acqua e aggrappandosi alle spalle di Lorenzetti. Gli prese il volto tra le mani. «Chiara Filippi da Firenze, chi altre?! Dimmi, bacia bene?»
«Non è questo, il punto!», protestò Bengiamino, roteando gli occhi senza però scostarsi da Corella. «Ti vanti sempre di essere esperto, in questo genere di cose, perciò dimmi come posso attirare la sua attenzione.»
Sputato il nocciolo della questione, il milanese si sentì più tranquillo. Si rilassò un poco, staccando lo sguardo dal vuoto per portarlo sui suoi compagni.
Dopotutto, che Cristiano e Corella fossero due rubacuori era faccenda ben nota; Spallaci, invece, nei mesi che avevano trascorso assieme aveva speso più soldi in bordelli che in vino.
Incredibilmente, tutti e tre presero molto seriamente la situazione.
«Non c’è un protocollo scritto che valga per ogni donna», iniziò Cristiano. «Ognuna ha un modo diverso di venir conquistata.»
«Il punto focale è questo: far sì che apra la gambe.» L’esordio di Corella fece perdere un poco la fiducia del milanese nei suoi amici, visto che anche gli altri due annuirono convinti. «Chiara è la più piccola, è giovane e innocente. Ci vorrà un po’, per cogliere il suo fiorellino.»
«Però è anche vero che è persa di te», si intromise il ferrarese. «Cerca di essere romantico, ma con discrezione o la imbarazzerai. Falle complimenti, regalale qualche fiore e in men che non si dica te la troverai sotto ad ansimare.»
Bengiamino sospirò.
Avrebbe dovuto capire nell’esatto istante in cui aveva scelto di confidarsi che quella non sarebbe stata una buona idea.
«Grazie tante», sbuffò, quindi, sguazzando fino alla porta per poi abbandonare la vasca. «Credo andrò a chiedere consiglio a Laura.»
Laura che probabilmente ne sapeva ancor meno di lui, in fatto di conquiste romantiche, ma che sicuramente avrebbe quantomeno usato la testa per aiutarlo. Dopotutto, lei e Chiara erano amiche.
Passò senza salutare dalla stanza della vasca a quella dove un’ora prima si erano spogliati, allungando svogliatamente la mano verso la parete alla ricerca della sua casacca.
Quando la sua pelle entrò in contatto con la superficie fredda del vetro, qualcosa lo costrinse a realizzare che, nella stanza, non erano rimasti che i suoi stivali.
I suoi stivali e quegli degli altri, certamente, ma nessuna traccia di bluse, cinture e mantelli.
Spariti, volatilizzati, scomparsi.
Trattenendo il fiato, Bengiamino tornò sui suoi passi.
«C’è un problema», decretò, immergendosi nella vasca per stare al caldo. «Qualcuno ha preso i nostri abiti.»
Cristiano non assimilò subito quelle parole, ma fu il solo ad udirle visto che gli altri due sembravano chiusi in un discorso senza sbocco riguardo ai seni delle donne.
«Che cosa intendi  dire?», domandò, ingenuo, uscendo a sua volta e raggiungendolo alla porta.
Si affacciò, per poi sbiancare. Tornò quasi di corsa alla vasca a si lanciò dentro.
«Ci hanno preso i vestiti!», sbottò in faccia a Spallaci e Corella, sperando così di farli desistere dai loro discorsi.
Corella si scostò quel poco che bastava per non trovarsi i capelli di Cristiano in bocca, poi si voltò  verso Bengiamino.
«E chi avrebbe dovuto prenderci i vestiti?», chiese, corrugando la fronte con fare perplesso.
Spallaci lo superò come un fulmine, tirandosi dietro Cristiano per uscire di nuovo dalla vasca.
«Ma quelle oche, è ovvio!», sbraitò. «Forza! Andiamo a riprenderceli!»
Bengiamino gli scoccò un’occhiata sconvolta. Senza almeno qualcosa da mettersi addosso, da lì non sarebbe mai uscito.
Alessandro non si fece problemi di sorta. Uscì dalla vasca con passo tronfio, esibendo così tutte le sue glorie insieme a Spallaci lungo le scale del Covo.
Si udirono un paio di urla, tra cui uno ‘Scostumati!’ proveniente dalla madre di Auditore.
Cristiano attese ancora qualche secondo, prima di sospirare e seguirli.
«Forza, Bengiamino, non possiamo marcire qui dentro.»
Bengiamino roteò gli occhi.
Nel mentre Pagni lasciava la stanza, vagò con la mente per le sale del Covo, focalizzando il corridoio che collegava il bagno alla sala centrale. Il corridoio decorato con le bandiere recanti il simbolo della fratellanza.
Raggiungerlo e spiccare un balzo verso una di esse per sistemarsela attorno alla vita e coprire quantomeno bacino e gambe fu più facile del previsto, tanto che, una volta resosi vagamente presentabile con quello stendardo allacciato sotto l’ombelico, Bengiamino non poté fare a meno di sentirsi soddisfatto.
Partì quindi alla ricerca di Chiara, più nervoso che veramente adirato per quel brutto tiro, senza mancare di porgere i suoi saluti a Madonna Auditore quando la incrociò nel salone.
Non trovò Chiara, ma Laura tartassata dai tre ragazzi.
Se ne stava zitta con gli occhi fissi su di un libro, non molto interessata ad esso quando al voler evitare di guardare i tre ragazzi nudi che stavano sbraitando attorno a lei.
«I nostri bauli sono vuoti, hanno portato via tutto eccetto le bandane», disse disperato Corella, guardando poi come si era coperto Bengiamino. «Oh, intelligente!»
«Stupida femmina, dicci dove sono i  nostri vestiti!», sbraitò Spallaci, ottenendo come risposta uno sbadiglio della milanese.
«Non ho idea di dove le altre abbiano nascosto le vostre cose», gli rispose dopo un istante, voltando la pagina del libro che stava leggendo per coprire una risatina imbarazzata. «Ma, Alessandro: fossi in te mi procurerei una vanga e qualcosa con cui coprirmi. Ha ripreso a piovere, fuori.»
E detto questo si alzò, salutando educatamente con un cenno del capo e prendendo la scalinata che conduceva alle camerate. Si fermò un istante a pochi passi da Bengiamino, prendendogli il braccio e sussurrandogli qualche parola di scusa all’orecchio.
Peccato che non paresse affatto pentita.
«Fuori?!» Corella si sporse dalla finestra, notando poi qualcosa di strano. «Ehi, Cristiano, quella su quell’albero non è la tua divisa?»
Il biondo mugugnò, sporgendosi a guardare.
Pareva proprio lei.    
Mentre cercava un modo per far soffrire Violante senza ucciderla, notò qualcosa. Anzi, due cose.
Piantata nel terreno c’era una bottiglia di vino rovesciata, vuota ovviamente, e sotto di essa solo terra smossa.
Senza dimenticare quello che pareva uno dei fazzoletti ricamati di Spallaci, arrotolato sulla porta della chiesa.
«Credo di sapere dove possiamo trovare le nostre cose, miseriaccia.»
Mentre i tre partivano di buon passo per uscire all’aperto, Bengiamino restò a guardarli allontanarsi.
Non pensò neanche per un istante di cercare tra la terra smossa o su un albero; Chiara non avrebbe potuto essere così banale neanche per sbaglio. Sebbene l’idea di costringere Spallaci ad affrontare le suore di San Bartolomeo non era poi così mediocre.
Trovare la ladra delle sue vesti, ad ogni modo, restava l’unica possibilità di recuperare camicia e calzoni.
Fissandosi la bandiera alla vita per assicurarsi che quella trovata non finisse per tradirlo, Bengiamino prese la via di sua sorella, salendo le scale verso le camerate.
Se Chiara si fosse rifugiata nella stanza designata alle ragazze, non si sarebbe di certo fatto problemi a fare irruzione. Dopotutto, ormai era difficile immaginarsi più miserabile che errante per il Covo coperto soltanto di un lembo di stoffa.
Come da previsione, trovò tutte le ragazze affollate alla finestra a ridersela sotto ai baffi. Anzi, a ridere platealmente quando qualcuno fuori riuscì a cadere sul fango.
Ovviamente si trattava di Corella.
Bengiamino si mise dietro di loro con le braccia incrociate, osservandole con un sopracciglio alzato.
«Guardate Cristiano!», Viola si portò una mano alle labbra, indicando verso la piazza e il campo adiacente. «Si farà malissimo se scivola e struscia sulla corteccia.»
«Puoi giurarci», ricalcò Laura con un sorrisetto malevolo. «Anche se Spallaci è quello che rischia.»
Seccato, Bengiamino diede un colpo di tosse per annunciare la sua presenza nella camerata.
Le ragazze si voltarono tutte di scatto, dapprima con espressione di sorpresa preoccupazione, poi con un lieve risolino a spiegare le loro labbra.
Arrossendo appena, Bengiamino realizzò di essere appena entrato in una camerata di sole ragazze vestito con nient’altro che una bandiera attorno alla vita. Bandiera che non gli era parsa neanche così coprente, ma preferì non indagare. Non in quel frangente.
«I miei vestiti», ordinò, portando le braccia dietro la schiena. Inspirò un paio di volte, imponendosi tutto il contegno che suo padre aveva insegnato a lui e ai suoi fratelli e che Laura pareva aver interamente gettato al vento. «Per favore.»
Laura fu la prima a lasciare la stanza, tirandosi dietro Paola. Entrambe ridacchiavano come due ragazzine.
Violante abbassò lo sguardo su Chiara, la quale fissava il pavimento rossa in viso.
«Di lui ti devi occupare tu, secondo spartizione», le disse, facendola arrossire ancora di più.
Anche la bolognese lasciò la stanza, sussurrando un ‘complimenti’ a Bengiamino e dandogli una pacca sulla spalla.
Sembrava un apprezzamento, ma il milanese decise di non sindacare nemmeno su quello.
Fulmineo, scattò verso Chiara, bloccandola nell’angolo tra il letto e il muro senza lasciarle neanche il tempo di protestare.
«I vestiti», sospirò, accigliandosi appena. Allo scuotere la testa della fiorentina, portò la mano a bavero della bandiera attorno ai suoi fianchi. «Chiara», chiamò, fermo, mentre con il braccio spingeva la stoffa ad abbassarsi. «I vestiti. Ora.»
Chiara, dall’alto della sua innocenza, non comprese subito cosa stava per accadere. Balbettò qualcosa, portando le mani al viso, prima di scuotere nuovamente il capo.
«Ho promesso alle ragazze che sarei rimasta zittina!», confermò, tenendo le mani sugli occhi.
La non-risposta di Bengiamino la mise in allarme. Riuscì a resistere sì e no due secondi, prima di togliere le mani nell’esatto istante in cui il drappeggio scivolava lungo le gambe magre di Lorenzetti, lasciandolo del tutto nudo.
Bengiamino dovette richiamare a sé tutta la buona volontà di cui disponeva per non perdere il controllo e correre a coprirsi come la più pudica delle vergini. Non si era mai mostrato senza vesti dinanzi a una donna, neanche a sua sorella.
«Se non mi dici dove hai nascosto i miei vestiti», esordì, dapprima impacciato per poi guadagnare sicurezza man mano che procedeva nell’illustrare il suo piano. «Uscirò da quella porta e andrò a chiederlo alle altre senza coprirmi in alcun modo.»
Tirò su col naso, un po’ per l’imbarazzo e un po’ per il freddo, ma non staccò gli occhi seri da quelli spalancati di Chiara.
Alla biondina parve bastare.
Il suo labbro tremò appena, mentre non riusciva proprio a staccare gli occhi dal corpo perfetto di Bengiamino. Allungò una delle mani, accarezzandogli appena lo stomaco, riportando gli occhi nei suoi e facendosi più determinata di quanto lui avesse calcolato. Si alzò sulle punte, attenta a non sfiorare il corpo nudo del ragazzo, ma riuscendo al contempo a sfiorare le sue labbra con un  bacio appena accennato.
Poi tornò in sé e con un paio di passetti si allontanò, dandogli le spalle.
«Sotto al letto del Mentore. Non volevo rovinarli, portandoli sotto alla pioggia.»
Bengiamino sospirò, più intenerito da quel bacio che dalla mera soddisfazione di potersi finalmente rivestire. Si chinò a raccogliere la bandiera per poi rimetterla al suo posto attorno ai fianchi e si lasciò sfuggire uno sbuffo soddisfatto.
Quando si voltò per ringraziare Chiara, lei era già sparita sul corridoio.
Di gran carriera, perciò, Bengiamino si decise ad abbandonare la camerata delle ragazze per percorrere l’ultima scalinata che lo separava dalla sua armatura.
Bussare alla porta del Mentore gli richiese più tempo del previsto.
Pensò più e più volte a come esordire, a come spiegare, covando la speranza che Ezio fosse sgattaiolato via contro gli ordini del guaritore.
Alla fine, optò per la via più giusta: la verità.
«Mentore», disse, quindi, bussando alla porta di legno con compostezza. «Sono Bengiamino. Sto cercando i miei vestiti.»
Dall’interno arrivarono due risate, una maschile e una femminile, che gli fecero alzare gli occhi al soffitto.
Entrò, quindi, senza attendere il permesso, ed evitò accuratamente di guardare sia Ezio che Viola, mentre si chinava per raccogliere le sue cose sotto al letto. Sembrava esserci tutto.
«Voglio partecipare anche io, a queste cose», stava dicendo il Mentore, così divertito dalla situazione da rendere impossibile ogni suo tentativo di nascondere l’ilarità.
«La prossima volta verrai avvertito, promesso», lo rassicurò la bolognese, rimanendo appoggiata alla finestra con le braccia incrociate.
Con l’armatura ancora in mano, Bengiamino assottigliò lo sguardo su Violante.
«Paola ti cercava», le disse, tentando di coprire la sua menzogna con un cenno del capo colmo di disinteresse. «Pare che Spallaci si sia vendicato dello scherzo.»
Ricambiò vago l’occhiata preoccupata che la bolognese gli lanciò, prima di seguirla con il capo per tutta la stanza fino a che non sparì dietro la porta che dava sul corridoio.
Sentiti i suoi passi scattanti scendere le scale, Bengiamino si liberò della bandiera, prendendo a rivestirsi.
«Hai detto che vuoi partecipare a questo genere di cose», disse, allacciandosi gli spallacci sulle spalle.
Ezio ricambiò il suo tono serio con una risatina lieve.
Bengiamino non si scompose.
«Ebbene», continuò, mentre con immenso sollievo si stringeva la cintura in vita. «Stanotte ci servirà il tuo aiuto.»









Maria, che si era intrattenuta per affari personali fuori da Roma per qualche giorno, decise di tornare proprio nel momento meno opportuno.
Dopo aver aiutato un ignudo Cristiano a scendere da un albero e un altrettanto scostumato Corella a recuperare tutti i suoi vestiti coperti dal fango, si era vista costretta a salvare la vita a Spallaci, inseguito da un intero ordine di suore munite di crocifissi e scope.
Quando le donne le avevano detto di aver beccato il ragazzo a frugare sotto alle panche totalmente nudo, lei aveva quasi perso il nume della ragione.
Grazie al cielo, avevano reso le vesti al romano, anche se Maria stava ponderando l’idea di mandarlo a casa dalla madre completamente spoglio di ogni cosa. Dignità compresa.
Prima della cena aveva fatto una bella ramanzina a tutti, ma come sempre era bastata una parola di Ezio per invalidare tutto.
Come se poi l’avessero ascoltata …
Li aveva fatti ritirare a letto molto prima del solito, promettendo giri di corsa a non finire la mattina successiva, ma certa che la loro obbedienza non fosse per paura ma solo perché pioveva ancora fortissimo e quindi non aveva senso uscire dal Covo, nemmeno per andare a bere.
Il solo temerario era stato Corella, ma nessuno degli altri era sembrato incline ad accompagnarlo, così anche il forlivese aveva desistito.
«Hai una brutta cera, Laura.» Maria poggiò una mano sul viso della milanese, sentendolo bagnato di sudore freddo. «Non ti senti bene?»
«Crampi all’addome, nulla di che», la rassicurò Laura, stendendosi piano sul letto per paura di rimettere la cena. «Passeranno presto, forse oggi ho riso davvero troppo.»
Maria assottigliò lo sguardo.
«Domani manderò a chiamare il guaritore», rispose, allontanandosi verso il suo giaciglio dove – finalmente – riuscì a togliersi il mantello dopo un giorno intero passato in viaggio. «Dirò a Ezio di lasciarti dormire.»
Frugò un po’ nella sacca, estraendo una lettera imbustata da una calligrafia tanto pomposa quanto elegante, e la porse a Paola.
«Da Niccolò», spiegò.
Chiara fece capolino dal suo cumulo di coperte.
«Sei stata a Firenze?», chiese.
Maria annuì.
«Di passaggio, giusto ieri.»
«E Machiavelli?», chiese preoccupata Laura.
«Sua moglie è riuscita a calmarlo. Ancora qualche tempo e potreste vederlo tornare a Roma, chissà.»
«Festeggiamo», disse ironica Violante. «Anche se devo ammettere che senza Machiavelli non si respira la stessa aria. Sarà anche un po’ sadico, ma è l’essenza di questo posto.»
Maria parve quasi impressionata dalle parole della bolognese, tanto che non aggiunse altro.
Violante aveva centrato il punto: senza Niccolò non sembrava nemmeno di star preparando un addestramento serio.
Forse perché, in effetti, non c’era serietà.  Di nessun tipo.
Ezio era un grande Assassino e un buon mentore; stava insegnando molto ai ragazzi, ma tendeva ad essere eccessivamente permissivo con loro.
«Paola, leggi la missiva e poi lumi spenti», disse Maria, rimanendo con addosso solo i calzoni e una camicia sformata.
Si lasciò cadere con il capo sul cuscino, certa che si sarebbe addormentata in un baleno, aiutata dallo scrosciare armonico della pioggia.
«Com’era Firenze?»
La fastidiosa voce di Chiara le fece aprire gli occhi e sollevare un poco il capo verso il giaciglio della ragazzina, la quale se ne stava lì, con il viso rotondo tra i palmi delle mani, così contenta di sentir nominare la sua città da apparire quasi emozionata.
«Come Ezio Auditore quando non se ne va in giro zoppicando», le rispose Maria, scrollando le spalle mentre si tirava la coperta sul mento. «Frivola, scapestrata e piena di buone intenzioni.» Fece una pausa, rendendosi improvvisamente conto che Ezio e Firenze avevano addirittura lo stesso odore, ma si costrinse a scacciare immediatamente quei pensieri. «E ora su, spegnete le candele!»
Si voltò su un fianco, chiudendo gli occhi e concedendosi al sonno. Tutti i discorsi che Machiavelli le aveva fatto prima di lasciarla partire alla volta di Roma le rimbombavano in testa come raccomandazioni inutili.
Si concesse un lungo sospiro rilassato, lieta di trovarsi tra le lenzuola fresche di bucato, mentre fuori imperversava l’inferno tra lampi e acqua. Stava prendendo sonno, quando sentì un piccolo singhiozzo dal letto di Chiara.
Nonostante tutto, quella notte non era la sola a sentire un po’ la mancanza di casa.


*



Dormivano tutte profondamente, quando lo scricchiolare delle assi sotto i passi leggeri di qualche insonne destò Maria dal sonno profondo in cui era caduta non appena i lumi erano stati spenti.
Allarmata, la donna si tirò a sedere sul materasso, allungando la mano sotto al cuscino per afferrare il coltello che le assicurava un riposo tranquillo.
Qualcuno, nel buio della camerata, si muoveva più furtivo del solito.
Stava per alzarsi e andare a controllare i letti, quando una risatina sul corridoio la tranquillizzò.
Ezio.
Con la mente offuscata dal sonno, Maria non poté far altro che associarlo a Violante.
Si buttò sdraiata, coprendosi con le coperte e aspettando che la porta si richiudesse con grazia, dopodiché chiuse gli occhi, tornando a dormire.
Non riuscì neanche ad assopirsi.
La voce di Ezio arrivò così profonda e agitata che per poco le pareti della stanza non presero a tremare.
«I Templari!», urlava dal corridoio, mentre i passi veloci degli  altri Assassini si affrettavano a raggiungerlo. «Attaccano il Covo!»
Nell’esatto istante in cui Maria scattò in piedi, le urla delle altre ragazze la colsero di sorpresa.
«Mi hanno presa per i capelli!», gridò con voce strozzata Chiara, mentre la modenese cercava di accendere una candela con l’aiuto di alcuni fiammiferi.
Quando finalmente ci riuscì, si trovò davanti uno spettacolo a dir poco assurdo: tutte e quattro le altre giovani erano attaccate per i capelli alle testate dei letti. Nel senso vero e proprio della cosa.
Fu allora che capì.
Si sedette di peso sul letto, senza aiutarle, mentre i ragazzi facevano irruzione insieme al Mentore ridendo come pazzi.
Maria glielo concesse, ancora troppo stordita dalla paura che le aveva attanagliato le viscere, ascoltando quello che stavano dicendo.
«Ben vi sta!», chiocciava Corella, saltellando soddisfatto intorno al gruppetto dei ragazzi. «Avete avuto ciò che meritavate!»
«Guardatele!», gli fece eco Spallaci. «Spaventate come le oche che sono!»
Di tutte le risate che accompagnavano quello scherzo, però, la più fragorosa era quella di Ezio, il quale se ne stava in disparte, in fondo alla stanza con le spalle appoggiate al muro.
Improvvisamente colma d’ira, Maria si alzò, lasciando che il coltello che ancora stringeva in pugno cadesse sul materasso. Mosse un passo in avanti, dopodiché superò i ragazzi con uno scatto, buttandosi contro Ezio e prendendolo per la collottola.
«Adesso dammi una buona ragione per cui non dovrei  prenderti a schiaffi fino all’alba», soffiò, spingendolo contro il muro con i pugni chiusi attorno al colletto della camicia.
Ezio la guardò stranito, prima di prenderle i polsi e staccarsela di dosso.   
«Smettila di fare sempre la rompiscatole, Maria», le disse, con tono un po’ scocciato. «I ragazzi meritavano la loro vendetta.»
«Ci mancherebbe!», disse con tono alto Spallaci, mentre Bengiamino appoggiava la fronte alla sua spalla, colto da un eccesso di risate. Fu il primo a cercare di ricomporsi, sedendosi sul letto di Chiara e iniziando a liberarle i boccoli chiari. «Sono stato picchiato da un branco di suore pazze, per colpa di questa ragazzine!»
Corella fece lo stesso con Laura, mentre Cristiano aiutava Violante, ma il forlivese sembrava in difficoltà.
«Dopotutto, è un gioco. Che mai potrebbe esserci di male!»
Maria alzò gli occhi al cielo.
«Non dovresti essere tu a supportare queste ripicche infantili!», puntualizzò, dando un ultimo strattone a Ezio prima di lasciarlo andare. «Mi avevi promesso la testa del Valentino, non un’orda di ragazzini!»
Si scostò scuotendo il capo e andò a raggiungere Laura al suo giaciglio, spingendo via Corella con una manata in faccia.
«Che succede?»
Il tono spezzato della milanese la fece sussultare.
Con tutti i ricci che quella ragazza si ritrovava in testa, era un miracolo che Corella fosse riuscito a scioglierne quasi due ciocche dalla testiera del letto.
Recuperando un coltello dalla cintura di Bengiamino, Maria sospirò.
«Bisogna tagliarli», decretò.
Calò il silenzio.
Laura portò una mano alla bocca, ma Corella fermò il braccio di Maria.
«Stavo riuscendo a scioglierli, lasciami fare!»
La modenese lo fulminò con lo sguardo.
«Rimarrebbero dei nodi impossibili da sciogliere. Levati, ragazzino, lascia fare a chi capisce qualcosa.»
Fu davanti al dono così duro della donna che l’ultima persona che tutti pensavano potesse perdere la testa, si fece avanti.
«Ma chi ti credi di essere?» Cristiano la guardò con aria di sfida. «Sei solo una poveraccia che viene messa insieme al ‘branco di ragazzini’ invece che dietro a missioni che valgono.»
«Soprattutto, non sei nostra madre», concluse Spallaci. «Se vuoi dei figli, fattene uno e levati dai piedi.»
Per la seconda volta, nella stanza calò il silenzio.
Maria rimase un istante con lo sguardo perso nel vuoto, prima di scostare il coltello dal capo di Laura.
«Hai ragione», mormorò, guardando Spallaci con pochezza.
Sentiva gli occhi lucidi e il respiro farsi pesante, ma non avrebbe dato dimostrazione della sua debolezza lì davanti a tutti.
Si voltò verso Ezio, il quale era rimasto impietrito con la schiena addossata al muro.
«Prenditi i tuoi Assassini e vattene al diavolo», sibilò, scoccandogli un’occhiata di puro rancore.
Lui aprì la bocca per ribattere, ma subito la richiuse. Fece cenno ai ragazzi di lasciare la stanza, guardandoli sfilare sul corridoio uno dopo l’altro con tutte le lamentele dovute al caso. Si trattenne un istante in più, lanciando un ultimo sguardo nella direzione di Maria, per poi allontanarsi chiudendo l’uscio dietro di sé.
Con lo sbattere della porta, la donna scosse il capo, passandosi la manica della camicia sugli occhi umidi prima di recuperare il coltello.
«Mi dispiace», mormorò, rivolgendosi a Laura. «Non c’è altra soluzione.»
Laura annuì lievemente.
Si sentì un taglio e, quando la milanese si mise seduta, metà dei sui capelli cadevano ancora fino a metà schiena, mentre l’altra metà si fermava alle spalle.
Con determinazione, Maria glieli pareggiò, lasciando poi cadere le ciocche scure sul materasso.
Si buttò di nuovo sul suo letto, mentre anche Paola veniva liberata da Violante, e lasciò cadere lacrime amare sul cuscino.
Chiara fu la prima ad avvicinarsi, incapace di realizzare la situazione.
Si sedette sul letto accanto a lei, accarezzandole una spalla.
«I capelli di Laura ricresceranno», le disse con un sorriso benevolo.
Paola roteò occhi, mentre Viola faceva un passo verso di loro.
«Non sta di certo piangendo per i capelli. Dio, Chiara, perché sei così stupida?»
Mugolando qualche sommessa parola di scusa, la fiorentina si ritrasse nel suo letto.
Cacciando via quelle poche lacrime che erano riuscite a scapparle, Maria si stese sul fianco, rivolgendo lo sguardo sulle ragazze.
«Tornate a dormire», disse loro, mordendosi un labbro per la poca convinzione con cui quelle parole risuonarono nella stanza «Domattina occorre alzarsi prima del solito.»
Finalmente libera dalle attenzioni di Paola, Laura si alzò in piedi, strattonando la rossa per il braccio fino al letto di Maria, sul quale si sedette con grazia.
«Le parole di Augusto ti hanno ferita», disse dolcemente.
Viola si inginocchiò davanti al materasso, appoggiando il viso sulle braccia in attesa di un racconto.
Chiara stessa sembrava curiosa e dispiaciuta per la modenese, e non si ritirò di certo nonostante le avessero appena dato della stupida. Di nuovo.
Paola fu la sola, però, che parve smuovere qualcosa in Maria. Le sorrise benevola, accavallando le gambe con eleganza dopo essersi seduta accanto a lei.
«Spallaci è un idiota, e sbaglia. Tu per noi sei una mamma e dovremmo essere tutti grati delle tue cure.»
Maria le sorrise mestamente.
«Sono stata madre, molto tempo fa», confessò, tirando quel sorriso in una smorfia addolorata dai ricordi. «Un ragazzino tale e quale a voi, con la stessa voglia di rompersi l’osso del collo ogni volta che metteva piede fuori di casa. Dovrebbe esserci lui, qui, anziché io.»
Chiara si sporse in avanti, appoggiando una mano sulla spalla di Violante per mantenersi in equilibrio.
«Dov’è ora?»
Paola le scoccò un’occhiata che fu sufficiente a zittirla.
«L’Emilia non è sempre stata sotto il dominio dei Borgia», rispose Maria, scrollando le spalle. «Quando il Valentino iniziò a mettere le mani sul ducato, il popolo si ribellò alla guardia. Io e Giovanni eravamo in prima fila, alle porte di Modena in tempo per vedere Cesare Borgia entrare in città.» Fece una pausa, stringendo i pugni per contrastare la disperazione che i ricordi portavano con sé. «Quando Giovanni lo vide a cavallo, fu troppo veloce ad attaccarlo perché io potessi fermarlo. A Cesare bastò un colpo di spada per ucciderlo. Impalò la sua testa dinanzi alle mura, così come fece per tutti i ribelli.»
A quelle parole, tutte e quattro le ragazze rimasero impietrite.
All’improvviso, compresero molti dei comportamenti di Maria.
«Per questo ti sei attaccata tanto a Cesco?», si attentò Viola, con tatto.
«Assomiglia molto a Giovanni», confermò Maria, cercando di sorridere mentre le lacrime tornavano a far capolino dalle sue ciglia. «La stessa voglia di mostrare chi è e mettersi in gioco, nonostante la poca esperienza.»
Laura tirò su col naso, asciugandosi un paio di lacrime che le solcavano le guancie con il palmo aperto della mano.
«Scusate», balbettò, rimettendosi composta nonostante non riuscisse a smettere di singhiozzare. «Non so che mi prende.» Ridacchiò, asciugandosi l’ennesima lacrima mentre Chiara andava ad abbracciarla.
«Siamo tutte esauste», disse Maria, sforzandosi di apparire più composta di quanto fosse in realtà. «Per oggi andate a dormire; abbiamo bisogno di riposo.»
Contrariamente ad ogni aspettativa, Violante fu quella che ebbe l’ultima parola.
Lei e Maria non erano mai andate d’accordo, non si sopportavano visto che entrambe smaniavano per le attenzioni di quel Mentore che aveva raccolto entrambe dalla strada.
Mentre tutte si infilavano sotto alle coperte, la bolognese chiamò Maria, sorridendole sinceramente.
«Noi siamo una famiglia», disse, ricevendo l’appoggio di tutte e una soffiata di naso da parte di Laura. «Come tale, non permetteremo che tu possa mai rimanere sola. Niente ti ridarà indietro Giovanni, ma ora hai nove figli a cui tirare le orecchie.»
Maria ricambiò riconoscente il sorriso, prima di sporgersi per spegnere la candela.
«Non chiedo di meglio.»




   
 
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